VII

 

 

DI CERTE ABERRAZIONI DEI CLIENTI, CHE I GIUDICI DEBBONO RICORDARE A SCUSA DEGLI AVVOCATI

 

 

È sorprendente la costanza colla quale i clienti, nello scegliere i loro avvocati, ricercano in loro proprio le qualità opposte a quelle che sono pregiate dai giudici. I giudici amano gli avvocati discreti e laconici, i clienti li vogliono verbosi e prepotenti; i giudici hanno in uggia gli ingegnosi fabbricatori di cavilli, i clienti vedono nella fertilità con cui si escogitano i sottili espedienti la dote più cospicua dell'ingegno avvocatesco; i giudici preferiscono i difensori che nell'esporre la loro tesi contano sulla bontà oggettiva degli argomenti e non sulla imposizione della loro autorità personale, e i clienti vanno a cercare i difensori tra i deputati o i professori.

Ma il più strano è questo: che anche il giudice, quando per qualche sua controversia personale diventa giudicabile e ha bisogno di un difensore, cade nella stessa aberrazione dei clienti profani; e lo va a cercare col lumicino proprio tra quelle categorie di avvocati di cui, come giudice, ha sempre diffidato.

 

 

Che vuol dire « grande avvocato »? Vuol dire avvocato utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni.

Utile è quell'avvocato che parla lo stretto necessario, che scrive chiaro e conciso, che non ingombra l'udienza colla sua invadente personalità, che non annoia i giudici colla sua prolissità e non li mette in sospetto colla sua sottigliezza: proprio il contrario, dunque, di quello che certo pubblico intende per « grande avvocato ».

 

 

Disse il cliente, nello scegliersi il difensore: — Eloquente e furbo: ottimo avvocato!

Disse il giudice, nel dargli torto: — Chiacchierone e imbroglione: avvocato pessimo!

 

 

Certi clienti vanno dall'avvocato a confidargli i loro mali, nell'illusione che, col contagiarne lui, essi ne rimarranno subito guariti: e ne escono sorridenti e leggeri, convinti di aver riconquistato il diritto di dormire tranquilli dal momento che hanno trovato chi si è assunto l'obbligo professionale di passare le sue notti agitate per loro conto.

Incontrai una sera al teatro un cliente che il giorno stesso era venuto al mio studio a confidarmi di essere sull'orlo del fallimento. Parve contrariato e sorpreso di trovarmi in quel luogo di svago: e da lontano mi guardava durante lo spettacolo con un certo cipiglio, quasi per farmi capire che, colla rovina che lo minacciava, non era delicato che io pensassi a divertirmi e non sentissi l'elementare dovere di rimanere a casa a sospirare per lui.

 

 

Quando spieghi a certi clienti che gli avvocati non sono fatti per tesser frodi alla giustizia, ti guardano con aria stupefatta. A che dunque serve l'avvocato — par che ti domandino — se non ad assumer su di sé i nostri imbrogli, per riservare a noi immacolata la nostra fama di persone perbene?

 

 

Alla fine di un giorno ozioso, in cui nessun cliente era venuto a bussare alla sua porta, l'avvocato uscì dal suo studio fregandosi le mani con aria felice, e disse:

— Buona giornata: nessuno è venuto a chiedermi di anticipargli le spese.

 

 

I giudici si lamentano che gli avvocati scrivono troppo: e quasi sempre hanno ragione.

Ma si ingannano se di questo eccesso danno colpa alla naturale verbosità degli avvocati o magari al loro desiderio di maggior lucro: i giudici non sanno quanta di questa prolissità è dovuta alle pressioni del cliente, e quanta pazienza l'avvocato deve adoprare per non piegarsi alle insistenze di chi valuta la bontà della difesa dal peso delle carte scritte.

Mi sta nella memoria la frase di una gentile signora, la quale, dopo avermi spiegato per la decima volta gli argomenti di cui, a suo avviso, dovevo intessere la sua difesa, sul punto di andarsene si fermò sull'uscio della mia stanza, e con un sorriso supplichevole mi sospirò: — Avvocato, mi raccomando a lei: scriva molto!

