capitolo 8
†
Agra, India, ore 14.35
Gray camminava a passo spedito. Quanto più si avvicinava all'incrocio principale, tanto più aumentava l'ingorgo. Ora i pedoni erano pigiati come sardine e sgusciavano tra i lentissimi veicoli. La via principale era stata chiusa a causa della festa e il traffico era stato deviato nelle strade secondarie.
I clacson strombazzavano, i campanelli delle biciclette squillavano, la gente urlava e imprecava.
Dietro di loro, il rombo delle motociclette si era ridotto a un rauco borbottio. Anche gli inseguitori erano sprofondati in quel pantano. Nonostante ciò, Gray badava a tenere la testa bassa.
Kowalski gli si fece più vicino, chinandosi sotto il muso di un carro a cavalli. «Alcuni di loro sono a piedi.» Gray diede un'occhiata alle proprie spalle. Le tre motociclette nere avevano perso terreno un po' alla volta. I tre passeggeri erano smontati e ora si facevano largo in mezzo alla folla. Due fiancheggiavano la strada e uno scendeva al centro della via.
Da tre le minacce erano diventate sei.
«Si mette male.» Gray elaborò in fretta e furia un piano, e disse a Kowalski cosa fare e dove ritrovarsi. «Tu prendi la strada bassa. Io l'altra.» II gigante si acquattò davanti a un camion. Fissò lo stereo di cavallo, asino e cammello sotto i piedi. «Come mai devo prendere io la strada bassa?» «Perché io sono vestito di bianco.» Scrollando la testa, Kowalski si chinò ancora più giù, una mano sull'asfalto. Così acquattato, prese a camminare all'indietro, verso l'hotel.
Tenendo fermo il cappello in testa, Gray saltò sul portabagagli di un taxi e si mise a correre sull'auto, gli stivali che rimbombavano sul tetto e sul cofano. Dopodiché balzò sull'auto successiva della fila e proseguì in direzione della festa, saltando da un tetto all'altro, taxi e carri, seguito da una scia di grida e pugni agitati in aria. Ma nel traffico congestionato era quella la strada più veloce.
Gray lanciò un'occhiata indietro. Come aveva sperato, gli inseguitori lo avevano notato. Per non perderlo di vista, anche i tre a piedi erano saliti sui tetti delle macchine. Lo inseguivano da tre direzioni diverse, ma, perlomeno, erano in una situazione troppo confusa per arrischiarsi a sparare.
Piegato in due, e usando il bastone di Masterson per mantenersi in equilibrio e sorreggersi, Gray raggiunse un salto dopo l'altro l'allegra e chiassosa festa. Doveva attirare i tre inseguitori lontano dalle motociclette.
Divide et impera.
Scivolando sopra il tetto di un van, Gray perlustrò con gli occhi l'immenso mare umano dietro di sé. Solo che le acque di quel mare erano solcate da un altro squalo. Gray non riuscì a scorgere Kowalski, ma ne vide l'opera. Più indietro, la motocicletta in testa avanzava a poco a poco lungo il fianco di un camion. Quando raggiunse il muso del mezzo, il motociclista si raddrizzò di colpo, il corpo scosso da sussulti. In lontananza Gray udì una serie di colpi in rapida successione, come i petardi che echeggiavano dalla festa.
Il conducente e la moto affondarono nel mare ribollente.
Kowalski rimase nascosto. Con gli occhi degli inseguitori inchiodati su Gray in fuga, la guardia del corpo non ebbe difficoltà a tornare indietro, fare la posta e poi puntare il fucile M4 rubato contro la schiena del motociclista al suo passaggio. A bruciapelo, senza far troppo rumore.
Ma lo squalo non aveva finito di cacciare.
Gray lasciò Kowalski al suo truce lavoro e proseguì verso la gran confusione della festa, tra canti, danze, acclamazioni, risa e grida. La musica dei corni echeggiava al suono dei cembali. Era il Janmashtami, la festa che celebrava la nascita di Krishna.
