Le domeniche di Mac seguivano una routine ben precisa ogni volta che riusciva ad avere il giorno libero. Il caso Westin si trovava in una situazione di stallo tale da permettere a tutto il team di prendersi una giornata di riposo. Niente impronte digitali, nessuna confessione, nessuna nuova minaccia, niente più puntine intimidatorie sulla sedia di Hart, nessun testimone segreto. Il dipartimento non avrebbe pagato altri straordinari fintanto che non ci fossero state novità.

Mac odiava quella sensazione, quando un’indagine si raffreddava fino a quel punto. Da qualche parte, là fuori, c’era un assassino che se ne andava in giro a piede libero nel suo distretto. Si sentiva responsabile, anche se non ce n’era motivo. Perciò, per quanto amasse ciò che stava facendo, lo avrebbe volentieri barattato con la soluzione del caso.

«Papi!» esplose allegra la voce di sua figlia. «Guarda la giostra! Guarda come sale fino al cielo!»

«Hai ragione,» rispose lui. «Andiamo a dare un’occhiata?»

Il parco divertimenti di Como Park era pieno di gente in quello che, con ogni probabilità, sarebbe stato l’ultimo weekend d’autunno di bel tempo. Le giostre erano perfette per i più piccoli e un gruppetto di bambini con i genitori al seguito si stava scatenando. Le querce e gli aceri sparpagliati in giro per il parco stavano perdendo le loro ultime foglie gialle e brune. Lo aveva promesso ad Anna diverse settimane prima; era stato fortunato a poter mantenere la sua promessa prima dell’arrivo dell’inverno.

Anna corse verso una giostra su cui dei piccoli aeroplani portavano i bambini in alto muovendosi in cerchio prima di scendere di nuovo a terra. Ma poi aggrottò la fronte con un pizzico d’ansia mentre si fermava a guardarla. «Sembra divertente,» disse piano, «ma fa anche paura. Non c’è il tettuccio. Forse si può cadere.»

«Sono sicuro che ci sono le cinture di sicurezza,» le fece notare Mac, accucciandosi accanto a lei per mettersi alla sua stessa altezza. «Sembra che nessuno stia rischiando di cadere.»

«Verresti con me?» chiese Anna. «Su alcuni aeroplani ci sono sedute due persone.»

«Non credo, tesoro.» Mac osservò le piccole cabine di pilotaggio in vetroresina. «Sono troppo grosso e quei sedili sono davvero piccoli. Non credo proprio che ci entrerei. Devi salirci da sola. Oppure ci torneremo quando sarai più grande.»

«Guardo un po’ come funziona e poi decido,» disse Anna con risolutezza. Si arrampicò sulla recinzione protettiva che circondava la giostra, i piedini appoggiati alla sbarra inferiore e la fronte a quella superiore. Era un po’ piccola per la sua età. A volte gli ricordava dolorosamente Mai, man mano che cresceva. L’espressione che assumeva quando ponderava un problema era tutta di sua madre. Sfortunatamente, aveva ereditato da Mai anche l’ostinazione di prendere le decisioni per conto suo. Quella donna dal carattere forte che era stata sua moglie aveva dato alla luce una bambina dalla volontà d’acciaio.

«Ehi!» disse una voce alle spalle di Mac. Si voltò e rimase sorpreso di vedere Tony Hart in piedi dietro di lui. Accanto a Tony c’era un bambino di fattezze ispaniche che indossava jeans sgualciti e una T-shirt.

«Lei è proprio l’ultima persona che mi sarei aspettato di trovare in un posto come questo,» continuò Tony. «Le piacciono gli aeroplanini volanti?»

«Non a me,» riuscì a rispondere Mac. «A mia figlia. Ehi, Anna!» La bambina si voltò verso di loro senza scendere dalla recinzione. «Vieni, voglio presentarti una persona.» Non poté fare a meno di sentirsi orgoglioso mentre la bambina si avvicinava. Nel suo abitino verde chiaro e le scarpe bianche da ginnastica ai piedi, con quei lunghi capelli neri setosi e la pelle come porcellana, Anna sembrava una bambola. «Tony,» disse, «questa è mia figlia Anna. Anna, Tony è una persona che ho conosciuto al lavoro.»

Tony si inginocchiò e allungò una mano verso Anna. «Sono molto felice di conoscerti, Anna,» disse. Con grande sorpresa di Mac, sua figlia prese la mano di Tony e la strinse come si doveva, sebbene fece subito seguire il suo comportamento da adulta da una risatina, prima di nascondere il viso contro di lui.

Tony si tirò in piedi. Indicò il ragazzino al suo fianco. «Lui è Ben. Suo padre era un mio buon amico. Ben, ti presento il detective MacLean della Polizia di Minneapolis.»

