Popolazione zero

di Raylyn Moore

 

 

Titolo originale: Where Have All the Followers Gone? 

Traduzione di Beata della Frattina

© 1973 Thomas M. Disch

Apparso sul n. 776 di Urania (25 marzo 1979) 

 

 

 

Quello che era successo a Big Sur si ripeté a Monterey. Per quanto Touhy percorresse Cannery Row da un capo all’altro, rivoltando praticamente i sassi, non riuscì a trovare nessuno di sua conoscenza. Strano, perché lui conosceva tutti. Cioè, tutti quelli che seguivano la Strada. 

Non che non incontrasse dei tipi fuori del comune. Qualcuno aveva i calzini appaiati e fumava tabacco puro nella pipa, strascicando i piedi accanto alla sua vecchia con rossetto madreperlaceo e bigodini di plastica sotto una sciarpa di seta. Altri erano motociclisti in casco fluorescente antiurto, altri ancora erano freaks della domenica a piedi scalzi e jeans malandati che lumavano lo Spettacolo con occhi sbiaditi dalle spesse lenti che portavano per tutta la settimana, in ufficio. 

E cacciatori di teste pressoché a tutti gli angoli, alcuni in borghese, altri con quella loro ridicola divisa. Guardavano con finta indifferenza i piedi nudi di Touhy, e dormivano in salopette, e si erano lavati barba e capelli per l’ultima volta sotto il Ponte del Bixbee Creek (senza poter finire a causa dell’improvvisa calata dei poliziotti.) 

Era piena estate, ma il vento ostile che soffiava dalla baia gli penetrava attraverso la giacca a vento. Notò che un negozio d’abiti fatti dove era entrato l’ultima volta che era stato lì, adesso aveva ceduto il posto alla Polleria Delizia e che la pittura psichedelica sulla caldaia della vecchia fabbrica di conserve di fronte al ristorante Oz cominciava a scrostarsi. Anche sulle auto spiccavano le scritte “Abbasso l’erba” e “Buona giornata” e “Sostenete il candidato locale”. 

Decise di andarsene, e alla periferia scroccò un passaggio a un tale che arrivava solo fino a Ord (dove, quanto tempo fa?, il Giorno delle “Farse” Armate erano stati a migliaia, forti del loro numero, con Incidenti, e Arresti, e Pestaggi, ma tutto per niente, perché niente era cambiato se non in peggio, con altre guerricciole in corso, leggi più severe per il servizio militare obbligatorio, e la gente negli uffici al cui confronto i reazionari di ieri parevano dei fricchettoni radicali), ma adesso la nebbia si dissolse al vento e lui ritrovò un pizzico dell’antica fortuna. Perché più avanti, ai margini della strada, vide tre che conosceva, in attesa come lui di uno strappo. Come lui, avevano smesso di lottare, prendevano quello che veniva e andavano dove li portava la strada. Haila e Carma e Rass. 

Insieme, col pollice rivolto a nord, arrivarono a Sausalito dove ascoltarono brutta musica al vibrafono, trascorsero una nottata sulla spiaggia a Mandocino, dove Carma, in un gabbiano che galleggiava sull’acqua, aveva letto un chiaro segno che dovevano fermarsi lì, non andare oltre. Ma anche lì non c’era nessuno, mentre un anno prima, d’estate, avevano dormito in centinaia su quella stessa spiaggia, e si conoscevano più o meno tutti. Come una famiglia, erano stati. E in città lo stesso. Per le strade e nei grandi magazzini e nelle lavanderie automatiche neanche una faccia nota, solo indigeni e qualche sbandato cinematografaro che riprendeva la scena di una casa pericolante su in collina. Le Opel e le grandi e grasse Mercedes dicevano «Prendere o lasciare». Niente da fare dunque, se non rimettersi sulla strada tenendo alto il cartello fluorescente con la scritta “Ovunque” che, come avevano scoperto, funzionava meglio di quelli con su scritto “LA” (Los Angeles) o “SF” (San Francisco) oppure “Ore” (Oregon). 

