5

 

Il Marchese Baldassarri aveva trascorso l’intera giornata a discutere di pigioni e raccolti rovinati con i fittavoli giunti dalla campagna. Di solito se ne occupava l’intendente, ma quell’anno, per un motivo o per l’altro, sembrava che tutti volessero parlare con il padrone. Il persistere del maltempo, e soprattutto le gelate tardive di quella primavera, avevano compromesso i raccolti e la maggior parte dei contadini che vivevano sulle sue terre non avevano di che pagare le decime. Così, l’esigenza di ottenere una dilazione su quanto gli dovevano li aveva spinti in città su carri dalle ruote cigolanti o sulla groppa di asini e muli.

Andriolo di tanto in tanto concedeva udienza a chi sentiva il bisogno di conferire con lui, ritenendolo un metodo efficace per evitare che i suoi pur fidati amministratori avessero la tentazione di frodarlo a sua insaputa. In questo modo, inoltre, veniva a sapere ogni dettaglio che riguardava le vaste proprietà date in affitto a mezzadri, braccianti, manovali, sguatteri, stallieri, pastori, lattai, porcai, guardaboschi e via dicendo. Evidentemente le notizie circolavano in fretta tra la gente che teneva al suo servizio, sicché a quegli appuntamenti arrivavano molte persone, pronte a riversare le proprie lamentele nelle disponibili orecchie del Marchese Baldassarri.

Quel giorno, per esempio, un contadino di nome Cecchino, vittima di un incendio che aveva devastato la vigna e un bosco che gli forniva ottimo legname, aveva denunciato un vicino, sostenendo che aveva appiccato il fuoco alle sue proprietà perché era geloso del fatto che la sua cara moglie partoriva solo figli maschi, mentre a lui non nascevano che femmine; un anziano allevatore rimasto senza il becco di un quattrino a causa di una misteriosa moria del bestiame, anziché corrispondere le tasse al marchese pretendeva addirittura un prestito per pagare un dottore che curasse la sorella gravemente malata e che viveva insieme a lui; e ancora, il frutteto di Petrolo era stato invaso da parassiti che avevano dimezzato il raccolto, e il vecchio non era in grado di dargli i quattrini che gli spettavano. Insomma, ognuno gli aveva esposto i propri problemi, e sembrava che tutti, per una ragione o per l’altra, non fossero in grado di far fronte agli introiti padronali cui Andriolo aveva diritto.

Ovviamente il mancato pagamento delle decime non avrebbe inciso sulla ricchezza del marchese, che godeva delle rendite di altre, ben più ricche proprietà, ma lui non voleva creare precedenti e soprattutto, per principio, agiva in maniera da impedire ai sottoposti di diventare insolenti. Era infatti bastata la minaccia di sfrattare chi non pareggiava i conti entro Natale per far sì che se ne andassero tutti con la coda tra le gambe.

Non tutti si presentavano al suo cospetto unicamente per questioni economiche. Andriolo possedeva alcune cascine nei dintorni di Gallarate, nelle vicinanze di una fitta boscaglia che era covo di briganti e tagliagole, e quel giorno aveva appreso con sommo sconcerto che chi vi abitava, più che temere tale accozzaglia di assassini senza Dio aveva paura dell’influenza nefasta di una povera donna nubile che occupava una catapecchia misera e cadente ai margini della brughiera. E ritenendola una malefica, una nutrita rappresentanza dei vicini di costei si era presentata a palazzo per denunciarla. Le accuse di stregoneria non erano una novità, a dire il vero, anche se il più delle volte erano solo frutto di ignoranza e superstizione, ma i villani pretendevano che fosse il marchese a denunciare la malvagia fattucchiera alle autorità ecclesiastiche. Sostenevano che la strega lanciava il malocchio in cambio di poche monete, e che per colpa sua Tonio era caduto giù dal tetto del fienile e avrebbe zoppicato per tutta la vita, comare Ida era afflitta da un persistente fuoco di sant’Antonio che non guariva nonostante gli impiastri e le pozioni del cerusico, una fanciulla in procinto di maritarsi non era riuscita ad alzarsi dal letto il giorno delle nozze, e infine alla sorella di lei erano caduti tutti i capelli, mentre il cognato era divenuto impotente.

