Battaglia
meteorologica
di Donald
Wollheim
Titolo originale: Storm Warning
Traduzione di Cesare Scaglia
Apparso sul n. 317 di Urania (22 settembre 1963)
Non vi fu nessuna indicazione dello strano avvenimento che stava per accadere. I ragazzi dell’Ufficio Meteorologico credono ancora di essere stati i soli a divertirsi. Credono che osservare il fenomeno stando seduti tranquillamente nella stazione sia stato molto più interessante che trovarcisi nel mezzo, come successe a noi. Ma ci sono cose che loro non riusciranno mai a capire, sulle manifestazioni atmosferiche, cose che solamente Ed e io sappiamo perché le abbiamo viste da vicino.
Partimmo a cavallo da Rock Springs all’alba, con un permesso di tre giorni; il direttore dell’Ufficio Meteorologico ci aveva fatto fare il turno di notte fino alla sera prima, ma a noi non importava perché l’ufficio era al limite del deserto e avevamo i bagagli e i cavalli già pronti. Il meteorite caduto due giorni prima era un’ottima scusa per andar fuori, nella regione selvaggia del bacino del Great Divide. Mi è sempre piaciuto cavalcare in mezzo al paesaggio sterminato e splendido del Wyoming e qualsiasi motivo era buono per passare tre giorni là fuori, libero dalla monotona oppressione dell’Ufficio Meteorologico.
Non che non mi piaccia il lavoro, ma l’aria e gli spazi aperti sono nel sangue di tutti noi nati e cresciuti laggiù, nel West. So che ormai è una terra domata e civile, ma anche così, scorrazzare senza meta, con un incarico impreciso, era meraviglioso.
L’incarico, naturalmente, consisteva nel cercare di localizzare i frammenti della grande meteora che era caduta laggiù due sere prima. Anche io, come molti altri, l’avevo vista, perché al momento della caduta mi trovavo sul tetto a fare rilevamenti. Il cielo a nord era stato squarciato da un lucentissima scia bluastra e in lontananza c’era stato un bagliore, come di un’esplosione. Pare che la gente di Superior abbia sentito addirittura una scossa tellurica, come se qualcosa di enorme si fosse frantumato nella polvere del deserto sulle dune fra il lago Mud, il torrente Morrow e la città.
È un tratto di deserto piuttosto ampio: Ed e io avevamo pressappoco la stessa probabilità di trovare la meteora come il proverbiale ago nel pagliaio. Ma era un pretesto ideale.
— Correnti d’aria fredda scendono da Saskatchewan — disse il capo entrando e dando un’occhiata alle nostre carte. Eravamo pronti a partire. — Strano per questa stagione.
Annuii, per nulla preoccupato. Tra noi e qualsiasi corrente fredda che venisse da quella direzione, c’erano le montagne. Non avrebbe gelato di notte anche se il freddo fosse sceso fino a Casper, cosa d’altronde poco probabile. Il capo, chino sulla carta, stava tracciando le varie zone di bassa e alta pressione. Si accigliò un poco quando vide una linea di bassa pressione che avevo disegnato in base ai primi rilievi del giorno.
— Un’area di bassa pressione si sta estendendo ai confini dello stato di Washington. Strano. Da quando in qua i temporali si formano così vicini?
— Per di più si dirige verso est, e secondo l’ultimo cablogramma da Seattle sta crescendo — disse Ed.
Il capo sedette e guardò la carta. — Non mi piace affatto, è tutto fuori posto — disse. Si alzò e mi tese la mano. — Bene, arrivederci, ragazzi, divertitevi. Se trovate la meteora portatemene un bel pezzo.
— Certamente — risposi. Ci stringemmo la mano, salutai gli altri ragazzi ed uscimmo.
I primi raggi di sole spuntavano all’orizzonte quando salimmo a cavallo. Caracollammo fuori dalla città lasciandoci rapidamente la civiltà alle spalle e procedemmo nel chiarore dorato del Bacino di Sweetwater.
