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Foreste, salmoni e predatori

 

Il nostro sesto lato è la demografia. O meglio, sono i modelli di crescita sviluppati dai demografi, e più in generale dalle discipline che studiano le popolazioni di organismi viventi, non importa se costituite da animali, vegetali o microrganismi.1 Modelli che sono stati creati per descrivere i processi di crescita più diversi: l'evoluzione dei parametri fisici (lunghezza, peso, volume, diametro, ecc.) di un singolo organismo vivente, la crescita del numero di membri di una popolazione, le fluttuazioni di due o più popolazioni in interazione reciproca.

Anche se, come vedremo, alcuni modelli matematici sono comuni o possono apparire simili, c'è una grande differenza fra il modo in cui economisti e demografi2 affrontano il problema della crescita. Il percorso degli economisti segue un tipico tracciato: prima si formula una teoria, poi la teoria viene tradotta in un modello matematico, infine si studiano le proprietà del modello e se ne ricavano le conclusioni. Può anche accadere, ma non è particolarmente frequente, che il modello e le sue predizioni siano posti a confronto con i dati, ossia con la storia reale di uno o più sistemi economici. Spesso chi fa questo secondo tipo di lavoro, il lavoro sporco sui dati, non è il medesimo studioso che ha formulato la teoria. E può persino accadere che chi ha formulato la teoria non sia d'accordo con chi l'ha messa alla prova sui dati, specie se i dati non la supportano, e talora persino quando i dati sembrano confermarla. È precisamente quel che è successo con il modello di Solow. Il modello fu formulato in termini astratti nel 1956 da Solow, nel 1992, ovvero 36 anni dopo, Mankiw, Romer e Weil provarono (apparentemente con successo) a sottoporlo a un test su dati reali, ma sia Solow sia altri studiosi ripudiarono energicamente le prove empiriche portate a suo sostegno.3

Ancora più interessante è quanto succede quando qualcosa non funziona in una teoria, e ancora una volta il caso di Solow è istruttivo. Quando ci si accorse che le economie reali crescevano molto di più di quanto il modello prevedesse, gli economisti si divisero repentinamente in due fronti. Gli ortodossi, ansiosi di difendere il modello (e il suo impianto neoclassico), escogitarono ogni sorta di variante per salvarlo: alcuni, riprendendo uno spunto dello stesso articolo di Solow del 1956, spiegarono le anomalie introducendo la variabile esogena progresso tecnico; altri si diedero ad "aumentare" la funzione di produzione introducendo nuove forme di capitale, in particolare il capitale umano. I critici, desiderosi di falsificare il modello, passarono direttamente alla costruzione di modelli alternativi, non più basati sull'assunto dei rendimenti decrescenti: di qui la letteratura sulla crescita endogena e la popolarità dei modelli AK.

Quel che è interessante, in questo modo di procedere, è il suo razionalismo, per non dire il suo apriorismo. Le contrapposizioni sono innanzitutto fra teorie molto astratte, che fondamentalmente generano due scenari opposti: uno scenario pessimistico di "spegnimento" della crescita, se si adotta l'approccio neoclassico puro, senza progresso tecnico; e uno scenario ottimistico di crescita perpetua, se si adottano i modelli AK, o si corregge il modello neoclassico con l'artificio di un progresso tecnico esogeno e senza fine. Due scenari ben rappresentati dalle due curve opposte che li descrivono, la curva di Solow e la curva di Romer.

Alquanto diverso è l'approccio prevalente fra i demografi e più in generale fra i biologi e gli studiosi di dinamica delle popolazioni. Anch'essi studiano la crescita, che qui può riguardare qualsiasi tipo di organismo vivente: persone, ma anche salmoni, ricci, batteri, piante, foreste, insetti, animali-preda e animali-predatore. E tuttavia lo fanno in un modo decisamente meno ideologico degli economisti; un modo più empirico e meno astratto, più attento ai meccanismi della realtà e meno ossessionato dalle teorie.4

