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Le 5 forze che governano la crescita
Che cosa dice, la nostra equazione?
gn = 0,58 Hn + 0,48 Fn + 0,45 In - 0,45 Tn - 1,17 t(yn) + 3,0
Cominciamo, per ora, a raccontarlo solo con le parole.1 L'equazione ci dice che c'è un fenomeno, il tasso di crescita del reddito pro capite g (per "growth"), che varia di intensità da paese a paese, e che dipende da 5 forze, indicate con le lettere H, F, I, T, t(y): conoscendo l'intensità di ciascuna di esse in un dato paese OCSE (il paese n-esimo) l'equazione predice - vedremo più avanti con quale precisione - il suo tasso di crescita nel periodo studiato (1995-2007).
Prima di rivelare che cosa sono queste 5 forze, vi faccio letteralmente "vedere" l'equazione. E per farlo uso un pentagono "trafitto" da cinque frecce.
Figura 7 - Le 5 forze che influenzano la crescita
Così forse vi è meno ostile. La figura mostra che c'è un fenomeno, g, su cui agiscono 5 forze, con intensità diverse indicate dai numeretti che accompagnano ogni forza. Per esempio, quel numero (0,58), che trovate lungo la freccia che collega H a g, significa che l'impatto della forza H sul tasso di crescita è pari a 0,58. Vedremo più avanti che cosa significa, esattamente, un impatto pari a 0,58. Per ora, anche senza sapere che cosa è H, e come si misura una forza che spinge o frena la crescita, possiamo però già dire molto altro. Per esempio che alcune forze hanno un impatto positivo, ovvero spingono la crescita, mentre altre hanno un impatto negativo, ovvero la frenano. Le prime compaiono con il segno più (+) nell'equazione (e nel diagramma), le seconde compaiono con il segno meno (-). Dunque, H, F e I spingono, T e t(y) frenano. Possiamo anche notare che le prime quattro forze e controforze - H, F, I, T - hanno un'importanza analoga, visto che i loro coefficienti variano da 0,45 a 0,58. Solo la quinta forza, indicata con t(y), sembra avere un impatto decisamente superiore, e di segno negativo (-1,17).
Ma quali sono queste 5 forze e controforze?
È arrivato il momento di spiegarlo. La prima è la qualità del "capitale umano", che nell'equazione è rappresentata con la lettera H, come "Human capital". Il capitale umano è probabilmente l'unica forza che svolge un ruolo positivo importante sia nei paesi arretrati sia in quelli avanzati. Secondo Hanushek e Woessmann, autori di alcuni studi fondamentali al riguardo,2 la qualità del capitale umano - in particolare sotto forma di padronanza delle conoscenze di base in matematica e scienze - è la forza fondamentale che può sostenere la crescita dei paesi OCSE. E in effetti anche nella nostra equazione, come si vede dal valore del suo coefficiente (0,58), esso assume un ruolo importante.
La seconda forza fondamentale è il saldo degli "investimenti diretti esteri", che nell'equazione viene rappresentata con la lettera F (da FDI, Foreign Direct Investment). Questo tipo di forza, che misura il contributo netto del capitale straniero all'accumulazione, è importante soprattutto per spiegare le performance straordinarie dell'Irlanda e di alcuni paesi dell'Est, come l'Estonia o le due Repubbliche sorte dalla Cecoslovacchia, che sono cresciuti a ritmi molto elevati anche grazie a un flusso costante di investimenti dall'estero.
La terza forza è la qualità delle "istituzioni economiche", I ("Institutions"), ossia il fatto di avere buone regole di funzionamento dell'economia. Apparentemente è il medesimo ingrediente scoperto dalla vasta letteratura sullo sviluppo, sempre focalizzata sui paesi arretrati. Ma in realtà si tratta di un mix di condizioni un po' diverso. Nelle analisi sulle economie arretrate le istituzioni economiche che influenzano la crescita sono tipicamente la protezione dei diritti di proprietà (tutela contro il rischio di esproprio) e l'apertura dei mercati, ossia l'assenza di barriere agli scambi.3 Quando si analizzano le economie avanzate, invece, contano di più altri aspetti, legati soprattutto al funzionamento della giustizia civile e agli oneri burocratici imposti alle imprese: tempo per gli adempimenti fiscali e retributivi, anni necessari per recuperare i crediti in caso di fallimento, costi per risolvere dispute contrattuali. La nostra variabile I è un indice sintetico che misura questi ultimi tre aspetti.
