La fanciulla di fuoco

di Jane Yolen

 

 

Titolo originale: The Maiden Made of Fire 

Traduzione di Laura Bruno 

© 1977 Mercury Press, Inc. e Jane Yolen

Apparso sul n. 754 di Urania (30 luglio 1978) 

 

 

 

Ai margini di una grande foresta dell’est viveva una volta un carbonaio di nome Ash. 

Era una specie di poeta. Sempre in mezzo alle grigie tracce del suo lavoro, non si accorgeva nemmeno di tutta la cenere che lo circondava, dato che passava la maggior parte del tempo a fissare il fuoco, nel quale riusciva a vedere un meraviglioso mondo, luminoso e brillante. E, una volta spenta la fiamma ed aperta la fornace, Ash si sedeva e si metteva a parlare con le braci ancora infuocate, declamando le sue poesie, belle e splendenti come e più delle stesse fiamme. Il fumo di legna era un po’ tossico, e lui restava sempre un po’ intontito dalle esalazioni. 

Gli abitanti del villaggio che lo vedevano di continuo solo in mezzo a nuvole di polvere nera, intento a parlare con le braci e i tizzoni dei fuochi che si andavano spegnendo, pensavano di lui non solo che fosse matto, ma che fosse addirittura indemoniato. 

E così il poveretto si era ritrovato con una tale nomea da essere senza un amico. Ma, nonostante tutto, non si era mai lamentato delta sua solitudine. Continuava, come suo padre prima di lui, a costruire le sue carbonaie, a preparare il carbone per tutto il villaggio, e a declamare favole e versi nell’aria densa di fumo.

Una sera, che se ne stava lì seduto a fissare i1 fuoco, Ash credette di vedere all’improvviso una fanciulla sdraiata sulle braci: una fanciulla che emanava bagliori rossi ed oro. 

Scosse con violenza la testa, a scacciare la strana visione, ma, quando tornò a guardare, la fanciulla era ancora lì. Allora si alzò di scatto e, senza curarsi delle fiamme che le lambivano il petto, cercò di tirar via la fanciulla di fuoco dalla fornace. 

Lei si alzò lentamente in piedi sulle braci e restò immobile di fronte a lui. Aveva, lunghi capelli neri che le scendevano in morbidi ricci sulle spalle, e occhi come sorgenti di luce vivida. Non indossava altro che fumo. 

— Chi sei? — sussurrò Ash. La fanciulla non parlò. Mosse solo le mani, da cui scaturirono tante piccole volute di fumo arricciate. 

— Chi sei? — chiese ancora Ash. 

La fanciulla non rispose nemmeno questa volta. 

— Devo rispondere io, per te? — le chiese lui, e quando lei annuì appena appena, aggiunse: — Visto che sei una fanciulla di fuoco, ti chiamerò Brenna. 

Poi Ash tese timidamente la grossa mano ruvida, ma, appena lei si avvicinò, il calore divenne tanto intenso da fargli fare un passo indietro. Solo allora Ash si accorse di essersi bruciato le mani, prima, con le fiamme della fornace, e subito le nascose dietro la schiena, come vergognandosi di una debolezza. 

— Hai bisogno di qualcosa da metterti addosso, altrimenti prenderai freddo! 

A queste parole la ragazza rise, buttando indietro la testa, e la sua risata era lieve e tintinnante. 

Anche Ash rise, rendendosi finalmente canto che Brenna proprio non poteva avere freddo. Anche avvolta nel suo inconsistente mantello di fumo, era decisamente più calda di lui! 

Le fece cenno, con la testa adesso, di riprovare ad avvicinarsi, e lei gli mosse subito incontro. Ma subito si fermò, mettendo avanti le mani a tastare l’aria, come se avesse incontrato un muro. 

Ash guardò per terra, cercando di capire cosa la bloccasse, e vide i confini segnati delle braci della carbonaia. Lei si spostò torno torno all’interno del cerchio di braci, ma venne continuamente respinta, dalla parete invisibile ad entrambi. 

Allora Brenna s’inginocchiò. Alcune gocce di fuoco liquido le scesero lentamente dagli occhi, mentre sconsolata accennava ai carboni che la limitavano. Le braci erano i confini del suo mondo: non poteva oltrepassarle. 

Quando finalmente alzò il viso, la sua espressione era triste, quasi desolata. Cercò di fargli capire a cenni che doveva essere lui ad andare da lei. Ma lui aveva troppa paura delle sue fiamme. 

Poi Ash il carbonaio ebbe un’idea. 

— Adesso ti faccio una casa più grande! — le gridò. 