 

 

Certi valentuomini di buon appetito stimano che i medici siano stati creati non per insegnar la morigeratezza che conserva la salute, ma per escogitare rimedi eroici contro le malattie prodotte dagli stravizî, e dare così ai loro fedeli clienti la ricetta per continuar beatamente a straviziare; allo stesso modo pensa taluno che la funzione degli avvocati nella società non sia quella di mantenere i loro clienti sulla via della legalità, ma quella di escogitar espedienti per riparar le malefatte degli imbroglioni, e per metterli in grado così di continuar tranquillamente i loro imbrogli.

 

 

So di un leguleio, che dopo essere stato condannato per falso e truffa, e cancellato per questo dall'albo degli avvocati, si è visto correr d'intorno, quando è uscito dalla prigionia, una folla di clienti, quale non si era mai sognato di avere quando la gente lo credeva onesto.

Questa è la mentalità del grosso pubblico nei confronti degli avvocati: se è stato capace di far le truffe per conto suo, dice la gente, chissà come sarà bravo per imbrogliare i giudici su commissione della clientela!

 

 

Nell'avvocatura civile, la differenza tra i professionisti e i mestieranti è la seguente: che mentre questi si ingegnano di trovar nelle leggi le ragioni per permettere ai clienti di violar legalmente la morale, quelli cercan nella morale le ragioni per trattenere i clienti dal far quello che solo le leggi permettono.

 

 

A un avvocato di mia conoscenza fu regalato da un pittore suo amico (che, come tutte le persone che vivon con la testa fra le nuvole, continua a figurarsi che i clienti siano vittime degli avvocati, e non viceversa) un'acquaforte che rappresenta la carcassa di un pollo bell'e pelato; e il dono fu acccompagnato da questa chiosa: — Ecco la verace immagine del cliente che ha vinto la causa. —

L'avvocato appese quella immagine nell'anticamera del suo studio: e sotto vi scrisse, facendosi aiutar per la metrica da un suo amico filologo: Non ego sic plumas evellere quaero clienti, felix ni raperet perfidus ille meas.

Dopo qualche tempo, un nobile signore, cliente da molti anni di quell'avvocato, e suo debitore per molte migliaia di lire di spese anticipategli, lesse nel passare dall'anticamera quella iscrizione; e poiché, per quanto nobile, era ignaro di latino, all'avvocato che lo riaccompagnava all'uscita curiosamente domandò:

— Mi spiega, avvocato, che vuol dir quella scritta sotto quel povero pollo?

— Ben volentieri, signore, le spiegherò il significato di quel distico; nel quale bellamente si figura che sia l'avvocato che parli e che si esprima così: Io non aspiro a pelare i miei clienti come questo pollo; ma chiederei solamente (e qui l'avvocato fece un sospirone) che quei birbanti di clienti non pelassero me…. — Pensereste che il nobile signore si turbasse a quella spiegazione? Battè colla mano signorilmente benevola la spalla dell'avvocato, e gli disse nell'andarsene:

— Felice lei, avvocato, al quale i proventi della professione permettono di dedicarsi a questi svaghi di letteratura! —

 

 

Frasi che un avvocato deve abituarsi a trangugiare in silenzio, senza uscire dai gangheri, ed anzi per di più colla faccia atteggiata a un celestiale sorriso, se chi le pronuncia è (come quasi sempre avviene) una gentilissima signora cliente:

— Sono ricorsa a lei, perché ho pensato che è meglio farsi spellare da un boia pratico. — Oppure:

— Piuttosto che dare i miei quattrini a quell'assassino (si tratta, di solito, del marito), preferisco farmeli mangiare dagli avvocati. — Il primo impulso che ti viene, nell'udir queste delicate allusioni al boia che scortica, o all'appetito degli « avvocati » che, detti così al plurale, par di vederli accorrere in branco come sciacalli, è quello di buttare il cliente (o, con bel garbo, la cliente) giù per le scale. Ma poi bisogna rassegnarsi a ricever come complimenti questi fiori del linguaggio corrente: anche perché, se te ne avessi a male, il cliente che te li offre non riuscirebbe a rendersi ragione di quel tuo sdegno, e si stupirebbe di te, così corto da non avere inteso che quelle frasi, nel linguaggio dei clienti, voglion dire che tu sei per loro un principe del foro.

