XXII GIORNO
Casa dei Babri sul colle Palatino
«Ero certa che la nonna avesse firmato un nuovo testamento! Quinto l’ha uccisa prima che potesse consegnarlo alle Vergini Vestali.»
«L’hai cercato a lungo, nella sua stanza, senza trovarlo, vero?»
«È così. Adesso non esiste più. Che solenne bidone!» esclamò Lucio, abbacchiato.
«Già. Pensare che eri stato tanto bravo a lavorarti la teta per risultare tra gli eredi... eh, non sempre gli imbrogli vanno a buon fine: Aconia è morta troppo presto, e nel caso di Fastia per metterti i bastoni tra le ruote è servito addirittura un delitto!»
Lucio lo squadrò piccato: come faceva quel maledetto impiccione a essere al corrente dei fatti suoi?
«Comunque non sei tu quello che ci ha rimesso di più da questa tragedia» proseguì il senatore. «I ragazzi sono rimasti soli e hanno bisogno di una famiglia.»
«Ehi, non rivolgerti a me! Mi ci vedi come padre?» rise Lucio.
«Perché no? Avresti modo di insegnare loro a tirare di fionda e di arco, e di mandarli da soli a Lutetia con un aureo in saccoccia...»
«Non se ne parla neanche» si schermì l’altro, mettendo le mani avanti, mentre scuoteva vigorosamente la testa. «Ma figurati, io che mi metto a fare il genitore. Senza contare che non ho neanche una moglie!»
«Potresti sempre prendertela.»
«Chi vuoi che mi sposi senza un sesterzio?» obiettò Lucio.
«Dopo esserti dato tanto da fare per cogliere il fiore della virtù di entrambe le fanciulle di questa casa, adesso sarebbe il momento di accasarne una.»
«Ah ah ah, se credi di iniziare la tua carriera di paraninfo inducendomi a unirmi con quell’arpia di Lavinia, andrai poco lontano, senatore! È una scorbutica infoiata, tanto piena di pretese che nemmeno Priapo in persona riuscirebbe a soddisfarla!»
«Supponevo che questo non ti creasse problemi, gagliardo Lucio. Se fossi in te, non sarei così certo di averle lasciato un pessimo ricordo.»
«Che ne sai tu? Oh, vabbè, posso immaginare che quella piccola serpe lussuriosa non si sia lasciata sfuggire un uomo prestante in età riproduttiva da sfinire sul torus, se non altro per fare dispetto alla povera Sofia.»
«Ammetto il fattaccio, ma suppongo che non cambi molto. Allora?»
«Nemmeno per sogno. È andata a letto con mezza Roma, ovvero tutta quella di sesso maschile!»
«E tu con l’altra metà, quindi siete pari» obiettò Aurelio.
«È infida e temibile: sarebbe capace di mettermi un ragno velenoso tra le coltri.»
«Andiamo, che vuoi che sia un ragnetto, per uno che ha corso ben altri pericoli, in giro per l’Impero?» ironizzò il senatore.
«Uhm... però io che ci guadagno?»
«Per cominciare ti ritroveresti al fianco una donna che non ti farà mai annoiare e non permetterà che ti imbolsisca. Chissà, in tempi di così grandi cambiamenti per tutti, probabilmente finirebbe per restarti fedele.»
«Non ha neppure la dote» brontolò il primogenito dei Babri, andando al sodo.
«Anche senza contare l’esigua rendita lasciatale da Fastia, tieni conto che mi è sembrato doveroso ringraziarla con un piccolo dono.»
Un dono erogato da un grande di Roma con la fama di magnanimità di Publio Aurelio non doveva essere poi tanto piccolo, valutò Lucio, lieto che le esuberanze di Lavinia non si fossero per una volta tanto rivolte a qualche schiavo squattrinato.
«Dovrei anche mettere al mondo dei marmocchi?»
