Tony si svegliò al suono del citofono. Se ne stava disteso nel letto in un groviglio di lenzuola. Il sole del primo mattino faceva luminosamente capolino dalla finestra, dato che aveva dimenticato di tirare le tende. Imprecò a bassa voce, chiudendosi entrambe le mani a pugno tra i capelli per sorreggere la testa in qualche modo. Ignorava come, ma da una sola birra era passato addirittura a sei.
E niente cibo, idiota.
Quando il citofono suonò di nuovo, guardò la sveglia con occhi socchiusi. Erano solo le otto di un maledetto sabato mattina. I suoi amici lo conoscevano bene.
E questo significa che non è un amico.
Si trascinò fuori dal letto e barcollò fino al citofono. «Sì?»
«Detective MacLean,» rispose la voce gracchiante. «C’avrei da farle un altro paio di domande. Posso salire?»
Tony lottò contro l’impulso di rispondere “no” e la vocina irriverente che voleva ribattere “si dice avrei, non c’avrei”, ma mormorò una specie di risposta affermativa mentre premeva il pulsante di sblocco del portone.
Aveva due minuti di tempo prima che il poliziotto suonasse al suo appartamento. Tony scrutò i vecchi e malandati pantaloni della tuta che indossava. Niente maglia.
‘Fanculo. Vuole parlarmi di sabato mattina all’alba? Non si lamenti poi di ciò che vede.
Andò in cucina alla ricerca di acqua e ibuprofene e stava per farsi un’overdose di entrambi quando il campanello suonò.
Anche MacLean non sembrava avere avuto una notte molto tranquilla. Gli occhi castano scuro erano lievemente iniettati di sangue e i capelli erano arruffati, anche se sembrava avesse avuto quanto meno il tempo di radersi. Il detective indossava lo stesso completo comodo della notte precedente, con il colletto della camicia blu un po’ più aperto, rivelando una manciata di peli scuri e ricci.
Che stai fissando… o, meglio, perché?
Tony lo invitò a entrare indicando il salotto. MacLean si accomodò in poltrona, mentre lui preferì il bracciolo del divano. Percepiva un’istintiva resistenza a lasciarsi dominare da quell’uomo tanto più grosso di lui e agì di conseguenza.
«Bene, detective,» esordì. «Quali domande ha da farmi che non le erano venute in mente ieri sera?»
MacLean scrollò le spalle. «Alcune sono sempre le stesse, nel caso in cui ricordasse qualcosa di nuovo. Altre sono invece emerse nel corso dell’indagine.»
«Spari.»
MacLean tirò fuori matita e taccuino, con una lentezza che a Tony parve voluta, quindi cercò una pagina vuota. «Apprezzerei la sua collaborazione. Innanzitutto, vorrei sapere se ricorda qualcos’altro accaduto all’incirca un’ora prima della morte di Westin. È corretto dire che si trovava nella sua aula?»
«Sì, fino a quando sono sceso la prima volta per andare in macchina. Proprio come le ho già detto.»
«Ed era da solo.»
«Sì.»
«Non ha visto nessuno? Nessuno è passato a salutarla o a chiederle qualcosa?»
«Nessuno,» si limitò a dire Tony.
«Non ha sentito voci nel corridoio o persone che passavano?»
«Non mi sono accorto di nulla. Ero concentrato sui compiti che avevo ancora da correggere. Nessuno è entrato in classe. Devo avere semplicemente azzerato qualsiasi rumore. Ma non posso giurare che non ci fosse nessuno nel corridoio.»
«E non ha visto Westin dopo la fine delle lezioni?»
«No. Non prima che mi cadesse addosso sanguinando fino a morire.»
«Sono desolato, signore,» disse MacLean con una pazienza che sembrava esagerata. «Devo farmi un quadro preciso della situazione. Le ci sono volute quattro ore per correggere quei compiti?»
«Ebbene sì. Provi lei a dare una valutazione corretta a trenta studenti di seconda superiore che tentano di rapportare Furore alle loro vite in cerca di tematiche universali e poi mi dica quanto ci mette.»
MacLean inarcò un sopracciglio. «Era questo il loro compito? Da ciò che mi ricordo, a quell’età per me era già un problema trovare il libro giusto nell’armadietto.»
«I miei sono tutti studenti modello,» dichiarò Tony come se niente fosse, opponendo resistenza alla scintilla di divertimento negli occhi del detective.
«Ah. Okay, mai stato uno studente modello. In ogni caso, non si è incontrato con nessuno, nessuno studente è venuto a chiedere qualche consiglio rallentando il suo lavoro?»
«Sì, credo. C’è stato un ragazzo dopo la lezione dell’ultima ora, ma è rimasto non più di mezz’ora. Se ne era già andato da un pezzo prima che accadesse qualcosa degno di nota.»
«Il suo nome?» domandò MacLean. «Per il verbale.»
«Assolutamente no. Segreto professionale.»
«Non esiste il segreto professionale tra insegnante e studente.» Il detective apparve irritato. «Stiamo parlando di omicidio. Non può scegliere quali informazioni darmi.»
«Certo che posso,» ribatté Tony. «Io e la mia coscienza, proprio come in qualsiasi altra conversazione. Il ragazzo non aveva nulla a che fare con Westin. È irrilevante.»
«Decido io che cosa è rilevante,» sentenziò MacLean. «Per come la vedo io, non sono tantissimi i motivi per cui si pugnalerebbe un insegnante a scuola. Gli argomenti preferiti dei pettegolezzi di Westin erano da quattro soldi. Se si era imbattuto in un segreto per cui valesse la pena uccidere, doveva essere qualcosa di molto più grave. L’adulterio o il furto, ad esempio. Ma secondo me, droga e molestie sono in cima alla lista.»
«E crede che Westin e questo ragazzo…» Tony scoppiò a ridere. «Westin era sposato e non avrebbe potuto essere più etero di così. Non credo nemmeno che si sia mai reso conto di avere delle femmine in classe.»
«Forse lo faceva qualcun altro e Westin lo ha scoperto. In una scuola superiore le tentazioni per gli adulti sono molte. Oggigiorno metà degli studenti delle superiori sembra avere tranquillamente vent’anni. I vestiti che indossano… sono un chiaro invito. Forse qualcuno ha accettato quell’invito e Westin è venuto a saperlo. Non è solo questione di regolamento scolastico; gli insegnanti si trovano in una posizione di autorità. Si parla di molti anni di prigione. Varrebbe la pena uccidere.»
«Non ho sentito nessuna diceria in giro,» disse Tony lentamente.
«Nessuno studente con una cotta per lei che vuole farsi notare o che potrebbe aver frainteso il suo comportamento?»
«Certamente. Ci sono un paio di studenti, soprattutto ragazze, impazienti di rimanere fino a tardi per pulire le lavagne. Cerco sempre di mantenere le distanze quando me ne accorgo.» Tony fece una smorfia. «È un’accusa precisa, questa?»
«È solo un’ipotesi che è emersa.»
«Da parte di chi?» abbaiò Tony. «Senta, l’ultima cosa di cui un insegnante ha bisogno è un pettegolezzo del genere. Non mi sono mai comportato in modo inappropriato con uno studente, ragazzo o ragazza che fosse, e chiunque sostenga il contrario sta solo mentendo.»
«Potrebbe essere un’infatuazione non corrisposta da parte di uno studente,» suggerì MacLean, azzardando una congettura. «Westin lo affronta, minacciando di denunciarla. Il ragazzo lo pugnala, in un malsano tentativo di proteggerla.»
«Dovrebbe mettersi a scrivere romanzi,» esclamò Tony, il tono arrabbiato. «Guardi bene le mie labbra. Impossibile.»
Si alzò di scatto e fece un passo in avanti per sovrastare il detective, invadendo il suo spazio personale.
