capitolo 2

 

Washington, ore 00.04

 

Kat riattaccò il telefono e si alzò dal tavolo. Lanciò un'occhiata alla finestra della stanza d'ospedale attigua. Aveva terminato una teleconferenza col direttore Crowe e con Sean McKnight. I due erano nell'ufficio di Painter, occupati a combattere una guerra tra dipartimenti dal loro bunker.

Tutto ciò per decidere il destino di una bambina.

Kat aveva offerto il suo aiuto, ma non poteva fare di più. Spettava ai due uomini trovare un modo per contrastare John Mapplethorpe.

Sapeva dove poteva essere più utile.

La porta era sorvegliata da un ausiliare armato del corpo sanitario. Lei si fermò davanti al finto specchio e guardò nella stanza.

Appoggiata ai cuscini, Sasa era seduta con un libro da colorare in grembo e una scatola di matite Crayola. Con una flebo ancora nel braccio, colorava una pagina, l'espressione assorta ma serena.

Sasa alzò d'improvviso gli occhi dal disegno e la guardò fisso. Dall'altra parte il vetro era a specchio: non c'era modo che la bambina potesse vederla. Eppure Kat non riuscì a togliersi dalla testa la sensazione che lei riuscisse a scorgerla.

Jurij era seduto accanto al letto. Aveva salvato Sasa, dimostrando le sue capacità. Sembrava sollevato quanto Kat del recupero della bambina. Contento e sfinito, era abbandonato sulla sedia, il mento sul petto, assopito.

Kat si girò e fece un cenno alla guardia. Questa aveva già sbloccato la porta e la spalancò per farla entrare. McBride era seduto sempre al solito posto. Si era assentato solo per fare un paio di telefonate e andare alla toilette, sempre sotto sorveglianza.

Sull'altro lato del letto rispetto a Jurij, c'erano Lisa e Malcolm, con in mano dei grafici. Erano intenti a confrontare note e numeri, criptici come un codice segreto.

Lisa la salutò con un sorriso quando lei entrò. «II recupero è straordinario. Potrei passare anni a studiare questo trattamento.» «Ma è solo un rimedio provvisorio», osservò Kat, accennando a Jurij. «Non una cura.» Lisa si fece seria in volto e si girò verso la bambina. «Già...» Jurij le aveva messe al corrente della prognosi a lungo termine di Saia. L'impianto di potenziamento le accorciava la vita. Come la fiamma di una candela, l'avrebbe consumata, senza lasciare niente di lei. Quanto più grande era l'abilità, tanto più intensa era la fiamma.

Kat aveva chiesto a Jurij quanto tempo credeva che sarebbe vissuta. La risposta l'aveva impietrita.

«Col suo livello di abilità, altri quattro o cinque anni, nel migliore dei casi.» Kat non voleva accettare quella diagnosi.

Al contrario, McBride pareva sollevato, convinto che gli scienziati americani avrebbero sicuramente raddoppiato quell'aspettativa di vita, il che significava che Sasa non avrebbe compiuto vent'anni.

«L'unica speranza per lei è rimuovere l'impianto», proseguì Lisa. «Perderebbe la sua abilità, ma sopravvivrebbe.» Alle loro spalle, McBride ribattè: «Può darsi che sopravviva, ma in quale stato? Il potenziamento, oltre ad amplificare la sua abilità savant, riduce anche al minimo i sintomi dell'autismo. Toglietele l'impianto, e resterà una bambina isolata dal mondo».

«Meglio che morta», rimbeccò Kat.

«Ah, sì?» la sfidò McBride. «Chi è lei per giudicare? Con l'impianto ha una vita piena, per breve che sia. Molti bambini nascono segnati sin dall'inizio. Leucemia, AIDS, difetti congeniti. Non dovremmo cercare di offrire loro la qualità di vita migliore invece della quantità?» Kat si accigliò. «Volete solo usarla.» «Da quando in qua il vantaggio reciproco è un male?» Kat gli voltò le spalle, indispettita dalle sue argomentazioni e dalle sue giustificazioni. Era atroce. Come faceva quell'uomo a razionalizzare una cosa del genere? Soprattutto con la vita di una bambina in gioco?