Baldassarri si era sbarazzato in fretta di quegli zotici cenciosi che puzzavano d’aglio e di letame, asserendo che non essendo competente in materia di fatture e sortilegi, non spettava a lui stabilire se si trattava davvero di una malefica. Piuttosto, se erano disposti ad accettare un saggio consiglio, quegli inquietanti episodi dovevano essere riferiti al Santo Uffizio in Santa Maria delle Grazie, di modo che gli inquisitori potessero avviare tempestivamente un’indagine appropriata.

Liquidato l’ultimo dei postulanti, inaspettatamente nella sala delle udienze si era presentato Imre, che protestava per l’ingerenza della signora marchesa in affari che, con tutto il rispetto per la padrona, non le competevano affatto. Il turco minacciava di andarsene, perché essere rimproverato da una femmina, per giunta davanti a tutti gli altri mercenari, era un affronto intollerabile per un uomo che teneva alla reputazione e al proprio onore.

Andriolo, che non aveva dato molto peso a ciò che Cora gli aveva riferito sul violento scontro avvenuto in sua assenza tra Imre e Lampleto, ascoltò allibito le furibonde lagnanze del turco. La moglie, chissà perché, non gli aveva detto di essersi intromessa a sproposito in quella faccenda, e dunque, riservandosi di indagare più tardi sulla sua strana elusività, cercò di minimizzare l’operato di Cora e di rabbonire Imre. Il turco era più astuto di una volpe, letale come un cobra e lui lo riteneva un elemento insostituibile nel proprio apparato difensivo. Lo utilizzava infatti per gli incarichi di natura più sgradevole, quali minacciare e successivamente malmenare chi gli doveva somme ingenti perdute al gioco, oppure terrorizzare chi si arrischiava a pestare i piedi al marchese. Brutus, inoltre, servendosi in modo magistrale di opportune tattiche di persuasione che non fallivano mai – come per esempio cavare un occhio con la semplice pressione di uno dei suoi enormi pollici – riusciva a estorcere fino all’ultimo centesimo ai debitori che tardavano a restituire quanto Baldassarri prestava loro a usura. Lo aveva visto frantumare con un gesto noncurante, neanche si trattasse di uno sterpo secco, il braccio di un tizio che si ostinava a non saldare i conti in sospeso. Folle di dolore, l’incauto si era affrettato a tirar fuori il denaro dovuto prima che il turco gli rompesse ogni singolo osso con la stessa indifferenza.

Costernato all’idea di doversi privare di un così valido supporto per dirimere le sue molte controversie con il prossimo, Andriolo lo sollecitò dunque a fornirgli la sua versione dei fatti e Imre, senza farsi pregare, diede sfogo al malanimo che gli ribolliva in corpo. Il marchese apprese così con grande stupore, poiché non era da lei comportarsi in modo impulsivo, che Cora si era arbitrariamente frapposta tra Brutus e il Capitano de Fuentes, ponendo fine al duello tutt’altro che cruento in atto tra loro.

«Se conosco mia moglie» commentò infine, «credo sia intervenuta non tanto a favore dello spagnolo, quanto piuttosto di Lampleto. Cora ha il cuore tenero e voi avete forse esagerato con il ragazzo.»

«Esagerato? Mi ha sfidato, e meritava una lezione!»

«Imre, all’età di Lampleto si sopravvalutano le proprie forze e ci si reputa spadaccini imbattibili. Ma in realtà si tratta solo immatura avventatezza, e anche se comprendo che provocarvi è stato un errore che andava punito, ai sensibili occhi di mia moglie avete avuto l’imperdonabile torto di eccedere. Sono certo che non era sua intenzione offendervi.»

«Ma lo ha fatto, e io non posso passarci sopra, padrone. Il mio orgoglio è stato calpestato e sanguina ancora!»

Andriolo aprì un cassetto della scrivania e lanciò al turco una borsa di monete. «Questa risarcisce a sufficienza il vostro orgoglio?»

Un lampo di cupidigia attraversò lo sguardo di Imre, che dopo aver soppesato la borsa nel palmo annuì con riluttanza e si affrettò a farla sparire in tasca. «Siete generoso, mio signore, e vi ringrazio, ma la marchesa non dovrebbe in ogni caso...»

