Nella galleria di Castelli

New York, ottobre 1989, nella galleria di Leo Castelli al 420 di West Broadway, uno dei cuori e luoghi sacri dell’arte di tutto il mondo. La galleria che ha scoperto, promosso e talora creato la Pop Art e in generale alcune delle grandi scuole e correnti dell’arte contemporanea. È un giorno un po’ speciale; la galleria – al pari di molte altre della città – è bardata a lutto in segno di protesta contro la sentenza di un magistrato che ha condannato un artista – o forse una mostra o una performance – per oscenità. I quadri alle pareti – quei quadri che i visitatori raffinati vengono a vedere dalle parti più diverse della Terra e ai quali si accostano come a oggetti di culto – sono coperti da un panno nero; tanti quadrati e rettangoli appesi alle pareti, celati dal medesimo tessuto nero, tutti uguali a parte le dimensioni. La galleria è ovviamente vuota; i suoi frequentatori non sono soliti arrivare lì sprovveduti, ma sono in genere ben informati su ciò che avviene in quel tempio del Postmoderno e di ogni possibile Post di ogni cosa; dunque sanno che quel giorno non vengono esposti quadri.

Seduti su un divano, Marisa e io chiacchieriamo con Castelli. È amabile, paterno e affettuoso, con una punta di malinconia nel suo garbo di gran signore della vecchia Europa che, forse perché radicato così profondamente in una plurisecolare memoria culturale – lui ebreo triestino di ascendenze plurinazionali divenuto un re a New York – ha saputo fiutare, scovare, incoraggiare, indirizzare, imporre il Nuovo, un Nuovo talora sconcertante e antitetico a quell’antica civiltà che lui incarna fin nei gesti pacati e nei tratti del volto. Anche Ileana Sonnabend, sua ex moglie e sempre grande amica che lo ha iniziato all’arte e al mercato dell’arte e che andiamo a salutare, è un’affascinante simbiosi personale di vecchia Mitteleuropa e grande mondo in cui irrompe il futuro. Parliamo di Trieste, di amici comuni, di libri, di figli, di Caffè prediletti in varie città.

A un certo punto entra una giovane donna, una visitatrice. Ignara della protesta, crede di trovarsi dinanzi a un’esposizione, forse alla proposta di una nuova scuola pittorica. Si ferma davanti a ogni quadro, ossia a ogni panno nero, si allontana e si riavvicina per osservarlo meglio, si siede e prende diligentemente appunti; questa nuova pittura sembra piacerle e convincerla. Castelli mi guarda per un attimo con un’ombra d’imbarazzo, poi riprendiamo a parlare di vecchie cose, mentre la visitatrice continua la sua scoperta di una nuova tendenza artistica.

12 settembre 1999