VIII

 

Il drago-balena

 

Arrivati a questo punto del nostro viaggio, tre conclusioni sono ben ferme. Primo: le grandi forze che governano la crescita sono solo cinque. Secondo: fra le 5 forze che contano, il reddito pro capite è di gran lunga la forza più importante. Terzo: il segno del coefficiente del reddito pro capite, di solito indicato con ß (beta), è negativo, il che indica che più il reddito iniziale è alto più la crescita è lenta.

Che il reddito pro capite entri nell'equazione della crescita con segno negativo, ossia come una forza frenante, non è una novità. Credo non esista un solo studio sulla crescita che non abbia confermato questo risultato. Si potrebbe anzi dire che, con il tempo, questo risultato è diventato così scontato da costituire una sorta di punto di partenza di qualsiasi analisi. Chiunque provi a costruire l'equazione della crescita comincia, innanzitutto, con l'includere nell'equazione una qualche misura del reddito pro capite di partenza, e si aspetta che ß sia negativo. È solo dopo questa mossa iniziale che le varie teorie cominciano a divergere.

Dunque, che un reddito pro capite elevato freni la crescita non è in discussione. Quel che è in discussione, semmai, è come dobbiamo interpretare questo risultato, ossia qual è il significato sostantivo del fatto statistico. Questo è un problema molto interessante, ma anche estremamente difficile. La teoria statistica è in grado, sotto certe condizioni, di stabilire se una certa variabile ha un'influenza su un'altra, ma non può mai - da sola - stabilire che cosa una certa variabile rileva o misura. Sapere che il reddito pro capite influenza la crescita non ci dice né attraverso quali meccanismi ciò avviene, né se è davvero il reddito pro capite la forza che si nasconde dietro quella variabile. Una data variabile, specie se molto pregnante, può essere una "proxy", ossia un indicatore o un segnale, di molte e talora assai diverse altre variabili.1 Vale a livello micro, dove la razza di un individuo può essere una proxy del suo reddito. Ma vale anche a livello macro, dove il reddito pro capite di un paese può essere una proxy del suo benessere materiale, del suo grado di civiltà, del suo livello tecnologico, o di qualsiasi altro insieme di condizioni statisticamente correlate al reddito pro capite.

Fin qui noi abbiamo letto il reddito pro capite nel modo più scontato, ossia come una misura del benessere o tenore di vita. Si tratta ora di valutare se questa lettura è ragionevole, e soprattutto di capire in che modo - ossia attraverso quali meccanismi - un reddito pro capite elevato è in grado di rallentare la crescita. Non è raro, infatti, incontrare autori che interpretano il reddito pro capite in tutt'altro modo, ossia non come una misura del benessere ma come una proxy di variabili sostanzialmente diverse dal benessere stesso.

Gli autori che si richiamano al modello neoclassico, per esempio, interpretano un elevato reddito pro capite come segno di un'economia matura.2 E, come sappiamo, per i neoclassici maturità significa rendimenti decrescenti, dunque minore crescita della produttività e conseguente rallentamento della crescita. Per loro non è il benessere in sé a frenare la crescita, ma è semmai la crescita che porta con sé due frutti di segno opposto: un migliore tenore di vita, ma anche una sorta di esaurimento o logoramento della funzione di produzione, che con l'accumulazione di capitale fisico3 e il connesso aumento del rapporto capitale / lavoro diventa sempre meno capace di tradurre i nuovi investimenti in incrementi di output. Visto con le lenti neoclassiche, il reddito pro capite diventa semplicemente una proxy per l'intensità di capitale, che è la vera forza che inesorabilmente rallenta la crescita.

Solo apparentemente meno pessimistica è la visione di quanti, dietro il reddito pro capite, vedono semplicemente una misura di prossimità alla frontiera tecnologica.4 In breve, il ragionamento è questo: se un paese usa già le tecnologie migliori, può aumentare la produttività solo con nuove invenzioni, perché chi è sulla frontiera tecnologica non ha nessuno da imitare; se invece è lontano da tale frontiera, può accelerare la crescita semplicemente imitando gli altri, ovvero copiando prodotti e processi produttivi, importando tecnologia, acquistando licenze. Qui il reddito pro capite è visto come proxy della vicinanza alla frontiera tecnologica, una sorta di misura di quanto i processi produttivi di un paese sono tecnicamente avanzati.