«Non mi faccio i ragazzini e non li incoraggio a pensare il contrario.» Si sporse in avanti, un sorriso contorto sulle labbra, mentre cercava di tenere a bada la fredda collera che gli ghiacciava le vene. «Nemmeno sono attratto dai ragazzi così giovani,» disse, allungando una mano per sfiorare con la punta di un dito il colletto del completo di MacLean. «Sa invece chi preferisco?» aggiunse. «Gli uomini come lei. Alti, grossi, massicci… con tanti muscoli e peli…»
Lasciò scorrere il polpastrello verso l’apertura della camicia del poliziotto, accarezzando lievemente la pelle e giocherellando con quella peluria riccia e scura. Voleva vedere la ritirata, sorprendere quell’uomo al punto di indietreggiare.
MacLean sollevò lo sguardo su di lui, gli occhi scuri e immobili. Le sue pupille erano dilatate? Tony non avrebbe saputo dirlo. Qualcosa era cambiato in quelle due pozze color cioccolato, ma non era in grado di dire che cosa. L’uomo non si era mosso, il respiro non era cambiato; non si era nemmeno preso la briga di guardare il suo dito. Tony si tirò indietro, sentendosi ridicolo.
«La prossima volta che ha di fronte un agente di polizia,» asserì MacLean, «le consiglio di tenere a posto le mani.» Si alzò come se niente fosse e prese un biglietto da visita dal taschino della giacca. Lo offrì a Tony. «Distretto e numero di telefono. Se le capita qualcosa o se sente informazioni che potrebbero esserci utili, ci chiami.» Gli voltò le spalle e si avviò verso la porta. «Sono in grado di trovare l’uscita da solo.»
Tony rimase lì, a fissare una porta chiusa.
Cosa diavolo credevo di fare?
Da quando aveva iniziato ad adottare il motto di Marty “se non gli piace, mettilo a disagio”? Comportarsi in quel modo non era proprio da lui. E ancora più preoccupante era la teoria di una relazione con uno studente. Era stata solo la speculazione di MacLean che lo aveva spinto a reagire in quel modo oppure girava sul serio un pettegolezzo del genere a scuola? Se era così, la cosa avrebbe avuto effetti disastrosi sulla sua carriera, ne era certo.
«Merda,» bofonchiò mentre si avviava in bagno per una doccia refrigerante. «La mia solita fortuna. Quel bastardo di Westin sta creando più problemi da morto che da vivo.»
***
Mac salì sulla sua auto civetta e finalmente poté sistemarsi i pantaloni. Gesù, era duro come la pietra. Grazie al cielo Hart lo stava guardando in faccia e non più in basso mentre faceva quel giochetto con il dito. In qualche modo, quel tocco delicato e il grugnito di quel ragazzo mentre diceva mi piacciono gli uomini come lei lo avevano colpito come una scossa elettrica. Gli ci era voluto ogni brandello di autocontrollo per rimanere seduto lì, senza muovere un muscolo e senza reagire, fino a quando Hart non si era tirato indietro. Una parte non tanto piccola di sé avrebbe voluto afferrare quel dito e morderlo per vedere che cosa avrebbe fatto l’altro. Ce l’aveva ancora duro e dolorante. Una vera fortuna che Hart fosse stato così distratto da non notarlo. Si agitò a disagio sul sedile.
Sospirò e ripassò mentalmente le sue disponibilità finanziarie. Con tutta probabilità, sul suo conto c’era denaro sufficiente per una breve gita a Las Vegas. Ma disgraziatamente si trovava nel bel mezzo di un caso e, per il momento, non gli avrebbero mai concesso più di qualche ora di permesso.
In genere, era nei periodi più calmi che gli succedeva. Il riflesso del sole nei capelli di un uomo, la bellezza della curva di un paio di bicipiti sudati o il culo di un altro maschio mentre si piegava. Una visione momentanea che attirava Mac come una calamita. Era in quegli attimi che il suo desiderio ben sepolto in profondità si risvegliava, tormentandolo affinché lo liberasse. Senza trovare pace. Tutto ciò che faceva si colorava di quella consapevolezza repressa fino a quando non trovava un po’ di sollievo. Allora prenotava un volo economico, lasciava la città per un paio di giorni e poi tornava, pronto per ricominciare la sua solita vita.
Era questo il sesso che preferiva: veloce, anonimo e lontano dalla realtà. Non usava mai il suo vero nome ed era felice che gli uomini che abbordava, o che lo abbordavano, facessero lo stesso. Un pomeriggio o una sera nella camera di un albergo era sufficiente ad allentare la tensione. Se il sesso era particolarmente bello, riusciva ad alimentare le sue fantasie per un po’, ma tirava sempre un sospiro di sollievo quando tornava a essere finalmente solo.
Era passato troppo tempo, pensò. Più di otto settimane dalla sua fuga a Palm Springs. Ecco perché quel ragazzo lo aveva scosso così tanto, addirittura durante un incontro di lavoro. Per fortuna, a meno che il suo istinto non avesse fatto completamente cilecca, Hart non aveva nulla a che vedere con l’omicidio, a parte esserne il testimone. E questo significava che non l’avrebbe rivisto.
Risolvi il caso e poi prenditi un biglietto economico su Priceline.
Ecco il piano. C’era un unico difetto, disgraziatamente: prima avrebbe dovuto trovare l’assassino.
Mac tirò fuori il cellulare, consultò gli appunti e fece una chiamata. Con sua grande sorpresa, qualcuno rispose quella volta.
«Senta,» esordì una squillante voce femminile, «non so perché continui a chiamare questo numero, ma se non la smette la denuncerò alla polizia per molestie.»
«Aspetti,» disse Mac. «Sono io la polizia, non riagganci.»
«Quale polizia?» chiese la voce con sospetto.
«Parlo con la signora Sarah Westin?» domandò Mac.
«Sì. Lei chi è?»
«Signora Westin, sono il detective MacLean del Dipartimento di polizia di Minneapolis. Potrebbe dirmi per cortesia dove si trova in questo momento?»
«In Florida,» rispose Sarah Westin con un filo di incertezza. «È davvero un detective?»
«Posso darle il numero del distretto se vuole chiamare per controllare,» propose Mac.
«No, non è necessario. Credevo solo che… perché mi ha chiamato tutta la notte? Ho trovato una dozzina di chiamate senza risposta.»
Mac esitò. Dare quel genere di notizie non era mai facile. Era preferibile farlo di persona, mai al telefono, in particolare se si voleva anche studiare la reazione del coniuge alla notizia. La polizia locale in Florida non sarebbe stata entusiasta, ma doveva intervenire.
«Signora Westin,» riprese, «stavo cercando di contattarla per un problema che è sorto qui a casa. Se mi dà il suo indirizzo, posso mandarle un agente per spiegarle l’accaduto e prendere la sua deposizione.»
«Non può pensarci mio marito?» chiese Sarah Westin. «Sono in vacanza.»
«Temo che dobbiamo parlare assolutamente con lei. Potrebbe darmi il suo indirizzo attuale?»
A malincuore, la donna gli fornì l’indirizzo di un’amica a Miami, quindi riattaccò con l’impaziente richiesta di non farla aspettare troppo perché avevano in programma di uscire a fare shopping. Mac osservò il telefono. Perché non era stata curiosa di conoscere il motivo che aveva spinto un detective a chiamarla a mezzanotte, alle due e alle tre del mattino? Era semplicemente così compiaciuta di sé da non riuscire a immaginare che potesse capitarle qualcosa di terribile? O sapeva già cos’era accaduto? Almeno era sollevato di non trovarla molto simpatica. Se si era troppo comprensivi, diventava poi difficile interrogare una vedova. Non ci sarebbero stati problemi in tal senso.
