VIII GIORNO
Casa di Pomponia sul colle Quirinale
«Non prenderai freddo?» chiese Tito Servilio apprensivo. La nuova cura a cui l’amatissima sposa meditava di sottoporsi lo rendeva alquanto perplesso. Si trattava di bagni freddi, come quelli con cui il medico Musa aveva guarito Augusto dai suoi malanni, tanti anni prima. A ordinarglieli era stato l’ennesimo santone a cui Pomponia si era rivolta, su indicazione di Castore, consigliere preziosissimo dalle mille risorse, il solo con cui la matrona avesse accettato di interagire negli ultimi giorni, immergendosi con lui in quei lunghi conversari che negava a chiunque altro da quando era cominciata la sua penosa infermità.
Il guaritore di turno era un cieco piuttosto anziano, dignitoso e pulitissimo, in tutto e per tutto degno della aristocratica discendenza dagli ultimi lucumoni etruschi. Correva voce che ricevesse in sogno i suggerimenti della regina Tanaquilla, la grande vaticinatrice che, nella natia Tarquinia e poi nella giovanissima Roma, era stata capace di leggere e interpretare i segni attraverso i quali gli Dei si manifestavano ai mortali. Al cavalier Servilio il vecchio pareva in qualche modo familiare: se non fosse stato per il grosso otre che portava sulle spalle, avrebbe giurato di averlo già visto da qualche parte...
«Sto dirigendomi al costruendo valetudinario dell’Esquilino: Xalxas mi aspergerà con l’acqua di una sorgente nota a lui solo, e mi farà bere un infuso magico, mentre invochiamo assieme le potenti divinità del suo antichissimo popolo» gli spiegò la moglie, ancora debolissima, nel salire sulla lettiga.
«Igea sia con te, mia cara!» la salutò il bravo Tito, disposto a qualunque compromesso pur di vederla risanata.