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OGNI PEZZO AL SUO POSTO
PER TIRARE LE FILA
È tempo di mettere insieme i fatti e le ipotesi apparentemente disparati, riguardanti cervello e coscienza, introdotti nei tre capitoli precedenti. Propongo di cominciare affrontando alcuni interrogativi che probabilmente saranno affiorati nella mente dei lettori.
1. Assodato che la coscienza non risiede in un centro cerebrale, può essere che gli stati mentali coscienti abbiano sede in alcuni settori del cervello più che in altri? La mia risposta è decisamente un sì. Io credo che i contenuti della coscienza a cui noi possiamo accedere siano assemblati soprattutto nello spazio delle immagini delle regioni corticali di ordine inferiore e nel tronco encefalico superiore: quello che nel cervello è un complesso «spazio della performance». Ciò che accade in quello spazio, però, è continuamente controllato dall’interazione con lo spazio delle disposizioni, il quale spontaneamente organizza immagini in funzione della percezione in corso e dei ricordi del passato. In ogni dato istante, il cervello cosciente opera globalmente, ma in maniera differenziata dal punto di vista anatomico.
2. Ogni accenno alla coscienza umana fa pensare alla nostra corteccia cerebrale altamente sviluppata, eppure ho scritto molte pagine mettendola in relazione al ben più modesto tronco encefalico. Sono dunque pronto a ignorare l’opinione diffusa e a designare il tronco encefalico come il partner dominante nel processo della coscienza? Non proprio. La coscienza umana necessita sia della corteccia cerebrale, sia del tronco encefalico: la corteccia non può fare tutto da sola.
3. La nostra comprensione del funzionamento dei circuiti neuronali è sempre più chiara. Gli stati mentali sono stati messi in relazione con la frequenza di scarica dei neuroni e la sincronizzazione dei circuiti neuronali mediante l’attività oscillatoria. Siamo anche in possesso delle seguenti informazioni: rispetto a quello di altre specie, il cervello umano ha un maggior numero di aree cerebrali, le quali sono più specializzate, soprattutto a livello corticale; la corteccia cerebrale umana (insieme a quella delle scimmie antropomorfe, dei cetacei e degli elefanti) contiene alcuni neuroni insolitamente grandi, denominati « neuroni di Von Economo»; infine, nei primati, le ramificazioni dendritiche di alcuni neuroni della corteccia prefrontale sono particolarmente abbondanti quando le si confronta con quelle presenti in altre regioni corticali, o con quelle di altre specie. Questi aspetti, scoperti di recente, sono sufficienti a spiegare la coscienza umana? La risposta è no. Essi contribuiscono a render conto della ricchezza della mente umana, del vasto panorama a cui possiamo accedere quando la mente, grazie ai vari processi del sé, la mente diventa cosciente. Sebbene alcuni di tali aspetti abbiano una parte importante nei meccanismi del sé, presi da soli non spiegano in che modo vengano generati il sé e la soggettività.
4. Nelle descrizioni della coscienza i sentimenti sono spesso ignorati. Può esistere una coscienza senza sentimenti? No. Da un punto di vista introspettivo, l’espe-rienza umana comporta sempre i sentimenti. Naturalmente, il valore dell’introspezione può essere messo in discussione, ma su questo tema specifico quello che dobbiamo spiegare è perché gli stati della coscienza ci appaiano nel modo in cui ci appaiono, quand’anche l’apparenza fosse fuorviante.
5. Ho ipotizzato che gli stati dei sentimenti siano generati in larga misura dai sistemi neurali del tronco encefalico come conseguenza della loro particolare organizzazione e della loro posizione vis-à-vis con il corpo. Uno scettico potrebbe benissimo concludere che io non ho risposto a chi chiede perché i sentimenti siano sentiti come noi li sentiamo, e meno che mai perché siano sentiti tout court. Qui sono d’accordo e al tempo stesso dissento. Di certo non ho spiegato in modo esaustivo la creazione dei sentimenti, ma ho avanzato un’ipotesi specifica, alcuni aspetti della quale potranno essere sottoposti a verifica.