Facemmo una buona media, quel giorno, pur senza affrettarci. Mantenemmo un trotto costante, riposandoci di tanto in tanto. Non parlammo molto, tanto eravamo occupati a respirare l’aria pulita dei grandi spazi aperti e a gustare quella sensazione di libertà. Qua e là un rospo del deserto o il guizzo di un serpente disturbato erano i soli segni di vita che vedemmo, e le forme innumerevoli dei cactus, il nostro solo giardino. Ma a noi bastava.
Verso sera, all’Ufficio, il Capo notò come prima cosa il graduale aumento della corrente calda del sud. Poi venne un rapporto dall’Utah: la corrente fredda aveva ora raggiunto i confini del Wyoming e continuava ad avanzare. Il piccolo temporale nato dove non avrebbe dovuto, continuava a crescere, ed ora occupava una larga area sopra l’Oregon e l’Idaho. Il Capo fu udito commentare che la congiunzione di tutti questi fattori poteva mettere il Wyoming sud-occidentale al centro di un iradiddio. E incominciò a preoccuparsi anche un poco per noi.
Noi non eravamo affatto preoccupati. Non c’era alcuna indicazione precisa, ma il nostro sesto senso di meteorologi si comportò bene. Sentimmo una sorta di strana attesa nell’aria, quando si accampammo. Nulla di definito, solo una specie di super-immobilità atmosferica, come se varie forze stessero premendo da tutti i lati, forze che tuttavia erano ancora troppo lontane e non identificate.
Parlammo un poco attorno al fuoco, del temporale che il Capo aveva rilevato quando eravamo partiti. Ed pensò che si sarebbe dileguato. Io invece avevo la sensazione che non si trattasse di una cosa da nulla, anzi avevo il presentimento che ben presto ce ne saremmo trovati nel mezzo. L’indomani mattina, nell’aria, si avvertì una leggera traccia di freddo superiore al normale. Sono abituato alle mattine nel Wyoming e so esattamente quanto freddo e quanto caldo ci deve essere. Quella mattina faceva solo un poco più freddo.
— La corrente fredda proveniente dal Canada deve aver raggiunto l’altro lato della catena — dissi indicando i contrafforti delle Montagne Rocciose a est. — Probabilmente stiamo avvertendone le prime ondate.
— Strano — commentò Ed. — Non è possibile che riesca ad attraversarle, a meno che non sia una corrente fredda ben poderosa.
Annuii e mi misi a pensare a che razza di bollettino avrebbero emesso i ragazzi dell’Ufficio Meteorologico. Probabilmente nevicate nella parte nord dello Stato. Se avessi saputo quello che il Capo sapeva quella mattina, probabilmente me ne sarei tornato indietro in fretta. Ma sia Ed che io non sapevamo nulla: d’altra parte, in questo modo, vedemmo qualcosa che nessun altro ha mai visto. In ufficio quella mattina, il Capo sapeva che ci saremmo trovati nel mezzo di un avvenimento meteorologico straordinario. Infatti, sul giornale di Rock Springs, aveva previsto una delle più furiose bufere mai verificatesi. Era successo questo. La corrente calda proveniente dal sud era salita di parecchio. Aveva già provocato a Salt Lake City una delle giornate più calde a memoria d’uomo; e per di più continuava ad avanzare costantemente nella nostra direzione.
Eccezionale era anche il temporale proveniente da ovest. Si era ristretto ed allungato di nuovo ed era passato sopra Idaho Falls con due ore di anticipo, tra tuoni e fulmini. Si stava ora dirigendo verso di noi come una freccia partita da un arco.
E per finire, c’era la corrente fredda che aveva fatto l’impossibile. Stava spazzando le cime delle montagne e, precipitandosi giù nel bacino Davide, puntava diritta contro la corrente d’aria calda che avanzava verso nord.
Là, in mezzo, ci trovavamo Ed e io con un vago presentimento e nient’altro. Ci stavamo dirigendo proprio verso il punto d’incontro di tutte queste forze, alla ricerca di una meteora. Stavamo cercando un grande cratere, o piccole fosse o residui ferrosi sparsi per un raggio di alcune miglia, qualsiasi cosa insomma che avrebbe potuto essere rimasta dopo la caduta del meteorite.