Dalla sua posizione di vantaggio, vide gruppi di gente che danzavano la Ras Lila, una danza tradizionale manipuri che descrivere la giovinezza maliziosa di Krishna quando amoreggiava con le mandriane. Mischiati tra i gruppi di persone ammassate erano anche squadre di giovani che formavano piramidi umane, nel tentativo di raggiungere e rompere giare appese a corde tese in alto sopra la strada. Le giare, chiamate dahihandi, erano piene di cagliata e burro. Il rito rappresentava le prodezze che Krishna aveva compiuto da bambino, quando lui e i suoi amici d'infanzia andavano a rubare il burro ai vicini.
Gray udì la tradizionale acclamazione d'incoraggiamento.
«Govinda! Govinda!» Uno dei nomi di Krishna.
Gray correva sui tetti dei veicoli. Con la strada bloccata e il traffico deviato, la sua corsa terminò nella via della festa. Balzò giù dal cofano dell'ultimo taxi.
Quando atterrò in mezzo alla gente festante, si tolse il cappello e la giacca bianca, eliminando il travestimento e confondendosi tra la folla. Col bastone da passeggio stretto in mano e con la pistola premuta contro la coscia si fece largo a spintoni nella calca. Puntava al margine della festa, dove i negozi e i carri che vendevano prodotti alimentari gremiti di clienti fiancheggiavano la piazza.
Secondo il piano di Gray, doveva riunirsi a Kowalski all'angolo nord ovest della piazza. Non si sarebbero arrischiati a proseguire fino al punto di rendez vous al forte finché non avessero seminato gli inseguitori.
Gray raggiunse un edificio con una scala antincendio. La scala di metallo era abbassata, i balconi erano gremiti di persone che si godevano la festa sottostante. Gray salì al secondo piano per avere un buon punto d'osservazione e cercare Kowalski.
Da lì, vide uno degli inseguitori che balzava giù dal cofano di un camion e s'infilava nella calca. Gli altri due compagni erano già in mezzo alla folla variopinta, facilmente riconoscibili grazie ai caschi neri. Uno si chinò e raccolse un cappello bianco tutto sporco e calpestato. Lo gettò via con un moto di stizza.
Gray sperava si rendessero conto che la situazione era disperata e facessero dietrofront. Ma niente era mai così facile.
Kowalski s'aprì un varco nella folla come un caterpillar. La giacca del completo era ridotta a uno straccio. Aveva le mani libere, la guancia sporca di sangue. Ma la sua caratteristica più spaventosa era l'altezza. Sovrastava tutti di parecchie spanne. Perlustrava con gli occhi la folla schermandosi dal sole con una mano mentre si faceva largo a spintoni tra la gente.
Solo che, questa volta, lo squalo non era Kowalski.
Uno degli uomini col casco lo riconobbe e puntò nella sua direzione. Calarono su di lui da ogni direzione.
Si metteva male.
Gray si girò, ma il balcone era ancora più affollato di prima, la scala gremita di gente. Non sarebbe mai riuscito a raggiungere in tempo il centro della piazza.
Allora montò sul bordo della ringhiera e spiccò un salto... nel vuoto.
In alto, un grosso cavo sporco di grasso attraversava la piazza. Gray si agganciò col becco d'avorio del bastone da passeggio. Lo slancio e il dondolio delle gambe lo fecero scivolare lungo il cavo, teso al centro dal peso della grossa giara del dahihandi. Tenendosi aggrappato al bastone con una mano, abbassò l'altro braccio.
Quando passò coi piedi sopra la testa di uno degli inseguitori col casco, sparò tra le gambe. L'impatto gettò l'uomo a terra, il casco ridotto in frantumi come un guscio di noce.
Dopodiché Gray raggiunse il vertice della piramide umana che stava cercando di prendere la giara. Buttò giù l'uomo più in alto e ne prese il posto. Mentre faceva ogni sforzo per non cadere, il bastone gli sfuggì di mano e precipitò lungo un lato della piramide... con la pistola.
La gente lo fissava con gli occhi sbarrati.
Compresi gli ultimi due inseguitori.