Sospingono in questa direzione almeno due elementi. Il primo è che, occupandosi relativamente poco di società umane, i biologi e gli studiosi di dinamica delle popolazioni possono molto più facilmente ignorare le conseguenze socio-politiche delle loro teorie. Sapere che una foresta cresce a un tasso costante o decrescente non ha conseguenze così coinvolgenti come sapere che un'economia è destinata a svilupparsi o a fermarsi per sempre. Il secondo elemento che differenzia i biologi e i demografi dagli economisti è l'esistenza di un consenso di fondo sulle caratteristiche generali del processo di crescita. Per i biologi e i demografi è ovvio, e quindi è dato per scontato, che né i singoli organismi, né le popolazioni possono crescere illimitatamente, se non altro perché lo spazio a loro disposizione è finito. A seconda delle caratteristiche delle popolazioni studiate e del loro ambiente, la curva della crescita può cambiare notevolmente profilo, ma non sussiste alcun dubbio che, in ultima analisi, ossia nel lungo periodo, la crescita stessa abbia un limite superiore assoluto, un tetto o soffitto oltre il quale non può andare. Tanto è vero che, in determinati ambiti di studio, tale tetto prende anche un nome ben preciso: si chiama "capacità portante", e indica il numero massimo di individui che un certo ambiente può reggere.

Questa idea, che la crescita incontri un limite insuperabile, lascia sullo sfondo il dilemma crescita-arresto che appassiona gli economisti, e sposta l'attenzione su un altro versante. Una volta stabilito che la crescita di una popolazione non possa essere illimitata, il problema diventa quello di individuare i meccanismi che ne governano l'evoluzione e soprattutto di tradurli in equazioni matematiche. È qui che il lavoro dei demografi diventa molto utile per noi sia sul piano concettuale, sia su quello matematico. Nella visione dei demografi, e ancora più in quella dei biologi, è dato per scontato che qualsiasi processo di crescita sia la risultante di due forze contrastanti, una in qualche modo "banale", l'altra no. La forza banale è la mera riproduzione, di cellule, organismi, popolazioni, un meccanismo che tendenzialmente (ossia in assenza di forze di segno opposto) darebbe luogo a una crescita esponenziale perpetua, come nel modello malthusiano di esplosione della popolazione. La forza non banale è invece l'insieme dei meccanismi che ostacolano e rallentano la crescita. La crescita, scrive il grande biologo Ludwig von Bertalanffy parlando del singolo organismo, è il risultato dell'interazione fra "sintesi e distruzione, anabolismo e catabolismo dei materiali costitutivi del corpo". E delle due forze, la forza che spinge e la forza che frena, quella di gran lunga più importante, quella di cui vale la pena occuparsi, è chiaramente la seconda, perché - come ebbe a notare più di un secolo fa il grande anatomista Charles Minot - "l'invecchiamento comincia alla nascita". L'idea, ci spiega il premio Nobel per la fisiologia e la medicina Peter Medawar,5 è che ogni organismo o popolazione abbia un proprio tasso di crescita intrinseco, corrispondente al suo accrescimento in assenza di forze di rallentamento. Tale tasso è massimo all'inizio, quando l'organismo o la popolazione hanno dimensioni minime o trascurabili, ma poi declina inesorabilmente, sotto l'azione delle forze che ostacolano la crescita. Ecco perché la tendenza alla decelerazione della crescita è stata battezzata "legge di Minot", e lo studio delle forze che ne sono responsabili assume un'importanza fondamentale.

In quest'area di studi, tuttavia, il tipico meccanismo di rallentamento della crescita non è di natura puramente meccanica, come possono essere l'esaurimento di una miniera, il declino di fertilità di un terreno agricolo, o il soffocamento di una popolazione di ninfee perché lo stagno che le contiene è troppo piccolo (se non altro perché ha una superficie finita). Specialmente fra gli studiosi di dinamica delle popolazioni, il rallentamento della crescita è visto come il prodotto dei comportamenti delle popolazioni che agiscono e interagiscono in un certo ambiente, della distribuzione spaziale dei loro membri, oltreché dei parametri biologici che caratterizzano la specie o le specie coinvolte. Il rallentamento, in altre parole, è la risultante di meccanismi interni,6 una sorta di prodotto congiunto o sottoprodotto naturale della crescita stessa.