«Un vero poliziotto?» esclamò Ben.

«Proprio così.» Il bambino era abbastanza alto da permettere a Mac di allungare semplicemente la mano. «Chiamami Mac, però. Lo fanno tutti.»

«Tutti?» lo provocò Tony. «Detective MacLean?»

«Tutti tranne te,» ribatté Mac mentre il bambino gli stringeva la mano con solennità. «Ma puoi rimediare da ora.»

«Bene, Mac,» disse Tony. «Su che cosa volevate salire tu e Anna?»

«Stavamo pensando agli aeroplani. Ma Anna non ha ancora deciso se farlo o no.»

«Oh, lo devi fare per forza!» esclamò Ben con entusiasmo, guardando la bambina. «È la giostra più bella del parco. La mia preferita. Ci sono già salito due volte.»

Anna guardò Mac in silenzio, il dubbio nei suoi occhi. «Pensiamo che salgano un po’ troppo in alto,» spiegò Mac al ragazzino. «Potrebbe far paura.»

«Assolutamente no,» disse Ben con entusiasmo ad Anna. «Posso venire con te. Ci entrano due persone. Non ci fa niente se salgo per tre volte per stare con Anna, vero Tony?»

Tony rise. «Certo, puoi salirci di nuovo se ad Anna sta bene.»

«Che ne dici?» chiese Mac alla figlia. «Ti piacerebbe andarci con Ben?»

Anna guardò la giostra e annuì. «Okay. Con Ben.»

«Andiamo,» esclamò Ben prendendole la mano. «Ti mostro da dove si sale. Ce li hai, i biglietti?» Si allontanarono assieme, stringendo forte i biglietti di carta nelle mani libere.

«Wow,» fu il commento di Mac. «È proprio bravo con i bambini più piccoli. In genere Anna ci mette un po’ a entrare in confidenza con le persone nuove. Quanti anni ha Ben?»

«Cinque.» Tony rivolse ai bambini uno sguardo affettuoso. «È fantastico. Adora i bimbi più piccoli. Vorrebbe tanto un fratellino ma, maledizione, sarebbe un vero disastro. Un altro figlio è l’ultima cosa di cui ha bisogno sua madre.»

«Niente soldi?» chiese Mac.

«Beh, anche. Ma soprattutto perché fa fatica a gestire Ben ed è davvero il bambino più bravo che ci sia. Sandy non è malvagia, ma ha un problema con l’alcol.»

«Diavolo, mi dispiace.» Mac osservò il bambino mentre aiutava Anna a salire nella cabina di un aeroplano rosso e chinarsi per allacciarle la cintura prima di occuparsi della propria. «Ben è al sicuro a casa con sua madre?»

«Per il momento,» rispose Tony. «Sandy ce la mette tutta, ma dopo una settimana passata a trattenersi, il sabato sta sempre fuori tutta la notte. Ben rimane a dormire da un vicino, il sabato, e la domenica io cerco di portarlo in giro a divertirsi un po’. In questo modo sua madre ha il tempo di smaltire la sbornia e disfarsi del tizio di turno prima di tornare a occuparsi del figlio.» Guardò Mac. «Ma non credo che la tua vita sia più semplice, devi crescere una figlia da solo.»

Mac fece una smorfia. «Sarebbe impossibile. Con il mio lavoro, non sai mai quante ore di fila lavorerai. Ventiquattro o anche di più. Non potrei stare in servizio attivo e occuparmi di un bambino contemporaneamente. Anna vive con mia cugina. La vedo quando posso e, ultimamente, non abbastanza spesso.»

«Dev’essere davvero dura,» disse Tony. Salutarono entrambi l’aeroplano rosso quando passò loro davanti, il bambino che alzava allegramente entrambe le mani al cielo, Anna che stringeva forte i lati della cabina ma con un grande sorriso stampato in faccia.

«Non sembra molto spaventata,» commentò Tony.

«Già,» convenne Mac. «Immaginavo che non avrebbe avuto paura una volta salita. È una ragazzina forte. Ci sono poche cose che la spaventano. Fattore che, invece, terrorizza me a volte.»

«So cosa vuol dire. Ben non è nemmeno mio figlio, ma certi giorni vorrei chiuderlo a chiave in una stanza dalle pareti imbottite fino ai diciotto anni. Ma, ahimè, non è possibile. Guarda! Anna ha alzato le mani per l’atterraggio.»

I bambini scesero dalla giostra aiutati da un addetto e li raggiunsero correndo gioiosi.

«Mi hai visto, papà?» esclamò Anna raggiante. «Ce l’ho fatta!»

«Sì, piccola,» rispose Mac. «Sembrava davvero divertente.»

