Zarité



Il padrone impiegò due settimane a ottenere che Maurice dormisse da solo. Mi accusò di crescerlo codardo come una donna e gli risposi in uno scatto di rabbia che noi donne non siamo codarde. Alzò la mano, ma non mi colpì. Qualcosa era cambiato. Credo che avesse cominciato a portarmi rispetto. Una volta, a Saint-Lazare, era stato liberato uno dei cagnacci di vigilanza e aveva fatto a pezzi una gallina nel cortile; era sul punto di attaccarne un'altra, quando gli andò incontro il cagnolino di Tante Mathilde. Quel cane delle dimensioni di un gatto lo affrontò ringhiando con i canini in vista e la bocca schiumante di bava. Non so cosa passò per la testona della bestia, ma si girò e fuggì correndo con la coda fra le gambe, inseguito dal cagnolino. In seguito Prosper Cambray lo uccise con un colpo per la sua pusillanimità. Il padrone, abituato ad abbaiare forte e incutere paura, si era spaventato come quel cagnaccio di fronte al primo che lo aveva affrontato: Gambo. Credo che si preoccupasse tanto del coraggio di Maurice perché mancava a lui. Non appena scendeva la sera Maurice iniziava a diventare nervoso all'idea di rimanere da solo, io lo mettevo a letto con Rosette e aspettavo che si addormentassero. Lei crollava in due minuti, appiccicata a suo fratello, mentre lui rimaneva ad ascoltare i rumori della casa e della strada. Nella piazza innalzavano i patiboli dei condannati e le grida filtravano attraverso le pareti e aleggiavano nelle stanze, potevamo sentirli molte ore dopo che la morte li aveva zittiti, «Li senti, Tété?» mi chiedeva Maurice, tremando. Anch'io li sentivo, ma non potevo dirglielo. «Non sento nulla, bambino mio, dormi» e cantavo per lui. Quando finalmente si addormentava, sfinito, portavo Rosette nella nostra camera. Maurice vide alla presenza di suo padre dei condannati che giravano per casa e il padrone lo rinchiuse in un armadio, si mise la chiave in tasca e se ne andò. Rosette e io ci sedemmo vicino all'armadio a parlargli di cose allegre, non lo lasciammo solo nemmeno un momento, ma i fantasmi entrarono dentro e quando arrivò il padrone e lo fece uscire aveva la febbre dal troppo piangere. Passò due giorni bollente per la febbre, con suo padre che non si staccava dal suo letto e io che cercavo di confortarlo con impacchi di acqua fredda e beveroni di tiglio.

Il padrone adorava Maurice, ma in quel periodo il suo cuore era mutato; gli interessava solo la politica, non parlava d'altro, e smise di occuparsi del figlio. Maurice non voleva mangiare e cominciò a bagnare il letto di notte. Il dottor Parmentier, che era l'unico vero amico del padrone, disse che il bambino era malato di paura e aveva bisogno di affetto; allora suo padre si intenerì e mi permise di trasferirlo nella mia stanza. In quei giorni il dottore rimase con Maurice, attendendo che gli scendesse la febbre, e potemmo conversare da soli. Mi fece molte domande. Etienne Relais gli aveva raccontato che io avevo aiutato il padrone a scappare dalla piantagione, ma quella versione non combaciava con quella del padrone. Volle sapere i dettagli. Dovetti menzionare Gambo, ma non gli parlai del nostro amore. Gli mostrai il documento della mia libertà. «Abbine cura, Tété, perché vale oro» mi disse dopo averlo letto. Ma io lo sapevo già.