«Vi garantisco che mia moglie non si azzarderà più a infastidirvi, se è quanto stavate per dire» tagliò corto Andriolo, fissando con alterigia l’arrogante bastardo che osava dettare condizioni a lui, il Marchese Baldassarri. Ah, se solo avesse potuto rimpiazzarlo con un picchiatore altrettanto feroce!

«Ho la vostra parola?» domandò il turco.

«Naturalmente» confermò lui. «Debbo tuttavia raccomandarvi di non approfittare della vostra non comune forza fisica, Imre.»

«Posso anche farlo, padrone, ma non è certo con le carezze che si trasforma un ragazzo in un uomo vero» obiettò Brutus.

«Può darsi, ma vorrei ugualmente che evitaste di cimentarvi con avversari incapaci di reggere il confronto, come appunto Lampleto. Debbo un favore al padre del ragazzo, che lo ha posto sotto la mia protezione, e mi rincrescerebbe ricevere le comprensibili rimostranze di un genitore, capite? Lampleto, al quale tra l’altro avete spaccato il setto nasale e un paio di costole, non vi ha accusato di nulla sebbene non si sia ancora ripreso dalle ferite causate dai vostri colpi.»

«Non sono stato io a iniziare, dopotutto, bensì quel moccioso. Perciò cosa avrebbe potuto recriminare?»

«Comunque sia andata quel giorno e di chiunque sia il torto, vorrei che foste più tollerante con Lampleto, siamo intesi?»

«Come il padrone desidera» rispose mellifluo Imre, e aggiunse: «E per quanto riguarda il Capitano de Fuentes?».

«Cosa c’entra de Fuentes, adesso? Che cosa volete dire?»

«Posso capire che Lampleto, per un qualsiasi motivo, goda della vostra benevolenza e d’ora in avanti lo terrò a mente. Ma anche lo spagnolo, come vostra moglie, è intervenuto in una questione che non lo riguardava. La prossima volta andrò fino in fondo, se si arrischierà a incrociare ancora la sua spada con la mia, ve lo dico fin da ora.»

Andriolo inarcò un sopracciglio, sempre più irritato dalla tracotanza del turco. «Imre, voi mi siete testimone che non mi sono mai intromesso nelle occasionali scaramucce scaturite tra gli armigeri addetti alla difesa della mia persona.»

«È vero, voi non vi immischiate e io lo apprezzo.»

«Vi ringrazio, tuttavia debbo sottolineare che de Fuentes aveva il preciso dovere di salvaguardare l’incolumità del ragazzo. Rientra nei suoi compiti. Vi esorto inoltre a valutare con scrupolo maggiore l’abilità degli avversari. Lampleto è indubbiamente un novellino; il capitano è viceversa un soldato di valore, oltre che uno dei migliori amici del viceré. Non siate così sicuro di poterlo battere facilmente, casomai doveste scontrarvi di nuovo.» Andriolo fece una pausa e si protese verso l’imponente turco. «Vi faccio una confidenza, Imre: se dovesse accadere qualcosa di spiacevole al capitano, il viceré non si accontenterebbe di una scusa qualunque.»

«Padrone, mi state forse suggerendo di stargli alla larga perché è protetto da persone influenti?»

«Vedo che siete un uomo perspicace, Imre.»

«Dunque un uomo non può pareggiare i conti, in questa città?»

«Voi sembrate intenzionato a infilzare de Fuentes con la vostra spada, ma dovete rendervi conto che ciò darebbe origine a un’inchiesta per stabilire come e perché si sia giunti a tanto. Mi sono spiegato?»

Era un avvertimento, e il turco non lo prese sottogamba: erano gli spagnoli a dettar legge a Milano, e bisognava tenerne conto, quando si aveva un contenzioso con uno di loro. «Siete stato estremamente chiaro, eccellenza.»

Congedato Imre, Andriolo si diresse subito all’appartamento della moglie. Razza di stupida ficcanaso!, imprecò tra sé. Gli era costata una scarsella di monete e non era disposto a passarci sopra come se nulla fosse. Ultimamente l’aveva trascurata, e a quanto pareva lei stava alzando la cresta. Le avrebbe ricordato lui chi comandava in quella casa!