Sasa continuò a colorare il suo libro. Disegnava con una matita verde scuro. Spostava svelta la mano sulla pagina, colorando un punto, poi un altro, completamente a caso.

«Le fa bene colorare?» domandò Kat.

Jurij si scosse. «Un po' di sfogo le fa bene dopo un episodio del genere. E come aprire una valvola. Finché l'impianto non è in funzione, un'attività così tranquilla la rasserena mentalmente.» «Be', ha un'aria felice», ammise Kat.

Mentre disegnava, Sasa aveva un'espressione distesa con l'ombra di un sorriso. Si raddrizzò e allungò una manina verso Kat. Disse qualcosa in russo e la tirò per la manica.

Kat lanciò uno sguardo a Jurij.

Lui rispose con un sorriso tirato. «Ha detto che anche lei dovrebbe essere felice.» Sasa spinse il libro verso Kat, come se volesse essere aiutata a colorare le pagine. Lei si lasciò cadere su una sedia e prese il libro. Aggrottò le sopracciglia quando vide che la bambina non aveva riempito le figure, ma aveva disegnato su una pagina vuota. Con impressionante chiarezza aveva disegnato una scena: un uomo che spingeva con una pertica una zattera di legno in mezzo a una foresta buia, con abbozzate altre figure sedute alle sue spalle.

Le mani di Kat presero a tremare. Guardò l'uomo che spingeva con la pertica. Si sforzò di capire. Sembrava Monk. Ma non ricordava che lui fosse mai stato su una zattera. Perché la bambina aveva disegnato una cosa del genere?

Sasa dovette percepire la sua angoscia. Il sorriso si spense, lo sguardo smarrito. Le labbra presero a tremare, come se temesse di aver fatto qualcosa di sbagliato. Girò gli occhi da Jurij a Kat. Mormorò qualcosa in russo, in tono di scusa, spaventata.

Jurij le andò subito vicino e la rassicurò con la voce pacata di un nonno. Kat cercò di controllarsi per il bene della bambina. Tuttavia il cuore le batteva all'impazzata. Rammentò di aver notato Jurij irrigidirsi quando aveva visto il disegno precedente di Sasa. Allora, per una frazione di secondo, aveva avuto l'impressione che lui avesse riconosciuto il volto sul foglio, benché fosse impossibile.

McBride si alzò e si avvicinò al letto, chiaramente incuriosito.

Kat lo ignorò. Non era affar suo. Fissò invece gli occhi su Jurij. L'uomo incontrò il suo sguardo sopra il capo di Sasa. Come la bambina, aveva un'espressione contrita dipinta sul volto.

Perché aveva...

Un'esplosione smorzata fece tremare tutta la struttura, rimbombando dall'alto. Le sirene di allarme presero a ululare. Puntarono tutti lo sguardo al soffitto e Kat balzò in piedi.

Una frazione di secondo troppo tardi.

McBride si avventò contro la dottoressa Lisa Cummings e l'afferrò per la treccia bionda. La tirò a sé mentre indietreggiava verso la parete. Kat Bryant tentò di agguantarlo, ma senza riuscirci. McBride andò a sbattere contro l'angolo, lontano dalla porta e dal finto specchio.

Con l'altra mano tirò fuori il cellulare dalla tasca della giacca. Premette un tasto laterale e la metà superiore dell'apparecchio gli si aprì di scatto tra le dita, rivelando una piccola canna. La ficcò sotto il mento di Lisa. «Non ti muovere.» Le pistole camuffate da telefono cellulare erano l'incubo delle forze di sicurezza. Il congegno che Mapplethorpe gli aveva fornito era all'avanguardia. Poteva anche ricevere chiamate. Aveva superato la perquisizione e lo scanner della sicurezza senza il minimo ostacolo. Caricata con proiettili calibro 22, purtroppo l'arma aveva un limite.

«Ho cinque colpi! Ucciderò prima il dottore, poi la bambina.» Una guardia puntò una pistola verso di lui, ma McBride continuò a farsi scudo col corpo di Lisa. «Getta la pistola !» L'uomo non si mosse, l'arma non vacillò.