Chiamò la polizia di Miami e parlò con un collega detective che accettò di informare e interrogare la vedova. Rimasero d’accordo di sentirsi in seguito. In genere, avrebbe di gran lunga preferito parlare in prima persona con la vedova. Il vecchio detto secondo cui il coniuge era il primo sospettato era sì un luogo comune, ma serbava un fondo di verità. In quel caso, se la moglie si trovava davvero a Miami al momento del delitto, era quantomeno scagionata.
Il telefono gli squillò nella mano prima che si decidesse a fare una nuova chiamata. Lo aprì e rispose.
«MacLean.»
«Ehi, Mac.» Era Hanson. «La Pinski tocca a te, giusto?»
«Sì, se riesco a contattarla.» La signora Pinski era stata troppo occupata per rispondere al telefono la notte precedente, secondo la domestica, e non poteva essere disturbata. La donna si era inoltre rifiutata di richiamare come richiesto, non battendo ciglio alle parole “in relazione a un decesso improvviso”.
«Sto esaminando i tabulati telefonici della vittima», continuò Hanson, «e ho trovato qualcosa di molto interessante. Lo sapevi che abbiamo trovato il cellulare rotto nella sua tasca? Probabilmente a seguito della caduta.»
«Sì.»
«È venuto fuori che aveva appena fatto una telefonata. Pochi minuti prima. Indovina chi ha chiamato?»
«Mary Pinski.»
«Esatto.»
«Quanto è durata la chiamata?» si informò Mac. «Ha riagganciato subito o hanno parlato?»
«La chiamata è durata un minuto e ventotto secondi. Hanno parlato, oppure Westin ha lasciato un messaggio lungo.»
«Riusciamo a saperne di più?»
«Non senza i tabulati della donna,» spiegò Hanson. «Ci servirà un mandato se l’adorabile signora Pinski non vorrà fornirci l’informazione di sua spontanea volontà.»
«Mi sta evitando. O almeno questa è la mia impressione. Mi chiedo se non sappia già della morte di Westin.»
«Non è stato ancora reso noto pubblicamente. Aspettavamo che muovessi il culo e trovassi la vedova.»
«L’ho appena trovata,» ribatté Mac. «È in Florida. Ho chiesto alla polizia locale di informarla. Ti farò sapere quando sarà possibile diffondere l’identità della nostra vittima, ma il preside e il bidello la conoscono già.»
«E anche Hart.»
«Già. Quindi, se le voci di corridoio funzionano anche qui, è probabile che la Pinski ne sia già informata.»
«Stai andando da lei?» chiese Hanson.
«Oh, sì. Credo proprio che mi presenterò alla sua porta. Voglio sapere di che cosa hanno parlato al telefono.» La signora Pinski avrebbe avuto il coraggio di scacciare la polizia dagli scalini di casa?
«Westin ha fatto molte altre telefonate alla Pinski negli ultimi giorni, oltre all’ultima; un venerdì mattina e due giovedì sera, una di queste è stata brevissima e potrebbe aver riattaccato quando ha sentito partire la segreteria. E prima ancora, ha chiamato la Pinski un paio di volte il mese scorso.»
«Viene da chiedersi perché fosse così urgente questa volta, no? Altri legami importanti con la Pinski? Un bell’assegno che puzza di ricatto, una camera per due in un albergo?»
«Ancora no,» rispose Hanson. «Ti farò sapere se salta fuori qualcosa.»
«Sì, ci conto.» Mac mise via il telefono e accese il motore. Era arrivato il momento di scoprire come vivevano i ricchi.
La residenza dei Pinski si trovava in un quartiere costoso. Era una casa a tre piani, con la parte anteriore in pietra. Il lotto era isolato e dalle dimensioni ragguardevoli. Il vialetto di accesso curvo era affiancato da vecchie querce e alcune foglie marroni avevano coperto qua e là il selciato. C’era abbastanza spazio perché Mac parcheggiasse senza bloccare l’accesso al garage. Quando scese dall’auto, si guardò attorno.
Il prato ben tenuto suggeriva l’utilizzo di un servizio di giardinaggio. La piccola Corolla arrugginita parcheggiata sotto un albero era riconducibile a una domestica che lavorava anche al sabato. E che veniva anche pagata una miseria.
Mac suonò il campanello e non si stupì quando venne ad aprirgli una donna ispanica di mezza età in un abito scuro.
«Sono il detective MacLean della polizia di Minneapolis,» esordì, mostrando il distintivo. «Devo parlare con la signora Pinski.»
La cameriera guardò in tralice da sopra la sua spalla, apparendo lievemente nervosa. «La signora è impossibilitata al momento. Sono desolata.»
«Sono sicuro che i suoi ordini siano stati questi.» Mac tenne ferma la porta con la mano. Cercò di dimostrarsi comprensivo. «D’altra parte, chi vorrebbe mai ricevere degli ospiti a quest’ora del sabato? Ma sono certo che non le abbia detto di evitare anche la polizia. Perciò adesso entrerò e aspetterò che dica alla signora che desidero parlarle.» Spalancò la porta ed entrò nell’ingresso, superando la domestica. Di fronte alla scelta di provare a sbattere fuori di casa uno sbirro di novanta chili o parlare con la sua datrice di lavoro, la donna si arrese all’inevitabile.
Mac tese le orecchie per carpire frammenti della conversazione al piano di sopra, ma riuscì solo a determinarne il tono. La padrona di casa non sembrava contenta. Seguì il silenzio e Mac rimase in attesa nell’ingresso. L’ambiente profumava vagamente di limone e olio per mobili. Da qualche parte un orologio ticchettava con un ritmo deciso e cupo. Il sole delle prime ore del mattino filtrava dalla vetrata colorata sopra la porta, distribuendo macchie di colore sul tappeto nell’ingresso. Non c’erano scarpe lasciate fuori dalla porta del ripostiglio, niente giornali o lettere sul tavolino ben lucidato. Erano già passati quindici minuti e Mac iniziava a chiedersi che cosa sarebbe accaduto se fosse salito di sopra prima che la padrona di casa si facesse vedere. La donna scese le scale con cautela e si fermò a qualche metro da lui, gli occhi freddi e carichi di biasimo.
Era vestita di tutto punto e ben pettinata nonostante l’ora. I capelli biondi erano acconciati alla perfezione; il fisico era di certo il prodotto di una dieta attenta. Mac osservò Mary Pinski, cercando di individuare la professoressa di storia delle superiori nascosta dietro quella signora dell’alta società. Sembrava impossibile. Non riusciva proprio a immaginarsi quella donna di fronte a una classe di quattordicenni arrabbiati per i compiti ricevuti.
«Sono il detective MacLean del Dipartimento di polizia di Minneapolis,» disse, mostrando il distintivo e senza porgere la mano, poiché era certo che sarebbe stata rifiutata. «E lei è la signora Mary Pinski insegnante di storia alla Roosevelt High?»
«Sono io.» Il tono era glaciale al pari della sua espressione.
«Ho bisogno di parlarle di una questione molto seria.» Si guardò in giro. «Possiamo sederci?»
«Preferirei rimanere in piedi. Sono sicura che non ci vorrà molto.»
«Potrebbe, invece.» La fissò attentamente. «È a conoscenza che Brian Westin è stato assassinato la notte scorsa?»
La donna sbiancò di colpo e allungò una mano, come se volesse afferrare la lontana balaustra. Mac avrebbe scommesso che la reazione fosse genuina.
«Brian è morto?»
«Sì, signora,» disse. «Devo proprio farle alcune domande su di lui.»
«Perché a me?» ribatté la donna, riassumendo rapidamente il controllo. «Voglio dire, conoscevo Brian, ovvio. La sua morte è… una tragedia. Ma non eravamo amici intimi e non so molto della sua vita privata.»
«Secondo le nostre fonti, lei era il suo migliore… alleato a scuola.»