Perché indietro non si poteva tornare, ma solo andare avanti seguendo la Strada come Huck seguiva il Fiume. Niente capi, solo seguaci. La Strada faceva da guida. Qualche volta Touhy pensava a suo padre, là a Pasadena (e dove, se no?), direttore progettista di una società di costruzioni che spremeva milioni e milioni di dollari alla gente con le sue case mobili con piscina (e con cosa, se no?) e fra loro si svolgeva (nella mente di Touhy) il Dialogo, che poi non era altro che un prolungamento e un rifacimento del vero dialogo che c’era stato tutti i giorni fra loro fino a quando, due o tre anni prima, press’a poco, Touhy se n’era andato di casa per non tornare più. Suo padre adesso doveva essere anziano, almeno sui quarantacinque, e mai un giorno che fosse un giorno libero in vita sua, però senza rendersene conto, sempre a sudare e a consumarsi per la Società, a tornare a casa tutte le sere, da bravo topo ammaestrato che ha imparato il percorso più difficile nel labirinto, all’aria condizionata di Pasadena, e alla Coppa Gelata Pimm, e alla TV vicino alla piscina con Walter Cronkite. La sorellina di Touhy se ne stava sempre chiusa da sola in soggiorno con le tapparelle abbassate a guardare incantata «Apriti Sesamo». La mamma, in cucina, controllava inutilmente ma coscienziosamente qualche aggeggio che faceva “ping” quando il pranzo era pronto. 

«Bella vita. Tutto va bene. Sorridi.»

— Non hai voglia di essere libero, pa’? 

— Non chiamarmi pa’. Ci sono diversi tipi di libertà. 

— C’è la libertà assoluta. 

— Per la quale si paga. 

— La libertà dev’essere libera e gratuita, altrimenti non è libertà. Ad essere franco, io non accetto il tuo... 

— Piantala, maledizione! Ti ho già detto che in casa mia non voglio più sentire l’espressione “sistema di vita”! 

— Lo vedi? Cerco di spiegarti le cose in cui credo, e tu mi tappi subito la bocca. Non può esserci dialogo fra noi. — (Sospiro.) 

(Sospiro.) — Se le cose stanno così, allora è meglio che tu te ne vada fuori di casa, a vivere come vuoi per un po’, a fare quello che ti pare. Poi, quando tornerai...

— Non tornerò. 

Appena passata la linea di demarcazione della Contea di Humboldt scroccarono un passaggio a un tale con la faccia da scemo che guidava il camioncino di una fattoria. Si ammucchiarono tutti sul cassone sedendosi sui sacchi a pelo sistemati fra sacchi di mangime vuoti, cassette rotte, una borsa piena di cibarie, e una stia vuota che puzzava di zolfo marcio. Lo scambio di battute prima della partenza fu quello di sempre.

Scemo: — Ovunque, eh? Davvero?

Touhy: — Puoi giurarci.

Mentre il furgone ripartiva in prima, furono sorpassati da un camper nuovo di zecca, grosso come una delle case mobili del padre di Touhy, che sul triplo paraurti aveva verniciato “Se odiate la polizia, la prossima volta finirete nei guai, ve lo dico io, hippie!” Si alzarono tutti in piedi sul cassone traballante a salutare con gran gesti il conducente, e le ragazze gli mandarono baci. 