«Sarebbe bene. Intanto ti eserciteresti badando a Quinto e Furillo. Il piccolo, che ti amava moltissimo, è rimasto deluso dalle tue bugie, però ti sei riscattato ai suoi occhi col tuo fermo comportamento sulla cascata. E non dubito che, col fascino che ti ritrovi, saprai accattivarti anche il fratello maggiore: presto si leverà la bulla e diventerà pater familias, almeno sulla carta. Tuttavia conosce ancora poco del mondo al di là della sua siepe, o meglio della sua biblioteca! Come zio paterno, avresti qualche voce in capitolo sull’amministrazione del patrimonio, assieme al nonno materno Sofio, ambedue sotto controllo di un comune curatore.»
Gli occhi color del cielo di Lucio si accesero di una luce interessata: i curatori di solito erano vecchi distratti, che poco si preoccupavano di controllare i conti...
«Chi sarà nominato?» domandò speranzoso.
«Mi sono offerto io stesso di assumerne la funzione» gli svelò il patrizio con un largo sorriso, spegnendo sul nascere le sue fervide speranze.
«Insomma, rimarrò un pezzente per tutta la vita!»
«Non è detto. Conosci l’antico costume dell’adozione, che a Roma è sempre stato tanto in voga? Sofio Sofiano non ha figli maschi.»
«Perché mai dovrebbe adottare me? Non mi può soffrire!»
«Sciocchezze! Il passato è passato, molta acqua è fluita sotto i ponti di Roma da quanto ti ha pagato perché ti togliessi di torno.»
«Sai anche questo? Mi ricordi uno di quegli odiosi cagnacci che non mollano mai la presa...»
«Adesso a Sofio piaci molto, anche se personalmente non trovo alcun motivo ragionevole per questa sua simpatia. Quindi dedicaci un pensierino.»
Lucio esitò. Il senatore la faceva facile, ma si trattava di tirare i remi in barca, di cambiare vita, di mettere la testa a posto. Però il suo ruolo nella famiglia era ormai sicuro e, da quando era tornato, in effetti Sofio si dimostrava assai affabile nei suoi confronti, tutt’altra cosa rispetto al tempo in cui lo aveva costretto a partire. Il suo appoggio, unito alla dote di Lavinia, gli avrebbe garantito una vita agiata e aliena da preoccupazioni... non poi da sputarci sopra per uno che, qualche anno prima, aveva i creditori alle calcagna, due denunce per truffa che gli pendevano sul capo e campava facendo il mantenuto di un’orribile vecchiarda.
«Chiedere la mano di Lavinia? Se soltanto osassi accennarlo, quella bisbetica mi mangerebbe in un boccone. Tu non sai di che cosa è capace, quando si mette in testa di distruggere l’autostima di un maschio!»
«A dire il vero ne ho una lontana idea... Ma non avrai paura, intrepido Lucio?»
«Paura? Certo che no!» escluse il primogenito dei Babri, ergendosi in tutta la sua notevole statura.
«Figuriamoci se uno che ha affrontato i leoni del deserto libico e ha varcato il Tigri a nuoto, si lascia intimidire» lo punzecchiò Aurelio. «E comunque che ci sto a fare io, come paraninfo, se non per prendere in tuo nome gli eventuali accordi?»
«Va bene, allora provaci!» si arrese Lucio, mentre accomiatava il patrizio.
Fu solo sulla soglia che Aurelio pensò bene di apostrofarlo, raccomandandogli: «Resta inteso che eviterai di insegnare a Quinto e a Fusillo a giocarsi a dadi qualche tomba di famiglia, eh? A proposito, hai mai più visto quella Nannilla, proprietaria della taverna All’Ercole Furente?»
«Macché, e dire che l’ho cercata per un pezzo. Ogni tanto mi passava qualche spicciolo, tutto sommato era una brava ragazza, neanche da buttar via... ma se ne è andata, il fascino ferale delle giuste nozze ha soggiogato anche lei, come colpirà il sottoscritto, se le tue trame andranno a buon fine.»
«Preferisci che non se ne faccia niente?» domandò il senatore.
Lucio, che si era già visto nei panni di un agiato notabile con figli a carico e senza preoccupazioni su come sbarcare il lunario, lo smentì immediatamente. «Ehi, non ti tirerai indietro proprio adesso? Dacci sotto, senatore, e nel frattempo io cercherò di procurarmi un antidoto contro il veleno dei ragni!»
«Considerala cosa fatta» lo rassicurò Aurelio accomiatandosi.