Zarité
Il giorno successivo, a metà pomeriggio, dona Eugenia partorì. Avvenne in modo veloce, anche se lei non collaborò fino all'ultimo momento. Il dottore stava al suo fianco, guardando da una sedia, perché acchiappare bambini non era cosa da uomini, come lui stesso ci disse. Il padrone Valmorain credeva che una laurea in medicina con sigillo reale valesse più dell'esperienza e non volle chiamare Tante Rose, la migliore levatrice del Nord dell'isola; persino le donne bianche si rivolgevano a lei quando arrivava il loro momento. Sostenni la mia padrona, la rinfrescai, pregai in spagnolo con lei e le diedi l'acqua miracolosa che le avevano mandato da Cuba. Il dottore poteva sentire chiaramente i battiti del cuore del bambino, era pronto per nascere, ma doHa Eugenia si rifiutava di collaborare. Spiegai che la mia padrona avrebbe partorito uno zombi e che Baron Samedi sarebbe venuto a prenderselo e lui si mise a ridere con un tale gusto che gli scendevano le lacrime. Quel bianco studiava il vudù da anni, sapeva che Baron Samedi è servitore e guardiano di Ghede, loa del mondo dei morti, non so cosa gli sembrasse tanto divertente. «Che idea grottesca! Non vedo nessun barone!» Il Baron non si mostra a quelli che non lo rispettano. Ben presto tuttavia comprese che la questione non era da sottovalutare perché dona Eugenia era molto agitata. Mi mandò a cercare Tante Rose. Trovai il padrone su una poltrona della sala semiaddormentato da diversi bicchieri di cognac, mi autorizzò a chiamare la mia madrina e andai al volo a cercarla. Mi attendeva pronta, con il suo vestito bianco da cerimonia, la borsa, le collane e l'asson. Si diresse alla casa grande senza farmi domande, salì in veranda ed entrò dalla porta degli schiavi. Per arrivare alla stanza di dona Eugenia doveva passare per la sala e i colpi del suo bastone sulle assi del pavimento svegliarono il padrone. «Attenzione a quello che fai a madame» la avvertì con voce impastata, ma lei non vi fece caso e andò avanti, percorse il corridoio a tentoni e trovò la stanza, dove era stata spesso per curare dona Eugenia. Questa volta non si presentava come guaritrice, ma come mambo, avrebbe affrontato il guardiano della Morte.
Dalla soglia Tante Rose vide Baron Samedi e un brivido la scosse, ma non indietreggiò. Lo salutò con una riverenza, agitando l'asson con il suo tintinnio di ossicini, e gli chiese il permesso di avvicinarsi alletto. Il loa dei cimiteri e dei crocicchi, con il suo viso bianco da teschio e il suo cappello nero, si spostò, invitandola ad avvicinarsi a dona Eugenia, che boccheggiava come un pesce, madida di sudore, con gli occhi rossi di terrore, in lotta contro il suo corpo che si sforzava per far uscire il bambino, mentre lei stringeva con forza per trattenerlo. Tante Rose le mise al collo una delle sue collane di semi e conchiglie e le disse alcune parole di conforto, che le ripetei in spagnolo. Poi si girò verso il Baron.
Il dottor Parmentier osservava affascinato, anche se lui vedeva solo la parte che riguardava Tante Rose; io invece vedevo tutto. La mia madrina accese una sigaretta e la agitò, saturando l'aria con una nuvola di fumo che impediva di respirare, perché la finestra rimaneva sempre chiusa per proibire l'accesso alle zanzare; subito dopo disegnò un cerchio di gesso attorno al letto e si mise a girare con passi di danza, indicando i quattro angoli con l’asson. Quando ebbe concluso il suo saluto agli spiriti, con diversi oggetti sacri della sua borsa preparò un altare, su cui collocò offerte di rum e piccole pietre, e da ultimo si sedette ai piedi del letto, pronta a negoziare con il Baron. Si ingarbugliarono in una prolungata trattativa in un creole così stretto e veloce che capii poco, anche se sentii varie volte il nome di Séraphine. Litigavano, si arrabbiavano, ridevano, lei fumava la sigaretta e soffiava il fumo che lui inghiottiva a boccate. Tutto ciò andò avanti parecchio e il dottor Parmentier cominciò a perdere la pazienza. Cercò di aprire la finestra, ma non veniva usata da tempo edera bloccata. Tossendo e lacrimando per il fumo prese il polso a dona Eugenia, come se non sapesse che i bambini escono da sotto, molto lontano dal polso.
Finalmente Tante Rose e il Baron giunsero a un accordo. Lei si diresse verso la porta e con una profonda riverenza congedò il loa, che uscì con i suoi saltelli da rana. Poi Tante Rose spiegò la situazione alla padrona: ciò che aveva nella pancia non era carne da cimitero ma un bambino normale che Baron Samedi non si sarebbe portato via. Dona Eugenia smise di divincolarsi e si concentrò a spingere con tutte le sue forze e subito dopo un fiotto di liquido giallastro e sangue macchiò le lenzuola. Quando la testa del bambino si affacciò, la mia madrina la prese delicatamente e aiutò il resto del corpo a uscire. Mi consegnò il neonato e annunciò alla madre che era un maschietto, ma lei non volle nemmeno vederlo, girò la faccia verso la parete e chiuse gli occhi, estenuata. Io lo strinsi contro il petto, tenendolo saldamente, perché era ricoperto di un liquido scivoloso. Ebbi la certezza assoluta che mi sarebbe toccato voler bene a quel bambino come se fosse mio e ora, dopo tanti anni e tanto amore, so che non mi ero sbagliata. Mi misi a piangere.
Tante Rose attese che la padrona espellesse ciò che le rimaneva dentro e la pulì, poi si bevve d'un sorso l'offerta di rum dell'altare, mise i suoi oggetti nella borsa e uscì dalla stanza appoggiandosi al bastone. Il dottore scriveva in fretta sul suo quaderno, mentre io continuavo a piangere lavando il bambino, che era leggero come un gattino. Lo avvolsi nella coperta tessuta nei miei pomeriggi in veranda e lo portai al padre perché lo vedesse, ma il padrone aveva così tanto cognac in corpo che non riuscii a svegliarlo. Nel corridoio attendeva una schiava con i seni gonfi, fresca di un bagno e con la testa rasata per via dei pidocchi, che avrebbe dato il suo latte al figlio dei padroni nella casa grande, mentre il suo sarebbe cresciuto con acqua di riso nel settore dei neri. Nessuna bianca cresce i suoi figli, questo credevo allora. La donna si sedette a terra con le gambe incrociate, si aprì la camicia e prese il piccolo, che le si attaccò al seno. Io sentii che la pelle mi bruciava e mi si indurivano i capezzoli: il mio corpo era pronto per quel bambino.
A quella stessa ora, nella capanna di Tante Rose, Séraphine morì da sola, senza rendersene conto, perché era addormentata. Così accadde.