XIII

Morire a Palermo è doloroso, come si fa a dire addio alla bellezza? La città quella sera aveva indossato i colori più luminosi e odorava di fragranze orientali. Non si trattava di un atto di omaggio al questore, piuttosto dell’ultima cattiveria di una madre efferata verso un figlio che se ne andava. Dopo che lo aveva avvilito con le sue nefandezze per tutta la vita, ecco che nel giorno del commiato gli dava il meglio di sé, cosicché atroce sarebbe stato staccarsi dalle sue braccia.

Il profumo dei gelsomini saturava la navata della cattedrale. Marò e Sasà avevano assistito alla cerimonia tenendosi per mano, cercando l’uno nell’altra la forza e l’energia per continuare a respirare. Il questore li aveva guidati come un padre severo ma tenero, e loro si sentirono orfani. Dopo il funerale, le dita intrecciate strette, gli occhi smarriti, i cuori spezzati, passeggiarono a lungo, per ritrovarsi infine su quella stessa panchina del Foro Italico in faccia al mare. L’aria era mite e la luce tenue del tramonto li accarezzava, cercavano quiete, pace, almeno per un po’.

Una nave si allontanava lentamente dal porto, ne seguirono la traiettoria, il suono delle sirene riempì l’aria di note vibranti, sembrava un canto malinconico. Poi l’orizzonte si tinse di rosa e, prima che l’azzurro virasse al blu, Marò sentì dentro di sé un languore profondo, un’ansia di vita che muoveva le sue viscere, e una fame rabbiosa dentro alla pancia.

Appoggiò la testa contro la spalla di Sasà, incidentalmente il seno premette contro al braccio di lui, che ne fu turbato e non si mosse.

Era uscito dalla cattedrale con addosso una gran voglia di far l’amore che lo faceva sentire in colpa. Non sapeva, Sasà, quanto la morte risvegli nei superstiti il desiderio di carne.

Tirò su con il naso e si asciugò le lacrime, la sua rinite tornava a farsi viva. Erano vicini come due naufraghi l’uno avvinghiato all’altra, passava tra loro una corrente di complicità, attrazione, solidarietà: una mistura esplosiva che in una coppia normale sarebbe sfociata in amore. Ma loro non erano una coppia normale. Stretto così, Sasà si sentiva a disagio, forse quel silenzio era durato troppo.

«Mi hanno tolto l’incarico» disse.

L’energia commossa che li aveva trapassati da parte a parte si era improvvisamente dissolta, le parole ora sembravano comunicazioni di servizio.

«Senti Sasà, dobbiamo parlare. Andiamocene verso casa, ti preparo qualcosa da mangiare e tu mi racconti.»

Lasciarono la panchina mentre il buio della sera tingeva il mare e il cielo di un’unica tonalità.