capitolo 3

 

Washington, ore 06.03

 

L'uomo anziano si svegliò. La luce intensa gli feriva gli occhi. Con un gemito di dolore, girò il capo dall'altra parte. La nausea gli fece venire un conato di vomito.

Sbattè le palpebre per vedere nella luce abbagliante e si ritrovò legato al letto. Sebbene coperto da un lenzuolo, sapeva di essere nudo. La camera era completamente bianca, spoglia, asettica. Nessuna finestra. Solo una porta con una finestrella munita di sbarre. Chiusa.

Accanto al letto era seduta una persona, la giacca appesa allo schienale della sedia, le maniche rimboccate. Teneva le gambe accavallate e le mani unite in grembo con aria compassata. «Buongiorno, Jurij.» Trent McBride gli sorrise, freddo come il marmo.

Jurij abbassò gli occhi sul petto, ricordando di essere stato colpito con un dardo narcotizzante.

«Ti è stato somministrato uno stimolante», spiegò McBride. «Devi essere vigile, visto che abbiamo molte cose da discutere.» «Kak... ya...» fece lui, la lingua impastata, la gola riarsa.

Con un sospiro, McBride prese un bicchiere con una cannuccia appoggiato su un comodino e offrì un sorso a Jurij.

Il liquido tiepido bruciava come una delle vodke migliori. Gli snebbiò il cervello e gli lavò la lingua impastata.

«Trent, che stai facendo?» Jurij strattonò le cinghie che gli bloccavano le braccia.

«Sto colmando le lacune.» McBride premette il pulsante dell'interfono sulla testata del letto. «Come ho accennato, non sei stato sollecito a fornire tutti i dettagli delle tue ricerche a Celjabinsk 88. Dobbiamo rimediare a questa mancanza.» «Che cosa vuoi dire?» Jurij si sforzò di fare finta di non capire, ma la voce tremula lo tradì. Avrebbe voluto essere un uomo più forte.

«Mmm...» Trent si sporse e levò il lenzuolo che copriva Jurij. «Penso che potremmo benissimo chiudere questo capitolo spiacevole e parlare come veri colleghi.» Jurij abbassò gli occhi sul proprio corpo nudo. La pelle pallida era costellata di piccole ventose, grandi come una moneta da dieci centesimi, sormontate da un piccolo circuito elettronico sferoidale da cui spuntava una sottilissima antenna. Gli ricoprivano le gambe dall'alluce all'inguine, le braccia dal polpastrello alla spalla. Il petto era un reticolo di ventose appiccicose.

Prima che potesse domandare che cosa fossero, la porta della camera si aprì ed entrò una figura smilza. Jurij dovette fare mente locale un attimo per ricordare il suo nome, sebbene lo avesse appena conosciuto. Il dottar James Chen. Avevano usato l'ufficio del ricercatore per la riunione al Walter Reed.

La porta si chiuse di scatto, insonorizzata.

Chen andò verso di loro. Teneva un computer portatile aperto. «È tutto tarato.» Quando l'uomo si mise a sedere e appoggiò il portatile sul comodino accanto al letto, Jurij vide di sfuggita lo schermo prima che l'altro lo girasse dall'altra parte. Era la figura stilizzata di un uomo a braccia tese costellato di cerchietti luminosi.

«Elettroagopuntura», spiegò McBride, accennando con una mano alla serie di ventose. «Microelettrodi inseriti nei punti di agopuntura lungo i meridiani principali. Non voglio dare a intendere che so tutto. L'esperto in questo campo è il dottar Chen. Ha fatto notevoli progressi usando questa tecnica per alleviare il dolore, permettendo la chirurgia da campo senza l'anestesia generale. Un lavoro brillante e ragione per cui è diventato un Giasone. In seguito l'ho reclutato nelle nostre ricerche congiunte per via del suo uso innovativo dei microelettrodi, come quelli che hai usato per i tuoi soggetti di prova.» McBride toccò una delle antenne con un dito. Jurij sentì una fitta di dolore. «Abbiamo scoperto che ciò che si può usare per attenuare il dolore si può usare anche per amplificarlo.» «Trent... no...» supplicò Jurij.

McBride si girò verso Chen e indicò una delle ventose vicino al ginocchio, poi un'altra vicino all'inguine.

Il ricercatore sollevò uno stilo e tracciò una riga sullo schermo del computer.

Un dolore atroce dilaniò la gamba di Jurij. Come se qualcuno gli avesse piantato un bisturi nel ginocchio e lo avesse tirato su fino all'inguine, incidendo fino all'osso. Poi, di colpo, il dolore sparì.

