Nessun martedì fu mai così lungo per Tony. Mac lo aveva lasciato davanti all’ingresso della scuola molto prima dell’inizio delle lezioni e, per un attimo, mentre era rimasto a contemplare i gradini e la giornata che stava per iniziare, Tony era stato alquanto tentato di tornarsene a letto. Qualcuno in quell’edificio lo voleva morto. E quel qualcuno aveva ucciso non solo Westin, ma anche Marty. Nella tenue luce del mattino, pensò di non potercela fare.

Mac era rimasto silenzioso in auto, non freddo ma… assente, la mente altrove. Tony si domandò come stessero realmente le cose tra loro. Quello che era accaduto la notte precedente era stata solo un’avventura, una pura reazione alla tensione e al fatto di essere stato sul punto di morire, la dimostrazione di essere ancora vivi ma con distacco? Mac era stato così intenso, appassionato, poi tenero e dolce, quindi spaventato e infine distante.

Tony non si era mai sentito in quel modo con altri uomini. Non era solo questione di sesso, sebbene il sesso con Mac fosse stato strepitoso, era qualcosa che non aveva mai provato in vita sua. Quell’uomo riusciva a entrare in connessione con lui su un livello del tutto nuovo. Non voleva chiamarlo amore. Non aveva mai creduto all’amore a prima vista, o alla prima scopata, e non voleva iniziare in quel momento. Ma tra loro c’era indubbiamente una sorta di legame. Per qualche motivo si fidava di Mac, in un modo in cui gli era stato impossibile con Luke. Un po’ come in quelle esercitazioni per l’affiatamento di gruppo in cui ti chiedevano di lasciarti cadere all’indietro e di fidarti dei tuoi compagni, perché ti avrebbero preso in tempo. Con Luke, avrebbe dovuto tenere pronta una mano per sostenersi da solo, nel caso in cui il suo ex avesse avuto di meglio da fare che preoccuparsi per lui. Ma con Mac si sarebbe lasciato cadere, sicuro che quelle mani grandi ci sarebbero state per lui.

Non era una cosa razionale. Che cosa sapeva di quell’uomo, dopotutto? Forse era rimasto colpito dal modo in cui si relazionava con i bambini, come si inginocchiava per ascoltare la confidenza di una bimba quasi fosse stata la cosa più importante del mondo, o dalla precisione con cui si allacciava una stringa con le sue dita ruvide. Magari era stata la storia sofferta di sua moglie o tutti gli sforzi che aveva compiuto per fare la cosa giusta. O forse Tony aveva semplicemente un debole per gli uomini grandi e grossi con le braccia forti e la battuta pronta. In fin dei conti, non era nemmeno sicuro che lo avrebbe più rivisto.

Per tutto il giorno, a ogni lezione aveva dovuto rassicurare i ragazzi che non era stato la seconda vittima dell’Accoltellatore, ma che era rimasto coinvolto in un banale incidente stradale. Volevano tutti i dettagli, continuare a parlarne, ma Tony non voleva, assolutamente no, menzionare la morte di Marty nella conversazione. Gli faceva male la testa, la schiena bruciava e stare seduto era quasi peggio che rimanere in piedi. E Mac aveva avuto ragione. Tutti lo fissavano con aria preoccupata o colpevole. Era prossimo al punto in cui avrebbe iniziato a sospettare di chi non lo avesse guardato in quel modo.

Nina voleva a tutti i costi scrivere un articolo sul suo incidente e riuscì a dissuaderla con difficoltà. Si sentì sollevato quando gli disse che i suoi genitori volevano andare fuori città per tutto il weekend. Che fosse stata una mera coincidenza o un suggerimento da parte della polizia, il fatto di saperla lontana lo tranquillizzò.

Anne Percival gli gironzolò attorno per un’insolita quantità di tempo. Naturalmente, aveva insistito per raccontargli il suo brutto incidente stradale, nei dettagli, lamentandosi della mancanza di responsabilità nei giovani quando si mettevano dietro un volante. Si domandò se il fatto che avesse evitato qualsiasi riferimento a Westin fosse un caso o se invece sottintendesse un messaggio ben preciso. Mary Pinski gli espresse la sua solidarietà con toni che la dicevano lunga sul fatto che pensasse che la colpa era solo sua, cambiando subito argomento. Cosa che era in completa linea con il suo comportamento degli ultimi tempi. Il preside Johnson, che aveva un alibi per entrambi i delitti, fu l’unica persona a cui la polizia aveva illustrato i suoi sospetti. Tony ci aveva messo un po’ di tempo per calmarlo. Mettere in giro la voce che i due violenti eventi fossero correlati non era certo nell’interesse della scuola e di certo non aveva bisogno che Dean Johnson glielo dicesse.

Gli studenti si erano comportati nel migliore dei modi, cosa che si era rivelata un vero sollievo. Anche se ciò lo aveva portato a pensare che avesse un aspetto davvero pessimo. Due studenti gli offrirono persino delle pillole di ibuprofene, il che provò quanto si fidasse di loro, in quanto portare dei medicinali a scuola comportava la sospensione automatica. Si fece aiutare per portare libri e computer avanti e indietro dal corso di recupero. Dopotutto, non era una cattiva cosa dare l’impressione di essere più mal messo di quanto fosse in realtà. E onestamente, mentre cercava di raggiungere l’ascensore con la sua rigidità zoppicante, fu grato dell’aiuto.

Non ricevette altre lettere minatorie.

Alle due e mezza del pomeriggio la sua giornata finalmente si concluse. Gli studenti dell’ultimo anno lasciarono l’aula in fretta, diretti a prendere l’autobus o alle loro auto. Appoggiandosi al bastone, Tony cercò di mettere via i libri nella borsa usando una sola mano.

«Lasci, la aiuto.» Alzò lo sguardo, sorpreso, e vide Brad Parker, uno dei suoi ragazzi, prendergli la borsa e tenerla aperta.

«Grazie.» Tony infilò le sue cose e chiuse la cerniera. Brad indugiò, sembrando preoccupato. «Posso fare qualcosa per te?» chiese Tony.

«Il compito,» rispose Brad. «Quello di cui le dicevo ieri. Potrebbe darmi qualche altro consiglio?» Brad non era per niente uno dei suoi migliori studenti. Massiccio, biondo e fin troppo consapevole della sua importanza come stella nella squadra di football, il ragazzo sembrava considerare i compiti come un ingiusto fardello. L’ultima discussione era stato un tentativo alquanto palese di far fare a Tony metà del lavoro al suo posto.

«In tutta onestà,» replicò Tony, «qualsiasi consiglio ti dessi adesso varrebbe ben poco. Comunque, credo che a questo punto devi solo provarci. Prova a scrivere una bozza e poi la esamineremo assieme.»

«Okay.» Brad si avviò verso la porta, ma poi si voltò di nuovo. «Vuole che… ehm, che le porti giù io la sua borsa?»

«No, grazie. Posso farcela. Vai o perderai l’autobus.»

«Oh, ho la macchina,» esclamò Brad con fierezza. «Una Mustang rossa.»

«Sei fortunato.» Un commento un po’ sarcastico, ma Tony aveva una Prius usata. Alle superiori usava l’autobus.

Brad appariva ancora preoccupato. «Sa, professor Hart, non ha un gran bell’aspetto,» disse. «Si è fatto molto male? Ha visto chi è stato? Voglio dire, questo tizio avrà l’assicurazione, no? Così può fargli pagare le spese. Se sa chi è stato.»