Cora comprese all’istante che la sfuriata di Andriolo sarebbe stata più violenta del solito: la faccia del marito era congestionata dalla rabbia e gli occhi solcati da venuzze rosse sporgevano vistosamente dalle orbite. Si sentì tremare mentre si alzava in piedi per fronteggiarlo. «Qualcosa non va, Andriolo?»

«Tutto non va quando ci siete di mezzo voi!»

«A cosa alludete?»

«Non fare la finta tonta con me, Cora!»

«Non lo farei mai, ve lo assicuro, ma concedetemi almeno il diritto di sapere quali colpe siete convinto che abbia commesso a vostro danno.»

«Ti accontento subito: non rammento di averti mai autorizzata ad assumere iniziative tese ad aizzare i miei armigeri uno contro l’altro!» sbraitò Andriolo, incollerito, incombendo minaccioso sulla giovane.

«Aizzare i vostri armigeri? Quando lo avrei fatto?» si stupì Cora, che pur sembrando esteriormente calma era in realtà consapevole che non sarebbe uscita indenne da quell’incontro con l’abietto consorte.

«Sai perfettamente a cosa mi riferisco, intrigante che non sei altro! Sei una bugiarda, Cora, ma ti pentirai di avermi trattato da imbecille!» gridò il marchese, afferrandola brutalmente per i capelli e tirandoli con forza nel deliberato intento di infliggerle dolore mentre la trascinava verso la camera da letto. Del tutto incurante del terrore comparso sul viso livido della moglie, che si mordeva il labbro per impedirsi di urlare, richiuse la porta con un calcio e girò la chiave nella toppa prima di riprendere in tono furente: «Ti sei resa invisa ai miei sottoposti impicciandoti in affari che non ti riguardavano e dei quali sarei stato io a dovermi occupare! Osi forse negarlo?».

«Lasciami, ti prego, mi stai facendo male» lo implorò lei con voce tremante, aggrappandosi al barlume di dignità che il panico non aveva ancora sopraffatto. «Se ho sbagliato in qualcosa l’ho fatto del tutto involontariamente, lo giuro! E ti chiedo umilmente perdono per qualunque cosa possa averti offeso. Ma ti prego, parliamone con calma.»

Determinato ad accanirsi con raffinata crudeltà sulla moglie non appena lei si fosse convinta di essere stata risparmiata, Andriolo la lasciò libera. Cora si illudeva immancabilmente di poter evitare la violenza del marito, come se qualcosa in lei si rifiutasse di capire che lui era capace di infierire come un aguzzino di professione. Andriolo tuttavia non si faceva alcuno scrupolo nell’accanirsi su una donna, e anche quella volta finse di accondiscendere alla tregua, pregustando tra sé e sé ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

«Parla dunque!» le ordinò.

«Se ti riferisci al fatto che ho interrotto il duello tra de Fuentes e Imre, ne conosci già il motivo: Brutus avrebbe massacrato di botte il giovane Lampleto se io...»

«Giusto, tu: che cosa diavolo c’entravi, tu?»

«Ho... ho pensato che il turco potesse...» balbettò Cora, atterrita.

«Ebbene?» la incalzò Andriolo con subdola amabilità, torcendo le labbra sottili in un ghigno grottesco. «Continua, mia cara.»

Cora si passò i palmi sudati sulla gonna dell’abito e si umettò le labbra improvvisamente aride. Il cuoio capelluto le bruciava come se fosse stato trafitto da acuminati spilli; l’acconciatura si era disfatta e ciocche di capelli cadevano sulle spalle e sui lastroni di pietra del pavimento. Cercò inutilmente di rimettersi in ordine, come se ricomporsi potesse tenere in qualche modo a bada la brutalità del marito, ma le dita le tremavano al punto da non poterne controllarne i movimenti e alla fine rinunciò. «Ho... ho creduto che Imre non si sarebbe fermato nemmeno davanti all’omicidio.»

«Omicidio? Una conclusione alquanto precipitosa la tua, non credi?» obiettò sarcastico Andriolo.

«Come puoi esserne certo? Ti fidi troppo di Imre, se posso esprimere la mia opinione, ma lui... Brutus, voglio dire... è così feroce che mi si ghiaccia il sangue nelle vene ogni volta che lo vedo.»

