capitolo 12
†
Urali meridionali, ore 17.49
In piedi su un crinale, Monk fissava i monti in lontananza. Col sole al tramonto, la valle sottostante era immersa in fitte ombre. «Dobbiamo attraversarla per forza? Non c'è modo di girarci intorno?» Konstantin ripiegò la carta geografica. «Non senza fare un giro di centinaia di chilometri che richiederebbe molti giorni. La miniera che dobbiamo raggiungere dall'altra parte del lago Karacaj si trova a soli venti chilometri da qui.» Monk abbassò gli occhi sulla valle paludosa. Il fiume che li aveva trasportati sin lì si gettava da quell'ultimo crinale e alimentava l'ampia valle sottostante. Insieme con molti altri ruscelli e torrenti. Nella luce radente del sole, le cascate e le cateratte risplendevano come fiori di mercurio. Ma, coperto dall'ombra dei monti, il fondovalle era tappezzato di boschi e vasti tratti di buie pallidi cinte da canneti ed erba. Sarebbe stato difficile attraversarlo e, una volta calata la notte, sarebbe stato facile perdersi.
Tirò un profondo sospiro. Non avevano altra scelta che attraversare le paludi. Si girò verso Kiska e Pètr, seduti su un tronco a poca distanza. Sembravano ancora due pulcini bagnati. Si erano fatti portare dal fiume per quasi mezzo chilometro, sinché il freddo non li aveva spinti a riva. Monk era uscito sulla sponda opposta del fiume per sfuggire alle tigri. L'acqua avrebbe dovuto far perdere le loro tracce, e il fiume si allargava a mano a mano che scendeva a valle. I felini avrebbero dovuto attraversarlo per individuare il loro odore.
E nelle ultime due ore Pètr era rimasto in silenzio, chiaramente in pensiero per Marta. Ma almeno il bambino non dava segni di paura, né di avvertire la presenza delle tigri nelle vicinanze.
Fuori dell'acqua, Monk aveva ordinato a tutti di levarsi gli indumenti, strizzarli il più possibile e indossarli di nuovo. La scarpinata di due ore durante la parte più calda della giornata aveva contribuito ad asciugare gran parte degli abiti. Ma ora si sarebbero bagnati di nuovo, e il sole stava tramontando. Sarebbe stata una notte gelida.
Konstantin aveva ragione, tuttavia. Non potevano fermarsi ora. Non era prudente restare sul terreno solido con due tigri che si aggiravano per i boschi. Perlomeno la palude avrebbe offerto un po' di riparo.
Monk prese un sentiero che scendeva lungo il ripido crinale. Aiutò Pètr, mentre Konstantin teneva sua sorella per mano. S'inoltrarono nella fredda penombra.
Gli alberi erano più fitti lì, in prevalenza pini e betulle. Ma, nel labirinto di ruscelli che confluivano nella palude, i salici si chinavano tetri, le chiome che sfioravano le acque.
Monk si fece largo a forza nel sottobosco, un groviglio di cespugli e arbusti di ginepro. Ma gli ostacoli diminuivano a mano a mano che il terreno cedeva il passo alla palude. Di lì a poco si ritrovarono a passare da una macchia di muschio all'altra, il che non era difficile, considerato che il muschio cresceva rigoglioso in quel luogo. Il tappeto verde lanuginoso ricopriva gli affioramenti rocciosi e saliva su per i tronchi bianchi delle betulle, quasi che volesse trascinarli sotto terra.
Cominciarono a rallentare l'andatura, letteralmente impantanati nelle pozze d'acqua stagnante che li circondavano.
Dopo uno strido penetrante, un'aquila passò ad ali spiegate.
Andava a caccia.
Rammentò a Monk i pericoli alle loro spalle.
Per una volta, i bambini più piccoli sembravano adatti a quel terreno. Più leggeri, galleggiavano sul limo che risucchiava i piedi, mentre Monk doveva stare attento a ogni passo se non voleva perdere uno stivale.
Per un'ora arrancarono a passo di lumaca, percorrendo poco più di un chilometro, secondo i calcoli di Monk. Intravide serpenti che si allontanavano scivolando dal loro sentiero e scorse una volpe che saltava di poggio in poggio prima di dileguarsi. Monk tese l'orecchio: udì qualcosa di pesante attraversare le paludi. Un grande paio di corna ramificate segnò il passaggio di un alce.
Prima che se ne rendessero conto, erano immersi nell'acqua sino alle caviglie, procedendo a zigzag da un isolotto all'altro. L'aria gelida puzzava di alghe e muffa. Gli insetti ronzavano, un incessante rumore bianco di sottofondo. La marcia si faceva più buia col calare del sole dietro i monti.
Monk arrancava sempre di più.