Verso le dieci del mattino affrontammo una leggera salita per discendere subito dopo in un avvallamento a forma di catino. Mi fermai e cominciai a guardarmi attorno, Ed si girò e tornò indietro. — Che c’è? — domandò. — Non noti niente di strano nell’aria? — domandai a mia volta respirando profondamente. Respirò anche lui e si guardò attorno.
— Un po’ strano — finalmente ammise. — Niente di definibile, ma un po’ strano.
— Sì — risposi. — Strano è la parola giusta. Non riesco a capire che cosa sia, ma mi sembra che l’aria abbia un odore diverso di quello di pochi minuti fa. — Mi guardai attorno accigliato.
— Penso di sapere di che si tratta — dissi dopo un istante. — La temperatura è cambiata. Fa più caldo adesso.
Ed aggrottò la fronte. — Più freddo, direi.
Cominciavo a non capirci nulla. Agitai la mano in aria per un po’. — Penso che abbia ragione tu; devo essermi sbagliato. Ora fa più freddo.
Ed mise il cavallo al passo. Lo seguii.
— Ci sono — esclamai infine. — Penso di aver capito. Fa più freddo ma si sente odore di aria calda. Non so se mi hai capito, quello che cerco di dire è che c’è un odore come se la temperatura fosse torrida, tuttavia fa piuttosto freddo. Non c’è un odore naturale.
Ed annuì. Era sconcertato, esattamente come me. C’era un non so che di strano. Avevamo i nervi a fior di pelle.
Davanti a me, in lontananza, vidi brillare una luce. Mentre ci avviavamo la indicai a Ed. Anche lui si mise a guardare.
C’era un oggetto, anzi parecchi oggetti, che brillavano lontano, al limite opposto del catino, là dove cominciava a salire la china opposta. Sembravano pezzi di vetro.
— Può essere la meteora? — domandò Ed. Sollevai le spalle e cavalcammo in quella direzione. — C’è un odore strano — osservò Ed fermandosi un’altra volta. Lo raggiunsi. Aveva ragione: quel fenomeno insolito nell’aria aumentava mano mano che ci avvicinavamo agli oggetti luccicanti. Sempre la stessa sensazione di caldo-freddo. Ma c’era di più. Sembrava che ci fosse una vegetazione nell’aria. Come qualche cosa che crescesse, anche se l’unica vegetazione intorno era rappresentata dai soliti cactus. Aveva un odore diverso da qualsiasi specie vegetale esistente, e tuttavia aveva un odore vegetale.
L’aria non aveva nulla di terrestre. Non posso descriverla in altra maniera. Era semplicemente non terrestre. Un odore di pianta che non poteva venire da nessuna pianta conosciuta, un caldo-freddo mai registrato in alcun testo di meteorologia.
Tuttavia nulla di terrificante. Era solamente strano. Era inspiegabile.
Adesso potevamo distinguere gli oggetti luccicanti. Sembravano bolle di vetro. Grandi iridescenti bolle di vetro; giacevano nel deserto come biglie di un gigante bambino.
Capimmo allora, che se quegli oggetti erano frammenti del meteorite si trattava di un meteorite diverso da tutti quelli caduti prima sulla terra. Ci rendevamo conto di aver fatto una scoperta che avrebbe suscitato grande interesse, tuttavia non ci sentivamo per nulla eccitati. Piuttosto a disagio, direi, a causa di quelle particolari condizioni atmosferiche.
Notai quindi, per la prima volta, che nuvoloni neri si stavano formando lontano, ad ovest. Era la prima ondata del temporale.