«Davvero?»

«Sì, i suoi occhi sembrano quelli di un rettile.»

«Un rettile? Suvvia, non dire assurdità, Cora!»

«Ti ripeto che c’è qualcosa in Imre che mi terrorizza, Andriolo.»

«Credo piuttosto che tu sia ingiustamente prevenuta nei suoi confronti, suggestionata magari da ciò che ti ho raccontato di lui. Ora, qualunque cosa sia successa mentre ero a Mantova, non si può fare il processo alle intenzioni di Imre solo perché non è nelle tue grazie.»

Cora lo fissò allibita. «È questo che ti ha detto? Che ce l’ho con lui? Dovevo dunque chiudere gli occhi davanti al pestaggio di Lampleto, che ancora soffre per ciò che il turco gli ha fatto?»

«Il ragazzo ha stuzzicato Imre e ha imparato a proprie spese a non farlo più. Comunque, antipatia o no, non azzardarti mai più a scavalcare la mia autorità ficcando il naso in faccende che esulano dai tuoi compiti.»

«È proprio perché tu non c’eri che ho creduto doveroso...»

Il pugno che Andriolo le sferrò sotto la mascella le fece esplodere un accecante lampo nella testa. Cora sentì le gambe cederle di colpo e cadde riversa a terra, inerte come una bambola di pezza, la bocca piena di sangue. Sentì i sensi intorpidirsi e l’oblio le lambì la mente, tuttavia si rannicchiò istintivamente per proteggersi. Un attimo dopo un violento calcio nel fianco le strappò un mugolio inarticolato. Poi Andriolo l’afferrò di nuovo per i capelli, immobilizzandola, e una gragnuola di colpi, uno più brutale del precedente, la tramortì.

Quasi anestetizzata dalla sofferenza, Cora si augurò di morire, così da sottrarsi a quel calvario. Il barlume di lucidità mentale che ancora le rimaneva stava sprofondando in una nebbia rossastra, al punto che era ormai incapace di formulare altro pensiero che non fosse invocare una morte misericordiosa. Ma Andriolo non conosceva pietà e non aveva ancora finito con lei. Fluttuando ai margini della coscienza, Cora capì che erano giunti all’ultimo atto di una tragica rappresentazione che si svolgeva sempre con le stesse modalità. Lui le strappò di dosso l’abito, denudandola, e le si gettò addosso, schiacciandola sul gelido pavimento con la sua corpulenta mole. La violentò con un osceno grido di esultanza, facendo scempio del suo corpo, mentre lei respirava a stento, schiacciata da quel peso immane e dal ribrezzo. Per sua fortuna, lo stupro non si protrasse a lungo: come di consueto, Andriolo raggiunse l’orgasmo assai rapidamente, e dopo aver soddisfatto i sensi con quell’assalto indegno e rivoltante, si rialzò con uno sforzo, ansimando come un mantice. Sistemandosi gli indumenti alla bell’e meglio sorrise tronfio e, torreggiando sulla moglie che giaceva scompostamente immobile ai suoi piedi, disse con cattiveria: «Che ti serva di lezione, Cora! Sono io il padrone, qui, e guai a te se ti azzarderai di nuovo a fare di testa tua!».

«Che tu sia maledetto...» fu tutto ciò che la giovane donna riuscì a rispondere.

Il marchese scoppiò in una risata divertita. «Maledicimi pure, ma sbrigati a darmi un erede! Io lo faccio il mio dovere di marito, come ti ho appena dimostrato. Tu invece mi stai deludendo parecchio.»

«Nessun figlio può essere concepito con uno stupro...»

«Ah, davvero?» Andriolo scrollò le spalle, e indispettito dalla forza d’animo della moglie le sferrò un ultimo calcio nel basso ventre. «Pianterò il mio seme dentro di te costringendoti a sfornare una caterva di figli, sta’ sicura che ci riuscirò!» Pronunciate quelle parole, le passò accanto senza degnarla di uno sguardo e, fischiettando un allegro motivetto, si allontanò dalla camera della moglie.