Konstantin andò al suo fianco. Teneva ancora Kiska per mano: la bambina quasi dormiva in piedi.
Pètr era incollato al fianco di Monk, che doveva portarlo in spalla ogni volta che attraversavano acque più profonde.
Il bambino gli afferrò d'improvviso la mano, stringendola forte.
Qualcosa avanzava tra gli alberi facendo un gran rumore.
Oh, no...
«Via! Correte!» Monk, sapendo che cosa stava arrivando, prese in braccio Pètr, che si dimenava e strillava.
Konstantin si mise a correre sollevando le ginocchia tra gli spruzzi d'acqua, tirandosi dietro la sorella. Il piede sinistro di Monk sprofondò fino al polpaccio. Lui tirò, ma non riuscì a liberare la gamba; sembrava sprofondata nel cemento.
Gli scricchiolii e gli schiocchi dei rami puntavano verso di loro.
Monk gettò Pètr davanti a sé e si torse per affrontare l'attacco. Udì il bambino cadere nell'acqua con un tonfo. Ma, anziché fuggire, Pètr tornò arrancando verso Monk.
«No! Scappa!» II bambino non si fermò e gli passò di fianco quando una grande ombra spiccò un salto dai rami e atterrò di peso nell'acqua. Il bambino e l'ombra si gettarono le braccia al collo, salutandosi con affetto.
Marta.
Monk cercò di calmare il cuore che gli martellava nel petto. «Pètr, la prossima volta avvertimi un po' prima.» Sfilò piano piano il piede dal fango.
Là scimpanzè abbracciò il bambino e lo sollevò dall'acqua poco profonda. Konstantin e Kiska tornarono indietro fra gli spruzzi. Marta lasciò Pètr e abbracciò forte ciascuno dei due. Poi si avvicinò a Monk e sollevò le braccia spalancate. L'uomo si chinò, accettando anche lui il suo abbraccio. La scimpanzè era calda, il respiro affannato. Lui sentì il suo anziano corpo tremare dalla stanchezza. Ricambiò l'abbraccio, sapendo quanta fatica doveva aver fatto per raggiungerli.
Raddrizzandosi, Monk si domandò come avesse fatto Marta a trovarli. Aveva capito come li aveva raggiunti, cogliendoli di sorpresa: mentre loro arrancavano nel limo e nell'acqua, lei si era spostata di albero in albero, accorciando le distanze. Nondimeno, come aveva fatto a rintracciarli?
Monk si volse a guardare la palude avvolta nel buio.
Se era riuscita lei a seguirli...
«Avanti, andiamo.» Così riuniti, ripresero la traversata. La ricomparsa di Marta diede nuova energia ai bambini, ma dopo pochi minuti di marcia faticosa si ritrovarono ancora ad ansimare e arrancare nella palude.
Piano piano il sole scomparve dietro i monti, immergendoli nelle ombre del crepuscolo. Sulla sinistra, un gufo emise un verso lungo e cupo al calar del buio.
Konstantin li chiamò sottovoce da una macchia di salici. «Un' isbà]» Monk non sapeva che cosa volesse dire, ma aveva un brutto presentimento. Arrancando nella sua direzione, scoprì che l'acqua diventava meno profonda.
Si aprì un varco tra le chiome dei salici e vide che più avanti sorgeva un isolotto su cui era acquattata una piccola baita sorretta da bassi pali. Era costruita con tronchi tagliati con l'accetta e sormontata da un tetto ricoperto di muschio. Aveva una sola finestra, ed era buia. Nessun segno di vita. Nessun fumo dal comignolo.
Konstantin attese al margine dell'isolotto, in mezzo ad alcune altissime canne. «II capanno di un cacciatore. Capanni come quello sono sparsi un po' ovunque sui monti.» «Vado a dare un'occhiata», disse Monk. «Aspettate qui.» Salì sull'isolotto e girò intorno al capanno. Era piccolo, con un comignolo di pietre. L'erba arrivava alla cintola. Pareva abbandonato da secoli. Aveva una sola finestra, sbarrata dall'interno. Monk notò un piccolo pontile, privo di imbarcazioni. Ma un barchino a fondo piatto, una zattera con la prua smussata, era stato tirato in secco in un canneto poco lontano. L'imbarcazione era semicoperta di muschio, ma con un po' di fortuna era ancora utilizzabile.
Monk tornò davanti al capanno. Provò ad aprire la porta; non era chiusa a chiave, ma le tavole si erano deformate, e gli ci volle un certo sforzo per aprirla con uno scricchiolio dei cardini arrugginiti. L'interno era buio e puzzava di muffa. Ma almeno era asciutto. Il capanno di tronchi aveva solo una finestra. L'assito era di pino, con paglia sparsa un po' ovunque. L'unico arredo era un piccolo tavolo con quattro sedie. Una parete era coperta di armadietti rudimentali, ma la cucina non c'era. A quanto sembrava, per cucinare si usava il camino, dove erano impilati alcuni tegami e pentole di ghisa. Monk notò una catasta di legna secca.