Tony scosse la testa. Non sarebbe sceso nei dettagli con uno studente. Con nessuno, per lo meno non prima di capire di chi potersi fidare. «Ma grazie al cielo non hanno ancora tagliato i benefici sanitari dal nostro contratto, Brad,» disse con spensieratezza. «Sono coperto.»

«Bene. Cioè, credo.» Brad non accennava ad andarsene. Sembrava comportarsi in modo strano e alla fine chiese: «Ha dei validi antidolorifici? Perché mi ricordo che, quando mi sono rotto la caviglia l’anno scorso, solo la roba davvero buona riesce a farti passare il dolore. Dovrei avere ancora delle pillole nel mio armadietto in palestra.»

Tony esitò, lo sguardo fisso sul ragazzo. Il terzo studente che gli offriva medicinali, anche se in modo leggermente diverso.

«Se si tratta di farmaci vendibili solo dietro ricetta medica,» iniziò Tony, «non dovrebbero trovarsi nel tuo armadietto. Inoltre, non dovresti proprio offrirli a un’altra persona.»

«Ehi, non c’è problema. Anzi, quasi sicuramente non ne ho più. Intendevo solo che spero che il suo dottore non sia uno di quegli idioti che credono che il dolore ti impedisca di strafare. Il mio era così. Ero arrivato al punto di sperare che si rompesse una caviglia anche lui, così avrebbe capito che cosa volesse dire avere male. Ma alla fine ho preferito cambiare medico.»

«Sto bene,» disse Tony.

Brad annuì. «Okay, ottimo. Perché ci mancherebbe di più del professor Westin.» Uscì dall’aula fischiettando. Tony rimase a fissarlo. Decisamente bizzarro. Tuttavia, dato il pulsante dolore alla testa, non era del tutto sicuro di poter fare una conversazione razionale con nessuno. Forse era lui a essere bizzarro.

A quel punto, si rese conto di avere bisogno di un passaggio fino a casa. Con Rick che faceva i doppi turni al lavoro e Sabrina a New York, per non parlare di Marty… rimaneva solo il taxi. Si aggrappò con cautela al bordo della cattedra e prese il telefono, premendo prima il nove per la linea esterna e poi il 411. «Il numero di telefono della Yellow Taxis, per favore,» chiese. Mentre era in attesa, un dito grande e virile gli passò sotto gli occhi e premette il tasto di interruzione della chiamata. Tony rimise il telefono nella base e si voltò.

«Non mi aspettavo di vederla qui, detective,» disse.

«Ho ancora un paio di domande, signor Hart,» replicò Mac con tono formale mentre si infilava la borsa di Tony sulla spalla. «Potrà rispondermi mentre la accompagno a casa.»

«D’accordo.» Tony prese il bastone e uscì zoppicando, chiudendo a chiave la porta dietro di sé. «Per fortuna ho superato la mia fobia dell’ascensore,» disse allegramente.

«Direi proprio di sì,» convenne Mac.

Rimasero in silenzio fino all’auto, poi Mac lo aiutò a sedersi sul sedile del passeggero tenendogli una mano sotto il gomito. Continuarono a non parlare anche dopo aver lasciato il parcheggio e percorso diversi isolati verso nord.

«Hai davvero delle domande da farmi?» chiese Tony alla fine.

«Qualcuna. Stiamo cercando di ridurre le corrispondenze per l’auto che ti ha investito. Dai frammenti di plastica sembra essere una Chevrolet prodotta tra il 2000 e il 2006, ma non abbiamo trovato segni di vernice da nessuna parte. Non ricordi il colore, vero?»

Tony si massaggiò la fronte, cercando di sforzarsi. «No. La luce dei fari era davvero forte. Di sicuro non era bianca. Non credo proprio. Ma non ci sono altri testimoni? Ricordo di aver visto altre persone.»

«Abbiamo alcuni testimoni,» disse Mac, «ma le loro storie non collimano molto. Quasi tutti dicono che era scura e che non era un minivan o un SUV grande. Potrebbe essere qualunque modello. Avevamo trentaquattro possibili corrispondenze tra i veicoli di proprietà del personale e degli studenti e stamattina ne abbiamo scartate quasi la metà, esaminando le auto nel parcheggio della scuola. Le altre sedici non si sono presentate. Ora stiamo controllando gli indirizzi di casa. Se le auto sono parcheggiate all’aperto, possiamo verificare gli esterni. Se invece sono in garage, possiamo chiedere di esaminarle, ma non abbiamo abbastanza prove che colleghino l’incidente alla scuola per riuscire a ottenere un mandato. Abbiamo avvisato le carrozzerie locali di rimanere all’erta per un’auto di quel tipo con danni alla parte anteriore. Ma non abbiamo avuto fortuna finora.»

«Potrebbe avere usato un’auto rubata.»

«Vero. E in questo caso, sempre che non salti fuori da qualche parte con tanto di impronte digitali al suo interno, siamo davvero nella merda. Ma questo tizio sembra un dilettante e rubare un’auto non è così facile come sembra.»

«Nessuno oggi è venuto da me insistendo che avrei dovuto essere morto,» lo informò Tony. «Avevi ragione, mi fissavano tutti in modo strano. Tre studenti mi hanno perfino offerto delle compresse di ibuprofene. Mi sento decrepito.»

Mac lo guardò di sottecchi. «Non sembri decrepito. Solo un po’ malconcio.»

«Grazie.» Tony appoggiò la testa al finestrino freddo. «Ti secca fermarti in una farmacia lungo la strada? Vorrei farmi dare il Percocet.»

«Certo.» Seguì una lunga pausa. «Ti fa molto male?»

«Mi sento come se mi avesse investito un camion,» confessò Tony.

«C’è qualcuno che può rimanere con te?»

Tony si sforzò di raddrizzarsi. «Non è necessario, non sono conciato così male. E poi dopo tutte queste ore non corro più il rischio di trauma cranico.»

«Ma…»

Tony scosse la testa con cautela. «Sono adulto e vaccinato. Starò bene.»

La fermata alla farmacia richiese mezz’ora affinché il farmacista conteggiasse le pillole. Mac aggiunse un cuscino caldo-freddo agli acquisti, senza guardare Tony in faccia. Arrivati a casa, parcheggiò e spense il motore.

«Ora ce la faccio da solo,» disse Tony.

«Ti porto su la borsa e controllo che sia tutto in ordine prima di andarmene,» ribatté Mac.

Nell’ascensore, Tony si sostenne al bastone, mantenendosi a una certa distanza di sicurezza dal poliziotto. Non gli era mai capitato prima, di uscire con qualcuno che non fosse nemmeno lontanamente dichiarato. Fino a dove poteva spingersi? Poteva sperare almeno in un abbraccio, una volta entrati nel suo appartamento, oppure la loro storia era già giunta al capolinea?

Trafficò alla ricerca delle chiavi e, quando fu a un passo dall’infilarle nella serratura, la mano di Mac sbucò dal nulla per fermarlo.

«Cosa c’è?»

Mac indicò in silenzio alcuni graffi sul rivestimento in metallo della serratura e una scheggia grezza conficcata nel legno sul bordo della porta.

Tony fissò ciò che gli era stato indicato, voltò il capo per fare una domanda, ma un palmo calloso premuto sulla sua bocca gli impedì di emettere qualsiasi suono. Mac mise a terra la borsa di Tony, prese le chiavi e gli fece segno di allontanarsi. Non appena lui fu a qualche metro di distanza, il poliziotto gli indicò di nuovo di fermarsi e di appoggiarsi al muro. Mac si infilò una mano sotto la giacca ed estrasse la pistola, tenendola lungo il fianco. Con l’altra mano, sbloccò la serratura e spalancò d’improvviso la porta. Non accadde nulla.