«Forse,» concordò Mary Pinski, «ma eravamo proprio quello, alleati. Posso dirle come la pensasse Brian in merito a diverse questioni scolastiche. In genere, eravamo della stessa opinione. Ma non so di più. Non capisco perché devo essere coinvolta.»
Mac inarcò un sopracciglio con scetticismo. «È normale interrogare le persone che conoscevano la vittima. Esiste un motivo per cui non vuole parlare con la polizia?»
«No, nessuno in particolare,» s’affrettò a dire. «Solo non saprei… ma ovviamente risponderò a tutte le domande, se posso.» Indicò una porta. «Andiamo in salotto?»
Mac la seguì in una stanza che aveva la stessa atmosfera di una gelida esposizione in un museo. Le pareti erano ricoperte per metà da pannelli e le finestre erano impreziosite da tendaggi floccati. Le curve elaborate delle tende erano riprodotte in modo speculare sia a destra che a sinistra. Le vetrinette contenevano oggetti dall’aspetto costoso, scintillanti e senza un granello di polvere, e le sedie dalle gambe affusolate erano di un legno scuro e lucido, l’imbottitura così perfetta e intatta da suggerire che il loro scopo fosse più quello di decorare il salotto che far accomodare le persone. L’intera stanza sembrava dire “Ammiratemi senza toccare nulla, poi sparite”.
La sua ospite si sedette rigidamente su una sedia e gliene indicò un’altra. Mac si appollaiò sul bordo della seduta. Era certo che il suo sentirsi sbilanciato fosse proprio ciò che Mary Pinski voleva. Con un profondo respiro, cercò di rilassarsi e si appoggiò all’indietro, senza reagire al cigolio della sedia, che provocò una smorfia di dolore sul viso della Pinski. Lentamente e con noncuranza, Mac prese taccuino e matita.
«Dunque,» iniziò. «Quando ha visto Brian Westin per l’ultima volta?»
«Venerdì, ieri, all’incirca all’ora di pranzo. Gli sono passata accanto nell’atrio, vicino alla sala insegnanti.»
«Gli ha parlato?»
«Non in quel momento,» rispose la Pinski. «Credo di averlo fatto qualche ora prima.»
«Argomento?»
«Oh, un problema che aveva con uno dei suoi studenti, un ragazzo che marinava le lezioni senza una giustificazione plausibile ma che il preside Johnson non voleva sospendere.» Offrì un sorriso tirato. «A Brian piaceva lamentarsi con chiunque lo stesse a sentire.»
«Gli era parso preoccupato o euforico?»
«Non più del solito.»
«Ha parlato con Westin di persona o al telefono?»
«Non… al telefono, credo. Mi ha chiamato.»
«La chiamava spesso per lamentarsi di qualche piccolo problema con i ragazzi?»
«Beh, non così spesso,» rispose la Pinski. «Ma capitava. A volte tendeva a ingigantire. Pensava che Dean Johnson gli mancasse di rispetto. Si offendeva facilmente.»
«Capisco. E non ha avuto altri contatti con lui venerdì?»
«No. Voglio dire, potrei averlo visto nell’atrio anche la mattina, ma non gli ho parlato. Non ci avrei fatto molto caso. È normale vedere in giro gli altri insegnanti durante la giornata.»
«A che ora ha lasciato la scuola?»
«Ieri? Erano quasi le quattro, credo.»
«Per la cronaca, posso chiederle dove si trovava tra le quattro del pomeriggio e la mezzanotte di venerdì?»
La Pinski sbatté le palpebre. «Non crederà che io…»
«No, signora,» la tranquillizzò Mac. «Lo sto chiedendo a tutte le conoscenze della vittima.»
«Se ha intenzione di interrogare tutti gli insegnanti della Roosevelt,» replicò la donna causticamente, «non finirà tanto presto. Ma per quanto mi riguarda, sono tornata a casa in auto. Ho fatto il bagno e mi sono cambiata per la sera. Consuela, la domestica, era ancora qui. Mio marito è tornato intorno alle sei e siamo andati alla festa di uno dei suoi dipendenti che andava in pensione. Mio marito ha tenuto un discorso e poi abbiamo cenato. Ce ne siamo andati alle nove e siamo rimasti a casa per il resto della serata, assieme.» Una pausa. «Mi auguro che non vorrà interrogare mio marito. Sarebbe una seccatura per lui rimanere coinvolto in un’indagine della polizia.»
«Mi auguro che non ce ne sia bisogno. Soprattutto perché vi trovavate entrambi in un luogo pubblico all’ora del delitto.»
«La ringrazio,» disse la Pinski, alzandosi. «Quindi, se questo è tutto…»
«Non ancora.» Mac le indicò la sedia. «La prego.»
«Non ho nient’altro da dirle,» esclamò la donna, rimettendosi a sedere con riluttanza.
«Credo di sì, invece. Può dirmi perché non ha accennato alla telefonata che Westin le ha fatto ieri sera?»
«Che cosa?»
Mac doveva dargliene atto. Se stava fingendo, la sua sorpresa meritava un Oscar.
«Secondo i tabulati, Brian Westin l’ha chiamata al cellulare attorno alle venti, solo pochi minuti prima di essere ucciso. Vorrei sapere che cosa vi siete detti.»
«Ma non gli ho parlato!» La Pinski si protese in avanti, parlando rapidamente. «Non le sembra ovvio? Se mi ha chiamato alle otto, il mio cellulare era spento. Sarebbe davvero da maleducati tenere acceso il telefono a un evento del genere, soprattutto durante il discorso di mio marito. Non l’ho nemmeno riacceso quando siamo tornati a casa perché abbiamo il telefono fisso. Se Brian mi ha cercata o ha lasciato un messaggio, non l’ho mai ricevuto.»
«Ha qui il suo telefono?» domandò Mac, «posso controllare se le ha lasciato un messaggio?»
«Naturalmente,» disse la Pinski, nell’atto di alzarsi. «Ma non so se mio marito vorrebbe che io…»
«Sono certo che a suo marito dispiacerebbe di più se chiedessi un mandato per controllare i registri delle sue chiamate.»
«Oh, sì, probabilmente… è così,» concordò la Pinski. «Dobbiamo collaborare, ovviamente. Vado a prendere il telefono.»
«L’accompagno.» Si alzò anche Mac. «In questo modo, sempre per la cronaca, posso verificare che il suo cellulare era davvero spento.» Un sotterfugio, poiché il telefono avrebbe potuto essere stato acceso e spento più volte dalla notte prima. Tuttavia, se la signora Pinski era davvero all’oscuro del messaggio, voleva essere certo che non lo cancellasse “per errore”.
«Deve… oh, va bene. È nella mia borsetta. Mi segua.»
Mac la seguì nell’ingresso e da lì in una cucina ben arredata ma in ogni caso meno intimidatoria del salotto. La borsetta si trovava in una credenza di quercia levigata sopra un grande bancone di legno in un angolo.
Mac allungò la mano. «Solo il telefono. E me lo dia, per favore.»
La donna prese la borsetta, un piccolo accessorio in tessuto decorato con mezzi cerchi, e trovò il cellulare facilmente. Mac lo prese, lo aprì e controllò che fosse spento, quindi premette il tasto di accensione. Il display si illuminò, mostrando il simbolo della segreteria telefonica.
«Sembra proprio che ci sia un messaggio,» disse Mac. «Metterò il vivavoce così possiamo ascoltarlo entrambi, va bene?»
La Pinski fece per prendere il telefono. «Potrebbe avermi cercata qualcun altro, non solo Brian. Vorrei prima ascoltarlo in privato, se possibile.»