«Possiamo rifarlo,» suggerì Ben. «Ad Anna piacerebbe.»

«Credo che tre volte siano abbastanza,» gli disse Tony. «Perché non facciamo un giro? Magari troviamo qualche altra giostra carina da provare.»

«Va bene.» Ben guardò Anna. «Avanti, Anna, andiamo a vedere.»

«Posso, papà?» Al cenno di Mac, i due bambini si diressero verso l’attrazione successiva, loro due che li seguivano perplessi.

«Credo proprio di essere stato degradato,» disse Tony. «Noi grandi non siamo altrettanto divertenti. Quanti anni ha Anna? È piccolina, ma parla molto bene.»

«Quattro. Sua madre Mai aveva un fisico sottile. Anna le assomiglia molto.»

«È bellissima.»

«Già,» disse Mac con serietà. «Ma non le do il permesso di uscire con un ragazzo prima dei ventuno.»

Tony rise. «Buona fortuna, allora.» Poco più avanti, i bambini erano impegnati in una discussione seria, le teste vicine. Dalla direzione in cui erano rivolti gli sguardi, sembravano indecisi tra le macchinine da corsa e la giostra dei cavalli. Dopo alcuni minuti, tornarono a chiedere i biglietti per le macchinine. Mac e Tony consegnarono i talloncini di carta e li seguirono a un’andatura più tranquilla, i bambini che si lanciavano di gran carriera verso l’ingresso dell’attrazione. Mac sorrise nel vedere Anna allungare il braccio per mettere il suo biglietto nella grande mano del giostraio.

«Una volta era così timida con gli adulti,» commentò con nostalgia. «Cresce davvero in fretta. Vorrei tanto che Mai potesse vederla.»

«Si ricorda della madre?»

«No.» Mac visualizzò nella testa un’immagine di Mai che teneva in braccio la loro piccolina appena nata, mentre cantava in una lingua che lui non aveva mai imparato. Aveva solo un paio di foto di quei momenti. «Anna aveva solo sei mesi quando Mai è morta.»

Tony sfiorò il braccio di Mac in un gesto solidale. «Dio, dev’essere stata davvero dura!»

Mai come in quel momento Mac si sentì consapevole dell’esistenza dei centimetri quadrati della sua stessa pelle. Le dita calde di Tony apparivano cariche di elettricità contro il suo braccio. Si allontanò da lui, avvicinandosi di più alla giostra, sfoggiando una finta noncuranza. Doveva mettersi al sicuro. «Già, lo è stata… All’inizio non riuscivo nemmeno a pensare in modo razionale. È stata una fortuna che mia cugina si trovasse in città alla ricerca di un lavoro. Se non l’avessi assunta per occuparsi di Anna, non credo che ce l’avrei fatta.»

«La paghi per prendersi cura di tua figlia?»

«Già. Se dovessi assumere un estraneo, finirei sul lastrico. Mia cugina è molto affezionata ad Anna, a modo suo. Funziona. Non affiderei mai Anna a degli sconosciuti.»

«Beh, certo che no. Ma non hai altri parenti che potrebbero aiutarti?»

«La famiglia di Mai vive in Vietnam.» Evitò di precisare di non averli mai conosciuti. I genitori di Mai non avrebbero mai saputo di avere una nipote. «Per quanto riguarda i miei… beh, a parte il fatto che stanno a Chicago, sposare una straniera e mettere al mondo una figlia mezzosangue non corrisponde esattamente al comportamento che ogni buon MacLean dovrebbe tenere.»

«Peggio per loro,» commentò Tony allegramente. «Si stanno perdendo la sua infanzia. Ma farcela da soli è davvero dura. Perciò… se mai avessi bisogno di un babysitter all’ultimo minuto, chiamami pure. Ci so fare con i bambini.»

«Sicuramente,» disse Mac, proprio mentre Ben passava davanti a loro al volante della sua auto, un grande sorriso stampato in faccia e Anna che rimbalzava allegra nell’altro sedile. «La madre di Ben, Sandy… sa che sei gay?» Non poté impedirsi di chiederlo.

«Oh, sì.» La voce di Tony risuonò lievemente amareggiata. «Ecco che arrivano i nanerottoli. Portiamoli alla giostra dei cavalli.»

Dopo un’attenta selezione, Anna prese posto su un pony e Ben sul leone dall’aspetto feroce proprio accanto a lei. Allacciarono le cinture dei bambini e poi scesero dalla giostra, il motore al minimo per permettere ad altri ragazzini di salire e scegliere con cura il proprio destriero.