Non si può dire che le idee discusse in questo libro o quelle presentate da diversi colleghi che lavorano in questo campo risolvano i misteri riguardanti il cervello e la coscienza. Gli studi attualmente in corso, però, comprendono diverse ipotesi che possono essere oggetto di ricerca. Solo il tempo dirà se esse riusciranno a mantenere le loro promesse.
LA NEUROLOGIA DELLA COSCIENZA
Per me la neurologia della coscienza è basata sulle strutture cerebrali implicate nella genesi della triade fondamentale costituita dallo stato di veglia, dalla mente e dal sé. Vi sono coinvolte soprattutto tre principali divisioni anatomiche: il tronco encefalico, il talamo e la corteccia cerebrale; occorre tuttavia avvertire che non vi è una corrispondenza diretta fra ciascuna divisione anatomica e ciascun componente della triade. Tutte e tre le divisioni anatomiche contribuiscono a qualche aspetto dello stato di veglia, della mente e del sé.
Il tronco encefalico
I nuclei del tronco encefalico forniscono un buon esempio delle prestazioni multitasking richieste a ciascuna divisione. Di certo essi contribuiscono allo stato di veglia in associazione con l’ipotalamo, ma sono anche responsabili della costruzione del proto-sé e della genesi dei sentimenti primordiali. Di conseguenza, alcuni aspetti significativi del sé nucleare sono realizzati nel tronco encefalico, e una volta instauratasi la mente cosciente esso contribuisce al controllo dell’attenzione. In tutti questi compiti, il tronco encefalico coopera con il talamo e con la corteccia cerebrale.
Per avere un quadro migliore del contributo offerto dal tronco encefalico alla mente cosciente, dobbiamo esaminare più da vicino le componenti implicate in queste operazioni. Un’analisi della neuroanatomia del tronco encefalico rivela la distribuzione dei suoi nuclei in diversi settori. Quello localizzato alla base dell’asse verticale del tronco, in larga misura nel midollo allungato, contiene i nuclei implicati nella regolazione delle funzioni viscerali fondamentali, in particolare la funzione respiratoria e cardiaca. Una distruzione sostanziale di questi nuclei porta alla morte. Al di sopra di quel livello, nel ponte e nel mesencefalo, troviamo nuclei la cui lesione non è associata alla morte, ma al coma e allo stato vegetativo. In linea di massima, questo è il settore che si estende verticalmente da metà del ponte fino all’estremo superiore del mesencefalo; occupa la parte posteriore del tronco cerebrale, dietro a una linea verticale che separa la sua metà posteriore dalla metà anteriore. Altre due strutture sono anch’esse parte del tronco encefalico: il tetto e l’ipotalamo. Il tetto è l’insieme costituito dai collicoli superiori e inferiori, che abbiamo discusso nel capitolo 3; dal punto di vista architettonico, esso fornisce una specie di volta alla parte superiore e posteriore del tronco encefalico. Oltre al loro ruolo nel movimento associato alla percezione, i collicoli hanno una funzione nel coordinamento e nell’integrazione delle immagini. L’ipotalamo è in realtà situato appena sopra il tronco encefalico, tuttavia il suo profondo coinvolgimento nella regolazione dei processi vitali e le sue intricate interazioni con i nuclei del tronco ne giustificano l’inclusione nel novero delle strutture facenti capo a quest’ultimo. Abbiamo già affrontato il ruolo dell’ipotalamo quando abbiamo parlato dello stato di veglia nel capitolo 8 (il lettore può fare riferimento alla figura 8.1 a p. 256).