Mac sparì nell’appartamento mentre Tony rimaneva in corridoio, teso e in ascolto. Sembrava essere passato un secolo quando finalmente vide riapparire Mac, la pistola di nuovo al suo posto nella fondina. Gli fece cenno di avvicinarsi e si inginocchiò per esaminare meglio la porta.

«L’appartamento è pulito,» disse Mac. «Nessun segno che indichi che ci sia stato qualcuno. Molto probabilmente non è riuscito ad aprire la serratura a scatto. Sei davvero fortunato ad avere una serratura che funziona davvero.» Esaminò più da vicino il legno senza toccarlo. «È recente. Non mi sembra che fosse già così quando hai aperto la porta stanotte, vero?»

«In realtà non potrei nemmeno giurare che non ci fossero disegnati elefanti rosa sulla porta, stanotte. Comunque…» Diede un’occhiata alla porta senza piegare la schiena. «Quel graffio nel legno è alquanto evidente. L’avrei visto stamattina quando ho chiuso. Ma non ci giurerei.»

«Okay.» Mac si rialzò. «Manderò qualcuno dei nostri a rilevare le impronte sulla porta, anche se non nutro molte speranze. Il nostro uomo non ne ha mai lasciate finora. Tu invece prendi dei vestiti, le medicine e tutto ciò che potrebbe servirti. È meglio se ti porto a dormire da un amico per stanotte.»

«Oh, andiamo,» protestò Tony. «Sono esausto e hai detto che non è riuscito a entrare. Mi chiuderò bene dentro.»

«Col cavolo,» replicò Mac. «Questa volta non c’è riuscito, ma la prossima? Non ti voglio qui. Ci deve pur essere qualcuno da cui puoi stare.»

«Rick finisce di lavorare alle undici, se voglio aspettare fino a quell’ora.» Poi Tony non poté resistere dall’aggiungere: «Potresti rimanere tu con me, così se si fa di nuovo vivo potrai arrestarlo.»

«Devo tornare al lavoro. Non posso stare qui tutto il pomeriggio, le probabilità di acciuffarlo non sono poi così elevate. Ma non mi piace la sua ossessione nei tuoi confronti. Manderò una pattuglia a perlustrare la zona, nel caso si sia appostato da qualche parte in attesa che rimetti il naso fuori di casa. Farò sorvegliare il tuo appartamento stanotte, ma non ti ci voglio qui.»

«Sarò al sicuro se rimani con me.»

«Non lo farò io, ma un agente. Smettila di fare lo stupido!»

«E tu smettila di urlarmi dietro!» gli si rivolse contro Tony. «Non sei mia madre.»

Mac si passò una mano sul viso. «Mi dispiace,» disse. «È solo che… per favore.»

Tony non poté fare a meno di sorridere. Una persona così forte non avrebbe dovuto essere pensierosa. «Va bene. Stavo solo facendo il bastian contrario. Lasciami preparare le mie cose e poi andiamo da Rick.»

Mac lo seguì dentro, mentre parlava già al telefono con il distretto. Zoppicando qua e là, Tony riempì un borsone da palestra con un cambio di vestiti, farmaci, borsa del ghiaccio, spazzolino. Valutò se portarsi dietro o meno anche i compiti da correggere, ma rinunciò all’idea poiché non sarebbe mai riuscito a concentrarsi. Prese un libro di Michael Thomas Ford dallo scaffale. Una lettura leggera sui problemi di qualcun altro lo avrebbe aiutato a dimenticare i propri.

«Ho il tempo per farmi una doccia?» domandò.

Mac sembrava avere molta fretta. «Non puoi aspettare?»

«Va bene.» Tony mandò giù il Percocet, mise via la bottiglia e prese la borsa con la mano libera. «Sono pronto.»

Mac gli prese la borsa. «Hai una chiave di scorta?» Tony cercò in un cassetto della cucina e trovò le vecchie chiavi di Luke, ancora attaccate al portachiavi del White Party. Quando le porse a Mac, le loro dita si sfiorarono per un secondo, facendogli provare una piccola scossa.

«Puoi tenerle,» disse Tony sottovoce, scherzando solo in parte.

Mac arrossì. «Le darò ai ragazzi della scientifica.»

Il viaggio fino a casa di Rick si svolse in silenzio, ad eccezione di occasionali scambi sulla direzione da seguire. Ma a Tony sembrò che, sotto sotto, tra loro stesse avvenendo una sorta di muta conversazione. In diverse occasioni, Tony fu sul punto di allungarsi verso Mac per dire qualcosa, ma non era sicuro di cosa. Mac guidò con un’indolente sicurezza, lo sguardo fisso oltre il parabrezza.

«Siamo arrivati,» annunciò Tony, indicando il bar Dunn Brothers Coffee all’angolo. «Aspetterò lì che torni Rick.»

«Credevo che stessimo andando a casa sua.»

«Sì, beh, non fin quando non torna. Non ho le chiavi.»

«Gesù.» Mac lo guardò. «Quindi dovrei lasciarti qui, in un luogo pubblico, per quante ore?»

«Dannazione.» Tony gli rivolse un’occhiataccia. «Il bar o casa mia.»

«Cazzo.» Mac rimise in moto il motore. Tony si aspettò che facesse inversione di marcia e lo riportasse a casa, ma mentre procedevano si rese conto che la strada che Mac stava percorrendo gli era del tutto sconosciuta. Tuttavia, i quartieri non sembravano diventare più eleganti. Gli edifici erano vecchi e avevano bisogno di una sistemata.

«Dove stiamo andando?» chiese.

«Da me,» rispose Mac. «È una topaia, ma ho installato l’antifurto. È un’abitazione privata, nessuno ti vedrà. C’è anche un cazzo di letto, cosa di cui hai assolutamente bisogno al momento.»

Tony si rimangiò una battuta sulle parole “cazzo” e “letto”. «Sei sicuro?»

«No, per niente. Sei il testimone di questo caso. Non dovrei minimamente… avvicinarmi a te. Ma è la migliore alternativa che abbiamo.»

Si fermarono davanti a una vecchia casa di legno a due piani. Il giardino attorno al vialetto d’ingresso era una massa marrone di erbacce morenti, con un paio di cespugli scheletrici che ancora non avevano perso le loro foglie. Il vialetto era irregolare e l’esterno aveva proprio bisogno di una mano di vernice. Il colore, un tempo probabilmente blu, era sbiadito in un grigio consumato. Mac indicò le finestre della mansarda all’ultimo piano. «Lassù.»

Per raggiungere l’appartamento di Mac, presero le scale antincendio, a cui si accedeva separatamente da una porta che ricordava più quella di un ripostiglio. Mac salì le scale seguendo Tony da vicino, sostenendogli il braccio libero con una mano. La presa divenne più salda dopo che Tony traballò un paio di volte. «Ci siamo quasi,» lo incoraggiò Mac. In cima, una porta più robusta era chiusa a doppia mandata. Mac la aprì, mise la borsa a terra e disattivò l’antifurto.

Tony si guardò in giro. L’appartamento era formato da un’unica piccola stanza. A ogni estremità, una finestra offriva una vista decente sui tetti e sugli alberi. Il pavimento era in legno compensato, vecchio e malconcio, con un paio di tappeti alquanto brutti. Su ogni lato, il tetto spiovente si inclinava in modo davvero ripido fino a terra, lasciando al centro uno spazio stretto sufficientemente alto per potersi muovere. Sotto la finestra più piccola, a nord, un bancone posizionato sopra un paio di mobiletti ospitava il lavello e il tostapane, con accanto un piccolo frigorifero. La finestra a sud era più grande, ma deformata e a vetro singolo. Sotto di essa, due materassi appoggiati al pavimento costituivano il letto. C’era una tenda, ma Tony notò che non era spessa abbastanza da impedire al freddo in inverno di superare il vetro esposto.