Ci avvicinammo a cavallo alle strane bolle. Adesso potevamo distinguerle chiaramente. Apparivano incrinate, come se si fossero rotte. Una aveva una fenditura in un lato. Doveva trattarsi semplicemente di un guscio vetroso vuoto. Ed e io ci fermammo di colpo. O meglio, i nostri cavalli si fermarono improvvisamente. Anche noi ne avevamo l’intenzione, ma le nostre cavalcature lo fecero nel medesimo istante. Era l’odore.
C’era un nuovo odore nell’aria, ora. Era stato improvviso. Proprio in quell’istante ci giunse alle narici. In un primo tempo fu repellente. Ecco perché ci fermammo. Poi, mentre continuavamo ad annusare, quel primo senso di repulsione scomparve. Non era poi molto nauseante.
In realtà, non si può dire che fosse proprio un cattivo odore. Era difficile da descrivere. Un odore che non avevamo mai sentito prima. Aveva un fondo vagamente acre e asciutto. Direi che era un misto di gomma bruciata e linimento di zinco.
Aumentò di intensità mentre eravamo fermi in quel luogo, quindi diminuì non appena si levò una leggera brezza. Tutti e due, nello stesso momento, avemmo l’impressione che provenisse dalla bolla di vetro rotta.
Avanzammo con precauzione. — Forse la meteora è caduta su di un deposito alcalino e si sta verificando una reazione chimica — suggerì Ed. — Può darsi — ribatté.
Continuammo ad avvicinarci. Ad ovest nuvoloni neri si stavano addensando e si era levata una leggera brezza. Ed e io smontammo da cavallo per guardare dentro la strana meteora.
— Sarebbe meglio mettersi al riparo finché non smette — propose.
— Penso che abbiamo ancora qualche minuto di tempo — risposi. — E d’altra parte quella salita qui vicino mi sembra il migliore riparo.
Alla stazione meteorologica la temperatura cresceva con costanza e il Capo ne prendeva continuamente nota. Il temporale stava per raggiungere il fronte della corrente d’aria calda che stava ora passando sopra Rock Spring e avrebbe creato un bel disastro. Anche la corrente fredda sarebbe arrivata probabilmente fino a lì, poiché aveva già raggiunto il bacino Davide. In pochi minuti tutte le forze dell’inferno si sarebbero scatenate. Il Capo si domandò dove fossimo.
Noi stavamo guardando dentro l’apertura della bolla più vicina. Gli oggetti, molto probabilmente i frammenti della meteora che cercavamo, avevano un diametro di circa quattro metri e una forma quasi perfettamente sferica. Il guscio era spesso, liscio e iridescente, l’interno era madreperlaceo. Erano vuoti, e non riuscivamo a capire di che materiale fossero fatti. Niente che avessi mai letto o imparato poteva darmi una spiegazione.
Che fossero state meteoriti in origine, ero sicuro perché il terreno rimosso e le rocce sparse tutte intorno dimostravano che c’era stato un urto violento. Tuttavia le sfere possedevano una resistenza notevole poiché, ad eccezione di poche crepe e della fenditura in una, erano intatte. L’interno puzzava di gomma e di zinco. Era un odore potente. Molto potente.
Quel puzzo proveniva dalle bolle, non c’era alcun dubbio. Improvvisamente mi resi conto che avevamo respirato aria di un altro mondo. Poiché, se questi oggetti erano meteoriti, e se l’odore proveniva dall’interno di essi, allora non era l’aria terrestre che odorava di gomma bruciata e di linimento di zinco. Era aria proveniente da qualche luogo, non so da dove, da qualche luogo lontano, tra gli irraggiungibili spazi stellari. Laggiù, al di là del sole.
Un altro pensiero mi colpì. — Credi che questi oggetti possono aver trasportato qualche creatura? — chiesi. Ed mi osservò per un momento, si morsicò il labbro e si guardò lentamente attorno. Alzò le spalle senza rispondere.
— La stranezza dell’aria — continuai — forse è come l’aria di un altro mondo. Credi che stessero cercando di rendere l’aria della terra più respirabile per loro?
Ed non rispose nemmeno a quella domanda, Né io volevo una risposta. Nemmeno mi chiese che cosa intendessi dicendo “loro”.