Mac tenne fermo il telefono fuori dalla sua portata. «Se questa chiamata è utile per trovare l’assassino di Brian Westin,» iniziò minacciosamente, «vorrei poter testimoniare che lei non ha mai toccato il telefono né ascoltato il messaggio per prima. In questo modo, non sarà nemmeno necessaria una deposizione da parte sua in tribunale.» Stava camminando sul filo del rasoio. Era il suo telefono, quello: se la donna insisteva, non avrebbe potuto rifiutarsi di darglielo senza un mandato.
«Non vorrei che…»
«Facciamo così,» propose Mac. «Se sente una voce che potrebbe indicare un messaggio privato, me lo dica e passiamo subito al messaggio successivo. D’accordo? Li salverò tutti. In questo modo potrà ascoltare i suoi messaggi privati in un secondo momento.»
«Molto bene,» concordò la Pinski alla fine. «Se è necessario.»
Mac digitò *86. «La sua password?» chiese. Poi aggiunse: «Se vuole, dopo potrà cambiarla.»
«1234.»
«Ha… tre… messaggi non letti,» annunciò la voce registrata. «Primo messaggio non letto inviato… oggi… alle ore… otto e quindici.» Si udì la voce di una donna. «Mary, sono Arlene.» Mac inarcò un sopracciglio e guardò la Pinski, che scosse la testa.
«Una conoscente, niente di più,» spiegò la donna, mentre il tono fin troppo brioso di Arlene spiegava l’eccitante idea che aveva avuto per la cena di beneficenza a cui stavano evidentemente collaborando. Mac premette il nove per salvare il messaggio e andare a quello successivo. Il secondo messaggio era il suo che aveva lasciato la notte precedente, richiedendo di poterle parlare. Come sempre, la sua voce registrata appariva strana, rude e sbrigativa. Salvò anche quel messaggio. Il terzo attirò tutta la sua attenzione.
«Mary,» disse la voce di un uomo con tono petulante. «Dobbiamo proprio parlare. Devo dirtelo…» La voce si interruppe. Seguì un suono breve e crepitante, poi alcune parole soffocate, appena comprensibili. All’improvviso la persona al telefono grugnì, un suono acuto e l’uomo gemette. Altri rantoli per diversi secondi, l’inizio di un breve discorso, infine silenzio. «Per eliminare il messaggio, prema sette. Per salvarlo, prema nove…» riprese la voce registrata. Mac quasi si slogò un dito per premere il tasto nove. Rimase a osservare il telefono.
La signora Pinski si appoggiò al bancone con una mano e si accasciò su uno sgabello. «Era…» iniziò, quindi deglutì. «Sembrava proprio…»
«Già.» Mac si riempì i polmoni. «Credo che abbia registrato l’omicidio.»
«Non lo sapevo!» protestò. «È il mio telefono che lo ha fatto!»
«Lo so. Non si preoccupi.» Mac cercò di calmarla. «Non sto dicendo che è coinvolta. Ma questa è una dannata fortuna. Signora Pinski, devo portare il suo telefono alla scientifica in modo che possano decifrare meglio l’ultima parte. Le darò una ricevuta e glielo restituirò al più presto. Oh, può autorizzarmi anche a registrare di nuovo il messaggio in modo da poterci lavorare?»
Mary Pinski raddrizzò la schiena, trasformandosi di nuovo nella signora dell’alta società. «Forse dovrei chiedere al mio avvocato prima di firmare qualsiasi cosa.»
«Se vuole ritardare un’indagine per omicidio mentre chiama il suo avvocato, è libera di farlo.» Mac rimase in attesa, cercando di mascherare la sua impazienza mentre la donna rifletteva sulle sue parole.
«Suppongo che si procurerebbe un mandato se mi rifiutassi,» disse alla fine.
«Sì, è così. Sono certo che non avrei problemi a convincere un giudice della necessità di queste informazioni.»
«Molto bene. Prenda il telefono e firmerò la liberatoria. Ma voglio la sua parola che farà il possibile per tenere me e mio marito fuori da questa storia.»
«Farò del mio meglio,» replicò Mac prontamente. «Ma non posso garantirglielo.» Preparò una breve dichiarazione scritta di autorizzazione da farle firmare. «Il nostro ufficio legale potrebbe aver bisogno di qualcosa di più formale in un secondo momento,» spiegò mentre la donna scriveva il suo nome con cura sotto ciò che Mac aveva scritto in un tortuoso stampatello. «Ma almeno così potremo iniziare a lavorarci. Il tempo è cruciale in un’indagine come questa.» Ripose il telefono e il foglio di carta in una busta per le prove presa dalla tasca e allungò la mano. «La ringrazio davvero per il suo aiuto.»
Mary Pinski si preoccupò di raggiungere l’interfono, allontanandosi il più possibile dalla stretta di mano. «Consuela, ritengo che il poliziotto abbia finito e stia per andarsene. Lo accompagneresti, per favore?»
Mac riabbassò la mano e si voltò in attesa della sua guida ispanica.
«Detective,» esordì la signora Pinski. Si voltò per guardarla. «Non ha detto che cosa è accaduto al signor Westin.»
Tutto d’un tratto, Mac si chiese se quella donna di ghiaccio fosse in grado di provare qualcosa. «Qualcuno, nel corridoio della scuola, lo ha pugnalato all’intestino con un coltello e poi glielo ha ficcato nel petto.» Mac sapeva bene di essere stato brutale. «Arrivederci, signora Pinski.» Quando se ne andò, ebbe per lo meno l’ignobile soddisfazione di vedere quella fredda espressione abbandonare definitivamente il viso di Mary Pinski.
Mac si trascinò al briefing di quella sera portandosi dietro il laptop. I ragazzi dell’ufficio legale non erano rimasti soddisfatti della sua liberatoria scritta a mano, pertanto la registrazione del messaggio per l’analisi sarebbe stata rinviata fino a quando non si fosse ripresentato con un documento firmato lungo una pagina. Aveva dovuto rintracciare Mary Pinski, che era andata a fare shopping senza cellulare, ovviamente. Riuscì a trovarla grazie a Consuela, che gli fornì preziose informazioni sui negozi preferiti della signora. Gli ci vollero un paio di telefonate per rintracciarla. Fortunatamente, la donna non si lamentò per dover firmare di nuovo. Ma il suo sguardo gelido, dovuto al fatto che avesse osato chiamare i suoi amici per trovarla, gli suggerì di non avere molte possibilità di entrare a breve nelle sue grazie.
Poi aveva fatto impazzire i tecnici della scientifica rimanendo accanto a loro mentre lavoravano, in attesa anche della più piccola informazione utile. I risultati si erano rivelati preziosi, ma disgraziatamente non fondamentali.
«Okay,» disse il capitano Severs, spostando lo sguardo sui colleghi dagli occhi stanchi. «Iniziamo. Mac, sei tu il fortunato vincitore.»
Mac annuì e aprì il laptop. «Brian Westin ha chiamato Mary Pinski pochi minuti prima di essere ucciso. O almeno credevamo. È ancora meglio di così.» Mac avviò il file con la registrazione, gustandosi le espressioni che comparivano sui volti degli altri uomini man mano che iniziavano a rendersi conto di ciò che stavano ascoltando. Grazie al lavoro di pulizia e amplificazione svolto dalla scientifica, diverse parole erano diventate più comprensibili.
Dopo i saluti iniziali e il gracchiare di sottofondo, la voce di Westin era confusa ma riconoscibile. «Che diamine stai…?» Rabbia, poi panico. «No! Non devi…»
Una voce bassa ringhiò: “E invece sì” prima degli inequivocabili suoni dell’aggressione.
Un minuto dopo si udì il cicalio dell’ascensore, seguito dalle porte che scorrevano; la voce di Tony Hart, ancora più acuta del rumore, disse: “Dannazione, Westin! Fai attenzione a dove vai! Aspetta almeno che esca”. Poi, più forti, un tonfo e un crepitio, quindi la registrazione si interruppe.