Il set di pesi alquanto voluminosi stipati sotto la sporgenza del tetto giustificò le spalle e le braccia muscolose di Mac. C’erano anche un tavolino e due sedie di legno. Dei contenitori in plastica provvisti di coperchi, situati dove le travi incontravano il pavimento, erano le uniche altre cose più simili a dei mobili che Tony notò. Ogni cosa era pulita, in ordine e decisamente… economica.

«Il bagno è qui,» disse Mac, tenendo aperta la porta che Tony aveva creduto conducesse allo sgabuzzino. «La doccia funziona abbastanza bene, ma fa attenzione perché diventa bollente se qualcuno di sotto fa andare lo scarico.» Si inginocchiò per aprire una delle scatole in plastica. «Qui trovi gli asciugamani puliti. Ora ti cambio le lenzuola.»

«Mac,» iniziò Tony, ma subito si interruppe. Doveva trovare un modo carino per dire ciò che stava pensando. Guardò il soffitto, dove erano visibili alcuni fili che correvano lungo le travi a vista, sopra la coibentazione. «Ho come l’impressione che questo posto non sia a norma.»

Mac grugnì. «Credo che non conosca nemmeno il significato di quella parola.» Poi sospirò. «Ho rifatto l’impianto elettrico quando mi sono trasferito qui, assieme a un tizio che conosco e che è molto esperto. Ti garantisco che è sicuro. Abbiamo installato ogni tipo di rilevatore di fumo e anche uno per il monossido.» Indicò in alto. «L’antifurto non è collegato alla centrale, ma suona in modo dannatamente forte e lo controllo con regolarità. Accanto al letto c’è una scala di corda, nel caso in cui le scale siano bloccate.» Si raddrizzò e guardò Tony, tenendo in mano le lenzuola. «Anna viene qui di tanto in tanto. Ho cercato di rendere questo posto il più sicuro possibile. Non correrai rischi, qui.»

«Non mi stavo lamentando,» disse Tony con dolcezza. «Ma solo… il dipartimento sa che vivi in questo modo?»

«Non ho bisogno d’altro. Vivo così affinché Anna possa avere tutto ciò che le serve.» Mac si mise a rifare il letto, sistemando il lenzuolo pulito sul materasso in alto.

Tony lo raggiunse e gli sfiorò il braccio. «Mac. Va tutto bene. Grazie per lasciarmi stare qui.»

«Nessuno ha mai messo piede qui dentro,» disse l’uomo alzandosi. «Solo Anna. Ma voglio che tu stia al sicuro. Oh, Gesù.» Le sue braccia lo avvolsero, tirandoselo vicino e facendo al tempo stesso attenzione alla sua schiena. «Cosa devo fare con te?» bisbigliò, il viso infossato tra i suoi capelli.

Tony si voltò per baciargli il collo, rilassandosi come un panetto di burro che si scioglieva in quella calda stretta. «Va tutto bene, ragazzone,» mormorò. «Starò bene. Non dobbiamo essere qualcosa di più o di meno di ciò di cui hai bisogno in questo momento. Sei tu che conduci il gioco.»

Mac lo tenne stretto per un lungo momento, poi si staccò. «Ora come ora devo tornare al lavoro,» disse. «Il codice dell’antifurto è…»

«Non vuoi impostarne uno temporaneo per me?» lo interruppe Tony.

Mac lo rimproverò con lo sguardo. «Il codice è 3617. C’è una chiave di scorta nel contenitore blu sotto il bancone, ma non dovresti mettere il naso fuori di qui. Se proprio devi farlo, prima chiamami. In frigorifero troverai dell’acqua e qualcosa da mangiare. Niente telefono. Hai con te il cellulare, vero?»

Tony si toccò la tasca. «Sì.»

«Ti chiamo se salta fuori qualcosa, ma intanto voglio che mangi e dormi. Io tornerò sul tardi.»

«Mi troverai qui.»

Mac rimase fermo a fissarlo per un po’, poi si voltò e uscì. Chiuse a chiave. «Voglio sentirti attivare l’antifurto. Premi il cancelletto e il resto,» disse ad alta voce al di là della porta.

Tony esitò. «Bisogno di aiuto?» chiese ancora Mac.

«No, no.» Tony attivò il controllo e fu ricompensato con tre bip. Udì i passi di Mac scendere le scale. Andò alla finestra che dava sulla parte anteriore della casa e guardò giù. Sulla strada, Mac entrò nel suo campo visivo, camminando con rapidità e parlando al cellulare. Salì in auto, mise in moto e scomparve. Tony sospirò e lasciò scivolare lo sguardo lungo la stanza. Il Percocet stava iniziando a fare effetto. Si sentiva meno dolorante e più rilassato, come se la sua testa fosse solo leggermente a contatto delle spalle e rischiasse di cadere per terra se si fosse mosso troppo in fretta.

«Ora doccia,» si disse con decisione, «prima che la medicina ti stordisca del tutto mandandoti al tappeto. Poi una bella dormita.» Quello era il miglior programma che riusciva a gestire in quel momento.

 

***

 

Mac salì le scale che conducevano al suo appartamento molto più lentamente del solito, lottando contro l’urgenza di precipitarsi di sopra. Erano saltate fuori due piste su cui avrebbero indagato l’indomani; un giocatore di football di nome Joe Anderson, sospettato di assumere steroidi e forse anche droghe, e sette Chevrolet che non erano ancora riusciti a controllare in quanto i proprietari avevano negato il permesso o affermato che non erano al momento disponibili. Per non parlare del suo problema più grande, che si trovava proprio in casa sua. Problema o speranza. Non riusciva a capirlo, cazzo.

Aprì la porta cercando di non fare il minimo rumore e spense l’antifurto, sussultando al rumore. Sicuramente Tony si sarebbe svegliato.

Udì un fruscio seguito dalla voce di Tony. «Mac? Che ore… mmm, sono?»

«È l’una,» rispose in un bisbiglio. «Torna a dormire.»

«Questo è davvero tanto tardi.» Tony sembrava essere decisamente più sveglio. Quel ragazzo non era per niente bravo a seguire le istruzioni.

«Stavo lavorando. Rapporti da esaminare.» La Narcotici gli aveva dato tutto ciò che avevano raccolto alla Roosevelt negli ultimi anni e, mentre stava rintracciando alcuni contatti, era giunto al nome di Anderson. Si sedette su una sedia e si tolse scarpe e calzini, mettendo via il tutto con molta attenzione. La stanza era così piccola da rendere l’ordine una necessità. Altrimenti avrebbe finito per vivere nel caos.

«Hai mangiato?» domandò a Tony.

«No.» La voce di Tony risuonò languida. «Niente fame. Mi sono fatto la doccia e poi un bel sonnellino. Molto bello. Hai un materasso davvero comodo. Dormire qui è fantastico.»

Mac sbatté le palpebre. «Di che cosa ti sei fatto, ragazzo?»

«Percocet!» rispose Tony allegramente. «Quella sì che è roba buona. Non mi sento quasi più la schiena. È tutto così bello che mi sembra quasi… di volare.»

«Buon Dio.» Mac accese la lampada e si sedette sul letto accanto a Tony. Il ragazzo era sdraiato a pancia in giù, il capo appoggiato alla mano come un bambino assonnato. Un paio di slip bianchi striminziti lo coprivano a malapena e una garza semi-accartocciata sulla schiena indicava il suo misero tentativo di cambiare la fasciatura. Mac allungò una mano per toccarla.