L’idea che certi settori del tronco possano essere di importanza cruciale per la coscienza, ma altri no, scaturì da una tipica osservazione compiuta da due insigni neurologi, Fred Plum e Jerome Posner. Essi credevano che solo un danno localizzato al di sopra della porzione media del ponte fosse associato al coma e allo stato vegetativo.1 Io convertii questa idea in una ipotesi specifica, motivando la scelta di quel livello: quando consideriamo il tronco encefalico dalla prospettiva delle regioni cerebrali localizzate superiormente nel sistema nervoso, scopriamo che solò al di sopra della porzione media del ponte la raccolta di informazioni sul corpo in toto diventa completa. A livelli inferiori del tronco encefalico o nel midollo spinale, il sistema nervoso può avvalersi soltanto di informazioni parziali. Questo perché è a livello della porzione media del ponte che il nervo trigemino penetra nel tronco encefalico, portando con sé informazioni sulla parte superiore del corpo: la faccia e tutto quello che si nasconde dietro di essa, lo scalpo, il cranio e le meningi. Solo al di sopra di questo livello il cervello possiede tutte le informazioni di cui ha bisogno per creare mappe complete del corpo in toto e, in quelle mappe, generare la rappresentazione degli aspetti riguardanti l’interno del corpo, che sono relativamente invarianti e contribuiscono a definiré il proto-sé. Al di sotto di quel livello, il cervello non ha ancora raccolto tutti i segnali di cui necessita per creare una rappresentazione del corpo nella sua interezza, istante per istante.
Questa ipotesi venne verificata in uno studio che Josef Parvizi e io conducemmo con la risonanza magnetica in pazienti comatosi, allo scopo di indagare la localizzazione del danno cerebrale. Esso rivelò che il coma era associato soltanto a un danno localizzato al di sopra del livello di ingresso del trigemino. Lo studio confermò interamente le prime osservazioni di Plum e Posner, che erano basate su materiali post mortem in un’epoca in cui le tecniche di neuroimmagine non erano disponibili.2
Agli esordi della ricerca sulla coscienza, l’associazione fra un danno in questa regione e lo stato comatos/vegetativo venne interpretata come un indice del fatto che la disfunzione risultante comprometteva lo stato di veglia o la vigilanza. La corteccia cerebrale non era più attivata e rifornita di energia. Privata della componente costituita dallo stato di veglia, la mente non era più cosciente. L’identificazione di una rete di neuroni interattivi a livello locale e che nel loro complesso proiettavano verso l’alto al talamo e alla corteccia cerebrale rese questa semplice idea ancora più plausibile. Anche il nome dato a tale sistema di proiezioni - sistema reticolare attivatore ascendente - coglieva bene il concetto.3 (Anche , in questo caso, si veda la figura 8.1, nella quale esso è incluso fra gli «altri nuclei del tronco encefalico», come spiegato nella didascalia).
L’esistenza di un tale sistema ha trovato piena conferma e noi sappiamo che le sue proiezioni puntano ai nuclei intralaminari del talamo, i quali a loro volta proiettano alle cortecce cerebrali, compresa la cpm. Non è tutto, però. Accanto a classici nuclei come il cuneiforme e il pontis oralis, che sono i siti di origine del sistema reticolare attivatore ascendente, vi è un insieme di numerosi altri nuclei che comprendono quelli implicati nella gestione degli stati corporei interni: il locus coeruleus, i nuclei del tegmento ventrale e i nuclei del rafe, rispettivamente responsabili della liberazione di noradrenalina, dopamina e serotonina in particolari settori della corteccia cerebrale e del prosencefalo basale. Le proiezioni che partono da questi nuclei aggirano il talamo.