Tony appoggiò i gomiti alla sbarra di metallo e un piede sul bordo. Il suo atteggiamento appariva rilassato mentre continuava a mantenere lo sguardo vigile su Ben, che si stava sporgendo in avanti nel tentativo di accarezzare il muso del leone senza cadere. Ma le sue sopracciglia erano lievemente aggrottate e gli angoli della bocca apparivano in tensione.

Quando il giro iniziò e Ben si rimise a sedere correttamente, Tony si voltò a guardare Mac. La tensione era ancora lì.

«La mia omosessualità non va a genio a Sandy,» ammise.

«Hai paura che un giorno possa decidere di non farti più vedere Ben?» Mac si stupì della sua stessa domanda, avvicinandosi così pericolosamente a uno dei suoi incubi più cupi. A volte lo sognava davvero. Si trovava con un altro uomo e d’improvviso arrivavano persone che lo additavano e gli dicevano che non era adatto per crescere un bambino. Poi quelle persone prendevano Anna e la mettevano in una macchina o in un furgoncino e lui provava invano a raggiungerla. Non sarebbe mai accaduto, lo sapeva bene, ma Tony non era il padre di Ben.

«A volte,» rispose Tony. «In genere è contenta del mio aiuto, ma certe volte, soprattutto quando beve, si mette a rimuginare su tutto l’astio che prova nei miei confronti. Sa bene che quello sarebbe il modo migliore per ferirmi, anche se finora è stata abbastanza intelligente da non farlo perché si rende conto che farebbe del male anche a Ben.»

«Che cos’ha contro di te, a parte la tua sessualità?» chiese Mac, salvo fare subito marcia indietro. «Scusami, sto facendo troppe domande. Non riesco a smettere di fare il poliziotto nemmeno nel tempo libero.»

«Non c’è problema,» rispose Tony con uno strano ghigno. «Un giorno o l’altro potresti avere la tua risposta.» Fece un gesto con la mano. «Credo che i cowboy abbiano finito la loro cavalcata. Che si fa ora?»

I bambini li raggiunsero e Ben esclamò in tono lusinghiero: «Tony, lo so che ho finito tutti i miei biglietti, ma Anna ha fatto solo tre giri. Penso proprio che vuole che salgo con lei per il quarto.»

Tony rise. «Hai intenzione di fare l’avvocato da grande?»

Mac propose: «Potremmo fare così. Anna ha altri due biglietti. Se è d’accordo, può darne uno a te e fare un ultimo giro insieme. Che ne pensi, Anna? Vuoi che Ben venga con te o preferisci andarci da sola?»

Anna si guardò in giro, valutando la proposta. Mac si mise in allerta quando tornò a guardarlo. Quel piccolo baluginio nei suoi occhi significava che aveva in mente qualcosa.

«Ben può venire con me solo se andiamo sulle tazze,» disse, indicando la giostra in questione.

Ben guardò nella direzione indicata. «Ma è per femmine. È tutta rosa!» si lagnò.

«Spetta a te scegliere, ragazzo mio,» gli disse Tony. «Basta giostre o la “giostra in rosa”?»

Ben sospirò rumorosamente. «Anna, e se andiamo sul treno? È fantastico e, pensa, suonano pure la sirena!»

Anna scosse la testa, i lunghi capelli neri che apparivano delle vere e proprie fruste. «Tazze.»

«Va bene,» accettò Ben con riluttanza. «Ma dopo possiamo andare a vedere le tigri?»

«Ogni cosa a suo tempo,» gli disse Tony. «Andremo dalle tigri, promesso. Ma prima le tazze.» Ben appariva davvero afflitto, ma Mac non poté fare a meno di notare che fu lui ad avviarsi per primo verso la giostra e scegliere la tazza. E non era quella meno rosa di tutte.

«Non credo che sia poi così dispiaciuto,» commentò Mac.

«Già. Ma va all’asilo ora e nessun bambino dell’asilo che si rispetti ammetterà mai di voler salire su una giostra a forma di tazza. Dio, spero proprio che non si riveli gay. Sarebbe proprio la ciliegina sulla torta, per Sandy.»

Mac lo guardò. Tony appariva più vecchio quando era accigliato. Sarebbe stato più facile scambiarlo per il padre di Ben, invece di una specie di fratello maggiore. Con un pizzico di malvagità, Mac fu contento di notare che la vita non era tutta rosa e fiori nemmeno per chi aveva fatto coming out.

«Avanti,» disse Tony, l’espressione più rilassata mentre i bambini zampettavano verso di loro. «Andiamo allo zoo prima che questi due ci convincano a concedere un altro giro in nome della correttezza.»

Como Zoo era piccolo, proprio come la maggior parte degli zoo moderni. Superati i cancelli, Mac notò un paio di vecchie gabbie in calcestruzzo e ferro che sembravano vecchie fotografie che mostravano leoni annoiati in cattività davanti agli occhi di spettatori imbambolati. I nuovi recinti erano progettati con cura e gli animali sembravano essere a proprio agio.