Dieci minuti dopo una nuova diversione: il furgone imboccò una laterale e sobbalzò forte passando dall’asfalto al fondo di ghiaia. Nessuno fece commenti, solo Carma alzò le spalle e si mordicchiò il labbro. Sulla strada dissestata andavano al massimo della velocità concessa dal motore asfittico, e i sobbalzi erano all’ordine del giorno. Prima si inerpicarono sulle colline, poi seguirono le montagne, e la flora cambiò: alle sequoie nane e ai pinastri si sostituirono i lecci, le madroñas e gli allori. Quanto alla fauna, pareva che per la massima parte fosse stata massacrata. Scheletri calcinati, piccoli teschi di procioni, skunk e altri roditori, erano sparsi qua e là ai lati della strada, mentre nelle carreggiate si incontravano a volte i corpicini martoriati di scoiattoli e conigli. Qualche carcassa era talmente mutilata da risultare irriconoscibile. C’erano gazze e corvi e anche un falco che roteavano in cielo, dopo essersi levati in volo al passaggio dei camion, ma tornavano a depredare le carogne ancora prima che si posasse il polverone, le gazze altrettante frecce nero-argentee nell’aria ultralimpida. 

Ma nonostante i resti del massacro, il traffico era inesistente. Non incontrarono né furono sorpassati da alcun veicolo. E non si vedevano case, intorno: solo a tratti, all’imbocco di qualche sentiero, un cartello indicava baite in affitto.

Naturalmente nessuno possedeva un orologio, ma dallo spostamento del sole era chiaro che erano passate diverse ore. Faceva caldo. Touhy si era tolto da un pezzo la giacca a vento e i due maglioni che si era infilato la mattina vicino a Font Bragg, dove faceva molto fresco, ma anche l’aria mossa dal furgone non impediva che la pelle del suo torace, abbronzata dal sole di Sonora il mese prima, fosse madida di sudore. 

Qualcuno frugò nella borsa delle cibarie, quasi tutto scatolame, e ne tirarono fuori una scatola di sardine. Non presero altro. Aprirono la scatola e si divisero le sardine, sgocciolandone l’olio su metà dei biscotti di un pacchetto. L’altra metà, insieme a una seconda scatola di sardine, furono giudiziosamente lasciate per l’uomo che guidava.

Per tutto il tragitto da Font Ord non avevano quasi parlato. Ma adesso, notando un altro contrassegno di demarcazione di contea, “Trinity”, in cima a uno dei tanti picchi, Rass disse: — Andiamo dritto a est. Non arriveremo mai nell’Oregon, a questo modo. 

— Chi lo sa? — lo contraddisse Touhy. — Prima o poi incroceremo l’autostrada di Redding, e di là non è difficile tornare verso nord. — E poi: — Vogliamo proprio andare nell’Oregon? 

— Ma sì. Sono tutti là adesso. Nell’Oregon. Tutti, ci sono. Per questo non incontriamo nessuno. Sono tutti là. Forse. 

— E forse no. Forse sono andati nel Colorado in previsione del terremoto. Quello grosso. 

— Sono sempre “loro” a mettere in giro le voci del terremoto — disse Carma. — Il governatore, e “loro”. Fanno circolare la voce del terremoto, e noi ce la filiamo tutti nel Colorado o nell’Oregon, per buttarci fuori dallo Stato. Così non pesiamo sugli enti assistenziali o cosa sono, e non gli costiamo un soldo. E non chiediamo buoni pane e altro. 

— E neanche crepiamo tuffandoci nei “loro” bei fiumiciattoli puliti pieni dei “loro” scarichi industriali belli puliti, e non facciamo appassire i fiori nei “loro” parchi a furia di guardarli, e non respiriamo la “loro” preziosa aria. 

Il furgone aveva finalmente rallentato, sconfitto dalla strada che si snodava con svolte continue su e giù per la montagna, sempre col fondo ghiaioso. — Mio padre — disse Haila — diceva che lo si capisce dal tempo quando viene un terremoto.

Guardarono tutti il cielo, accorgendosi per la prima volta che le condizioni atmosferiche erano cambiate, che il sole torrido adesso gli ansimava addosso da dietro una densa cortina di garza gialla. La luce sulfurea li schiacciava, con un peso tangibile che impediva ogni movimento. — Questo non è tempo da terremoti, però — decise Touhy. — Più da incendio di boschi, direi. — Quasi a conferma, un brandello di cenere unta e pesante arrivò svolazzando dal nulla e gli planò sul dorso della mano, restando appiccicata. 

