Zarité
Così ricordo. Fuori, i grilli e il verso del gufo, dentro, la luce della luna che illuminava con raggi precisi il suo corpo addormentato. Così giovane! Prenditi cura di lui per me, Erzuli, loa delle acque più profonde, pregavo, accarezzando la mia bambola, quella che mi aveva dato mio nonno Honoré e che a quel tempo ancora mi accompagnava. Vieni, Erzuli, madre, amante, con le tue collane d'oro puro, il tuo mantello di piume di tucano, la tua corona di fiori e i tuoi tre anelli, uno per ogni sposo. Aiutaci, loa dei sogni e delle speranze. Proteggilo da Cambray, rendilo invisibile agli occhi del padrone, rendilo prudente con gli altri, ma superbo tra le mie braccia, zittisci il suo cuore da bozal appena giunto dall'Africa nella luce del giorno, perché sopravviva, e dagli coraggio nelle notti, perché non perda la voglia di libertà. Guardaci con benevolenza, Erzuli, loa della gelosia. Non ci invidiare, perché questa fortuna è fragile come le ali di una mosca. Lui se ne andrà. Se non se ne va, morirà, tu lo sai, ma non me lo togliere ancora, lasciami accarezzare la sua schiena magra di ragazzo prima che si trasformi in quella di un uomo.
Era un guerriero, il mio amore, proprio come il nome che gli aveva dato suo padre, Gambo, che vuol dire guerriero, lo sussurravo il suo nome proibito quando eravamo soli, Gambo, e quella parola risuonava nelle mie vene. Gli costò diverse bastonate rispondere al nome che gli diedero qui e nascondere il suo vero nome. Gambo, mi disse, toccandosi il petto, la prima volta che ci amammo. Gambo, Gambo, ripetè fino a che mi arrischiai a dirlo. A quell'epoca lui parlava nella sua lingua e io gli rispondevo nella mia. Ci mise del tempo a imparare il creole e a insegnarmi qualcosa della sua lingua, quella che mia madre non fece in tempo a trasmettermi, ma fin dall'inizio non ci fu bisogno di parlare. l'amore ha parole mute, più trasparenti del fiume.
Gambo era arrivato da poco, sembrava un bambino, pelle e ossa, spaventato. Altri prigionieri più grandi e forti rimasero a galleggiare alla deriva nel mare amaro, cercando la rotta per la Guinea. Come potè sopportare la traversata? Aveva le ferite aperte per le frustate, il metodo di Cambray per piegare i nuovi, lo stesso che usava con i cani e con i cavalli. Sul petto, sopra al cuore, era marchiato a fuoco con le iniziali della compagnia negriera, che gli avevano impresso in Africa prima di imbarcarlo, e che ancora non si erano cicatrizzate. Tante Rose mi disse di lavargli le ferite con acqua, molta acqua, e di coprirgliele con impacchi di erba morella, aloe e strutto. Dovevano chiudersi da dentro verso l'esterno. Sulla bruciatura niente acqua, solo grasso. Nessuno sapeva curare come lei, persino il dottor Parmentier voleva conoscere i suoi segreti e lei glieli confidava, benché sarebbero serviti per guarire altri bianchi; ma la conoscenza viene da Papa Bondye, appartiene a tutti, e se non si condivide si perde. Così è. In quei giorni lei era occupata con gli schiavi che erano arrivati ammalati e a me toccò curare Gambo.
La prima volta che lo vidi era steso bocconi nell'ospedale degli schiavi, ricoperto di mosche. Lo tirai su con difficoltà per dargli un sorso di tafia e una cucchiaiata delle gocce della padrona, che avevo rubato dalla boccetta blu. Subito dopo iniziai l'ingrato compito di lavarlo. Le ferite non erano eccessivamente infiammate, perché Cambray non aveva potuto gettarvi sopra sale e aceto, ma il dolore doveva essere terribile. Gambo si mordeva le labbra, senza lamentarsi. Poi mi sedetti al suo fianco per cantare per lui, visto che non conoscevo parole di sollievo nella sua lingua. Volevo spiegargli come si fa per non provocare la mano che impugna la frusta, come si lavora e si obbedisce, mentre si alimenta la vendetta, quel fuoco che arde dentro. La mia madrina convinse Cambray che il ragazzo aveva la peste e che era meglio lasciarlo da solo, caso mai la passasse agli altri della squadra. Il capo dei sorveglianti la autorizzò a sistemarlo nella sua capanna, perché non perdeva le speranze che Tante Rose venisse contagiata da qualche febbre letale, ma lei era immune, aveva un accordo con Legba, il loa degli incantesimi. Nel frattempo io cominciai a suggerire al padrone l'idea di mettere Gambo in cucina. Non sarebbe durato nulla nei canneti, perché il capo dei sorveglianti lo aveva preso di mira fin dall'inizio.
Tante Rose ci lasciava soli nella sua capanna durante le medicazioni. Lo aveva intuito. E il quarto giorno accadde. Gambo era così oppresso dal dolore e da tutte le perdite - la sua terra, la sua famiglia, la sua libertà - che decisi di abbracciarlo come avrebbe fatto sua madre. L'affetto aiuta a guarire. Un movimento condusse a quello successivo e così scivolai sotto di lui senza toccargli la schiena, perché appoggiasse la testa sul mio petto. Il corpo gli ardeva, aveva ancora la febbre alta, non credo sapesse cosa stavamo facendo. Io non conoscevo l'amore. Ciò che faceva con me il padrone era cupo e vergognoso, così gli dissi, ma non mi credeva. Con il padrone la mia anima, il mio ti-bon-ange, si staccava e se ne volava via da un'altra parte e solo il mio corpo rimaneva su quel letto. Gambo. Il suo corpo leggero sopra al mio, le sue mani sui miei fianchi, il suo respiro nella mia bocca, i suoi occhi che mi guardavano dall'altro lato del mare, dalla Guinea, questo era amore. Erzuli, loa dell'amore, salvalo da ogni male, proteggilo. Così supplicavo.