I bambini facevano strada lungo i vialetti lastricati, chiacchierando dei loro animali preferiti. Mac non si stupì che la passione di Anna per i pinguini la spuntò sulle tigri di Ben come prima fermata. Alla mostra acquatica, i bimbi si godettero le pagliacciate subacquee dei pinguini con le facce letteralmente schiacciate contro il vetro, arricciando tuttavia il naso all’odore inevitabile di pesce. Anna dichiarò di riuscire a riconoscere e chiamare per nome i suoi uccelli preferiti, sebbene Mac non vide alcun segno identificativo su quei piccoli corpi in smoking. Era un’ottima cosa che le persone non fossero chiamate a mettere in fila i pinguini e riconoscerli.

Che aspetto aveva il ladro, signora Brown?

Beh, era alto un metro circa, bianco e nero… Mac arricciò il naso a quell’idea folle.

«Posso sapere a cosa stai pensando?» chiese Tony pigramente alle sue spalle.

«No. Preferisco che non mi prendi per pazzo,» ammise Mac. «Ma credo di averne abbastanza di questo squisito profumo di pesce. Vado fuori.»

«Vieni qui spesso con Anna?» domandò Tony, raggiungendolo al sole e appoggiandosi a un muro da cui poteva tenere d’occhio i bambini rimasti dentro.

«Non quanto le piacerebbe. Adora gli animali. Ma cerco di mischiare un po’ le cose. Il parco divertimenti, la biblioteca.»

Rimasero lì a chiacchierare del più e del meno fino a quando i bambini li raggiunsero, sbattendo le palpebre per via di tutta quella luce. Nel recinto successivo li aspettava l’orso polare, con il suo stile di nuoto alquanto meccanico e limitato, avanti e indietro per la piccola vasca. Mac ammirò la potenza delle sue bracciate e fece una smorfia rendendosi conto di come fosse confinato in pochissimo spazio.

«Andiamo a vedere le tigri,» suggerì Tony accanto a lui. «Il nostro amico orso mi mette sempre un po’ di tristezza. Mi ricorda come mi sentivo io quando mi mettevano in castigo.»

Mac annuì, sorpreso di quanto lui e Tony si trovassero sulla stessa lunghezza d’onda. Si avviarono verso le tigri. I grandi felini sembravano essere soddisfatti di quella collinetta erbosa che costituiva il loro recinto, tranquillamente appisolati sotto i raggi del sole. I bambini corsero da un lato all’altro alla ricerca del punto migliore in cui ammirare quelle grandi zampe o le lunghe zanne quando una tigre sbadigliava.

«Quella sì che è vita,» commentò Tony, sfiorando distrattamente le spalle di Mac mentre si sporgeva in avanti per guardare meglio. «Sole, cibo gratis, partner sessuali a portata di mano. Mi ci abituerei subito.»

«Ma niente libri e niente birra. Ti annoieresti, invece,» gli fece notare Mac.

«È probabile.» Tony si appoggiò alla ringhiera in ferro, guardando Ben mentre parlava con Anna di qualcosa evidentemente di importante, agitando le braccia. «A volte la noia non è malvagia come sembra. Niente responsabilità, niente scelte difficili.»

«Mmm,» convenne Mac. «Ma dovresti rinunciare a Ben.»

«È vero, non si può fare.» Tony spostò gli occhi sui bambini e Mac guardò Tony, notando come il sole accendeva sottili riflessi rossi in quei capelli scuri, e come si muoveva il suo corpo sotto la maglietta e i jeans. Era come se riuscisse a percepire ogni cambiamento di posizione sulla propria pelle, nonostante lo spazio che li separava. Scosse la testa, mettendo a tacere quella consapevolezza.

«Quindi, chi sei tu per Ben? Una sorta di fratello maggiore?» domandò, imponendosi di pensare ad altro.

«No,» rispose Tony. «Direi più un padre sostitutivo.» Il suo sguardo si perse lontano e Mac pensò che non avrebbe ottenuto altre spiegazioni, ma poi Tony aggiunse, con voce sommessa: «Ray era il mio migliore amico. Si era trasferito a Minneapolis da qualche parte nel Midwest che chiamava “Città delle mucche”. Era ispanico, cattolico e gay.»

«Il padre di Ben?»