Ho definito pessimistiche queste interpretazioni del reddito pro capite perché questo libro si occupa del destino delle società avanzate. Ma naturalmente si potrebbe rovesciare il giudizio ponendosi dal punto di vista delle economie arretrate, come in effetti fanno la maggior parte degli studi empirici sulla crescita. In questo caso la preoccupazione centrale diventa il ritardo dei paesi meno ricchi, e il segno negativo di ß appare incoraggiante: anziché dire che più si è ricchi meno si cresce, si può dire che meno si è ricchi e più si cresce. Il segno di ß viene interpretato come prova di un processo di "convergenza condizionale", che fa sì che - a parità di altre condizioni, ossia per valori simili di tutte le altre forze - paesi ricchi e paesi poveri tendano verso un analogo tenore di vita. E il valore assoluto di ß misura precisamente la velocità di tale processo: più grande è ß, più è rapido l'avvicinamento di un paese al suo reddito di equilibrio.5

Come abbiamo già ricordato, il problema centrale della letteratura sulla crescita è il catching up, la capacità dei paesi poveri di raggiungere i livelli di benessere dei paesi ricchi, e da questo punto di vista il valore del parametro ß assume una sorta di significato profetico: un valore di ß grande e negativo ci rassicura sulla inesorabilità del cammino dell'eguaglianza.

Se però guardiamo le cose dal punto di vista delle società avanzate, il quadro si fa meno incoraggiante. In società che crescono sempre più lentamente, il fatto che il reddito pro capite sia un potente freno alla crescita non è una buona notizia. Perché il reddito pro capite non scende dal cielo, ma è un prodotto della crescita stessa, il che crea un circolo che - se non viene spezzato - è destinato a portarci sempre più vicini a un regime di stagnazione. Ecco perché è importante capire che cosa si cela dietro il reddito pro capite.

Ma come possiamo fare?

Una possibile via è di prendere sul serio le interpretazioni per così dire "tecnologiche" del reddito pro capite. Se davvero il reddito pro capite misura il grado di maturità tecnologica, l'equazione della crescita dovrebbe funzionare meglio (o quantomeno non troppo peggio) sostituendo al reddito pro capite un indice di maturità tecnologica, come l'intensità di capitale. E se invece quel che il reddito pro capite misura è la prossimità alla frontiera tecnologica, l'equazione della crescita dovrebbe funzionare meglio sostituendo al reddito pro capite indicatori come il numero di brevetti, le spese per ricerca e sviluppo, o il personale occupato nel settore della ricerca.

In realtà, quel che succede è che - comunque si effettui la sostituzione - la capacità predittiva dell'equazione della crescita si deteriora sensibilmente: di circa 15 punti usando l'intensità di capitale, di quasi 20 punti usando il migliore fra gli indicatori di vicinanza alla frontiera tecnologica.6 Fallite le interpretazioni "tecnologiche", sembra ragionevole ipotizzare che il reddito pro capite misuri effettivamente il benessere, o meglio qualche aspetto del benessere che, non sappiamo ancora precisamente per quali vie, ha la capacità di frenare la crescita. Quel che ci resta da fare, a questo punto, è capire che cosa - nel benessere - ha la capacità di rallentare la crescita. Un modo assai semplice di scoprirlo è di ricorrere alla medesima tecnica di sostituzione, usando come sostituti del reddito pro capite i principali aspetti del benessere potenzialmente responsabili di un rallentamento della crescita. Se, sostituendo al reddito pro capite uno o più di tali aspetti, l'equazione dovesse reggere, allora saremmo nella condizione di capire qualcosa di più del meccanismo che si annida nel parametro ß.

Ma di che cosa è fatto il benessere delle società ricche?

Un'analisi empirica degli indicatori del benessere mostra che gli ingredienti fondamentali che caratterizzano le società più ricche e progredite sono almeno quattro:

a) un costo del lavoro elevato, che si riflette in buoni salari e stipendi;

b) uno scarso ricorso all'economia sommersa, con il suo corredo di lavoro nero, basse retribuzioni, sfruttamento;

c) una buona qualità dell'assistenza sanitaria, e quindi una popolazione in buona salute;

d) un elevato tasso di istruzione della popolazione.