Disarmato, Gray si bilanciò sulle spalle dell'uomo sotto di lui e afferrò la base della grossa giara, la sganciò e, rivolgendo una muta preghiera a Krishna, la lanciò sull'inseguitore più vicino.
La sua preghiera fu accolta.
La pesante giara centrò in pieno la faccia rivolta ali'insù, esplodendo in una pioggia di cocci e burro. L'uomo crollò a terra.
Il terzo uomo sollevò il braccio, puntando una pistola. Tra le grida della gente, sparò due colpi in direzione di Gray... ma lui non era più là sopra. La piramide umana stava crollando sotto i suoi piedi e le pallottole gli sfiorarono la testa durante la caduta.
Atterrò in un groviglio di braccia e gambe.
Gray si dimenò di qua e di là, in cerca di un appiglio. L'inseguitore si diresse a grandi passi verso il mucchio umano, la pistola puntata. Prima che potesse sparare, un lampo bianco gli balenò davanti agli occhi. La sua testa rimbalzò all'indietro con un crac, colpito in faccia dal bastone con becco d'avorio di Masterson. Kowalski lo aveva recuperato e l'aveva brandito come un battitore di baseball.
Con uno schizzo di sangue, l'uomo cadde a terra.
Kowalski gli strappò di mano la pistola e allungò il bastone sopra il groviglio di membra umane. Gray afferrò l'impugnatura e si districò con l'aiuto dell'altro.
«Ucciso dal burro», commentò il gigante. «Mica male, Pierce. 'Sta' attento al colesterolo' ora ha un nuovo significato.» Nella piazza era scoppiato il pandemonio. La gente fuggiva in ogni direzione. La polizia in uniforme si faceva strada a stento nella fiumana di persone. Gray e Kowalski, ora pigiati nella folla, si lasciarono trascinare dalla corrente fuori dalla piazza e nelle strade circostanti.
Di lì a qualche minuto, l'enorme mole del forte di arenaria rossa si stagliò davanti a loro, arroccato sulle rive del fiume Yamuna. Si diressero verso l'antica struttura fortificata, il forte fatto costruire da Akbar, una delle principali attrazioni turistiche della città, seconda solo al Taj Mahal.
Nel viale antistante si dipanava una lunga fila di taxi, van e limousine.
«Pierce!» gridò una voce.
Shay Rosauro agitò la mano da dietro una limousine, una lunga balena bianca. Luca era accanto alla portiera aperta. Masterson ed Elizabeth erano già saliti.
«Non passa certo inosservata», ironizzò Gray, squadrando l'auto.
«Dovremmo starci tutti», spiegò Shay con un sorrisetto. «Del resto, chi ha detto che non possiamo concederci un po' di lusso?» «Sa quel che dice», approvò Kowalski, andando davanti all'auto. «Magari me la lasciano guidare.» «No!» esclamarono Gray e Shay all'unisono.
Con un'espressione ferita, l'omone tornò indietro e salì sul sedile posteriore della limousine. Shay lo seguì.
Prima di salire con loro, Gray controllò i marciapiedi e le strade. Sembrava che nessuno prestasse loro attenzione. Forse erano riusciti a seminare del tutto ì loro inseguitori. Girò il capo e guardò dall'altra parte dell'ansa del fiume.
In lontananza, il marmo bianco del mausoleo brillava nella luce del sole, sereno ed eterno, addormentato lungo le acque risplendenti.
Gray girò le spalle al Taj Mahal.
Solo i morti dormivano così sereni.
Quando salì sul sedile posteriore della limousine, Masterson restò a bocca aperta per lo sdegno. «Che cos'ha fatto al mio bastone?» Gray si abbandonò sul sedile. Il becco d'avorio del XVIII secolo era sporco di sangue. I raffinati intarsi del bastone erano stati levigati dallo sfregamento sul cavo.
«II bastone è l'ultimo dei suoi pensieri, professore», rispose Gray.
Masterson lo fulminò con lo sguardo quando la limousine si mise in marcia.
Gray indicò l'orecchio bendato dell'uomo. «Qualcuno sta cercando di ucciderla. La domanda, dottor Masterson, è perché?»