«Nessuno deve morire!» McBride indicò col capo verso l'alto. «Vogliamo solo la bambina. Perciò getta la pistola!» Kat si raddrizzò dal mezzo ruzzolone seguito al tentativo d'afferrarlo. Gli era sfuggito per un soffio. McBride avrebbe dovuto tenerla d'occhio. Lei ricambiò lo sguardo, studiandolo come un libro. Tuttavia la donna fece cenno alla guardia di abbassare l'arma.

«Gettala e falla scivolare qui con un calcio!» ordinò McBride.

Dopo un altro cenno di Kat, la pistola scivolò fino ai suoi piedi.

Il compito di McBride era semplice: fare la guardia alla bambina fino all'arrivo di Mapplethorpe e delle sue forze. «Dobbiamo solo aspettare. Perciò non facciamo gli eroi.» Quando l'esplosione fece tremare il bunker sotterraneo, Painter si girò d'istinto verso i monitor a muro sulla sua sinistra. Sul grande schermo era inquadrata la stanza di Sasa.

Il cuore gli martellava nel petto e l'ira gli offuscava la vista. Attivò l'audio con un pugno alla cieca sulla tastiera.

«Perciò non facciamo gli eroi.» Echeggiarono degli spari. Painter attivò la telecamera del primo piano della Sigma e la visualizzò sullo schermo dietro la scrivania. Staccò gli occhi da Lisa e controllò il monitor. Il corridoio era saturo di fumo. Figure munite d'elmetti, giubbotti di Kevlar e maschere correvano curve nella cappa di fumo, i fucili spianati.

«Non posso credere alla faccia tosta di quel maledetto bastardo!» esclamò Sean.

Non era necessario immaginare a chi si riferisse.

Mapplethorpe.

«Vogliono la bambina», ringhiò minaccioso.

Un megafono rimbombò dall'ultimo piano della Sigma. «Tutti a terra! Qualunque tentativo di resistenza sarà soffocato con le armi.» Sean si avvicinò a Painter. «Non può essere un'operazione autorizzata. Avremmo prima ricevuto l'ordine di non intervento. Quel figlio di un cane è impazzito. Sai che cosa devi fare.» Painter volse di nuovo l'attenzione su Lisa. Vide l'arma puntata sotto il suo mento: il collo delicato che baciava ogni mattina. Annuì con lentezza. La Sigma disponeva di un sistema di autoprotezione nel caso fosse attaccata da una forza ostile.

Ma prima doveva mettere in salvo i suoi colleghi. Quella era una guerra tra Painter e Mapplethorpe. Alzò il telefono. «Brant.»

«Sì!» rispose prontamente il suo assistente.

«Protocollo Alfa.» «Sissignore.» Echeggiò una nuova sirena, che ordinava lo sgombero di tutto il personale dall'uscita di emergenza più vicina. Mapplethorpe voleva solo la strada libera per prendere la bambina. Painter aveva intenzione di fornirgliela.

Sean si diresse alla porta. «Vado su. Tenterò un accordo, ma se non dovessi riuscirci...» «Va bene.» Painter aprì un cassetto e tirò fuori una pistola Sig Sauer P220. «La prenda.» Sean scosse la testa. «Non saranno le armi a tirarci fuori da questa grana.» II suo amico uscì e Painter studiò lo schermo, impugnando la pistola. Aveva un ultimo obbligo verso la Sigma. Si spostò al computer e battè sulla tastiera il codice del sistema di autoprotezione, infine pigiò il pollice sul lettore di impronte digitali.

Comparve un quadrato rosso, sopra una pianta azzurra dell'impianto di ventilazione. Il conto alla rovescia predefinito era fissato in quindici minuti. Painter raddoppiò il tempo e lo sincronizzò col suo orologio da polso così che scattasse all'una di notte. Girò lo sguardo tra la porta e i monitor a muro. Doveva portare a termine un sacco di cose in pochissimo tempo. Eppure...

Battendo svelto sulla tastiera, Painter inserì il codice finale di attivazione. Il conto alla rovescia partì.

Con la pistola in pugno, si precipitò alla porta.