Ed finalmente aprì la bocca: — Che cosa provoca questo odore? — Questa volta fui io ad alzare le spalle.
Intorno a noi l’odore andava e veniva. Come se una brezza stesse giocando con una corrente di vapore. Tuttavia, improvvisamente, mi resi conto che non soffiava alcuna brezza. L’aria era del tutto immobile, ma l’odore cambiava ugualmente d’intensità, ora più forte ora più debole.
Era come se degli esseri sconosciuti si movessero in silenzio attorno a noi senza lasciare altra traccia al di fuori del loro odore.
— Guarda — esclamò Ed improvvisamente, indicando a ovest. Mi girai e guardai il cielo. Era completamente coperto da nuvole nere immobili. Ma quella massa aveva una forma incredibile. L’area nuvolosa del cielo era delimitata da una linea retta, una linea d’azzurro contro la quale le nuvole nere si accumulavano inutilmente. Potevamo vedere lampi e scariche elettriche nel temporale. Tuttavia non sentivamo un filo di vento né il fragore dei tuoni. Il cielo sopra di noi era sereno.
Sembrava che il temporale si fosse arrestato contro un ostacolo solido, al di là del quale non poteva avanzare. Ma non esisteva alcun ostacolo visibile.
Come meteorologo sapevo che cosa significava: doveva essere una potente corrente d’aria che soffiava in direzione contraria e che si frapponeva come scudo fra noi e il temporale. Non potevamo vedere nulla dato che l’aria è invisibile, ma doveva essere là, addossata al banco di nubi.
Notai che la pressione nelle mie orecchie stava aumentando. Qualcosa si stava concentrando intorno a quest’area. Ci saremmo trovati in un bel guaio se le forze dell’aria fossero riuscite a rompere. Improvvisamente il puzzo diventò insopportabile. Più di prima. Arrivò, ci sorpassò, ci sommerse. Poi svanì nuovamente. Dopo che era passato non ne potevamo sentire la minima traccia.
Ed e io cavalcammo verso una sporgenza rocciosa. Scendemmo e ci mettemmo sotto la roccia in attesa. Entro breve tempo la corrente d’aria che ci proteggeva avrebbe ceduto.
A sud, adesso, si stavano formando nuvole temporalesche; poi comparvero a est e a nord. Come seppi in seguito, la corrente fredda che era diretta verso di noi aveva finalmente incontrato il fronte d’aria equatoriale; noi ci trovavamo alle prese con quegli incredibili globi provenienti da spazi sconosciuti, nel mezzo di una strana atmosfera maleodorante, circondati da una furiosa marea temporalesca. Tuttavia il cielo sopra di noi era ancora azzurro.
Ci trovavamo nel centro di un punto morto, nel centro di una inspiegabile area d’alta pressione dove gran parte dell’aria non aveva origini terrestri, e tutte le forze dell’atmosfera stavano accanendosi contro di noi da tutte le direzioni. Notai che la zona di azzurro nel cielo a poco a poco, ma senza sosta, si stava restringendo. Improvvisamente, una forte brezza gelata ci avviluppò, un potente soffio da nord. Ma si indebolì e si dissolse nello scontro contro le innumerevoli correnti d’aria maleodorante. Mi resi conto, non appena un soffio d’aria fredda mi scese nei polmoni, di quanto diversa fosse diventata l’atmosfera di questa zona da quella che ero abituato a respirare. Indubbiamente si trattava di aria extraterrestre.
Quella strana aria sembrava sempre resistere alla avanzata di quella normale. Un altro soffio d’aria, questa volta calda e umida, venne da sud e di nuovo una folata di vento odorante di gomma lo disperse.
Poi venne un momento terribile. Ci fu una tremenda spinta e la pressione aumentò enormemente, quindi le nuvole temporalesche irruppero scatenate sopra di noi, oscurando totalmente il cielo. L’area calma divenne sempre più piccola, stretta e chiusa dal muro di una tempesta lampeggiante.