Nei modelli detti rispettivamente "scramble" e "contest", per esempio, la forma della curva di evoluzione di una singola popolazione dipende dal modo - egualitario o diseguale - in cui i suoi membri accedono a un ammontare di risorse scarse. Se l'accesso è sostanzialmente uniforme la numerosità della popolazione evolve secondo una certa famiglia di modelli matematici - il cui capostipite è il cosiddetto "modello di Ricker" - e l'eventuale diminuzione delle risorse può determinare un improvviso crollo della popolazione, fino all'estinzione. Se invece l'accesso alle risorse è asimmetrico, perché esistono individui o gruppi dominanti, la numerosità della popolazione evolve secondo un'altra famiglia di modelli - il cui capostipite è il cosiddetto "modello di Beverton-Holt" - e il numero di membri si stabilizza più facilmente, l'estinzione è meno probabile, la riduzione delle risorse ha effetti meno catastrofici.7

Nei modelli preda-predatore, formulati da Lotka e Volterra negli anni Venti, la dinamica di due popolazioni è regolata dalle attività di predazione: l'abbondanza di prede alimenta la crescita dei predatori, ma l'attività di predazione di questi ultimi fa diminuire il numero delle prede, riducendo il cibo a loro disposizione e facendone diminuire il numero; per parte loro le prede, decimate dai predatori, ricominciano a crescere quando questi ultimi sono a loro volta diminuiti a causa della scarsità di prede; sicché un tipico esito di questi meccanismi è l'oscillazione delle due popolazioni intorno ai loro valori di equilibrio, senza che nessuna delle due prenda definitivamente il sopravvento.

Questo modo di pensare la crescita ha portato biologi e demografi a mettere a punto un vastissimo repertorio di modelli matematici, capaci di rappresentare processi anche qualitativamente molto diversi. Modelli in cui il tempo cambia in modo continuo e modelli in cui il tempo varia in modo discreto. Modelli di crescita del singolo organismo e modelli di crescita di un aggregato di organismi.8 Modelli di interazione fra i membri della medesima specie e modelli di interazione fra più specie. Modelli in cui la competizione è per le risorse, e modelli in cui - come nelle famose equazioni di Lotka e Volterra - due o più specie si affrontano nelle vesti di prede e di predatori.

Ecco perché, anziché fare una scelta secca fra curva di Solow e curva di Romer, preferiamo affrontare il nostro interrogativo - possono ancora crescere le società avanzate? - con un'incursione nel paradiso dei modelli matematici dei demografi. La matematica della crescita è un mondo affascinante, che ci riserverà non poche sorprese.

Prima sorpresa: il più famoso modello demografico inventato dopo Malthus, la curva di Verhulst (o curva logistica), non sceglie affatto fra le due curve ma le combina.

Figura 17 - Curva di Verhulst: prima accelera, poi decelera

 

 

 

Il modello, concepito nel 1838, nasce dall'idea che la curva di sviluppo di una popolazione possa alternare una fase di crescita accelerata, che ha luogo quando la popolazione è piccola e l'ambiente che la può contenere è relativamente libero, e una fase di crescita sempre più lenta - fino all'arresto - quando la popolazione è divenuta troppo numerosa e proprio per questo trova un limite nell'affollamento dell'ambiente o nella scarsità delle risorse a disposizione di ogni membro. In breve: prima curva di Romer (convessa), poi curva di Solow (concava). Come si può vedere accostando le tre figure (figure 15, 16, 17), è proprio quel che fa l'equazione di Verhulst.

Seconda sorpresa: anche se danno per scontato che la crescita abbia un limite, non sempre demografi e biologi usano modelli matematici che prevedono un asintoto superiore, ossia un punto raggiunto il quale la crescita si arresta. Esistono organismi o popolazioni che, almeno per un tratto della loro esistenza, possono crescere in modo esponenziale, ossia apparentemente senza limiti. È il caso di alcuni tipi di piante, che dopo una fase di decelerazione possono entrare in una fase di crescita accelerata, un caso descritto da Bredenkamp e Gregoire in un articolo del 1988, apparso su "Forest Science". Ma è anche il caso di alcune specie di ricci marini, per esempio i ricci rossi che vivono sulla costa occidentale del continente nordamericano (Strongylocentrotus franciscanus), un caso descritto e analizzato da Ebert e Southon in un articolo del 2003 sul "Fishery Bulletin".

Quando questo accade, anche gli studiosi di dinamica delle popolazioni possono essere indotti a adottare modelli matematici "non asintotici", modelli cioè che ammettono traiettorie di crescita prive di un tetto, come la funzione di Tanaka, o l'equazione di Richards, o la più recente equazione di Schnute.9 E anche se la maggior parte dei teorici continua a pensare che un vero modello di crescita deve prevedere un asintoto, non manca chi - come Oscar García in un importante contributo del 1997 sulla classificazione delle curve di crescita - fa notare che la presenza di un asintoto superiore (un "tetto") non è un requisito matematico tassativo di un modello di crescita.