«Dobbiamo rifare il bendaggio,» disse. «Dove hai messo l’occorrente?»

«… lla mia borsa. Ma va bene così. Tanto non mi fa più male.»

Mac si piegò per guardare Tony negli occhi. Le sue pupille erano due punte di spilli in un mare di blu. Il giovane gli sorrise.

«Quante pillole hai preso?»

«… na.» Tony sorrise con dolcezza e alzò una mano per accarezzargli la guancia. «Non preoccuparti. Non andrò in overdose. Le droghe mi fanno sempre e solo del bene. Dovresti vedermi quando mi faccio una canna.» Poi si accigliò. «O forse è meglio di no, visto che sei uno sbirro.»

«Direi proprio che è meglio di no.» Mac si guardò le mani. «Senti, sono alquanto sporco. Vado a darmi una ripulita prima di pensare alla tua schiena.»

«Tu non vai da nessuna parte.»

Mac sparì nel minuscolo bagno e si infilò nella cabina doccia. La ventola non aerava molto bene e c’era ancora molto vapore nella stanza. Riusciva a sentire il profumo della pelle di Tony. Aprì l’acqua, prima fredda per svegliarlo, poi calda. Si annusò. Già, profumi proprio come un aristocratico. Due giorni con gli stessi vestiti lo avevano lasciato con un tremendo bisogno di acqua e sapone. Si insaponò sotto il misero getto, godendosi il massaggio sulla pelle, e guardò in basso.

Forse avresti fatto meglio a usare solo l’acqua fredda. Il profumo di Tony e la calda carezza dell’acqua glielo avevano fatto venire duro. Quel ragazzo è stanco, dolorante e fatto. E anche mezzo nudo nel suo letto, con un sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi cosa, acciaio compreso. Mac si schiaffeggiò. A cuccia.

Si era scordato di portarsi dietro i vestiti puliti. Per lo meno l’asciugamano era abbastanza grande da coprirlo. Lo usò per strofinarsi i capelli, quindi se lo avvolse in vita.

Quando uscì dal bagno, gli occhi di Tony erano su di lui, scintillanti nella pallida luce. «Oh, sì,» miagolò Tony. «Per questo sì che vale la pena rimanere svegli.»

Mac evitò la mano tesa nel tentativo di palpeggiarlo e si sedette dietro a Tony sul materasso, portandosi vicino il sacchetto con le garze. «Dacci un taglio,» ringhiò. «Quello che faremo ora è sistemare la medicazione in modo da farti dormire meglio.»

Tony si avvicinò un po’ di più alle spalle di Mac. «Potresti farlo nudo. Quello sì che mi aiuterebbe a scordarmi del dolore.»

«Non senti nessun dolore in questo momento.» Mac bloccò il polso di Tony sul letto per esaminargli meglio la schiena. «Ma tra poco ne sentirai. Hai messo parte del cerotto dove non dovevi.»

«Merda,» esclamò Tony. «È in una posizione del cazzo e il tuo specchio è più piccolo del mio.» Girò la testa per sorridergli. «E io adoro il mio specchio.»

«Certo.» Mac lo spinse di nuovo giù, affondandogli il viso nel cuscino. «Ora stai fermo. Sentirai male.» Non c’era altro modo per farlo se non strapparlo con un gesto rapido. Afferrò il cerotto e tirò.

Tony emise un piccolo strillo. Mac prese un tampone di cotone e lo premette con forza sulla pelle per assorbire il sangue. Tony ansimava a denti stretti.

«Cazzo.» Ora appariva meno fatto di prima. «Devi proprio schiacciarmi per tutto questo cazzo di tempo?»

«Scusa.» Mac diminuì la compressione. «Sta sanguinando parecchio. Voglio tenerlo premuto per un po’ prima di mettere la pomata.»

«Okay.» Pian piano il respiro di Tony si regolarizzò. Mac sollevò il tampone assorbente e lo ispezionò. Andava meglio di prima, ma il sangue non si era ancora fermato del tutto. Ripiegò il tampone dalla parte pulita e tornò a premere. Tony soffiò.

«Dimmi,» iniziò Tony con un tono che cercava di apparire disinvolto. «Ci sono state svolte nelle indagini mentre stavo dormendo?»

«Qualche pista. Ma ancora niente svolte.» Mac controllò di nuovo. «Credo che sia a posto. Ora ti pulisco la ferita e la copro.» Le sue dita sapevano come muoversi quella volta: pulire, applicare la pomata, mettere il cerotto a contatto della pelle non lesionata. Tony rimase fermo sotto le sue mani, rilassandosi mentre il dolore diminuiva. «Fatto.» Mac si alzò e gettò nella spazzatura la vecchia fasciatura e il cotone sporchi, poi si sciacquò le mani al lavello.

Si avvicinò di nuovo al letto, esitando. «Dovresti davvero mangiare qualcosa,» disse. «Probabilmente è per questo che il farmaco ti ha steso.»

Tony si diede una spinta con una gamba e si mise in ginocchio. «Va bene,» mormorò. Sotto gli occhi di uno stupito Mac, Tony si sporse, gli levò di dosso l’asciugamano e ingoiò il suo sesso.

«Ehi!» Mac fece un passo indietro, senza tuttavia liberarsi. «Non intendevo questo, maledizione.»

«… erò è quello che intendevo io,» biascicò Tony, le mani e la bocca occupate. La sua lingua tracciò una linea di fuoco lungo l’asta dura come la roccia, le dita affondate nel culo di Mac per avvicinarlo a sé.

«Andiamo.» Mac affondò le mani tra i capelli di Tony, in un gesto contrario alla sua volontà di liberarsi. «Hai bisogno di mangiare e dormire. E di guarire, anche. Non di… Gesù!» La bocca di Tony era meravigliosa, calda e vellutata. La lingua che esplorava e i denti che graffiavano appena. Mac gemette nonostante le sue stesse parole.

«Accidenti.» Tony lo lasciò andare all’improvviso e si rimise su un fianco. «Non riesco a stare così. Mi vengono i crampi alla gamba. Vieni a letto, dolcezza.»

«Senti, abbiamo entrambi bisogno di dormire,» disse Mac. «Vengo a letto, ma non facciamo niente.»

«Certo, come no.» Tony si girò per accarezzare la coscia di Mac fin dove arrivava e guardò il suo uccello fare un balzo. «Non mi freghi.»

Mac si inginocchiò sul letto e bloccò i polsi di Tony sul materasso. «Vuoi darti una calmata?»

Tony sogghignò. «Mi ammanetti, agente. Sono stato un bambino molto cattivo.» Leccò l’interno del braccio di Mac.

«Ora piantala!» sbottò Mac, spostando entrambi i gomiti in una mano e schiaffeggiando con decisione il sedere di Tony. Rimasero a fissarsi, ansimando entrambi. Poi, in un unico movimento rapido, Mac inchiodò Tony al letto, i polsi bloccati, una gamba sopra il suo fianco per impedirgli di muoversi. Il bacio fu brutale e bollente. Affondò la lingua nella bocca di Tony. Non ci fu tempo né spazio per pensare o respirare.

Tony boccheggiò quando lo lasciò libero. «Dio. Fallo ancora,» lo implorò.

Mac premette il proprio corpo contro di lui, cavalcando i suoi fianchi, mordendogli le labbra e il collo. I polsi sottili ruotarono nella sua mano, ma solo per godersi quel vincolo, non per provare a liberarsi. Mac affondò le dita e tirò le braccia di Tony verso l’alto. Ma un attimo dopo i gemiti di Tony lasciarono spazio a un lamento di dolore sincero.