— Però il fumo di legna è azzurro, non giallo — disse Rass. — E sentite che odore strano. 

Annusarono, cercando di decidere cosa fosse quell’odore, ma non lo conoscevano e tornarono al discorso di prima.

— Hoodrobin — disse Haila che si era tolti gli scarponi militari, si era arrotolata la sottana della nonna sopra le ginocchia e faceva prendere aria ai piedi sporchi agitando le dita. — Il Governatore Hoodrobin dello Stato (di Polizia) della California. Deruba il povero per dare al ricco. 

— Ma se veramente “loro” volessero liberarsi di noi — disse Carma, — non sarebbe poi tanto difficile, vi pare? Perché darsi da fare a spargere la voce di un terremoto e roba del genere? Sarebbe tanto più facile agire in modo diretto. Chi di noi ha un indirizzo postale? O una tessera della mutua? O un conto in banca? Neanche un nome, abbiamo. Sarebbe facilissimo eliminarci tutti. Tanto non ci cercherebbe nessuno. 

— Non possono dimenticare gli incendi che abbiamo appiccato, gli attentati alle banche, e neanche l’abbassamento del limite di età per il voto — continuò Rass. 

— Non è per questo — obiettò Tohuy. Io sono convinto che sono stati “loro” ad appiccare gli incendi, a tirare le bombe e tutto il resto, allo scopo di incastrarci. Io non ho mai appiccato un incendio, né assalito una banca, e non conosco nessuno che l’abbia fatto. È più nel “loro” stile che nel nostro. 

— Io continuo a chiedere perché dovrebbero fare cose tanto complicate — insisté Carma. — Tutto quello che dovevano fare era un Piano. 

— Un Piano — fece eco Haila, con voce sognante. 

— Una pillola, per esempio — disse Carma. — Te la cacciano in gola a tutti i minori di venticinque anni, e tutti quanti saremmo andati in fila fino a una spiaggia per gettarci in mare come tanti lemming. 

— Oppure... — cominciò Touhy, ma poi disse, indicando: — Ehi, guardate là. — In seconda, cigolando, il furgone stava superando una stretta curva. Sul pendio in discesa al di là del fossato che correva lungo la strada, c’era un mucchio di rifiuti carbonizzati. Era a forma di cono, enorme, come un vulcano, e qua e là, lungo le pendici, spuntavano rottami ancora intatti o solo in parte bruciati, quasi fossero stati espulsi da un cratere: il sedile di un’auto con le molle di fuori, un sacco a pelo bruciacchiato, una chitarra sfondata e senza corde, un sandalo scompagnato, un pezzo di lamiera proveniente dalla fiancata di un pullmino, ancora coperta di decorazioni psichedeliche. Sulla cima del cono qualcuno aveva piantato un palo con un cartello su cui spiccava ancora, sebbene dilavata dalla pioggia, la parola “Pace”. 

— Giusto — disse Touhy. 

— Che spettacolo — disse Haila. 

Dopo di che sui quattro tornò a calare il silenzio, rotto solo dagli sbuffi e dal cigolio del camioncino, e dal rauco stridore dei corvi che calavano a stormi per spolpare le carogne rigide, estraendone le interiora, strappandone lembi, scarnificandole. Il sole era sempre coperto da un velo giallo e dal cielo continuavano a cadere sempre più numerose le ceneri unte che assumevano la forma di piccole virgole, neri vermiciattoli che si appiccicavano alla pelle e agli abiti e rifiutavano di staccarsene. 

Touhy si addormentò, risvegliandosi di soprassalto solo quando il furgone frenò bruscamente, fermandosi. Erano in una angusta valletta boscosa dove la foschia restava imprigionata sotto i rami, troppo fitti perché vi filtrasse la luce del sole. Il freno a mano cigolò, poi il conducente scese e andò a dare un’occhiata critica al gruppo, da sopra la ribalta del cassone. Touhy, che prima non l’aveva osservato bene, notò adesso gli occhi simili a palline di antracite sotto il cappellone da cowboy e la bocca piccola, maligna, che si apriva su una doppia fila di denti irregolari ingialliti. Io svolto qui — disse l’uomo al di sopra del rombo dei motore tenuto al minimo. Ma non c’erano svolte in vista. 

