L’anormale
«Le uova si erano schiuse e tutte le minuscole creature pinnate se n’erano andate dimenandosi, tutte a eccezione di una. Lui l’osservava mentre sì sforzava di uscire dall’acqua e salire sulla riva dove giacque ansimante. Per poco non fu sopraffatto dal terrore al vedere quella creatura vivere nell’ambiente che non era stato creato per la vita. Balzò fuori dall’acqua per dare un’ultima occhiata. La creatura sulla riva arrancava sulla sabbia allontanandosi dall’acqua. Lui ricadde in mare, tuffandosi in profondità, per cercare di dimenticare.»
La sentì arrivare. Sentì il peso della presenza di lei alle sue spalle, e si domandò se per caso impugnasse un coltello. Ma lei lo oltrepassò e andò a sedersi. Aveva un bicchiere in mano: si sedette sulla sedia di velluto.
Lui ne vedeva il volto, di profilo, la delicata bellezza dei capelli scuri, la fronte dritta, il naso ben fatto: la bocca, perfetta, sembrava scolpita da un artista, ma soprattutto erano gli occhi, azzurri e insondabili, capaci di raggelarsi nell’ira e di addolcirsi nel riso e nell’amore. Lui rammentava i primi momenti di tenerezza, io sfiorarsi casuale che era divenuto intenzionale, i baci, le carezze, la passione che li aveva infiammati, le cose intime che lei aveva fatto per lui e l’estasi culminante nella loro unione completa.
Tutto questo apparteneva al passato. Era ormai finito da mesi, ma il loro rapporto aveva preso una nuova piega. Lui ne era stato la causa, e lei lo sapeva. Stava lì seduto, quel corpo perfetto, così vivo nella memoria e così lontano, e lui aspettava, pienamente consapevole di essersi vendicato, per aver la soddisfazione di vedere come reagiva.
Nell’attesa si alzò e andò al bar a versarsi un bourbon e soda, sapendo che lei non poteva più resistere.
— Perché l’hai fatto? — gli chiese.
— Fatto cosa? — ribatté lui.
— Lo sai bene cos’hai fatto.
— Vuoi dire perché ho detto al comitato che il tuo amante è un povero maestrucolo e un uomo di scarsa moralità?
— Sì. Perché l’hai fatto?
— Ho detto la verità.
— È un bravo insegnante.
— Non lo conosci. un pessimo insegnante, un ignorante, e probabilmente non sarebbe riuscito a mantenere il posto. Non ero il solo di questo parere.
— E credi che questo potrà impedirci di frequentarci?
Non l’aveva ancora guardato e lui si chiese se l’avrebbe mai più fatto. — No — rispose — ma vi sarà più difficile. Tu e lui dovete fare delle scelte. Niente più vi sarà facile.
— La tua tanto decantata civiltà sta incrinandosi.
— Possiamo esser civili senza per questo favorire l’adulterio. Perché dovremmo facilitarlo? Tutto è difficile.
— Puoi sempre andartene — disse lei. Adesso io guardava, con odio. — O puoi divorziare.
— Sai che non farò nessuna di queste cose. Mi hai rovinato; sono un rottame d’uomo. Non ti posso lasciare. Anche se non posso averti, voglio sempre poterti vedere. E non posso divorziare da te. Finché resteremo marito e moglie posso aggrapparmi alla speranza che tornerai ad amarmi.
— Non illuderti.
— Ma adesso lui deve scegliere. Ha perso il posto, e se vuoi continuare a insegnare deve andarsene in qualche altra città.
— Sei disposto ad aspettare?
— «Stanotte son diventato calmo come la vecchiaia».
— Chi stai citando, adesso?
Lui proseguì, ignorandola: — Se vuole rimanere qui, vicino a te, dovrà trovarsi un lavoro diverso, venditore di auto, magari, o di beni immobili.
— E credi che ci farei caso?
— Sono sicuro di sì — disse lui. — Tu possiedi quel senso della proprietà che non ti mantiene fedele ma che ti impedisce di essere infedele con una persona che non sia alla tua altezza. Il peccato non conta, quel che conta è il buongusto. Ma forse metteremo alla prova anche il suo amore. Vedremo se per lui sei più importante tu o la sua professione.
— Credi che questo sarà un problema? Per te, forse, ma non tutti sono degli animali a sangue freddo come te.
— A sangue freddo — ripeté lui e per poco non si strozzò perché un blocco di dolore gli aveva chiuso la gola.
— Fai tutta questa gran scena di gelosia ma in realtà sei freddo come un pesce. Non c’è da stupirsi se mi sono rivolta a un altro per avere un po’ di calore.
— Avanti — disse lui, — affonda ancora di più il coltello. Ero convinto di non poter sentire più niente, invece posso ancora godere del dolore.
— Vedrai. Troverà qualcosa qui, troverà il modo perché possiamo stare insieme. Qualche...
Il telefono squillò come se avesse aspettato la battuta. Andò lei a rispondere.
— Pronto — disse, e il tono divenne morbido e intimo, e lui capì chi chiamava. — Sì? No, non sono sola, ma non importa...
— Va’ avanti — disse lei.
Puoi parlare liberamente... Come? Quali brutte notizie? Quando? Dove vai? ...Sì, certo, capisco... La tua professione conta molto... Sì... Appena ti sarai sistemato? No, non posso. Be’, non voglio, se preferisci metterla a questo modo. No, non sono arrabbiata. Delusa, forse. Un po’ rattristata. Arrabbiata no. Non con te... Certo che ci vedremo ancora prima della tua partenza... Ci saluteremo allora.
Riappese e si voltò verso suo marito. — Sapevi che avrebbe telefonato, vero? Sapevi che aveva trovato un lavoro sulla costa, e hai manovrato le cose in modo da far sì che io lo considerassi un banco di prova. Congratulazioni. Hai vinto.
— «Non litighiamo più. No, mia Lucrezia...» — cominciò lui prima che le sue parole e il loro terribile significato lo inducessero a voltarsi. Lei gli stava alle spalle e impugnava un coltello. Ma non era puntato contro di lui. Lo teneva rivolto verso il proprio petto reggendolo con tutt’e due le mani, con decisione mortale.
Lui si rese conto di quanto la situazione fosse sbagliata mentre si alzava. Non era così che dovevano andare le cose. Non sapeva il perché, ma sapeva che così era sbagliato. La raggiunse nell’istante in cui il coltello s’immergeva nel suo seno, in tempo per sfiorare le mani di lei, ma non abbastanza da impedirle il gesto. E fu come se fosse lui a guidano verso la sua palpitante destinazione.
Mentre sorreggeva il suo corpo morente, il sangue gli sprizzò sulle mani, sul petto e sul collo, caldo, denso e nauseabondo.