Mac lo lasciò andare all’istante. «Scusami, Tony. Tutto okay?»

«Solo se continui,» ansimò il ragazzo. «Gesù, non fermarti.» Si mise di nuovo a faccia in giù sul letto. «Vai avanti,» lo pregò. «Se vai avanti, non potrai mai farmi del male.»

Mac guardò quel corpo slanciato e pallido a contatto della coperta blu e delle lenzuola grigie che aveva comprato al negozio dell’usato. La chioma scura, la pelle candida e il cotone bianco, che si offrivano a lui nel suo stesso letto.

Tony fece per levarsi gli slip, ma lui lo bloccò di nuovo per i polsi. «Non toglierli,» ringhiò. «Mi piacciono. Voglio che li tieni su.» Salì a cavalcioni sulle sue cosce, senza appoggiarsi, e passò le mani sulla schiena del ragazzo, scendendo lungo la curva che portava al suo culo. Seguì il bordo degli slip, sfiorando solo con un dito quella pelle liscia, poi scese più giù, dove la peluria riccia diventava più ruvida a contatto dei polpastrelli.

Tony si agitò sotto di lui. «Dio, Mac. Avanti. Prendimi. Per favore.»

«La pazienza,» recitò Mac, tenendo i fianchi di Tony inchiodati al materasso, «è la virtù dei forti.»

«Sono povero di virtù, io.»

«Già, ma ora sono io ad avere il controllo.» Il solo pensiero inviò una scarica di calore direttamente al suo ventre. «Sono io a decidere quando accelerare…» Morse il collo di Tony, tenendolo per un attimo fermo con i denti. «O rallentare.» Si raddrizzò e riprese a esplorare con le dita il corpo del ragazzo.

«Mac, dolcezza.»

«Piano.» Mac sfiorò, accarezzò e soffiò calore sulla pelle di Tony senza toccarlo con le labbra. Sotto di lui, Tony si dimenava e sgroppava, tentando di andare incontro il più possibile a quel tocco. Ma ogni volta che ci provava, Mac spostava le mani altrove.

«Troppo piano, è troppo piano così. Ti prego, ragazzone, ti prego,» si lagnò Tony.

Mac si raddrizzò e gli allargò le cosce, sollevandolo a quattro zampe. Si inginocchiò tra le sue caviglie e si piegò verso quel bel sedere arrotondato, per leccarlo e mordicchiarlo attraverso il tessuto bianco, riempiendosi le narici del profumo di quel corpo, strofinando la propria erezione contro l’interno della gamba di Tony. Intrufolò un dito sotto gli slip, alla ricerca del suo obiettivo, ma subito si bloccò e tolse la mano.

«Cosa c’è adesso? Giuro, Mac, che se ti fermi qui mi metto a urlare.»

«Non ho preservativi,» grugnì Mac. «Non l’ho mai fatto nella mia stanza.»

Tony rise rudemente. «Per fortuna ero un bravo boy scout. In fondo alla borsa. Condom e lubrificante.»

«Grazie al cielo.» Mac strisciò fino al borsone di Tony e vi frugò dentro. Trovò il tubetto e la striscia di bustine. Arricciò il naso staccandone una. «Sei?»

«E del tipo extra large. Ero ottimista.» Tony fece scivolare più in alto la gamba buona e alzò il culo. «Vieni qui, dolcezza. Dimostrami che avevo ragione.»

Mac non poté fare a meno di ridere, infilandosi il lattice. Si inginocchiò dietro Tony, tenendogli fermi i fianchi con le mani, e spinse lievemente in avanti, contro il tessuto degli slip. «Così?»

«Magari con meno biancheria,» mugolò Tony. «Avanti, ragazzone.»

Mac liberò una mano per aprire la confezione del lubrificante e se lo applicò, spalmandolo sopra il preservativo. Poco alla volta infilò le dita al di sotto del cotone bianco per accarezzare Tony. «Piano,» bisbigliò. «Non ho cambiato idea.»

Allargò con delicatezza le natiche di Tony, muovendo le dita in avanti solo quando il ragazzo stava fermo. Tony ansimò e mugolò quando lui ritrasse la mano e si fece strada oltre il tessuto. Poi si fermò, premendo leggermente contro la sua apertura. «Chi è al comando?» chiese.

«Dio!» mormorò Tony, cercando di tirarsi indietro.

«Nessuno mi aveva mai chiamato così,» scherzò Mac, continuando a tenergli bloccati i fianchi.

«Sei tu ad avere il comando, sadico di un bastardo. E se non ti sbrighi a fare qualcosa…» Tony esplose in un lamento non appena Mac balzò in avanti, affondando in lui.

«Basta andare piano,» sussurrò Mac.

Tony era bollente e stretto e impaziente, mentre si sollevava per incontrare le sue spinte. Mac trovò il ritmo giusto, con spinte lunghe e profonde che premevano Tony contro il materasso, strappandogli gemiti ansimanti. Iniziò a provare un calore intenso, che bruciava lungo tutto il suo corpo, annebbiandogli la vista man mano che tutti i suoi pensieri si perdevano in quelle sensazioni. La stanza si riempì del rumore provocato dalla frizione dei loro corpi e dai gemiti del suo amante. Si spinse a fondo in Tony, ancora e ancora. Tony gridò il suo nome, il corpo che si inarcava in preda agli spasmi dell’orgasmo. Mac aumentò il ritmo, spingendo con maggior frenesia, fino a perdersi a sua volta nell’apice del piacere.

Qualche secondo, o minuto, più tardi, Mac aprì gli occhi al fremito della pelle chiara che si alzava e abbassava sotto di lui. La spalla di Tony. Faresti meglio ad alzarti. Movimenti veri e propri andavano oltre le sue possibilità, in quel momento, ma riuscì a sollevare il braccio quel tanto che bastava per non pesare sulla fasciatura. Piegò la testa per baciare la zona di pelle più vicina a lui.

«Credo di avere un’altra commozione cerebrale,» borbottò Tony. «Il mondo sta girando come una giostra e non riesco a scendere.»

«Oh, questo sì che è un complimento,» disse Mac, sollevando le spalle.

La mano di Tony si allungò verso il sedere di Mac, facendo pressione affinché non si spostasse. «Non ancora,» disse. «Non muoverti. Ti voglio ancora dentro di me.»

«Ti farà male.»

«Tranquillo, mi sono fatto di roba buona.»

Mac uscì da lui e rotolò su un lato, allungando una mano verso i fazzoletti. «Non avrei dovuto farlo.»

«Non essere stupido.» Tony si voltò leggermente verso di lui. «Mi ricordo bene chi ha preso per primo in bocca il cazzo dell’altro. Sono abbastanza grande da sapere ciò che voglio.»

«A quanto pare.» Mac cercò i suoi occhi. «Tutto okay?»

«Direi che è molto più di okay.» Tony sorrise, ma poi fece una smorfia. «Ma devo disfarmi di queste mutande.» Se le tolse un po’ goffamente e le gettò da parte. «E il tuo letto è tutto bagnato.»

Mac rise. Prese un asciugamano dal contenitore. «Mettile lì sopra.» Tornò a sedersi accanto al suo amante, allungando una mano con un po’ di esitazione per accarezzargli la pelle e i capelli. «Tesoro,» disse. Permise alla propria lingua di pronunciare quel vezzeggiativo. «Tesoro, credo ancora che dovresti mangiare qualcosa.»

«Domani,» mormorò Tony, chiudendo gli occhi sotto quelle coccole. «Mangerò domani mattina.»