La quarta forza fondamentale sono le "tasse", T ("Taxation"), il cui ruolo è però negativo, di rallentamento della crescita. Alte tasse frenano la crescita, basse tasse la promuovono. Però, attenzione: non tutti i tipi di tasse hanno un effetto apprezzabile sulla crescita. È piuttosto difficile, per esempio, provare che l'ampiezza della spesa pubblica o la pressione fiscale complessiva rallentino la crescita.4 Come è difficile trovare tracce di una relazione negativa fra crescita e tasse sul lavoro. Le tasse che frenano la crescita sono quelle che gravano direttamente sull'impresa e sui suoi utili.5 Questo spiega, per esempio, casi come quello della Svezia e della Finlandia. Questi due paesi, nel periodo da noi studiato (1995-2007), hanno realizzato una sorta di miracolo: alte tasse e alta crescita. Ma lo hanno potuto realizzare perché le loro alte tasse non erano quelle che frenano la crescita: in Svezia e in Finlandia la pressione fiscale complessiva è molto alta, l'imposta sul valore aggiunto è al 25%, le tasse sul lavoro non sono certo leggere ma le imposte che gravano direttamente sulle imprese sono fra le più basse d'Europa.
È forse il caso di notare che tre delle quattro forze indicate fin qui hanno una precisa matrice teorica, ma anche ideologica. Detto brutalmente: H (Human capital) piace al pensiero economico di sinistra, che stravede per gli "investimenti in capitale umano"; T (Taxation) piace al pensiero economico di destra, che sogna di sollevare i cittadini dal fardello fiscale, I (Institutions) piace al pensiero liberale, convinto che il motore della crescita siano la concorrenza e le liberalizzazioni. In questo senso, non c'è niente di particolarmente nuovo nell'equazione della crescita, se non il suo carattere salomonico. Anziché "dimostrare" che quel che veramente conta è solo l'istruzione, o solo le tasse, o solo la concorrenza, l'equazione della crescita suggerisce che nessuno di questi tre fattori (d'ora in poi: i "fondamentali della crescita")6 può essere escluso, ignorato o sottovalutato, perché non esiste un fattore dominante, e anzi le principali forze e controforze messe in luce fin qui hanno più o meno la medesima importanza. Più che dilaniarsi fra keynesiani, monetaristi e istituzionalisti, gli studiosi di tutte le tendenze farebbero forse meglio a concentrarsi sulla quinta forza, l'unica di cui non abbiamo ancora parlato: t(y).
Che cos'è t(y)?
Vediamo se indovinate. Qual è la forza che più influisce sulla crescita e che ha un effetto negativo, di freno o rallentamento?
È triste dirlo, ma t(y) non è altro che il "benessere", ossia il reddito per abitante a parità di potere d'acquisto.7 Più un paese è ricco e meno cresce, meno è ricco e più cresce. Quel coefficiente negativo, pari a -1,17, indica precisamente che variazioni positive del benessere producono rallentamenti del tasso di crescita.8
Anche questa non è una novità. Sappiamo tutti che, quando decollano, i paesi arretrati crescono molto più in fretta delle economie mature. Si sa anche abbastanza bene perché: nei paesi arretrati si consuma poco e si investe molto, il costo del lavoro è bassissimo, lo Stato sociale non esiste, i sindacati contano poco, le norme a protezione del lavoro e dell'ambiente sono deboli o assenti, manca una legislazione a tutela dei consumatori. Per non parlare di un'altra circostanza, forse meno nota: la crescita del PIL si misura in termini monetari, e questo fatto da solo basta a far decollare il PIL di qualsiasi paese in transizione da società agricola a società industriale. Quel che accade, infatti, è che grandi masse di contadini entrano nell'economia di mercato, abbandonano i campi, cessano di sostenersi con i prodotti agricoli da essi stessi prodotti (autoconsumo), ma le statistiche non registrano questa contrazione del prodotto, ma solo l'aumento - spesso vertiginoso - del reddito monetario, legato semplicemente al fatto che gli ex contadini ora divenuti operai devono comprare i mezzi di sussistenza, anziché fabbricarseli da sé. La crescita vertiginosa del PIL delle economie arretrate, in altre parole, è in parte drogata dal meccanismo di calcolo del reddito nazionale.