E in tutta fretta scavò nel terreno tante piccolo fornaci, su una linea continua, tante piccole nicchie fiammeggianti che ardendo con vigore si tramutarono presto in splendenti mucchietti di carboni accesi. Prima che la notte finisse lui aveva costruito per Brenna un intero palazzo di braci, spazioso e irregolare, e lei vi poteva correre dentro liberamente, come nebbia leggera che danzava fra le pareti di fumo. 

Brenna lo ringraziò molte e molte volte, con il suo smagliante sorriso e i ricciolini di fumo emessi dalle mani in continuo movimento. E, pur non osando avvicinarsi troppo, Ash era soddisfatto sia del sorriso, sia dello strano modo di ringraziare. 

Vissero così per giorni e giorni. 

Ash, dimentico delle carbonaie, passava tutto i1 tempo a raccontare tenere favole e dolci poesie alla sua Brenna, e a cantarle tante canzoni che lei pareva gradire molto e che accettava con la sua deliziosa risata scoppiettante. Lui le portava anche piccoli regali: foglie secche, gusci levigati di noci, cestinetti intagliati nel legno che lei con un semplice tocco tramutava in fiamme. E ad ogni fiammata batteva le mani felice, e Ash la imitava, felice con lei. 

In cambio, Brenna danzava per lui, lieve sopra le braci infuocate. Oppure disegnava per lui quadri di polvere e fumo, scenari che raffiguravano splendidi paesaggi fiammeggianti, in cui uccelli di fuoco volavano a posarsi su rami di alberi splendenti e su grandi fiori incandescenti, stagliati contro cieli di luce brillante. 

E i giorni passarono, per l’uno e per l’altra, bruciando lenti fino alla notte piena di stelle.

Ma venne il momento in cui arrivarono gli abitanti del villaggio, con i loro sacchi per il carbone e le loro lingue maligne. 

Gli si misero intorno, a cerchio, assediandolo con le voci gracchianti. 

— Dov’è il nostro carbone? — chiese una, e le parole finivano in una stridulo grido. — Intanto che tu ne stai qui nella radura a cantare e a ballare, il tuo lavoro non va avanti. L’hai dimenticato! 

Un altro incalzò: — Il tuo lavoro è di preparare le carbonaie, e di tenere accesi i fuochi e di mettere da parte il carbone per tutti noi. E invece è passata una settimana, e tu non hai fatto nient’altro che stare a guardare le fiamme e a raccontare al vento le tue fantasie. 

Ash cercava di sfuggire dal cerchio, di rompere il cordone dei paesani, ma loro gli si stringevano addosso sempre più minacciosi. E allora lui cercò di spiegare. 

— Io... io parlavo con Brenna, il mio amore, la mia sposa... 

I villici sussurrarono fra loro: — Cosa sta dicendo? Cosa vuole dire? 

Il più vecchio li zittì con un gesto della mano. — È del tutto ammattito. State a vedere che si e innamorato della fiamma! 

Asti girava in tondo, e intanto parlava, per difendersi, con tutti gli uomini in cerchio. Diceva: — Ma è qui! Non la vedete? Non vedete i capelli neri e gli occhi splendenti? Non la vedete proprio? È bella, è come una grande fiamma. 

E ancora il più vecchio dei villici disse, con voce gelida: — Qui non c’e niente! Nessuna ragazza. E neanche il carbone. 

— Ma... come? Lei è qui, guardate! Brenna. È la! — Ash indicava il palazzo di braci. Ma mentre ancora stava parlando, il dubbio gli s’insinuò nella voce. Captando questo dubbio, la fanciulla di fuoco cominciò ad impallidire. Lentamente, come una candela agli ultimi guizzi, i suoi contorni diventarono evanescenti. Stese le braccia, adesso fragili e sottili, verso Ash. Singhiozzò, e il suo pianto sembrava il mormorio di un fuoco che muore. 

Ash girò gli occhi verso il cerchio dei villici che lo stringeva, poi tornò a fissare Brenna, che ormai era solo un ultimo barlume di lice. Con uno sforzo di volontà scacciò il dubbio che lo aveva invaso e si lanciò attraverso il cordone degli uomini. 

— Brenna! — chiamò. 

Al suo grido, la luce di Brenna si ravvivò, si fece più chiara. E la fanciulla, riuscì a fargli un cenno con la mano che aveva appena finito di detergere pallide lacrime di fuoco. 

Scavalcando di un balzo la striscia di braci, Ash corse diritto fra le braccia di Brenna. Sparirono insieme, avvolti in una grande fiammata, alta e splendente, come quando una stella si trasforma in nova, e la luce abbacinò gli uomini che stavano a guardare. 

Nel volgere di un secondo la fanciulla di fuoco e il carbonaio si erano dissolti. Tutto quello che rimase di loro fu un mucchietto di ceneri da cui, per anni, continuò ad alzarsi una pallida spirale di fumo. 

Che nessuno mai del villaggio fu in grado di spegnere.