Mac si sdraiò al suo fianco, avvicinandolo a sé. Iniziò a passare le dita sul corpo di quell’uomo stupendo che giaceva nel suo letto, sfiorandolo appena, muovendole ovunque senza provocarlo. Tony bofonchiò qualcosa con aria assonnata. Mac non aveva sonno. Non avrebbe potuto dormire.

Che cosa succedeva quando si aveva un amante? Perché quello non era solo sesso e basta. Mac aveva avuto diverse esperienze sessuali, e a volte il sesso era stato davvero fantastico, ma nessuna lo aveva mai scosso così nel profondo, strizzandogli il cuore in quel modo. Sarebbe riuscito a trovare il modo per incastrare Tony nella vita che si era costruito? Mollarlo a quel punto della loro storia sarebbe stato come strapparsi un pezzo. Perdere Anna o il lavoro sarebbe stato come morire.

 

 

Mac aprì gli occhi al suono di una voce che si lamentava al suo fianco. Non ci fu spazio per lo smarrimento. Il suo cuore disse subito Tony, e Mac allungò istintivamente una mano verso il suo amante prima che il cervello gli dicesse di farlo. Fu una presa leggera che scosse Tony solo un po’.

«Svegliati, Tony. È solo un sogno.»

Tony emise un suono strozzato poi si calmò, respirando forte. «Mac?»

«Sì. Stai bene?»

«Cazzo,» mormorò il giovane uomo. «Merda. Solo un sogno. Sì, sto bene.» Cambiò posizione e gemette. «Dannazione, fa male.»

«Cosa?»

«Tutto.»

Mac scivolò fino al bordo del letto e si alzò, strofinandosi la faccia. «Il secondo giorno è sempre peggio del primo.»

«Lo so,» bofonchiò Tony senza muoversi. «Le ho già prese in passato.»

«Che cosa?» chiese Mac voltandosi, una morsa che si chiudeva attorno al suo stomaco. «Quando è successo?»

«Non ti scaldare. Questo caso non c’entra niente. È stato alle superiori. Fa parte del curriculum di qualsiasi ragazzo gay americano.»

Mac annuì, sentendosi in colpa. Quello non c’era nel suo curriculum. A scuola era stato uno degli atleti, accettato dall’élite, se non tra i suoi migliori. Non aveva mai picchiato nessuno, ma sapeva che i pestaggi accadevano. Semplicemente… cercava di starne lontano.

«Mi dispiace.»

«Mica sei stato tu,» grugnì Tony. «E poi è accaduto una vita fa. Ora però potresti darmi una mano prendendo il Percocet dalla borsa.»

Mac si alzò e frugò nella borsa, trovando i flaconcini con le pillole. Già che c’era, mise via i preservativi e il lubrificante. Ne erano rimasti cinque. Si impose di non pensare a ciò che quello significava e andò al lavello.

Mentre riempiva un bicchiere d’acqua per Tony, alzò lo sguardo verso l’orologio. Erano le cinque e quarantacinque; mancava poco alla sveglia.

«A che ora l’hai preso ieri sera?» domandò, leggendo l’etichetta. «Prima di mezzanotte?»

«Erano circa le dieci,» rispose Tony senza sollevare il capo.

«Okay.» Mac estrasse una pillola e la esaminò. «Che ne dici se inizi con mezza? Vedendo come eri conciato ieri, i tuoi studenti finirebbero per pensare che ti sei fumato qualcosa di forte se ne mandi giù una intera.»

«Diavolo,» borbottò Tony. «Okay, va bene.»

Mac usò il coltello per dividere la compressa e gliela portò. Tony accettò di essere aiutato per mettersi a sedere e prese il farmaco. Poi Mac gli diede una mano a sdraiarsi di nuovo.

«Facciamo così,» propose. «Preparo la colazione. Non puoi prenderlo a stomaco vuoto.» Ma aveva qualcosa di adatto per fare colazione? Iniziò a esaminare il contenuto del frigorifero e dei mobiletti. Il latte sembrava acido e lo gettò subito nel lavandino. Niente uova e nemmeno burro. Il pane era secco, ma non ammuffito.

«Che ne dici di pane tostato? Oppure il piatto preferito di Anna a colazione: i cereali senza latte. Posso farti una zuppa, se preferisci qualcosa di caldo.»

«Vada per il pane.»

Mac infilò le fette nel tostapane, prese l’avanzo di marmellata di fragole – sufficiente per una sola fetta – e mise a scaldare l’acqua per il caffè.

«Ehi, Mac,» lo chiamò Tony a bassa voce dal letto. «Credo che avrò bisogno di aiuto per alzarmi da questa cosa rasoterra che tu chiami letto.»

Mac lo guardò. Tony era piegato su un ginocchio sul bordo del materasso e agitava un braccio nella sua direzione. Si affrettò a raggiungerlo per dargli una mano, sorreggendolo mentre si alzava lentamente e con fatica.

«Vuoi del ghiaccio?» chiese. I lividi erano probabilmente diventati di tutti i colori, ormai.

«Preferirei una bella doccia bollente,» fu la risposta di Tony, «ma non voglio poi dover cambiare di nuovo la benda. Non ho nemmeno nulla per coprirla in modo che rimanga asciutta. Vado a darmi una sistemata.» Si diresse in bagno zoppicando.

Quando ne uscì, la colazione – o qualcosa di simile – era pronta. Mac lo aiutò a vestirsi e a sedersi, poi gli mise il pane nel piatto. Mentre si accomodava a sua volta, guardò di sottecchi il suo amante ancora assonnato mentre sorseggiava il suo caffè e soffocò una risata.

«Che c’è?» borbottò Tony.

«Niente. È solo che… erano anni che non facevo colazione a casa con qualcuno che non fosse Anna. Forse è stupido, ma… mi piace molto.»

Quelle parole gli fecero guadagnare il sorriso di Tony, che comunque non fece alcun commento. Mac buttò giù il pane tostato e il caffè mentre guardava Tony mangiare con lentezza. Si sentì catturato da ogni movimento, qualcosa di “nuovo” e “familiare” al tempo stesso. Conosceva l’angolo che formava quella mascella, l’inclinazione che prendeva quella testa, le occhiate che lanciavano quegli occhi blu, ma non aveva mai ammirato tutto quello lì, nella sua casa. Più volte fu sul punto di allungare una mano per sfiorare Tony o aprire la bocca per dire qualcosa, ma ogni volta si bloccò.

Infine lo chiese. «Come la facciamo funzionare?»

«Che cosa?»

«Io e te, assieme.»

Tony inarcò un sopracciglio. «Quindi stiamo assieme?»

«Dio, sì, lo voglio,» rispose Mac. «Non solo a letto. Cioè, ovviamente ti voglio nel mio letto, ma non solo. Voglio anche questo, dividere una colazione merdosa come questa con te perché è… bello.»

«Ma mantenendo un basso profilo.»

Mac abbassò lo sguardo. «So bene che non posso chiederti di…»

«Ehi,» lo interruppe Tony. «Me lo stai chiedendo e io non ti sto rispondendo di no.»

Mac tornò a guardarlo, senza riuscire a trovare le parole giuste. Tony sembrava stesse riflettendo.

«Si può fare,» disse dopo una pausa. «Non sei l’unico a nascondersi. Tutti quei militari e il loro “non chiedere, non dire”. O quegli uomini che fanno lavori da macho o che hanno alle spalle famiglie fin troppo religiose. Molte persone si nascondono.»

«Ma tu no.»

«Nascondermi non è la mia prima scelta,» ammise Tony. «Ho dato tutto me stesso e ho provato tanto dolore per non dover più stare nell’ombra. Ma voglio stare con te e so di doverlo fare alle tue condizioni.»