Dunque, che i paesi "in via di sviluppo" possano avere una marcia in più non è una novità. La novità sta invece nel fatto che il medesimo meccanismo di rallentamento della crescita dovuto al benessere operi anche all'interno delle società avanzate, e sia anzi la forza più importante che ne forgia il destino. E questo nonostante le società avanzate siano tra loro piuttosto simili quanto a tutti i fattori che "avvantaggiano" le società arretrate all'inizio del loro processo di sviluppo: forza dei sindacati, costo del lavoro, Stato sociale, tasso di investimento, regolamentazioni varie; e naturalmente percentuale di addetti all'agricoltura, che è ovunque bassa e sostanzialmente stazionaria.
Ed ecco dunque il problema. Perché, pur essendo tutte prive dei "vantaggi" dell'arretratezza, alcune società avanzate crescono a ritmi molto sostenuti, mentre altre ristagnano? Perché, nel periodo 1995-2007, Italia e Giappone sono cresciute a un tasso medio dell'1%, mentre la Finlandia è cresciuta quasi al 4%, l'Irlanda oltre il 5%, l'Estonia all'8%?
È qui che l'equazione della crescita viene in soccorso. L'equazione della crescita ci dice, in sostanza, che nell'ultimo periodo di crescita - i dodici anni che vanno dal 1995 al 2007 - il tasso di crescita dei vari paesi è dipeso dai valori delle 5 forze fondamentali che compaiono nell'equazione. Se guardate attentamente il pentagono della crescita (vedi figura 7), potete rendervi conto immediatamente che le condizioni ideali per crescere sono: un basso reddito pro capite iniziale (y), un flusso positivo di investimenti diretti dall'estero (F), il fatto di avere valori favorevoli su quelli che potremmo chiamare i "fondamentali della crescita": elevata qualità del capitale umano (H), buone istituzioni economiche (I), basse tasse sui produttori (T). Specularmente, le condizioni peggiori per crescere sono: un elevato reddito pro capite iniziale, un consistente deflusso di investimenti verso l'estero, scarsa qualità del capitale umano, cattive istituzioni economiche, alte tasse sui produttori. Se i paesi OCSE hanno avuto tassi di crescita così diversi, dall'1% dell'Italia all'8% dell'Estonia, e se nello zoo delle società avanzate ci sono state gazzelle e lumache, è perché in questi 34 paesi il mix di condizioni era radicalmente diverso da paese a paese.
Diverso per le condizioni di partenza, innanzitutto. Nel 1995, anno di inizio della nostra storia, il reddito pro capite della Norvegia, il paese più ricco, era circa il doppio di quello della Spagna, e ben cinque volte quello della Turchia, il paese più povero. Ma diverso, anche, era lo stato dei "fondamentali della crescita", ovvero capitale umano, istituzioni economiche e tasse. Un paese come l'Italia, per esempio, era sotto la media su tutti e tre i fondamentali, una circostanza aggravata - paradossalmente - dal fatto di avere un livello di reddito abbastanza alto, comunque significativamente superiore alla media dei paesi OCSE: alla luce dell'equazione della crescita non può stupire che questo paese sia cresciuto meno di qualsiasi altro. All'estremo opposto, l'Estonia e la Corea del Sud erano sopra la media su tutti i fondamentali, e in più avevano il "vantaggio" di essere sotto la media sul reddito pro capite: le condizioni ideali per crescere, come infatti è avvenuto. In mezzo, fra questi due estremi, stanno i paesi in cui forze e controforze operano in direzioni opposte. Paesi nei quali il basso reddito di partenza spinge la crescita, ma cattivi fondamentali la rallentano, come la Turchia e la Spagna. E paesi nei quali l'alto reddito frena la crescita ma i buoni fondamentali la sostengono, come l'Australia e i tre paesi scandinavi.
