La scoperta del sesso

 

«La creatura galleggiava pacifica e soddisfatta nel mare caldo e denso come sangue, consapevole della propria esistenza ma incapace di pensare, accontentandosi di lasciarsi andare alla deriva e mangiare, finché una pressione interna che non capiva la costrinse a dividesi in due creature che cominciarono ad andare alla deriva e si nutrirono. In questo paradiso si verificò un bisogno che non era quello di dividersi ma di congiungersi. Altre creature galleggiavano nel mare e ne scelse una e cercò di unirsi ad essa, di diventare una cosa sola con lei. Trovò resistenza, rifiuto, repulsione, pena, dolore.» 

 

 

Il pavimento di pietra era freddo e duro sotto i suoi piedi ma non era freddo e duro quanto il volto dell’uomo seduto sul trono. Fuori il sole brillava caldo, ma il palazzo era freddo e buio. L’odore delle offerte bruciate era forte, ma quello della paura ancora di più. Reggendo il copricapo cerimoniale con una mano, disse: — Dobbiamo fare sacrifici, o potente. Questa è l’unica cosa che fermerà gli invasori bianchi, e li terrà lontani dalla città sacra e dal palazzo. 

La maschera altera del re s’incrinò. I cortigiani nei loro abiti sgargianti si scambiavano sussurri tenendo una mano davanti alla bocca. Quello era un re debole; era tragico che fosse lui il re quando le circostanze esigevano forza e decisione se il regno del sole doveva sopravvivere. 

— Abbiamo fatto già tanti sacrifici, santo fratello — si lamentò il re — e gli invasori continuano ad avanzare e il popolo protesta. 

Il prete non guardava la figlia del re, seduta sulla pedana accanto al trono. Era bruna e bella, slanciata, non tozza come le contadine, e adesso lo guardava – la donna che era sua perché il re l’aveva promesso, e che si era permessa di rifiutarlo – di sotto le ciglia scure che velavano i sorprendenti occhi azzurri. 

Gli avevano detto che gli invasori avevano gli occhi azzurri.

— Gli dèi non sono soddisfatti — disse al re. — Non fermeranno i diavoli bianchi finché non saremo veramente pentiti, e ci umilieremo davanti a loro a cuore aperto, adorandoli. 

— Forse — disse la figlia del re — i soldati bianchi non sono diavoli, ma dèi venuti a reclamare il loro mondo. 

— Sciocchezze — disse il prete. — Gli dèi non hanno bisogno di venire come invasori. 

— Forse — disse lei pacatamente — dovremmo umiliarci davanti ai soldati bianchi. 

— Quei diavoli bianchi distruggeranno il regno del sole — disse lui. — Uccideranno tuo padre e tutti i membri della sua corte. Invaderanno i nostri templi e ruberanno le lacrime degli dèi. Violenteranno le nostre donne e cacceranno il nostro popolo fino ai confini del mondo e le nostre antiche glorie saranno perdute per sempre. 

Perfino la ragazza fu turbata dalle sue profezie, e i cortigiani smisero di mormorare. 

Il re era atterrito. — Cosa vuoi? — chiese con voce tremante.

— Quello che voglio non ha importanza — disse il prete. 

— Cosa vogliono gli dèi? 

In piedi davanti al trono, sentiva l’odore della paura del re. Poco a poco questi riuscì a dominarsi e disse: — Va bene, potrai fare i tuoi sacrifici. 

— Con cuore aperto — insisté il prete. 

— Sì, certo — rispose il re. — Quante fanciulle ti occorrono? 

— Una sola. 

— Una? — Il re era sorpreso. 

Il prete annuì e sollevò alta la testa come si addiceva al portavoce degli dèi. — Vogliono la figlia del re. 

I cortigiani trattennero il respiro. Il re si abbandonò contro lo schienale del trono. Anche la figlia del re impallidì tremando. Sapeva che la sua vita era nelle mani del prete.

— No — disse il re, — ti sbagli. Hai interpretato male il messaggio. Non vogliono mia figlia, impossibile. Puoi avere cento fanciulle, ma non mia figlia. 

Il prete chinò la testa quel tanto sufficiente a dimostrare ubbidienza ma non abbastanza da indicare sottomissione. — Farò come ordina il re — disse, senza tuttavia riuscire completamente a nascondere il proprio trionfo. — Ma temo che non basterà a soddisfare gli dèi. I diavoli bianchi continueranno la loro mortale avanzata nel nostro territorio. 

La figlia del re sembrava imperturbabile, dopo la risposta del padre, ma ora sapeva chi deteneva veramente il potere.

Il prete stava ritto davanti al grande altare, stanco di sangue e di morte, col braccio appesantito dal peso del coltello cerimoniale e delle vite che aveva estinto e dei cuori strappati dal petto delle fanciulle e deposti con reverenza davanti agli dèi. L’odor di sangue, l’incenso degli dèi, era talmente forte da sembrare palpabile. Ma nonostante tutto il sangue che aveva inzuppato il suo grembiule da cerimonia, sapeva che gli dèi non erano appagati, la loro sete non era ancora spenta. Lui aveva avuto ragione riguardo agli dèi, sebbene non lo sapesse. Si era invece sbagliato nei confronti della figlia del re. Non era venuta da lui. Pensava di potergli sfuggire. E l’amore che lui aveva nutrito per lei si trasformò in odio. 

Non fu sorpreso quando il giovane prete andò da lui e gli sussurrò le notizie. I diavoli bianchi erano penetrati ancor più addentro nel regno e i contadini li avevano accolti a braccia aperte. Armati di randelli e attrezzi marciavano insieme ai diavoli bianchi verso la capitale. 

Il prete sentì che il suo braccio ritrovava la forza e che il coltello era diventato leggero, come se non avesse mai toccato il sangue. — Come ha reagito il re a queste notizie? 

— Tremando. 

— Devi andare da lui e dirgli che gli porti un messaggio da parte mia. Digli che mi deve mandare sua figlia per sacrificarla, perché gli dèi non distruggeranno gli invasori finché non sapranno che il suo cuore è sottomesso. Digli che se rifiuta i diavoli bianchi marceranno per le strade della città e lui stesso sarà ucciso come un cane e gettato nella polvere. 

Prima che il sole avesse compiuto un altro arco nel cielo gli fu portata la figlia del re. Lui non ne aveva dubitato. Diversamente dalle giovani contadine, intimorite dalla magnificenza dell’altare e dall’onore loro concesso, lei si dibatteva fra le mani dei preti, imprecando.

Solo quando le fu strappata di dosso la veste regale e fu distesa sull’altare davanti a lui, si persuase che il suo destino era segnato. Allora tacque sotto lo sguardo fermo e spietato di lui, e lui guardò quel corpo bello e aristocratico, e non lo vide come era, ma come un sacrificio supremo.

— Ti prego — sussurrò con voce querula. — Ti prego. Farò tutto quello che vorrai. 

Ma quell’eventualità era remota come il ricordo di un’altra vita. Il potere lo avvolgeva come un manto, guidando le sue azioni, controllando le sue braccia che si sollevavano su di lei e affondavano il coltello nel morbido seno. Il sangue zampillò come quello delle contadine, e lui conobbe l’immensa gioia di servire come strumento delle forze divine nel fare quello che il suo cuore desiderava. Era simile a un dio, e non più tormentato dal desiderio come gli uomini.