«Già. Ray venne in città dopo essersi diplomato per dare una svolta alla sua vita. Quell’estate avevamo trovato entrambi un lavoro in un negozio di articoli per il giardinaggio. Rastrellavamo il pacciame e consegnavamo alberi. Abbiamo legato subito. Ma Ray voleva disperatamente essere etero. Lavorava sodo, beveva molto, andava alle feste e ci provava con le ragazze. Se era sufficientemente sbronzo, poteva anche portarsene una a letto e farselo piacere. Ma quando era sobrio, non vedeva altro che i ragazzi. Perciò beveva sempre di più. Ero stato scaricato dal mio ragazzo dell’epoca, un compagno di scuola. Alzavo anch’io il gomito ogni tanto, ma il più delle volte andavo a riprendere Ray e lo mettevo a letto. Stavo per iniziare l’università e, sebbene i miei non fossero felici del fatto che fossi gay, non mi dissero nemmeno che sarei finito all’inferno.»

«Ray poi incontrò Sandy. Anche lei aveva un problema con l’alcol. Probabilmente era tutto ciò che avevano in comune. Uscivano, andavano a una festa e poi si chiudevano da qualche parte. Quando era sbronza, a Sandy non importava se Ray si addormentava appena si sedevano sul letto. Ray parlava addirittura di sposarla. Poi incontrò un ragazzo.»

Tony sospirò. «Pensavo veramente che finalmente potesse avere la sua occasione. Manuel riusciva a farlo rimanere sobrio quando uscivano. Era dolce e intelligente. Ray alla fine trovò il coraggio di dire a Sandy di essere gay. Lei gli disse di essere incinta.»

«Merda.»

«Già. Ray amava i bambini. Non avrebbe mai abbandonato il suo. Inoltre erano entrambi cattolici. Nessuno parlò mai di aborto, tranne il sottoscritto, l’amico cattivo che cercò di dividerli. Probabilmente è per questo che Sandy ce l’ha tanto con me. Crede che fossi sempre lì a convincere Ray a lasciarla, cosa che in effetti era vera. E ho anche suggerito l’aborto.»

«Inizio a intravedere il problema.»

«Si sposarono in fretta. Io feci il testimone, mandando Sandy su tutte le furie, ma quella era stata la decisione di Ray, e io non avrei mai potuto rifiutare. Fu una cerimonia modesta. Vi presero parte circa sei persone, nessun genitore. La famiglia di Sandy è piuttosto problematica. Credo che sua madre fosse troppo ubriaca per arrivare in chiesa. Lo sposo aveva un gran mal di testa da dopo sbornia e la sposa continuava a piangere. Ci divertimmo un casino. Ray poi trovò un appartamento e un secondo lavoro. Stipulò anche un’assicurazione sulla vita.»

Mac annuì. «Ha fatto la cosa giusta. Penso che metà dei ragazzi della mia scuola si siano sposati in quel modo.» Attese che l’altro continuasse. Non avrebbe voluto chiedere, ma Tony se ne rimaneva lì in silenzio, quegli occhi blu smarriti in un luogo oscuro. «Hai detto che è morto, vero?»

«Guida in stato di ebbrezza, due mesi dopo il matrimonio.»

«Mi dispiace davvero.»

«L’assicurazione non pagò. Sostennero che si era trattato di suicidio. Un testimone disse di averlo visto andare a schiantarsi sul guardrail senza sbandare o frenare.»

«E ci credi?» chiese Mac con dolcezza.

Tony si passò una mano sul viso. «Non lo so. Era cattolico, innanzitutto, e mi piace pensare che non avrebbe mai abbandonato suo figlio in quel modo. Sarebbe stato un padre fantastico. Ma era sprofondato in un baratro così profondo da non riuscire più a vedere la luce. Sandy pensò che lo avesse fatto apposta, per abbandonarla. E io non avevo i soldi né certezze per intentare una causa contro la compagnia di assicurazioni. Mi auguro solo che non parli mai di suicidio con Ben.»

«Perciò sei diventato un papà sostitutivo.»

«A diciannove anni, già.» Tony scrollò le spalle. «Né io né Sandy avevamo la più pallida idea di ciò che stavamo facendo e mi odia a morte perché non sono riuscito a convincere Ray a vivere per lei. Ma in qualche modo Ben ce l’ha fatta. Ho pianto di felicità quando i dottori dissero che stava bene, che non soffriva della sindrome alcolica fetale. Ero sicurissimo che tutto quell’alcol avesse danneggiato il bambino. All’epoca la odiavo terribilmente. Ma quando Ben è arrivato, Sandy è riuscita in qualche modo a far funzionare le cose. Fa ciò che può.»

«Da quel che vedo,» disse Mac, «state facendo entrambi un buon lavoro. È un bambino fantastico.»

Tony sorrise, la piccola fossetta che si apriva sul mento. «Vero?» Si staccò dal recinto e si stiracchiò platealmente. «Basta argomenti tristi. Avete capito chi ha ucciso Westin?»