Possiamo riassumere tutto ciò con un piccolo esercizio di classificazione. I paesi possono essere suddivisi in quattro tipi, a seconda che il loro reddito pro capite sia sopra o sotto la media e che i loro fondamentali9 siano buoni o cattivi. Otteniamo così quattro combinazioni, e altrettante famiglie di paesi.
Tabella 1 - Quattro tipi di paesi: tassi medi di crescita (1995-2007)
Reddito Fondamentali Buoni Cattivi Basso TASSO MEDIO
DI CRESCITA: 4,8%
Irlanda
Estonia
Ungheria
Slovacchia
Corea del Sud
Slovenia
Nuova Zelanda
Polonia
TASSO MEDIO
DI CRESCITA: 3,0%
Grecia
Portogallo
Spagna
Israele
Cile
Repubblica Ceca
Messico
Turchia
Alto TASSO MEDIO
DI CRESCITA: 2,4%
Finlandia
Norvegia
Austria
Belgio
Australia
Svezia
Svizzera
Francia
TASSO MEDIO
DI CRESCITA: 1,9%
Regno Unito
Canada
Stati Uniti
Danimarca
Olanda
Germania
Giappone
Italia
Per ciascuna delle quattro combinazioni abbiamo riportato sia il tasso di crescita medio sia l'elenco dei paesi, in ordine decrescente dal più veloce al più lento. I paesi che crescono di più (4,8%) sono quelli con buoni fondamentali ma con un reddito di partenza basso, come Irlanda, Estonia, Corea del Sud. I paesi che crescono di meno (1,8%) sono quelli con la miscela opposta: cattivi fondamentali, reddito di partenza elevato, come Italia, Giappone, Germania. In mezzo i paesi che crescono a un tasso medio, vicino al 3%, perché le forze dell'equazione della crescita tendono a elidersi: un reddito basso è neutralizzato da cattivi fondamentali, e buoni fondamentali sono resi vani da un reddito troppo elevato. Nel primo gruppo (paesi poveri frenati dall'inefficienza) rientrano tipicamente i paesi mediterranei che saranno al centro della crisi del 2007: Grecia, Portogallo, Spagna. Nel secondo gruppo (paesi efficienti frenati dalla ricchezza) rientrano tipicamente i paesi scandinavi: Finlandia, Norvegia, Svezia.
Può colpire, in questo elenco, l'inclusione della Germania fra le economie mature e lente, in quanto afflitte da cattivi fondamentali. Ma bisognerà ricordare che per buona parte del periodo da noi considerato la Germania non aveva ancora fatto le riforme10 (mercato del lavoro e spesa pubblica) per cui oggi viene lodata, e proprio per questo - perché cresceva poco e stentava a varare le riforme - veniva considerata "il malato d'Europa" (the sick man of Europe), una qualifica che la Germania perse solo nel 2007, giusto l'ultimo anno da noi considerato.
Quanto alle altre economie mature vale la pena notare come la casella peggiore (paesi ricchi con cattivi fondamentali) ospiti anche gli altri due paesi entrati in stagnazione negli anni Novanta, ossia l'Italia, dal 2005 considerata anch'essa "malato d'Europa" e il Giappone, per il quale si è ripetutamente parlato di "decennio perduto" (1990-2000). Mentre la casella migliore (paesi ricchi con buoni fondamentali) include, oltre agli Stati Uniti, tutti e tre i paesi scandinavi, Norvegia, Svezia e Finlandia: una conferma del fatto che un'alta pressione fiscale e un generoso Stato sociale sono compatibili con un tasso di crescita più che soddisfacente (oltre il 3% nel caso dei tre paesi).11