«Non sono le mie condizioni,» protestò Mac.

«Chiamalo come vuoi. Significa mantenere un segreto e nascondere ciò che c’è tra noi. La vera domanda è se tutto questo è migliore di non avere del tutto un noi.» Mac avrebbe voluto urlare “sì” con tutto il fiato che aveva in corpo, invece si morse la lingua. Tony lo guardò negli occhi. «L’altra domanda che devi fare a te stesso è se tu sei davvero disposto a prenderti un rischio del genere. Potrebbero scoprirci, nonostante tutti gli sforzi. Un’occhiata complice scambiata nel momento sbagliato, un biglietto lasciato in tasca, qualcuno che localizza il tuo cellulare in caso di emergenza. Potrebbe venir fuori in mille modi diversi. Per me non sarebbe un problema. Ma per te? Vuoi davvero rischiare?»

Mac schiuse le labbra, di nuovo sul punto di rispondere sì, ma esitò. Come siamo arrivati a questo punto così in fretta? Era sempre stato disposto a rinunciare a tutto ciò che poteva potenzialmente mettere a repentaglio il suo rapporto con Anna e il suo lavoro. Il sesso non era mai stato così importante. Ma ormai non si trattava solo di sesso; si trattava di Tony. E Tony era diventato in qualche modo troppo importante per poterlo mettere da parte. Smettere di respirare sarebbe stato meno doloroso.

«Non c’era mai stato nessuno prima, nessuno con cui poter essere semplicemente me stesso. Non ho mai avuto un amante, né uno scopamico. Ho sempre pensato che potessi farne a meno, ma ora… Non voglio. Persino con Mai, non ero… non sono mai riuscito a rilassarmi del tutto. Con te, invece, sono semplicemente io.»

«Già.» Tony gli sorrise. «Anche questo fa parte dell’essere gay, sai. Non si tratta solo di chi vuoi portarti a letto. Ma anche di chi vuoi al tuo fianco a livello emotivo nelle altre ventitré ore del giorno, quali braccia vuoi che ti stringano quando la vita ti getta addosso solo merda.»

Le tue. Mac non riuscì a dirlo, ma annuì.

Tony lo guardò per un lungo momento. «Okay. Quando il tizio che ha preso le impronte digitali dalla mia porta ti ridarà indietro le mie chiavi di scorta, potrai tenerle.» Sorrise ironicamente. «Però cambia il portachiavi. Luke ne usava uno del White Party. Non vorrai di certo andare in giro con un indizio del genere, per chi sa cosa significa.»

Mac si disse di non essere geloso, ma non poté fare a meno di chiedere: «Ci sei andato con lui?»

«No. Quel genere di eventi gay non fa per me e in ogni caso ci era andato prima che arrivassi io. O almeno così mi ha detto.» Tony scrollò le spalle, poi fece una smorfia. «Maledizione. Va bene, tieni le chiavi e vieni quando puoi. C’è abbastanza privacy nel mio palazzo; è così grande che nessuno riesce a controllare chi va e chi viene. Faremo tutto a porte chiuse, non usciremo assieme. E vediamo se riusciamo a farla funzionare.»

«Però voglio che passi del tempo anche con Anna,» disse Mac, cercando di esprimere a parole il pensiero che gli era rimasto in testa dopo quella domenica. «Voglio che frequenti qualcuno che è gay e dichiarato, qualcuno che possa imparare a conoscere, in modo da riuscire a capire che il mondo non è tutto come lo dipinge Brenda. Così, se un giorno scoprirà di me, potrà vedermi come una persona come te e non come uno dei mostri pervertiti dell’inferno di Brenda.»

«Possiamo portare Ben e Anna fuori, qualche volta. Degli accompagnatori in miniatura saranno utili per ricordarci che dobbiamo continuare a mantenere un basso profilo. Un nuovo tipo di copertura. Però aumenterebbe il rischio che qualcuno ci veda assieme e tragga le ovvie conclusioni.»

«Tu e Ben fareste solo del bene ad Anna.»

«Sai,» disse Tony con dolcezza. «Più tempo Anna passa con Brenda, più a fondo si radicheranno in lei quei valori. Se aspetti troppo, potrebbe non accettarti mai. Come per Ray. Conosceva molti altri maschi gay. Sapeva bene che non eravamo peccatori né dannati, eppure la religione occupava nella sua vita un posto così centrale da impedirgli di accettare se stesso. Se Brenda è così rigida, Anna dovrebbe essere una persona davvero molto forte per non credere alle stesse cose.»

Mac sospirò. «Tutto ciò che posso fare al momento è cercare di offrirle un diverso punto di vista quando è con me.»

«Già.» Tony diede una piccola scrollata di spalle. «Non sto cercando di dirti come crescere tua figlia e non ho nemmeno delle grandi idee. È solo che prevedo problemi all’orizzonte.»

«Per molto tempo, tutto ciò che volevo era solo superare la giornata e basta.»

«Okay. Invece ora?»

Mac si alzò e andò al lavello, mettendosi a trafficare con i piatti. Li lavò e li asciugò, quindi si voltò. Tony lo stava guardando con quegli occhi di un blu intenso.

«Voglio provarci,» disse Mac. «Con te.»

Tony si limitò a guardarlo a sua volta per un lungo momento, poi annuì. «Va bene.»

Mac si avvicinò al tavolo e affondò le mani nei capelli di Tony, quasi senza pensarci. Il bacio fu bollente, quasi disperato, prima di ritrarsi, indugiò sulla bocca del giovane, facendo scorrere piano le labbra sulla sua mascella e sul suo collo. Le dita di Tony gli grattarono la guancia.

«Quindi,» esclamò il ragazzo non appena Mac raddrizzò la schiena, «credi di potermi dare un passaggio a scuola senza far saltare la tua copertura?»

«Penso che sia fattibile,» rispose lui. Il petto gli sembrava sul punto di esplodere stretto in quella morsa di bisogno, ansia, speranza e terrore. Doveva essere diventato pazzo. «Voglio che mi prometti che sarai prudente oggi. Non rimanere da solo con nessun uomo, studente o insegnante che sia.»

«Sei geloso?» lo prese in giro Tony.

«Il solito ragazzaccio,» disse Mac con enfasi. «Non provocarmi. Apri bene le orecchie. Non entrare in ascensore da solo con un’altra persona. Non rimanere in classe con un solo studente alla fine delle lezioni, nemmeno per farti aiutare. Se proprio hai bisogno di aiuto, chiedi anche a una seconda persona di fermarsi. In pausa pranzo, non rimanere da solo nell’aula; vai a mangiare dove si recano gli altri. Ti verrò a prendere, oppure manderò un’auto. Non accettare passaggi da nessuno.»

«Non stai esagerando?»

«Questo tizio sa bene che ti ha mancato con la macchina, è venuto a cercarti a casa e gli piacciono i coltelli. No, non sto per niente esagerando.» Mac ricordava bene com’erano state quelle ore in cui aveva creduto di perdere Tony. Non voleva ripetere l’esperienza. Gli rivolse uno sguardo minaccioso per sottolineare il concetto.

Tony, invece, scoppiò a ridere. «Beh, se non altro, se proprio mi viene voglia di fare qualcosa di stupido e da vero macho, mi ricorderò che mi hai detto di non farlo.»

«Lo fai spesso?»

«Che cosa?» chiese Tony. «Lo stupido o il vero macho?»

«Buon Dio.» Mac si piegò per un altro bacio, poi fece un passo indietro. «Fai attenzione, okay?»