«Riteniamo che qui sia caduto sul telefono, rompendolo,» disse Mac quando iniziò il silenzio.
«Riusciamo a rendere più chiara quella frase?» domandò Oliver con urgenza. «È il nostro uomo. Riusciamo ad avere una corrispondenza dell’impronta vocale?»
«I ragazzi del laboratorio dicono di no,» rispose Mac. «Troppa sovrapposizione e distorsione. I suoni in quelle tre parole sono risibili. Ma dovrebbe essere possibile escludere delle voci. Le donne, ad esempio, a meno che non abbiano un tono baritonale. Escludono probabilmente anche la voce di Hart, sebbene le due registrazioni abbiano alcuni suoni in comune.»
«Mi sembra superfluo,» esclamò Terrance. «A meno che questa non sia una messa in scena davvero elaborata, possiamo sentire l’ascensore arrivare e Hart non sembra aver appena commesso un omicidio. Direi che possiamo tranquillamente metterlo in fondo alla nostra lista.»
«Quelli della scientifica possono usare la voce registrata per ricavare qualche informazione sul nostro uomo?» chiese Hanson.
«Li conosci,» disse Mac. «Odiano sbilanciarsi, ma probabilmente è bianco e, sempre probabilmente, giovane.»
«Wow, grande.»
«Okay, ora. Voi cosa avete scoperto mentre io davo prova delle mie fantastiche doti investigative?» chiese Mac.
«Mentre tu inciampavi per caso su questa scoperta fortunata,» ironizzò Oliver, «io mi sono sorbito l’autopsia.» Aprì il file da leggere. «Secondo i rilevamenti di base, la vittima è stata pugnalata una volta con una lama seghettata di diciotto centimetri. Il coltello è penetrato nell’addome proprio sotto lo sterno, provocando gravi lacerazioni al fegato e un’emorragia che si è rivelata fatale senza un immediato intervento. La lama è stata quindi spinta nel petto attraverso il diaframma, recidendo un lobo del polmone e provocando una lacerazione di secondo grado dell’apice del ventricolo sinistro del cuore. La lama ha reciso la cartilagine dell’ultima costola, quindi si è conficcata in quella successiva. La morte si è verificata in pochi minuti a causa di shock, emorragia e possibile aritmia cardiaca.»
«Il nostro uomo si trovava davanti alla vittima al momento dell’aggressione. Verosimilmente destrorso, altezza media e con una forza superiore alla media. È improbabile che la ferita sia stata causata da una donna, a meno che non si tratti di una donna molto forte.»
«Per il resto, la vittima godeva di ottima salute. Nessun segno di abuso prolungato di droghe o alcol. Nessuna patologia cronica ad eccezione di una lieve artrite all’anca sinistra. Le analisi tossicologiche non hanno evidenziato tracce di alcol. Le altre analisi del sangue e dei tessuti sono ancora in corso. L’ora del decesso… è stabilita meglio dalle nostre ulteriori prove che dal referto medico.»
«Oh, bene,» commentò Mac. «Possiamo escludere il suicidio per malattia terminale.»
«E anche l’omicidio per mano del suo spacciatore,» fu il suggerimento di Oliver, «ma per il resto, niente di nuovo.»
«Veramente,» intervenne Terrance, «io vorrei conoscere l’esito dell’esame tossicologico perché, tra la marea di oggetti inutili rinvenuti nella cattedra di Westin, c’erano anche venti compresse di ossicodone.»
«In un flaconcino?»
«In una busta. Bianca, senza nome. Le abbiamo identificate dalla marcatura sulle compresse. Erano farmaci di marca, non generici; non ci sono dubbi. C’erano tre serie diverse di impronte sulla busta. Solo una apparteneva a Westin. Le altre due non sono schedate.»
«Decisamente strano,» disse Oliver. «Le pillole potrebbero essere state sue. Dovremo chiedere al suo medico se gliele aveva prescritte, ma scommetterei che le ha avute da qualcun altro a scuola. Se non le aveva prese per sé, il venditore e/o l’acquirente potrebbe avere un movente. L’accusa di possesso di droga può rovinare una carriera in quel settore.»
«O la possibilità di diplomarsi per uno studente,» fece notare Mac. «Alcuni di quei ragazzi sono forti come gli adulti.»
«Vero,» concordò Oliver. «Terrance, chiama la Narcotici e vedi se qualche loro agente sta tenendo d’occhio la Roosevelt o se hanno qualche pista su possibili fornitori.»
«Okay,» replicò Terrance. «Appena finiamo qui. Per quanto mi riguarda, ho controllato la lista di auto presenti ieri sera nel parcheggio. A parte Hart, il bidello e la vittima, tre studenti sono andati via assieme ad alcuni amici e solo due dei loro genitori erano a conoscenza del fatto. Un’insegnante ha avuto un problema al carburatore e si è fatta venire a prendere dal marito. Hanno tutti un alibi per le venti.»
«Controllare il resto del personale al secondo piano è più complicato. Ci sto ancora lavorando.»
«Prima controlla gli uomini,» ordinò Oliver.
«Io ho verificato la situazione finanziaria e i tabulati telefonici della vittima,» dichiarò Hanson al cenno di Oliver. «Oltre alla nostra chiamata fortunata, nell’ultima settimana ci sono state altre telefonate a Mary Pinski, alla moglie, al dottore e ad alcuni negozi dell’area, compresa una farmacia. Il medico non è in ambulatorio nel fine settimana e il numero di casa, non essendo in elenco, non è disponibile per noi poveri impiegati statali. Lo contatterò lunedì mattina.»
«Rintraccialo il prima possibile,» disse Oliver. «Dobbiamo sapere se Westin soffriva di qualcosa e se gli aveva prescritto quei farmaci.»
«La fedina penale di Westin non potrebbe essere più immacolata di così e la sua situazione finanziaria è alquanto tranquilla,» riprese Hanson. «Nei conti personali che ho trovato, non ci sono spese o entrate degne di nota. Mi auguro di riuscire a dare un’occhiata al conto e alle carte di credito in comune non appena Mac convincerà la vedova a rilasciarci gli estratti conto, ma finora non ho trovato alcuna traccia di ricatto.»
«Il dipartimento di polizia di Miami ha interrogato la vedova in via preliminare,» spiegò Mac. «Tornerà con il volo di domani mattina. Il detective che l’ha vista mi ha detto che non appariva molto scossa dalla morte di Westin, ma non ha nemmeno notato segnali particolarmente interessanti in lei. In ogni caso, si trovava a Miami da martedì ed è una donna. A meno che non abbia assoldato qualcuno, non sembrerebbe coinvolta. Inoltre, i killer a pagamento non usano un coltello da carne in un corridoio pubblico. Ha accettato di lasciarci perquisire l’abitazione della vittima, ma solo dopo essere tornata per sovrintendere alle operazioni, usando le sue parole. Ho idea che ritenga più importante la privacy del cassetto della sua biancheria intima che la cattura dell’assassino del marito.»
«Bene. Adesso?» domandò il capitano Severs a Oliver. «È necessario tenere la situazione in pugno. Lunedì i ragazzi tornano a scuola. Dobbiamo tranquillizzare i genitori e l’opinione pubblica dicendo di aver trovato l’assassino. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è la cattiva pubblicità.»
Mac si accigliò. Severs non era un cattivo poliziotto, ma si era fatto strada grazie al suo talento nel fare politica, e si preoccupava principalmente dell’impressione che il suo dipartimento faceva agli occhi di chi era al comando.