In quel momento ebbi la sensazione di essere completamente impotente di fronte alle forze della natura decise ad annientare quella piccola regione invasa da aria estranea. D’altra parte i gas della meteora erano decisi a resistere fino alla fine, decisi a mantenere intatto il loro strano odore. Ci fu un continuo susseguirsi di lampi e fulmini senza fine, tuttavia sempre al di fuori della nostra zona. Potevamo sentire i tuoni solamente quando una ventata d’aria fredda o calda riusciva a raggiungerci. La strana aria non trasmetteva suoni, si ergeva rigida contro quelle vibrazioni ininterrotte.
Ed e io ci eravamo parlati ed entrambi avevamo avuto la stessa impressione. Si stava svolgendo una vera e propria lotta per l’esistenza. Quella piccola sacca d’aria ultraterrena sembrava lottare coscientemente per cercare di non essere assorbita dalla tempesta e dispersa fino a totale distruzione, così che nemmeno un atomo di questo gas extraterrestre potesse esistere, se non come un elemento incredibilmente raro in tutta l’atmosfera terrestre. Sembrava che cercasse di mantenere la sua integrità e la sua identità.
Fu allora che Ed e io vedemmo i fenomeni inspiegabili. I fenomeni che non hanno significato. Vedemmo parte della zona ancora libera contrarsi improvvisamente come se le forze che la difendevano fossero state ritirate e vedemmo inoltre uno dei globi vetrosi, uno di quelli meno incrinati, levarsi improvvisamente dal terreno e dirigersi a gran forza direttamente nella bufera!
Si muoveva attraverso l’aria ancora serena, senza alcuna visibile forza di propulsione. Pensammo per un momento che fosse stato sollevato da una corrente d’aria e trasportato nella bufera come una palla viene sollevata da un getto d’acqua. Ma non poteva essere così, poiché il globo si dirigeva contro la tempesta, in senso contrario alla direzione del vento, contro le forze del temporale.
Il globo stava ora cercando di aprirsi un varco attraverso quel tetto nero per raggiungere il cielo sereno al di sopra. I fulmini che gli scoppiavano intorno lo mantenevano visibile continuamente. Di nuovo e senza posa si scagliava contro la massa compatta di nubi, e sempre veniva respinto furiosamente indietro. Per un momento credemmo che si fosse aperto un varco al di là della nostra visuale. Poi ci fu un lampo improvviso e uno schiocco secco che persino noi udimmo; infine pochi frammenti di materiale vetroso cascarono giù.
Mi resi improvvisamente conto che la tempesta era calata d’intensità, mentre quella strana lotta veniva combattuta. Come se gli stessi elementi si fossero fermati ad osservare la conclusione del volo della sfera. Poi la tempesta aveva ripreso di nuovo a soffiare con rinnovato vigore; quasi trionfante.
L’area fu definitivamente ristretta. Ben presto non più di una ventina di metri ci separavano dal fronte della tempesta, si poteva sentire il monotono rombo del tuono. Sentimmo di nuovo il puzzo. Piccoli spruzzi d’aria fredda ed umida di quando in quando riuscivano a passare e sempre venivano assorbiti dall’odore.
Poi giunse la fine. In un crescendo terribile la bufera eliminò l’aria maleodorante. Io vidi tutto ciò e ciò che vidi è inspiegabile salvo che si prenda in considerazione un’ipotesi fantastica che credo vera, solo perché non trovo un’altra spiegazione.
Mentre giungevo a questa conclusione, gli ultimi residui di vento spaziale scomparvero. Ancora per un istante la bufera imperversò; per la prima e l’ultima volta venimmo inzuppati e sballottati dal vento e dalla pioggia e i cavalli quasi ruppero le briglie che li tenevano legati. Poi tutto finì.
Le nubi si sollevarono rapidamente. In pochi minuti si erano incredibilmente assottigliate. Ci fu ancora un po’ di pioggia che cessò nel giro di dieci minuti, il sole brillò, il cielo tornò azzurro e la terra si asciugò subito. Restarono alcune nubi che si disperdevano a nord. Della meteora trovammo solo poche schegge.