«E questo sarebbe divertente?» lo prese in giro Mac. «Sfortunatamente no, altrimenti non sarei qui ora. Abbiamo un paio di piste, ma nulla di certo. Ho paura che non troveremo mai il colpevole.»

«Ho cercato di parlare con Mary Pinski,» disse Tony, «visto che mi avevi detto che con voi non voleva più parlare. Ma si sta comportando in modo alquanto strano da quando Westin è morto. A volte si ferma a chiacchierare, altri giorni mi fulmina con lo sguardo se solo provo a salutarla. Non parla mai di Westin.»

«Dovresti stare attento. Sul biglietto e sulle puntine non c’erano impronte. Ciò significa che il nostro uomo sa il fatto suo e ha agito con molta attenzione sia quando ha scritto il biglietto sia quando ha lasciato il regalino sulla tua sedia.»

«Mi sono solo limitato a quattro chiacchiere,» ribatté Tony allegramente. «Non c’è niente di male. I miei studenti parlano ancora dell’omicidio qualche volta, ma la maggior parte è andata avanti con le loro vite, fatta eccezione per un gruppetto che spera ancora che l’Accoltellatore della scuola faccia fuori un altro insegnante. Ho sentito dire che si fanno scommesse su chi sarà il prossimo. Non voglio nemmeno sapere se abbiano fatto il mio nome.»

«Cerca solo di non dare motivo al killer di scegliere te.»

«Oh, che carino. Ti preoccupi per me,» disse Tony strascicando le parole.

Mac gli diede un colpetto alla caviglia. «È solo che ho già troppi casi sulla mia scrivania,» replicò. «Non ne voglio altri. Ma se proprio vuoi farti ammazzare dall’Accoltellatore, sforzati di lasciarmi qualche indizio utile. Detesto i casi irrisolti.»

Tony lo guardò con attenzione. «Ti piace davvero il tuo lavoro.»

«Non sono sicuro che sia la parola giusta,» disse Mac. «È questo ciò che sono. Un poliziotto. È un lavoro che qualcuno deve fare e io lo faccio bene.»

«Ricapitolando, tu sei un poliziotto e un padre. C’è dell’altro, MacLean?»

Mac esitò. Avrebbe potuto raccogliere quell’occasione e dire qualcosa, raccontare a Tony di quei pazzi pensieri che affollavano la sua testa. «Sì,» rispose Mac. «C’è che sto morendo di fame. Credi che riusciremo a convincere i bambini a rinunciare alle tigri in cambio del pranzo?»

Tony rise, inconsapevole di ciò che Mac stava per dire. «Certo che sì. Con Ben il cibo non è mai un problema: è un pozzo senza fondo.» Si incamminò lungo in vialetto chiamando i bambini, che lo raggiunsero correndo. Mac gli andò dietro, osservandoli: un giovanotto snello, un ragazzino iperattivo, una bambina con l’argento vivo addosso. Il sole sembrava baciarli tutti e tre. D’improvviso, quella giornata gli apparve come un dono prezioso.

Non aveva mai avuto niente di simile nella vita, trascorrere del tempo con un uomo che lo interessava davvero. Una sorta di appuntamento, ma molto più sicuro. In compagnia di due bambini. Non ci sarebbero state carezze inappropriate, niente commenti indiscreti. Anche se avessero incontrato un collega per caso, non ci sarebbe stato niente da vedere. Solo due uomini che portavano i bambini allo zoo. Poteva godersi ogni centimetro del corpo di Tony, imparare a conoscere la sua voce e i suoi movimenti, senza che accadesse nulla. Proprio come in una delle sue fantasie.

Ignorò la vocina che gli ricordava che ne aveva anche altre.

 

***

 

Tony sollevò il corpicino di Ben dal seggiolino sul sedile posteriore della sua auto, facendo attenzione a non svegliarlo. Il bambino si dimenò e cercò di mettersi seduto. «Siamo a casa?»

«Già.» Tony lo mise in piedi, tenendolo fermo fino ad assicurarsi che fosse stabile sulle sue gambe. «È ora della nanna.»

«Mi sono addormentato.»

«Puoi ben dirlo.» Avrebbe dovuto riportarlo a casa due ore prima, ma non voleva che quella giornata finisse. Ben e Anna si erano divertiti davvero tanto, quel pomeriggio. Aveva preferito cenare in un fast food, invece di lasciare il parco. MacLean aveva fatto lo stesso con sua figlia. Era stato davvero piacevole chiacchierare con quell’uomo.