L’espressione di Oliver non avrebbe potuto essere più piatta. «Stiamo seguendo la pista dei farmaci trovati nella cattedra, abbiamo parlato con tutti gli uomini giovani e forti nella lista di conoscenze della vittima, siamo tornati a chiedere a Mary Pinski delle altre tre telefonate che Westin le ha fatto negli ultimi due giorni. Contatteremo il medico per sapere se aveva realmente prescritto quei farmaci alla vittima o se è a conoscenza di qualsiasi motivo plausibile per cui avesse voluto procurarseli. Domani avremo i risultati del test tossicologico e controlleremo dove viveva la vittima. Interrogheremo di nuovo la moglie e vedremo di scoprire se da qualche parte c’è in giro un amante geloso o un marito che potesse avercela con Westin. Potrebbe saltare fuori qualcosa. Al momento abbiamo solo un paio di teorie, ma nessun nome alle quali associarlo.»
«Bene, continuate così,» replicò Severs. «Ho già ricevuto una telefonata dal sovrintendente scolastico, che voleva conoscere gli sviluppi. Andateci piano con Mary Pinski. Ha chiamato il suo avvocato sostenendo che l’abbiamo importunata. Suo marito è un pezzo grosso nel settore della tecnologia.» Rivolse a Mac uno sguardo di avvertimento. «Voglio un aggiornamento domani. Mezzogiorno?» Si alzò, fece un cenno a tutti e uscì.
«Certo,» disse Mac, volutamente a bassa voce per non essere udito al di là della porta. «Prenderemo il nostro uomo senza fare domande inopportune alla donna che possiede il telefono su cui è stato registrato l’omicidio.»
Oliver sbuffò. «Ignoralo. Io lo faccio sempre. Ti autorizzo a interrogare di nuovo la Pinski. Cerca di tirarle fuori qualcosa dalla bocca prima che il suo avvocato gliela faccia chiudere definitivamente.» Assegnò incarichi anche agli altri. «Stasera fate ciò che potete,» disse, «poi cercate di dormire un po’. Ci rivediamo qui a mezzogiorno con il nostro adorato capitano.»
***
Il bar Wooden Keg era rumoroso come ogni sabato sera. Non era di certo la meta numero uno per il sesso gay anonimo, ma era comunque possibile ricevere le attenzioni di qualcuno se si tentava. Erano quasi tutti giovani e non troppo sofisticati. Il più grande vantaggio era che non distava molto dal suo appartamento, anche se Tony aveva scelto di prendere la macchina quella sera invece di andare a piedi, in modo da non sforzare troppo la caviglia.
Sorseggiò la sua birra, evitando il contatto visivo casuale e cercando di concentrarsi su ciò che stava raccontando Marty. Era qualcosa di alquanto contorto che riguardava una coppia di uomini che Tony conosceva appena, e già da un po’ aveva perso il filo su chi avesse fatto cosa a chi. Lasciò la mente libera di vagare, annuendo di tanto in tanto.
Era di un umore strano. A casa, si era sentito imprigionato tra le pareti del suo piccolo appartamento, che di solito amava. Era agitato, quasi che da un momento all’altro qualcosa potesse afferrarlo d’improvviso alle spalle. Un buon libro, una doccia calda e un pasto più gustoso del normale panino che consumava a pranzo non avevano aiutato molto. Quando Marty lo aveva chiamato per parlargli delle sue pene d’amore e lo aveva pregato di fargli compagnia per una birra, aveva accettato con entusiasmo.
Ma ora che erano fuori, avrebbe preferito essere rimasto a casa. La combinazione di entusiasmo e umorismo maligno tipica di Marty era logorante, soprattutto perché quella sera era più perfido del solito. La malignità innocente si stava trasformando in qualcosa di realmente sgradevole e Tony non era dell’umore giusto per sopportarla.
Si domandò se non potesse ancora parlare dell’omicidio. Desiderava disperatamente confidarsi con qualcuno. Non Marty, perché lo avrebbe trovato grottesco e divertente, e tutta la faccenda non lo era per niente. Ma… con qualcuno.
Non aveva ancora sentito il nome di Westin al telegiornale, ma c’era stata la notizia di un insegnante ucciso alla Roosevelt. Le generalità della vittima non erano state divulgate in attesa del riconoscimento del cadavere da parte del parente più prossimo. Era stato sfiorato dall’idea di chiamare i suoi genitori o sua sorella per rassicurarli di non essere la vittima. Ma poi l’aveva scartata. Non voleva affrontare una serie di domande alle quali non poteva rispondere. Sicuramente il nome della vittima sarebbe stato annunciato a breve.
Si chiese se la polizia stesse facendo dei progressi o se fosse ancora alla ricerca tra gli studenti del suo amante inesistente. Quell’insinuazione lo aveva fatto infuriare. Sebbene si trattasse proprio del tipo di cose che Westin avrebbe potuto immaginare, il movente giusto che avrebbe potuto spingere qualcuno a uccidere.
L’intera situazione appariva surreale, ma aveva un nitido ricordo del sangue ancora caldo sulle sue mani. Rabbrividì.
«Ehi, Anthony,» lo riprese Marty, «credo proprio che non stai dedicando al mio affascinante racconto d’amore l’attenzione che si merita.»
«Scusami, io… stavo solo pensando. È successo qualcosa di brutto a scuola ieri e credo di essermi distratto.»
«Il delitto!» esclamò Marty con entusiasmo. «L’ho sentito stasera mentre mi stavo preparando per uscire e stavo per chiamarti per accertarmi che il tuo sedere stesse bene, ma poi mi sono ricordato che ti avevo parlato stamattina, perciò non potevi essere tu. Lo conoscevi, quel tizio?»
«Sì, un po’. La sua aula era in fondo al corridoio.»
«Che aspetti,» ordinò l’amico. «Dà a zio Marty tutti i dettagli.»
«Non ne so granché.» Tony si rammaricò di aver sollevato l’argomento. Quella era proprio la reazione che aveva previsto. «In ogni caso, gli sbirri hanno detto di non parlarne.»
«Gli sbirri!» Marty si adagiò contro lo schienale. «Perché gli sbirri hanno parlato con te?»
«Credo che stiano interrogando tutti i suoi colleghi,» rispose lui evasivo. «Non ne voglio parlare, in ogni caso. Mi sono solo distratto un attimo.» Afferrò una piega della manica di Marty e la strattonò gentilmente. «Dimmi, che cosa hai intenzione di fare con Brandon?»
«Oltre a prendere a calci il suo culo sexy da qui a Toledo la prossima volta che lo incontro?» disse Marty, scaldandosi al suo argomento preferito. «Non saprei. Tu staresti assieme a un uomo che ti ha tradito dopo solo due settimane?» gli chiesi, allungando una mano per sfiorare la sua. «Ti chiedo perdono, dolcezza. Non volevo risvegliare brutti ricordi. Sei tu quello che sta cercando quello giusto. Quanto è passato da quando Luke ti ha mollato?»
«Sono stato io a lasciarlo,» precisò Tony. «E non ricordo quanto tempo fa è successo.» Quattro mesi, quattro mesi fa. «In ogni caso, non sto cercando proprio niente. È solo che non ho ancora visto nessuno di così interessante da meritare un tentativo.»
«Oh, avanti. Ci sono un sacco di corpi sexy là fuori,» lo incoraggiò Marty. «Non devi mica uscirci. Divertiti un po’. Io mi trovo un uomo nuovo ogni volta che voglio, no?»
Già, e subito dopo lo perdi. Tony non era proprio dell’umore giusto per rimorchiare a caso e nemmeno per un primo appuntamento. Cercare a tutti i costi di sembrare fighi e divertenti, chiedersi disperatamente se la mattina dopo il tizio di turno si sarebbe rivelato solo una presa in giro se si fosse azzardato a portarselo a casa… No, grazie.
«Non mi interessa.»
«Sei sicuro?» domandò Marty timidamente. «Perché è appena entrato un uomo molto grosso e molto sexy che continua a fissarti. Credo proprio che ti stia puntando.»