E, in effetti, un elementare controllo statistico conferma che, una volta noti questi elementi, il reddito pro capite reale (a parità di potere d'acquisto) può essere predetto in modo molto accurato.7 Per capire meglio perché il benessere frena la crescita, possiamo dunque provare a riscrivere l'equazione della crescita sostituendo al reddito pro capite - che è una variabile black box, concettualmente muta - i suoi ingredienti costitutivi, ossia il costo del lavoro, l'ampiezza dell'economia sommersa e la qualità dell'assistenza sanitaria (il tasso di istruzione della popolazione può essere trascurato, perché entra già nell'equazione della crescita come capitale umano).

Il risultato è sorprendente: la capacità predittiva dell'equazione resta praticamente invariata,8 e i tre aspetti del benessere entrano tutti in modo statisticamente significativo nell'equazione.

Tabella 3 - Aspetti del benessere che influenzano la crescita

 

Effetto sulla crescita

Costo nominale del lavoro

Economia sommersa

Mortalità infantile

-0,79

+0,31

+0,27

I segni e i moduli dei coefficienti ci aiutano a capire che cosa può frenare e che cosa può favorire la crescita. L'elemento più importante è il costo del lavoro che, ovviamente, esercita un effetto negativo (-0,79), in quanto aumenta i costi di produzione e riduce la competitività. Meno immediata è l'interpretazione degli altri due effetti: sia l'economia sommersa sia la mortalità infantile paiono favorire la crescita.9 Perché?

Per capirlo, bisogna chiedersi quali sono le condizioni che tipicamente si accompagnano a un'estesa economia sommersa e a un'elevata mortalità infantile. Si potrebbe pensare che tali condizioni siano solo le classiche condizioni di ipersfruttamento della manodopera: imprese che sottopagano gli operai e violano le norme in materia di sicurezza del lavoro, evasione fiscale e contributiva, ampie fasce di popolazione che vivono in condizioni di povertà estrema. Se però pensiamo a come si viveva e si lavorava negli anni Cinquanta in molte società occidentali, o a come si vive e si lavora oggi in molte società dell'Est europeo, è difficile non aggiungere un altro tassello al quadro dell'arretratezza. Le società meno ricche, ma in transizione verso il benessere, sono società che - proprio perché le condizioni di partenza sono dure - esprimono una fortissima spinta individuale e collettiva all'automiglioramento. Sono società nelle quali la disoccupazione non è quasi mai volontaria (ossia dovuta al fatto che si rifiutano i lavori "bassi" o inadeguati), i sacrifici sono la norma, il risparmio è ampio ma la ricchezza è ancora modesta, l'assenteismo è contenuto, l'impegno lavorativo è massimo, al limite dello stakanovismo. E, last but not least, sono società giovani, in cui la maggior parte della popolazione lavora o aspira a trovare un'occupazione. Non è sorprendente che in tali condizioni la crescita abbia una marcia in più.

Ed ecco che cominciamo a mettere a fuoco il puzzle della crescita. La crescita, poco per volta, aumenta il benessere. Il benessere, a sua volta, "toglie", una per una, le condizioni che hanno consentito alla crescita di dispiegarsi: un basso costo del lavoro, una scarsa regolamentazione dell'attività economica, una disponibilità al sacrificio dei lavoratori, sia dipendenti sia autonomi (si pensi ai contadini e agli artigiani di un tempo), un'età media relativamente bassa. Di qui quello che, in cibernetica, si chiama un "feedback negativo", o circuito di retroazione:

Figura 13 - Retroazione del benessere sulla crescita

 

 

 

La povertà sospinge la crescita, ma la crescita - fortunatamente - fa diminuire la povertà. In questo modo è la crescita stessa che, progressivamente, erode le condizioni che l'hanno resa possibile.

A questo punto mi viene in mente un'immagine zoomorfa: mi si disegna nella mente un animale immaginario, fatto di due creature lontanissime fra loro: un terribile drago che sputa fuoco dalle fauci e una placida balena che emette il suo classico getto d'acqua dal dorso. Proviamo a unirli: avremo il drago-balena, un animale in grado di produrre sia il fuoco sia l'elemento che lo spegne, l'acqua.

Figura 14 - Il drago-balena ((c) Dario Ziarati)

 

 

 

 

La crescita è questo. Un processo che genera dal suo interno le condizioni che lo rendono sempre più difficile, faticoso, contrastato. Ma fino a che punto? La crescita è destinata a fermarsi, o può proseguire ancora a lungo?

È quel che cercheremo di scoprire nel resto di questo libro.