Touhy, che provava una sgradevole sensazione di disagio pensando che forse l’incendio dei boschi stava avanzando verso di loro in quella zona selvaggia e dimenticata da Dio, disse: — Non puoi portarci fin dove arrivi tu, amico? 

— “Voi” siete arrivati. C’è un campeggio là in fondo a destra, dopo quelle piante. Salute. 

— Arrivederci — dissero loro, perdonandolo. — Abbiatevi cura. 

Raccolsero la loro roba, scesero e rimasero a guardare il furgone che si allontanava alzando un po’ di polvere, dritto lungo la strada senza svolte.

L’apprensione di Touhy svanì quasi subito nella quiete del bosco. Arrivava perfino a vedere una certa bellezza nelle volute di fumo che si allargavano nell’aria immobile come grossi tralci di vite in cerca di sostegno. Haila si mise a tossire. Una certa bellezza, pensava Touhy, nel fumo e nel luccichio di un milione di more mature sui rovi che formavano una specie di muraglia, interrotta solo dall’angusto passaggio del sentiero che doveva portare al campeggio. Era senz’altro il campeggio di un parco nazionale, oppure, se si trovavano ancora nella Trinity Forest, i soli servizi di un parco nazionale, con Regole e Divieti creati da “loro”. Ma non importava. Forse l’avrebbero avuto tutto per loro quattro, perché, chi sarebbe mai andato a cercarlo in una zona tanto isolata? Questa terra è la nostra. 

Guardò gli altri che mangiavano avidamente le more, e avrebbe voluto dire del benessere che l’aveva invaso al pensiero che questo era il posto dove li aveva portati la Strada e che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non riuscì, a spiccicare parola. Haila aveva legato insieme le stringhe degli scarponi e se li era appesi al collo, e Rass si era caricato sulle spalle, oltre al suo, i sacchi a pelo delle ragazze. Forse era la sensazione di essere diventati come una famiglia che faceva sentire meno la solitudine, il completo abbandono, l’allontanamento dall’aborrita civiltà, la separazione dai loro pari che, sembrava solo ieri, avevano seguito la Strada e abitavano la Terra. 

Touhy arrivò perfino a giustificare in parte suo padre, e si sentì capace di accettare quello che prima gli era sembrato irragionevole. Nel solito angolino tranquillo della sua mente riprese a discutere con il suo vecchio. — Ehi, papà, ricordi quello che avevi detto a proposito di come sarebbe finita, prima o poi? Un giorno ti guarderai in giro, dicevi, e tutti se ne saranno andati, e sai dove saranno? Saranno tornati all’università, o sotto le armi, o a lavorare in una stazione di servizio. Succede a tutte le generazioni, dicevi, e potevi solo sperare che tuo figlio si svegliasse in tempo per non scoprire di essere rimasto l’unico superstite di una specie estinta. Be’, forse adesso salta fuori che hai ragione, almeno in questo. 

Il sentiero serpeggiò per un quattrocento metri fra i fitti cespugli di more e “chaparral” avvizziti, poi sbucò di colpo in una radura dove c’era un capanno di legno e una guardia forestale, o cos’altro era, che dalla soglia li guardava arrivare. Su una rete metallica di recinzione era appeso il cartello: 

 

OVUNQUE, CALIF.

ALT. 3.780

POPOL. 0

 

Sul bancone, davanti al forestale, c’era un registro aperto.

— È questo il campeggio? 

— Sì. Firmate, poi portate la vostra roba nel fabbricato principale. Si occuperanno di voi. 

Touhy esitava, ma gli altri stavano già firmando. Prima di aggiungere il proprio nome, sfogliò qualche pagina del registro.

