Intraducibile
Istantanea di una passeggiata sul Carso qualche settimana fa. Un lapidario apologo per i traduttori, un’epifania del loro lavoro grande e impossibile. In una dolina due bambini, sotto l’occhio attento del nonno, giocano inventando di continuo avventure imprevedibili. Lui – si chiama Isacco – ha due anni e qualche mese, mi dice orgoglioso il nonno; pelle bruna e capelli ricciuti di figlio di genitori di colore diverso, occhi lucenti, teneri e maliziosi, sprizzanti intelligenza e gioia di vivere. Si arrampica su un albero, cade, si rialza ridendo, si fabbrica un bastone o un fucile con un ramo, cerca di zufolare in una canna, insegue qualche uccello che si sposta di poco davanti al suo impeto. Lei si chiama Vera, bianca luminosa e ritrosa margherita dai dolcissimi occhi azzurri; ha un anno, guarda incantata, stupita e talora intimidita il mondo che il suo cugino dall’incantevole pelle scura conquista andando allo sbaraglio e gridando “All’arrembaggio”.
Ogni tanto lei incespica nell’erba folta e umida e lui, smargiasso generoso, subito corre ad aiutarla a rialzarsi; se riceve dal nonno un biscotto lui gliene dà un pezzo e ri prende il giro dei suoi possedimenti. È evidente che il mondo è suo e che lo apre magnanimamente agli altri senza perdere il senso di possedere la vita. La felicità forse non è altro che questa regalità. Quando il nonno, guardando il cielo che va schiarendosi dopo la pioggia cessata da poco, dice fra sé, a mezza voce intelligibile per chi gli sta vicino, “Viene primavera”, il bambino, che stava correndo, si ferma, si volta e gli dice, dolce ma fermo: “No, prima Isacco.”
Genialità inconsapevole e intraducibile. Tradurre, diceva un vecchio manuale triestino, è impossibile ma necessario.
8 maggio 2016