Il silenzio che subentrò all’uscita di scena di Andriolo parve a Cora paradisiaco. Le lacrime le sgorgarono da sotto le ciglia abbassate, scivolando calde lungo le tempie. Nei minuti successivi pianse fino a quando i suoi occhi non si rifiutarono di versarne altre. Infine, intorpidita dal dolore e dal freddo che le si era insinuato nelle membra, con un ultimo singhiozzo si lasciò risucchiare dalla nera oscurità che avanzava accogliendo con gratitudine l’incoscienza, un balsamo portentoso che rendeva completamente insensibili mente e corpo.

«Cora, bambina mia... che cosa ti ha fatto quel depravato, che Dio lo fulmini?» Il sussurro angosciato di Abdia le giunse attutito alle orecchie. L’anziana governante sollevò con delicatezza la testa scarmigliata della sua amata padrona e se la posò in grembo.

«Abdia...»

«Dimmi?»

«Se n’è andato?»

«Sì, tesoro; adesso ci sono io accanto a te. Riesci ad alzarti, con il mio aiuto, o devo chiamare una domestica? Ti buscherai un malanno restando ancora su questo gelido pavimento, e da sola non riesco a portarti fino al letto...» Parlando, Abdia le accarezzava i capelli intrisi di sangue e lacrime, inorridita dai lividi che già incominciavano a chiazzare la pelle delicata della giovane.

«Non... non voglio vedere nessuno, Abdia... Se mi dai una mano posso provarci...» Aggrappandosi alla balia, Cora si rialzò e, trascinandosi sulle gambe, raggiunse il letto. La governante l’aiutò a sdraiarsi e con gesti lievi le tolse il vestito stracciato, poi versò acqua in una bacinella, vi immerse un panno e con delicatezza le pulì il corpo cosparso di ecchimosi.

«Abdia...»

«Che c’è, bambina?» La governante si chinò sollecita sulla giovane. I suoi occhi erano angustiati come mai prima di allora.

«Andriolo mi ucciderà, se non resto incinta...»

«Prima dovrà passare sul mio cadavere!» dichiarò con truce determinazione Abdia, cospargendo tagli e contusioni con un unguento.

«Forse mi toglierò la vita io stessa...»

«Che cosa dici, bambina mia?» proruppe la domestica, sgomenta. «Cora, è peccato anche solo pensare cose simili. Certo, a volte si preferirebbe morire piuttosto che vivere, ma tu sei ancora tanto giovane.»

«Sono così stanca di tutto questo... Non ce la faccio più.»

«Troveremo una soluzione, te lo prometto.»

«E quale? Sono sua moglie e nessuno può fare niente.»

«Non temere, escogiteremo qualcosa per salvarti dalla canaglia che hai sposato e che si reputa un gentiluomo.»

«Andriolo è più forte e scaltro di noi due messe insieme, Abdia.»

«Bah, neanche il diavolo riesce a farla in barba a due donne che si uniscono per raggiungere un comune obiettivo.»

«Stai pensando al veleno?»

«Uhm, non sarebbe una cattiva idea, sai?»

«Non scherzare...»

«Scherzare? La situazione è drammatica e tu rischi la vita, quindi dobbiamo escogitare qualcosa.»

«È inutile, sono alla sua mercé.»

«Mai arrendersi, Cora» la esortò Abdia con materna tenerezza, coprendole il corpo martoriato con il lenzuolo.

«Arrendersi? Non ho più speranze, ormai!»

A corto di parole, la governante sospirò sconsolata. «Devi trovare la forza di reagire. Ora scendo in cucina a prepararti una tisana calmante che ti farà dormire senza incubi...»

«Non andartene, ti prego!» Cora le afferrò la mano e la trattenne. «A volte Andriolo torna... e oggi ho avuto abbastanza attenzioni da parte sua per aver voglia di ricominciare...» Si passò la lingua sulle labbra ferite dai morsi del marito. «Non entrerà, se ti vedrà vicino a me.»

«D’accordo, non agitarti, bambina.» Abdia le appoggiò il panno umido sulla fronte e le sfiorò il braccio in un gesto affettuoso che scaldò il cuore di Cora. «Veglierò tutta la notte, tesoro, dormi tranquilla.»

Cora sorrise e, cedendo allo sfinimento, chiuse le palpebre e si abbandonò finalmente a un sonno torpido e privo di sogni.