Era iniziata parlando dei posti migliori in cui portare i bambini, scambiandosi consigli sui parchi divertimenti più spassosi e su quella pasticceria che sfornava biscotti giganti. Da lì si erano sfidati a chi tra di loro aveva avuto l’esperienza peggiore in fatto di capricci in pubblico. Aveva vinto Tony con il suo racconto di quando era stato costretto a scendere dall’autobus perché Ben, furioso perché gli era stato negato il gelato, aveva dato un pugno alla donna seduta accanto a loro facendole sanguinare il naso.

Parlare con Mac era qualcosa di sorprendentemente naturale. Qualunque fosse l’argomento – le probabilità dei Vikings di vincere la partita successiva, i disagi causati dagli innumerevoli cantieri stradali sparsi un po’ in tutto il Minnesota o la difficoltà di trovare un fasciatoio nelle toilette per uomini –, si era sorpreso di avere così tanto in comune con quel poliziotto. Persino parlare di Ray era stato facile. Non avrebbe mai detto che Mac potesse essere comprensivo, ma era così: Tony si era sentito in totale sintonia. Se quell’uomo non fosse stato un vedovo etero con bambina al seguito, ci avrebbe provato fino allo sfinimento, fino a perdere la testa. O forse altre parti del corpo.

Tony guardò Ben. «È stata una bella giornata, vero?»

«La migliore di tutte,» convenne il bambino. «Anna è abbastanza simpatica, per essere una bambina, e Mac è davvero forte. Per non parlare delle tigri. Possiamo tornarci domenica prossima?»

«Non allo zoo. Ma troveremo qualcos’altro di divertente.»

«Con Mac e Anna?»

«Posso chiederglielo,» disse Tony. «Ma niente promesse. Mac è un poliziotto molto indaffarato. A volte deve lavorare anche di domenica.» Doveva essere davvero dura, pensò, avere una figlia e vederla solo nei ritagli di tempo, non poter fare promesse per il timore di non poterle mantenere a causa del lavoro. Ciononostante, Anna era sangue del sangue di Mac. Nessuno avrebbe mai potuto portargliela via. La solidarietà si mescolò all’invidia.

«Avanti, boy scout,» disse al bambino che amava come un figlio, «andiamo a scoprire se la tua mamma è arrabbiata con me per averti riportato a casa così tardi.»

Sandy li stava aspettando e l’espressione del suo viso non era incoraggiante. «Hai dimenticato come si legge l’ora?» abbaiò. «Tutto quello scopare ti fa male al cervello?»

Tony la fulminò con lo sguardo e si piegò ad abbracciare Ben. «Corri a letto, boy scout. È tardi.» Quando il bambino non fu più nei paraggi, tornò a guardare Sandy. «Ho provato a chiamarti e ho lasciato un messaggio in segreteria. Non dirmi che volevi cucinare per lui.» Il dopo sbornia domenicale di Sandy non le permetteva mai di avvicinarsi al cibo senza vomitare, perciò normalmente la cena della domenica per Ben era un semplice sandwich.

«Non sono affari tuoi,» ribatté lei. «Non puoi tenerlo in giro tutto il giorno senza il mio permesso.»

«Due ore. Siamo stati fuori solo due ore in più del previsto, perché abbiamo conosciuto un’altra bambina e Ben voleva giocare con lei.» E io con il suo papà, ma è meglio sorvolare su questo. Il senso di colpa che stava provando sparì all’istante non appena si protese verso di lei e l’annusò. «Hai bevuto.»

«Solo un bicchiere, perché mi scoppia la testa. Tu non hai idea di cosa significhi.»

«Sandy,» disse Tony con tutta la gentilezza che gli fu possibile. «Hai bisogno di aiuto. Non puoi continuare così.»

«Sto bene,» replicò lei con freddezza. «È meglio che tu vada adesso, così possiamo dormire.» Spalancò la porta e rimase in attesa.

«Va bene, vado,» disse lui. «Ci vediamo settimana prossima. Ma chiamami se dovessi avere bisogno di aiuto con Ben, in settimana.»

«Io e Ben stiamo bene anche senza di te.» E chiuse la porta.

Tony sospirò. Bere anche la domenica sera non era un buon segno. Dopo che Sandy aveva iniziato a curarsi da sola, il suo debole controllo aveva iniziato gradualmente a vacillare. Era iniziata con un drink ogni sera, contro il dolore, ed era finita con una sbornia lunga tre giorni in compagnia di estranei. Svegliarsi dentro a un letto che non conosceva con pochi ricordi del weekend appena passato aveva fatto vergognare Sandy così tanto da rimettersi in carreggiata. Ma questa volta chi poteva sapere come sarebbe finita? Tony si fece un appunto mentale di passare a trovarla più spesso nelle settimane seguenti. Era meglio far arrabbiare Sandy che perdersi l’inarrestabile declino.