Col fiato mozzo, Jurij abbassò gli occhi, aspettandosi di vedere il sangue fuoriuscire, la carne fumare. Ma non vide che la pelle pallida.

McBride indicò di nuovo con la mano la serie di ventose. «Possiamo fare la stessa cosa con qualunque altro di questi punti. Possiamo scuoiarti vivo senza torcerti un capello. Un intervento virtuale dove tutto il dolore è reale.» «Perché?» Nonostante l'espressione mite, gli occhi di McBride fiammeggiavano come tizzoni ardenti. «Per avere risposte. Cominciamo con ciò che ci hai nascosto dei bambini.» «Non...» McBride si volse verso Chen.

«No!» gridò Jurij.

McBride si girò di nuovo verso di lui. «Niente giochetti. Siamo riusciti a riprodurre i tuoi dispositivi di potenziamento senza difficoltà. I progetti erano molto precisi, ma, in definitiva, poco innovativi. Nient'altro che un sofisticato dispositivo SMT. Abbiamo tentato di riprodurre i vostri risultati, usando due autistici savant in Canada. I nostri esperimenti sono stati... be', deludenti.» Jurij rabbrividì. Quindi gli americani erano più vicini di quanto Savina avesse immaginato. Avevano già riconosciuto la peculiare situazione di Celjabinsk 88.

«Allora, che cosa ci hai nascosto?» insistette McBride.

Jurij esitò un secondo di troppo. Una violenta staffilata gli lacerò il petto. I muscoli si contrassero, la schiena s'inarcò sul letto. Gridò così forte da non emettere nessun suono. Quando il dolore cessò, lui continuò a tremare e rabbrividire per i postumi. Sentì il sapore del sangue sulla lingua. Ma non ebbe il coraggio di prendere altro tempo. Che importanza aveva se gli americani lo scoprivano? Era troppo tardi ormai. «II DNA... Il loro DNA.» McBride si fece più vicino. «Che cosa vuoi dire?» «Il segreto sta nel genoma dei soggetti. Lo abbiamo scoperto solo dodici anni fa.» Jurij spiegò a grandi linee, incalzato dalle domande di McBride. Raccontò della scoperta nel 1959 di un gruppo di savant straordinari: bambini zingari. Una linea genetica che attraversava la storia dei romani. I chovihani. I clan avevano tenuto segreta quella stirpe e avevano tentato di preservarla mediante le unioni tra consanguinei, che avevano dato come risultato aberrazioni genetiche. Raccontò di come i russi si erano impossessati di quel patrimonio genetico per integrarlo nelle loro ricerche sulla parapsicologia.

«Ma non c'era niente di mistico», spiegò Jurij. «I bambini erano soltanto dei savant, ma a livello prodigioso. Abbiamo tentato di potenziare le loro abilità: prima con l'incrocio selettivo, poi con la bioingegneria. Ma nel corso degli anni, con lo sviluppo di test genetici più raffinati, siamo stati in grado di individuare con esattezza che cosa rendeva unici questi bambini.» McBride fece cenno di proseguire.

«L'autismo è determinato da un insieme di fattori ambientali associati a un numero variabile di dieci geni. Ciò che abbiamo scoperto è che nei savant più dotati, i nostri soggetti di classe Omega, erano presenti tre geni specifici. Tre indicatori genetici. Quando si presentano nella sequenza giusta, associata a un autismo lieve o moderato, si manifesta una straordinaria abilità savant,» «Che voi avete ulteriormente potenziato», suppose McBride. «Creando una tempesta perfetta di genetica e bioingegneria.» Jurij annuì.

«Geniale. Davvero geniale. È stata una fortuna, quindi, che abbiamo usato Archibald Polk per far uscire allo scoperto uno dei vostri soggetti Omega. E una ragione di più per catturare quella bambina.» Jurij ebbe un sussulto. «Sasa non è in mano vostra, vero?» McBride aggrottò le sopracciglia e si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia. «No, ma un'ora fa abbiamo individuato il luogo dov'è probabile che sia tenuta. E, a quanto pare, lo stesso gruppo ha messo una squadra sulle tracce di Archibald. Per fortuna abbiamo provveduto a cancellarle completamente.» «Chi ha preso Sasa?» «Vuoi saperlo?» McBride fulminò Jurij con lo sguardo. Era chiaro che era stato punto sul vivo. «Ora te lo faccio vedere.» Fece un cenno a Chen.

No!

Nel petto di Jurij divampò il fuoco, che gli attraversò la pelle a zigzag, collegando un punto all'altro, e formandogli un simbolo spigoloso sul petto, una lettera, una infuocata lettera greca.

Fra gli atroci spasmi di Jurij, McBride ringhiò: «Sarà un problema ancora per poco tempo».