Insomma, specie in scienza forestale, non si può escludere a priori che un processo di crescita segua il profilo della curva di Romer, e neppure che inverta la classica sequenza accelerazione-decelerazione che caratterizza la curva di Verhulst. Quando questo accade, la curva di crescita assume un aspetto simile a quello della funzione tangente della trigonometria.

Figura 18 - Curva anti-Verhulst: prima decelera, poi accelera

 

 

 

La chiameremo curva anti-Verhulst, visto che costituisce una sorta di capovolgimento della dinamica della curva di Verhulst.

È proprio questo il caso descritto da Bredenkamp e Gregoire nel loro articolo del 1988: prima la foresta soffoca, perché le piante competono fra loro per lo spazio e la luce, poi proprio la mortalità indotta dalla competizione permette una sorta di rinascita della foresta, innescando una fase di crescita accelerata. Insomma, prima curva di Solow (decelerazione), poi curva di Romer (accelerazione), l'esatto contrario di quel che accadeva con la classica curva di Verhulst.

Il punto veramente interessante per noi, però, non è il fatto che anche biologi e demografi abbiano i loro modelli, né il fatto che siano tantissimi (nella sua monumentale opera del 1988 Kiviste ne contò e mise alla prova ben 75), e neppure il fatto che alcuni di essi si comportano alla Solow, altri alla Romer.

Se così fosse, saremmo da capo: se vogliamo "dimostrare" che la crescita è destinata a fermarsi adottiamo un modello matematico del primo tipo (con asintoto), se vogliamo "dimostrare" che la crescita è perpetua ne adottiamo uno del secondo tipo (senza asintoto). No, il punto cruciale, quello che rende i modelli dei demografi quanto mai adatti a rispondere al nostro interrogativo - la crescita si fermerà oppure no? - è il grado di integrazione matematica di tali modelli. Specie negli ultimi due decenni la ricerca matematica in ambito demografico non si è limitata a moltiplicare i modelli, ma ha messo in atto un potente sforzo per unificarli. Oggi il mondo dei modelli di crescita è una rete estremamente complessa e sofisticata di modelli collegati fra loro, spesso figli di supermodelli più generali. Non è raro, per esempio, incontrare modelli tradizionalmente considerati separati e distinti, che tuttavia si rivelano casi speciali di un unico modello più ampio, che li comprende tutti.

Questa opera di unificazione e collegamento fra modelli ha ricevuto un impulso fondamentale soprattutto a partire dagli anni Novanta, e ha riguardato sia i modelli in cui il tempo varia in modo continuo, prediletti dai biologi e dagli studiosi di scienza forestale, sia i modelli in cui il tempo varia in modo discreto (tipicamente: di anno in anno), prediletti dagli studiosi di dinamica delle popolazioni, comprese le specie marine più o meno soggette alla pesca (il lettore curioso può trovarne un breve schizzo nella quinta "anatra"). Fatto sta che oggi, nel mondo degli studiosi della crescita, si contano ormai almeno un centinaio di modelli dinamici, per lo più finemente intrecciati fra loro: una vera e propria Disneyland della ricerca matematica sui processi evolutivi.

Perché l'integrazione matematica fra i modelli è un vantaggio?

La ragione è semplice, e possiamo illustrarla tornando a quelle due curve che ci parevano così diverse, la curva di Solow e la curva di Romer. Se esse non fossero le rappresentazioni di due teorie distinte e incomunicanti, ma fossero figlie di un medesimo modello matematico, che a seconda dei valori dei suoi parametri può generare sia l'una sia l'altra come casi speciali, e magari anche una bella lista di casi intermedi o misti, allora potremmo semplicemente stimare i parametri di quel modello, e constatare che i valori ottenuti corrispondono all'uno o all'altro processo. Potremmo, in altre parole, prendere i nostri dati sulla crescita del reddito nelle società avanzate, individuare l'equazione che ne governa l'andamento, e stabilire se i parametri ottenuti segnalano una curva alla Solow o una curva alla Romer.

Ma esiste un tale modello?