III

«D’Alessandro, tu da adesso cammini con la scorta» esordì Lobianco.

«Signor questore, chiacchiere e parulazzi pirtusi non ne fanno. Lei dice ca spararu? Io niente ‘ntisi. M’avessero preso, poi… ma contro alla finestra spararu e manco il vetro, per la verità, hanno rotto.»

«D’Alessandro! Pallottole, no simenza! Ma tu mai niente senti quando le cose non ti convengono.»

«Questore, pure lei!» sbuffò il sostituto commissario Rosario D’Alessandro, detto Sasà, e sgranò gli occhi grandi, azzurri, ancora innocenti nonostante gli anni passati in polizia a sospettare di tutti. Era questo il suo tratto più bello: la trasparenza.

Lobianco si alzò con fatica dalla sedia, girò attorno al tavolo e si sedette accanto a lui, aveva un’aria stanca. Aspettò prima di parlare, il fiato grosso come se avesse fatto le scale di corsa. Era invecchiato rispetto all’ultima volta, forse un mese prima, in cui si erano incontrati. Le mani larghe e robuste esibivano un reticolo venoso particolarmente accentuato. La sua abbronzatura, di solito di un bel marrone scuro, sfumava nel verdognolo, mentre il suo corpo solido ed eretto aveva un atteggiamento esitante, oscillava un po’ in avanti e un po’ indietro, come una pampina al vento. Esprimeva nel complesso una fragilità inusuale per lui, conosciuto per quella forza fuori dal comune che lo rendeva particolarmente virile e, a detta delle sue colleghe, sexy.

«Insomma, signor questore, se le dico che non fu attentato mafioso mi deve credere…»

«Non se ne parla proprio. Da oggi tu cammini con gli angeli custodi, che se ti succede qualcosa poi ci vado di mezzo io.»

«Ma vero dice vossia? Ci bastano quattro timpulate a questa gentaglia! Che poi io lo so chi sono, e se mi dà il tempo ce li porto tirati per un’orecchia e ammanettati con il ferro filato. Ma che fa, dice vero che mette a mia agli arresti domiciliari?»

Il questore questa volta si seccò: «D’Alessandro, mi hai frantumato i coglioni!». Scattò in piedi, il tremore si era accentuato e lo percorreva dalla testa ai piedi, increspando la sua pelle come fosse la superficie del mare. Allargò le gambe, forse per ritrovare saldezza, e pure per ribadire la differenza di grado che li separava: «La gentaglia, come la chiami tu» aggiunse annacandosi a destra e a sinistra, «può decidere da un minuto all’altro di fare concime di te e dei tuoi parenti. Perciò per quello che ti riguarda e per quanto mi compete, da domani sei, come dici tu, agli arresti domiciliari».

«Signor questore, si passi una mano sulla coscienza. Come faccio con le mie zite?»

«È ora che metti la testa a posto. Te ne fai una sola, ufficiale, e così la polizia di Stato non si deve preoccupare quando vai a scopare.»

«Ma proprio vossia parla, che cancia letto e femmina ogni notte! Lo sa che se avesse gli angeli custodi le toccherebbe sempre la stessa brandina arrugginita dentro alla caserma e le mani di qualche volenterosa collega per darle un poco di sollievo…»

«Dammi retta, la scorta ti serve non solo per la tua incolumità, ma magari per tenere a freno il tuo spirito di servizio.»

«E certo, adesso se ne lamenta, però in Calabria… lì, se non fosse stato per il mio spirito di servizio…»

Erano amici per la pelle Sasà e Lobianco, e non è un modo di dire. Si erano conosciuti proprio a San Luca, la loro prima destinazione appena entrati in polizia. Per due anni avevano battuto fianco a fianco l’Aspromonte ricercando banditi e ostaggi. Avevano trascorso tanto tempo in condizioni estreme e in regime di coabitazione forzata, perciò Sasà si permetteva di parlare al questore con confidenza. La vera e propria intimità l’avevano raggiunta quando tutti e due erano stati colti da un violentissimo attacco di emorroidi. Sarà stata la ‘nduja e magari il peperoncino, o le lunghe ore trascorse in piedi in appostamenti, fatto sta che tutti e due nello stesso momento marcarono visita.

Fianco a fianco anche in infermeria, stringevano i denti e si scrutavano con curiosità. Sasà parlò per primo ma in modo generico del disturbo. Nonostante il dolore fosse insopportabile, il suo naturale riserbo gli impediva di dare libero sfogo a quel fuoco che gli bruciava nel corpo. Lobianco, a seguire, si abbandonò senza ritegno alla descrizione di ogni dettaglio, anche il più imbarazzante.

Finché, durante una notte insonne trascorsa su due brandine scomode, si confessarono a cuore aperto. E nei successivi giorni di degenza si scambiarono impressioni, consigli, informazioni, rimedi per quella parte del corpo che i veri uomini proteggono e trattano con pudore. Fuori imperversava la bufera di neve.

La recluta Marò Pajno fece il suo ingresso in infermeria portandosi dietro una scia di gelo e il profumo del bosco d’inverno. I due pazienti tacquero immediatamente, dimenticando i loro problemi di fronte all’avvenente collega. Ma ancora prima di presentarsi la donna ordinò con tono scherzoso: «Neve, impacchi di neve sul… culo!», e scoppiò a ridere.

«Fatti i fatti tuoi» dissero in coro i due uomini.

«Vado fuori a prenderla» rispose la poliziotta per nulla intimorita, poi li guardò in faccia e sorrise del loro imbarazzo. Il sollievo arrivò immediato: benedetta neve, che dopo averli fatti sospirare di nostalgia li restituiva alla vita.

Di ritorno dalla Calabria, Sasà aveva lavorato nei luoghi più caldi della Sicilia. E dopo anni di sacrifici ancora non gli avevano affidato la responsabilità di un commissariato. A causa del suo carattere spigoloso e fumantino sarebbe morto Sostituto. Gaetano Lobianco era stato mandato a San Fermo, nella Bassa. E, quando aveva ormai smarrito nella nebbia della Val Padana ogni speranza di tornare a rivedere il sole, era stato nominato questore di Palermo.

Marò Pajno, in virtù di un innato istinto materno, era stata prima assegnata alla sezione minori della questura centrale, poi, sulla base di una presunta debolezza dovuta alla specificità di genere, assegnata al commissariato Politeama, dove non succedeva mai niente. Aveva fatto carriera, era diventata commissaria.

«Signor questore, e se le prometto di non fare altre minchiate? Mi dia qualche altro giorno, giusto il tempo…»

Lobianco lo interruppe: «Senza se e senza cusà, D’Alessandro, da oggi se vuoi fottere ci vai accompagnato dalla scorta!».