 

 

Ardua impresa è difendere il cliente ingenuo, che sia del tutto ignaro delle complicate alchimie giuridiche: quando gli parlerai di termini non osservati o di forme non rispettate e gli annuncerai che tutto è perduto a causa della prescrizione o del patto commissorio, egli ti ascolterà a bocca spalancata, tra il terrore e l'ammirazione, incapace di cogliere il misterioso significato di quelle formule: e tu ti sentirai dinanzi a lui nella incresciosa situazione di chi, non volendo recitare la parte del mago, rischia di fare agli occhi del volgo la figura dell'impostore.

Ma più arduo è difendere il cliente che si crede un consumato giurista: come, per esempio, il pensionato che in vecchiaia passa le giornate a postillar nelle pubbliche biblioteche le gazzette giudiziarie, o il benestante che trent'anni fa, prima di mettersi in pace a coltivar le sue terre, si laureò in legge « tanto per avere un titolo ». Costui, trovandosi oggi ad esser parte in un litigio, andrà per prima cosa a ricercare in fondo a un cassetto i codici polverosi, e trionfalmente crederà di averci trovato da sé, a colpo, la ricetta per il suo male: e quando verrà poi da te ad affidarti la sua causa, ti farà capire strizzando l'occhio che questa volta l'opera tua sarà ridotta a poco, perché in sostanza tu potrai sbrigartela col mettere in bella copia gli argomenti defensionali, invincibili al cento per cento, già preparati da lui.

Disgraziato te, se tratterai la sua causa a modo tuo, senza mettere in bella luce quei suoi geniali argomenti: se la perderai, non ti sto a dire quali improperî ti ricopriranno; ma anche se la vincerai, costui non mancherà di serbar contro di te un sordo rancore. Il cliente farà presto a dimenticarsi che la causa, in fin dei conti, gliel'hai vinta; ma per tutta la vita il giurista incompreso ricorderà che gli hai inflitto lo smacco di vincergliela con argomenti non suoi.

 

 

*Un grande civilista romano mi raccontava che una volta, invitato da un cliente a discutere una causa alla corte d'appello di una città insulare, arrivò per mare due giorni prima della discussione, colla speranza di potersi concedere (come di rado gli accadeva) una giornata di solitudine e di riposo: ed anche (poiché s'era d'estate) un po' di refrigerio sulla spiaggia.

Ma allo sbarco, vestito di nero e grave in volto, il cliente inesorabile lo attendeva, per ospitarlo a casa sua. L'avvocato dovè durare molta fatica per spiegargli che aveva già fissato la camera all'albergo e che, per ristudiarsi in pace la causa, aveva bisogno di esser lasciato solo. Alla fine, molto contrariato, il cliente si rassegnò ad accompagnarlo all'albergo; ma rimase di guardia, seduto accanto al portone. E ogni volta che l'avvocato si affacciava dalle scale, vedeva, giù in anticamera, quell'ombra nera che si alzava e gli faceva un inchino.

Verso il tramonto l'avvocato uscì dall'albergo per andare a fare il bagno alla spiaggia vicina alla città. Il cliente intuì il suo proposito, lo scongiurò di non farlo, lo seguì per la via: gli spiegò concitatamente che era una spiaggia pericolosa, battuta dal vento, piena di insidiose correnti. L'avvocato salì su una automobile di piazza: il cliente, senza chiedergli il permesso, gli si mise accanto.

Arrivati allo stabilimento, l'avvocato si infilò in una cabina e vi si barricò: e all'improvviso fece una sortita in mutandine, correndo velocemente verso la spiaggia.

Quello, implacabilmente nerovestito, lo rincorse fino sull'orlo delle onde.

— Avvocato, signoria, eccellenza…. Per carità, non faccia pazzie. Non si spinga, non si allontani. Attento alle correnti, attento alle buche. Forse non ha digerito bene…. Attento alle congestioni. Non si tuffi. —

L'avvocato si tuffò, cominciò a nuotare verso il largo.

Allora l'uomo nero perse la testa: cominciò a agitare le braccia e a chiamar gente:

— Aiuto, aiuto! Affoga! è affogato! è perduto! Povero me! Aiuto, sono perduto! Aiuto, la mia causa è perduta…. — Pareva una madre alla disperazione per la sua creatura in pericolo. Corsero i bagnini. L'avvocato seccatissimo, uscì dall'acqua, si rivestì, tornò all'albergo, si chiuse in camera.

E il cliente vestito di nero, asciugandosi il sudore in portineria, pensava:

— Pagato sei per discutere, non per fare il bagno: prima discuti, e poi affoga. —