— Ragazzi! — gridò, richiamando i compagni. — Guardate! Merlin e Roush, e Shad, e Bobbie e Zodiac. E qui c’è Stovey, e Gemini, e Glinda e Valede. Sono qui! È questo il posto! Qui! Non nell’Oregon, non nel Colorado né altrove. Frieda e Roos e Horse... 

Ma i suoi compagni, intuita la sua gioia, stavano già attraversando di corsa uno spiazzo di erba rasa e ben curata, diretti al massiccio edificio di cemento grigio, che l’uomo gli aveva indicato. Dietro quel primo edificio ce n’era un secondo, sovrastato da una ciminiera annerita. Allora non era un incendio, pensò Touhy, perché il fumo veniva da lì, da quella che probabilmente era una centrale termica.

L’INQUINAMENTO FA DIVENTARE IL MONDO MARRONE (ma non ti brucia). 

Guardò la pesante porta del primo fabbricato aprirsi verso l’interno per far entrare gli altri, ma mentre l’istinto lo spingeva a raggiungerli di corsa qualcosa lo fece voltare verso il forestale, o cos’altro era, per chiedergli. — Se tutti mettono il nome sul registro, come mai il cartello dice popolazione zero? 

Il forestale, o cos’altro era, rispose: — Il cartello è giusto. Qui non ci vive nessuno.

— Ah, capisco. I campeggiatori non contano. Ma tu? 

— Io ci lavoro soltanto. 

— Però ha l’aria di un paese. Il cartello... 

— Qui non ci vive nessuno. 

Touhy si voltò a guardare il sentiero da dove erano arrivati, che terminava davanti all’ingresso del campo, e solo allora si accorse di quanto fosse alta la rete metallica, troppo alta per essere la recinzione di un campeggio. Disse: — Ma che razza di campeggio è questo? — E in quell’istante l’aria fu pervasa dal frastuono del Big Sound. Rock ad alta pressione. «Clang. Clang. Clang. Buum, bam, bum». La musica veniva dall’edificio di cemento grigio. Un attimo dopo Touhy varcava il pesante portone su cui spiccava la scritta “Alloggio gratuito”, e subito si sarebbe preso a calci per essere stato così stupido da avere dei dubbi. Perché tutto era come doveva essere. L’immenso locale privo di finestre era illuminato da luci stroboscopiche, i festoni luccicanti andavano dal soffitto al pavimento, i muri erano tappezzati di poster. Dagli altoparlanti nascosti si riversava il rimbombo del rock, e, Touhy lo scoprì immediatamente, vicino a ognuno dei letti accostati alle pareti, col materasso ad acqua e a vibrazione automatica, c’era una scatola piena di spinelli. Cercò gli altri tre e con qualche difficoltà riuscì a scorgerli nel mutevole gioco di luci e ombre. Le facce si componevano, si frantumavano, tornavano a ricomporsi col variare delle luci. Lui accese uno spinello e si sdraiò, felice. 

LIBERI SUBITO. TUTTO È LEGALE. AMATE.

Nel locale c’era una stanza interna, con una porta a doppio battente verniciata di un luminoso blu oltremare, su cui era appeso un altro cartello:

QUESTO È IL VIAGGIO CHE SEGNA LA FINE DI TUTTI I VIAGGI.

Quando la musica cessò, venne sostituita da una voce registrata, che in tono spassionato insinuò il suo messaggio nei cervello rilassato di Touhy. 

«... Docce calde (tic, tic, tic) Questo è il vostro campo, e siamo sicuri che contribuirete a tenerlo pulito e in ordine. Toglietevi tutti gli indumenti e deponeteli, insieme a tutti gli altri effetti personali, nelle vasche di disinfestazione, che troverete alla vostra sinistra, dopo che sarete passati attraverso la porta blu nel locale delle docce alte. (tic, tic, tic) Questo è il vostro... » 

Andiamo, pensò Touhy che aveva la testa piena di pensieri bellissimi. Sì, e dopo avrebbero finalmente trovato gli amici perduti.