Era sufficiente.
Andò alla porta e fece cenno ai bambini di entrare.
Non gli piaceva l'idea di fermarsi, ma avevano tutti bisogno di un po' di riposo. Con la finestra chiusa, Monk poteva rischiare di accendere un piccolo fuoco. Non sarebbe stato male asciugare gli indumenti e gli stivali, e starsene al caldo durante le ore più fredde della notte. Asciutti e riposati, avrebbero potuto rimettersi in marcia prima dell'alba, utilizzando con un po' di fortuna quella zattera.
Konstantin lo aiutò ad accendere un fuoco mentre gli altri due bambini si sedevano per terra, appoggiandosi a Marta. Il più grande trovò dei fiammiferi in una scatola, e la vecchia legna secca s'infiammò alla prima scintilla. Il fuoco si ravvivò rapidamente, tra scoppiettii e crepitii. Il fumo svanì su per la canna del camino.
Mentre Monk aggiungeva un altro ciocco, Konstantin ispezionò gli armadietti. Trovò attrezzi da pesca, una lanterna arrugginita con un po' di cherosene, un pesante coltello del tipo da caccia, e una scatola mezza vuota di pallottole per fucile da caccia, ma nessuna arma. In un armadio, trovò un paio di riviste ingiallite arrotolate con donne nude, che Monk sequestrò e trovò utili per accendere il fuoco. Ma sull'ultimo ripiano, piegate e impilate, c'erano quattro pesanti trapunte sbiadite.
Mentre distribuiva le coperte, Konstantin indicò lo zaino di Monk e accennò al misuratore di radiazioni. Non era più bianco, adesso era rosato.
«Radiazioni», borbottò Monk.
Konstantin annuì. «L'impianto di trattamento che ha avvelenato il lago Karacaj ha contaminato anche il sottosuolo.» Le falde freatiche, si rese conto Monk. E dove confluivano tutte le acque dei monti locali? Volse lo sguardo alla finestra sprangata, immaginandosi la palude all'esterno.
Scosse la testa.
E lui che pensava di doversi preoccupare soltanto delle tigri.
Ore 19.04
Pètr sedeva nudo, raggomitolato in una pesante coperta davanti al fuoco. Le scarpe erano allineate sul camino e gli indumenti stesi ad asciugare su una lenza, così sottile che i pantaloni e la maglietta sembravano galleggiare nell'aria.
Gli piacevano le fiamme che guizzavano e crepitavano, ma non gli piaceva il fumo. Saliva in spire lungo il camino come se fosse vivo, generato dal fuoco.
Rabbrividì e strisciò seduto un po' più vicino alle fiamme vivaci.
La direttrice della scuola gli raccontava storie della strega Babà Yaga, che viveva in una capanna che si spostava su zampe di gallina, dando la caccia ai bambini per mangiarli. Pètr ripensò ai pali esterni su cui poggiava la loro capanna. E se quella era la casa della strega, che nascondeva le zampe sotto terra?
Adocchiò il fumo con maggior sospetto.
E non era aiutata da servi invisibili?
Non vide nulla muoversi da solo. Ma, del resto, le fiamme gettavano ombre ov.unque, perciò era difficile a dirsi.
Si avvicinò un altro po' al calore del fuoco. Senza mai staccare gli occhi dalle volute di fumo.
Si dondolò appena per rassicurarsi. Marta si avvicinò e gli scivolò accanto, abbracciandolo. Il bambino si appoggiò a lei. Un braccio forte lo tirò ancora più vicino.
Non avere paura.
Ma lui ne aveva. Sentiva il formicolio dentro la testa come mille ragni. Fissò il fumo, sapendo che era lì il vero pericolo, mentre risaliva su per il camino, forse per avvertire Babà Yaga che c'erano dei bambini nella sua casa.
Il cuore di Petr battè più forte.
La strega stava arrivando.
Lo sentiva.
Spalancò gli occhi.
Marta gli mormorò nell'orecchio, rassicurandolo, ma senza riuscirci. La strega stava venendo a mangiarli. Erano in pericolo. I bambini erano in pericolo. Il fuoco scoppiettò, facendolo sussultare per la paura. E poi capì.
Non erano i bambini.
Ma un bambino.
E non uno di loro.
Ma un altro.
Pètr fissò il fumo, penetrando l'oscurità sino alla verità. Meritre il fumo saliva in spire verso il cielo, vide chi era in pericolo.
Era sua sorella. Sasa.