Il padrone si riuniva in casa con altri bianchi. Madame Delphine, la mia prima padrona, mi aveva insegnato a essere silenziosa, vigile e ad anticipare i desideri dei padroni; una schiava deve essere invisibile, diceva. Così imparai a spiare. Non capivo molto di quello che si dicevano il padrone e i patrioti e in realtà mi interessavano solo le notizie dei ribelli, ma Zacharie, di cui ero rimasta amica dopo le lezioni all'intendenza, mi chiedeva di ripetergli tutto quel che dicevano. «I bianchi credono che noi neri siamo sordi e le donne stupide. Questo ci torna utile. Presti orecchio e mi racconti, mademoiselle Zarité.» Grazie a lui seppi che c'erano migliaia di ribelli accampati nei sobborghi di Le Cap. La tentazione di andare a cercare Gambo non mi lasciava dormire, ma sapevo che poi non sarei potuta tornare. Come potevo abbandonare i miei bambini? Chiesi a Zacharie, che aveva contatti persino sulla luna, di verificare se tra i ribelli c'era Gambo, ma mi assicurò che di loro non sapeva nulla. Dovetti limitarmi a mandare a Gambo messaggi con il pensiero. A volte tiravo fuori il documento della mia libertà dalla borsina, lo dispiegavo con la punta delle dita per non sciuparlo e lo osservavo come se potessi impararlo a memoria, ma non conoscevo le lettere.

La guerra civile scoppiò a Le Cap. Il padrone mi spiegò che in una guerra tutti lottano contro un nemico comune, ma in una guerra civile la gente - e anche l'esercito - si divide e allora ci si uccide, come ora accadeva tra bianchi e mulatti. I neri non contavano perché non erano persone, ma proprietà, La guerra civile non sopraggiunse dalla sera alla mattina, ci mise più di una settimana, e allora finirono i mercati e le calertela dei neri e la vita sociale dei bianchi, ben pochi negozi aprivano e persino i patiboli della piazza rimasero vuoti, La sciagura era nell'aria. «Preparati, Tété, perché le cose stanno per cambiare» mi annunciò il padrone. «Come vuole che mi prepari?» gli chiesi, ma lui stesso non lo sapeva. Feci come Zacharie, che stava accumulando provviste e imballando le cose più preziose, nel caso in cui l'intendente e la moglie avessero deciso di imbarcarsi per la Francia.

Una sera fecero entrare dalla porta di servizio una cassa piena di pistole e moschetti; avevamo munizioni per un reggimento, disse il padrone. Il caldo aumentava, in casa tenevamo le mattonelle del pavimento bagnate e i bambini giravano nudi. Fu allora che arrivò, senza farsi annunciare, il generale Galbaud, che quasi non riconobbi, benché fosse venuto molte volte alle riunioni dei patrioti, perché non indossava la sua colorata uniforme piena di medaglie, ma un abito da viaggio scuro. Non mi era mai piaciuto quel bianco, era molto altezzoso e sempre di malumore, si ammorbidiva solo quando i suoi occhi da topo si posavano sulla moglie, una ragazza dai capelli rossi. Mentre gli servivo vino, formaggio e carne fredda, sentii dire che il delegato Sonthonax aveva destituito il governatore Galbaud, accusandolo di cospirare contro il governo legittimo della colonia. Sonthonax progettava una deportazione in massa dei suoi nemici politici, ne aveva già cinquecento nella stiva delle navi in porto, in attesa del suo ordine per salpare. Galbaud annunciò che era giunto il momento di agire.

Poco dopo arrivarono gli altri patrioti che erano stati avvisati. Sentii dire che i soldati bianchi dell'esercito regolare e quasi tremila marinai del porto erano pronti per combattere al fianco di Galbaud. Sonthonax poteva contare solo sull'appoggio delle guardie nazionali e sulle truppe di mulatti. Il generale garantì che la battaglia sarebbe risolta in poche ore e che Saint-Domingue sarebbe diventata indipendente, Sonthonax avrebbe visto il suo ultimo giorno, i diritti degli affranchis sarebbero stati revocati e gli schiavi sarebbero tornati alle piantagioni. Tutti si alzarono in piedi per brindare, Io riempii di nuovo i bicchieri, uscii in silenzio e corsi da Zacharie, che mi fece ripetere tutto parola per parola. Ho una buona memoria. Mi diede un sorso di limonata per placare l'angoscia e mi rimandò a casa con l'ordine di tenere la bocca chiusa e di sprangare la porta con il maglio. Così feci.

L'isola sotto il mare
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