Come dissi prima ho ripensato a lungo a tutto questo strano fenomeno, senza poter trovare una risposta plausibile. Siamo coscienti di saper ben poco su molte cose. Come meteorologo lo posso affermare, poiché si è discusso di fenomeni atmosferici fin dall’età della pietra e solo vent’anni fa è stata formulata la teoria dei cicloni e degli anticicloni che ci ha permesso finalmente di prevedere il tempo con sufficiente approssimazione. Tuttavia questa teoria che i meteorologi moderni applicano ha molte imperfezioni. Per esempio non conosciamo ancora il perché di molti fenomeni. Perché un temporale si forma? Sappiamo con certezza come si sviluppa, ma perché si è sviluppato e come?
Non lo sappiamo. Sappiamo ben poco. Respiriamo da sempre quest’aria ma solo nel secolo scorso scoprimmo per la prima volta quanti elementi diversi, allo stato gassoso la formano. Forse nemmeno oggi conosciamo con esattezza la composizione dell’atmosfera.
Penso che sia possibile l’esistenza di cose viventi composte solo da gas. Come sapete siamo protoplasma, quindi non materia solida, bensì liquida, poiché il protoplasma è liquido. La carne è un liquido sistemato in sospensione in cellule di sostanza inerte. La maggior parte del nostro corpo è formata da acqua, e l’acqua è l’origine di tutta la vita. E l’acqua è composta da due gas comuni, idrogeno ed ossigeno. E questi due gas si trovano dovunque nell’universo, sostengono gli astronomi.
Se gli elementi che determinano la nostra vita possono essere trasformati in gas, perché nei composti di gas, rimasti allo stato gassoso non può esistere una forma di vita? L’acqua è sempre presente nell’atmosfera sotto forma di vapore: perché la vita non può manifestarsi sotto forma di vapore variato?
Penso che questo ragionamento sia logico. Penso che se noi respirassimo per caso questo vapore vitale probabilmente sentiremmo un odore strano. E ci potrebbe benissimo succedere di aspirarlo, come respiriamo il vapore acqueo. E potrebbe odorare, per esempio, di gomma bruciata e linimento di zinco.
Negli ultimi istanti, quando la tempesta era al suo culmine e l’area di gas ultraterreni era compressa al massimo, potei distinguere una forma ben definita illuminata dalla luce bluastra dei lampi sullo sfondo nero delle nuvole. Una sacca di quell’aria era stata staccata dalla massa centrale e intrappolata e aveva assunto una forma determinata sotto l’enorme pressione del temporale.
Non posso dire che forma avesse, poiché non assomigliava a nulla eccettuata forse a una grossa ameba pressata contro la terra. Aveva molte braccia e tentacoli e una massa centrale elastica e compatta: Fluttuava sulla terra come una lumaca. Sembrava che stesse cercando di scivolare via e di disperdersi.
Non poteva fuggire perché la tempesta continuava a martellarla. Sono certo di aver visto una grande massa scura, rotonda, a forma di pesce, colpire alla base di quella sacca a forma d’ameba che cercava di allargarsi.
La tempesta lottò a fondo contro la strana forma, la schiacciò e questa si dissolse.
Immagino che ce ne fossero state altre e penso che se non fossero state compresse, si sarebbero allargate naturalmente per circa cento metri in larghezza e in altezza.
Penso che anche tutto intorno a noi esistano esseri simili, di origine terrestre, proprio adesso nell’atmosfera. E non credo che il nostro respirare, camminare o vivere in mezzo a loro significhi qualche cosa per loro. Ma si oppongono agli invasori dallo spazio. Hanno un odore diverso, sono di forma diversa, devono provenire da pianeti diversi, pianeti più freddi del nostro, con deserti e con vegetazione differenti.
Questi stavano cercando di trasformare la nostra atmosfera rendendola simile alla loro.
Gli esseri dell’aria li hanno combattuti e vinti. Questo è ciò che penso.