«Dove?» Tony si voltò e poi diede una seconda occhiata. «Quell’uomo non ha alcuna intenzione di provarci con me.»
«Certo che sì. Non ti ha staccato gli occhi di dosso. Infatti sta venendo qui.»
«Certo che sta venendo qui.» Tony si rigirò e bevve un sorso di birra. «Probabilmente per arrestarmi.»
«Cosa?»
«È un poliziotto, Marty. Un poliziotto sposato.» Okay, vedovo. «Squadra omicidi di Minneapolis.» Tony sollevò lo sguardo nel momento in cui MacLean faceva il giro del tavolo, entrando nel suo campo visivo. «Buonasera, detective MacLean. È qui per rendere il mondo più sicuro per le persone con una fervida immaginazione?»
«Signor Hart.»
Tony aveva dimenticato quanto fosse profonda la voce di MacLean.
«Ho visto la sua auto e ho pensato che fosse qui.»
«Mi stava cercando?»
«In un certo senso,» rispose MacLean, poi notò la mano di Tony sul braccio di Marty e aggiunse: «Credevo di aver capito che non avesse un ragazzo.»
«Infatti è così. Marty è solo un amico. Martin Landis, il detective MacLean della polizia di Minneapolis.»
«Già,» esclamò Marty allegramente, «ho chiesto a Tony di uscire con me per consolarmi a causa del mio ragazzo, che è affetto da un brutto caso di twinkite.»
«Intende dire che lo ha tradito,» tradusse Tony. «Di che cosa aveva bisogno?»
«Ho pensato che le avrebbe fatto piacere saperlo,» spiegò MacLean. «Abbiamo trovato alcune prove a supporto della sua testimonianza di ieri, in base alle quali può ritenersi quasi libero da ogni sospetto.»
«Quali prove?»
«Informazione riservata,» rispose MacLean. «Non avrei nemmeno dovuto informarla, ma so bene di aver fatto delle ipotesi alquanto scomode, perciò ho pensato che avesse il diritto di sapere che quelle ipotesi non ci sembrano più molto probabili.»
«Davvero generoso da parte sua,» disse Tony strascicando le parole. «Ma non sono completamente depennato dalla vostra lista, vero?»
«Non possiamo escludere nulla fino a quando non risolveremo il caso,» spiegò MacLean. «Ma non credo che lei sia coinvolto e ho pensato che avesse il diritto di saperlo, considerando il tutto.»
«Considerando il tutto.» Si fissarono, Tony inclinò il capo all’indietro per guardare il poliziotto negli occhi. MacLean appariva esausto. Le sue guance, così perfettamente rasate solo quella mattina, ora mostravano un velo di barba, per non parlare delle occhiaie violacee.
«Gliene sono grato,» disse Tony.
«Bene.» MacLean si diresse verso l’uscita.
«Ehi,» chiamò Tony. L’uomo si fermò e si voltò verso di lui. «Me lo farete sapere? Se lo prendete, intendo.»
«Sono sicuro che la stampa diffonderà subito la notizia, se arresteremo qualcuno.» Seguì una breve pausa, come se qualcosa fosse rimasto sospeso nell’aria. Poi MacLean annuì vagamente al suo indirizzo e si fece strada tra gli avventori.
«Capito,» mormorò Tony, riprendendo in mano la birra. «Vorrà dire che guarderò il telegiornale.»
«Ehi!» esclamò Marty dandogli una gomitata. «Che cosa intendeva con quel “libero da ogni sospetto”? Pensavano che avessi ucciso tu quel tizio?» L’amico scoppiò in una risata incredula quando lui annuì. «Gesù! Ma perché mai? Voglio dire, perché diavolo hanno pensato a te?»
«Perché ero lì, va bene? Ero lì quando è morto e non gli piacevo. Cosa che fa di me un assassino.»
«Quel poliziotto non ti conosce, dico bene? Non faresti del male nemmeno a una mosca.»
«Brian Westin dava molto più fastidio di una mosca,» lo contraddisse Tony. «Ma è vero, quel poliziotto non mi conosce. Infatti,» le parole lasciarono la sua bocca con acidità, «il detective MacLean ha ipotizzato che mi scopassi uno dei miei studenti e che avessi pugnalato Westin per impedirgli di denunciarmi.»
Marty sgranò gli occhi, rimanendo in silenzio per un momento. «Merda, ma è terribile.»
«Infatti.» Tony terminò la sua birra. «Fine della mia carriera e sbattuto dietro le sbarre, se fosse stato vero. Anche se si spargesse la voce, la gente finirebbe comunque per credere che sia vero.»
«Però ha detto che non sospettano più di te,» puntualizzò Marty. «Perciò va bene così, no?»
«Sì, ammesso che la voce non si sia già sparsa.»
«Già.» Marty sospirò, poi il suo viso si illuminò di colpo. «Sai una cosa? Scommetto che quella teoria gli è venuta perché è attratto da te. Quindi ha dato per scontato che lo siano anche i tuoi studenti. È quasi lusinghiero.»
«Marty. Che diamine c’è di lusinghiero nel pensare che mi faccia un ragazzino di sedici anni, attratto o non attratto che sia? In ogni caso, MacLean è etero. Stai delirando.»
«Ehi,» protestò Marty. «Guarda che io possiedo il miglior gay radar della città.»
«A parte nei giorni in cui fa cilecca. Ricordi quel muratore?»
«Solo perché non lo ammetteranno mai, non vuol dire che io abbia torto. In ogni caso, questo sbirro ti ha squadrato come se ci fosse sotto qualcosa. Con intensità, capito? Continuo a credere che sia interessato.»
«Beh, io non lo sono,» ribatté Tony. Bugiardo.
«Okay, okay, Brontolo,» disse Marty. «Lascio perdere. Se vuoi continuare a vivere come un monaco perché ti rende felice, fai pure. Per quanto mi riguarda, penso che affogherò il ricordo di Brandon con un’altra birra e poi mi cercherò un bel twinkie da portarmi a casa. Vuoi favorire?»
«No, grazie. Niente birra e niente bei faccini e poca sostanza.» Ne aveva già avuto abbastanza.
«Se preferisci, possiamo andare da qualche altra parte,» propose Marty.
Tony scosse la testa. Osservò l’amico con distacco mentre raggiungeva il bar per farsi riempire il bicchiere. Marty sapeva essere fastidioso a volte, ma ci teneva davvero a lui. Però lui si sentiva stanco e il richiamo del suo piccolo appartamento stava iniziando a farsi sentire.
«Quindi,» disse Marty sedendosi di fronte a Tony e soffiando lievemente sulla schiuma nel bicchiere. «Vuoi parlarne?»
«No.» Tony inclinò il bicchiere vuoto, facendolo ondeggiare in modo che le ultime gocce di liquido risalissero i lati. Marty sorseggiò in silenzio, limitandosi a osservarlo.
Alla fine, Tony sollevò lo sguardo e aprì la bocca con l’intento di dire che andava a casa, invece ciò che uscì fu: «C’era così tanto sangue, Marty!» La sua voce era appena più di un sussurro. «Sulle mie mani, così tanto.» Si morse le labbra per impedirsi di dire altre follie a casaccio.
Marty si sporse sul tavolo e gli strinse con decisione il braccio. «Avanti,» disse semplicemente. «Credo sia meglio tornare a casa.»
Tony si godette il conforto per un attimo poi si tirò indietro piano. «Sto bene, davvero. Ma io andrò a casa, tu rimani qui. Scegliti qualcuno di molto sexy e scopatelo una volta in più per me.»
«Sei sicuro?»
«Oh, sì. Ci si vede.» Tony si avviò verso l’uscita ma, quando si voltò prima di aprire la porta, notò che Marty lo stava ancora guardando con un’espressione preoccupata sul viso. Si sforzò di mimare un saluto rassicurante, poi uscì nella notte.