Fra i nuclei coinvolti nella gestione dello stato del corpo, troviamo il nucleo del tratto solitario (nts) e il nucleo parabrachiale (npb), la cui importanza è stata discussa nei capitoli 3,4 e 5 relativamente alla creazione di sentimenti corporei del primo livello, i sentimenti primordiali. Il tronco encefalico superiore comprende anche i nuclei del grigio periacqueduttale (gpa) , la cui attività dà luogo alle risposte chimiche e comportamentali che sono parte integrante della regolazione dei processi vitali e che, in quel contesto, eseguono le emozioni. I nuclei del GPA sono strettamente interconnessi con quelli dell’NPB e dell’NTS e anche con gli strati profondi del collicolo superiore, i quali hanno probabilmente una funzione di coordinamento nella costruzione del sé nucleare. Questa complicata anatomia indica che mentre i nuclei classici e i sistemi di attivazione ascendente sono senza dubbio associati allo stato di veglia e ai cicli del sonno, i restanti nuclei del tronco encefalico partecipano ad altre funzioni ugualmente importanti per la coscienza: precisamente, essi costituiscono la sede degli standard del valore biologico; producono la rappresentazione dell’interno dell’organismo, in base alla quale viene assemblato il proto-sé e sono generati gli stati dei sentimenti primordiali; e contribuiscono ai primi stadi cruciali della costruzione del sé nucleare, che si ripercuote sul controllo dell’attenzione.4
In breve, una riflessione su questa gran profusione di ruoli funzionali rivela una dedizione condivisa di questi nuclei alla gestione dei processi vitali. L’idea che la loro funzione sia confinata alla regolazione dei visceri, del metabolismo e dello stato di veglia non rende giustizia alle loro prestazioni. Essi gestiscono i processi vitali in un senso molto più ampio. Rappresentano la sede neurale del valore biologico, il quale ha un’influenza estesa a tutto il cervello, in termini di struttura come di funzioni. Con ogni probabilità, questo è il luogo in cui ha inizio il processo di costruzione della mente sotto forma di sentimenti primordiali, ed è evidente che ha origine qui anche il sé, ovvero il processo grazie al quale la mente cosciente diventa una realtà. Anche gli sforzi di coordinamento messi in atto dagli strati profondi dei collicoli entrano in gioco a questo livello, e fanno la loro parte.
Il talamo
La coscienza viene spesso descritta come il risultato di una vasta operazione di integrazione di segnali che interessa molte regioni del cervello; in quelle descrizioni, il ruolo del talamo è quanto mai prominente. Senza dubbio esso contribuisce in modo importante alla creazione del tessuto di fondo della mentes a quella sorta di « mossa finale » che chiamiamo mente cosciente. Ma è possibile essere più specifici sul suo ruolo?
Come il tronco encefalico, anche il talamo dà un contributo a tutte le componenti della triade della mente cosciente. Un insieme di nuclei talamici è essenziale per lo stato di veglia e stabilisce un ponte fra tronco encefalico e corteccia; un altro porta gli input con i quali possono poi essere assemblate le mappe corticali; i nuclei restanti contribuiscono con quel tipo di attività integrativa senza la quale una mente cosciente - e a maggior ragione una mente dotata di un sé - è inconcepibile.
In passato ho sempre resistito ad avventurarmi nel talamo, e oggi sono ancora più prudente. Le scarne conoscenze di cui dispongo sull’enorme insieme dei nuclei talamici, le devo ai pochissimi scienziati esperti di questa struttura.5 Detto questo, alcuni ruoli del talamo non sono in discussione e possono essere analizzati qui. Il talamo serve come stazione di transito per le informazioni raccolte nel corpo e destinate alla corteccia cerebrale. Questa funzione comprende tutti i canali che convogliano segnali riguardanti sia il corpo sia il mondo esterno: dal dolore e dalla temperatura al tatto, all’udito e alla vista. Tutti i segnali destinati alla corteccia si fermano nei nuclei di relè talamici per prendere la coincidenza che li porta alla loro destinazione nelle varie città della corteccia cerebrale. Solo l’olfatto sfugge a questa attrazione e si diffonde alla corteccia come un effluvio, seguendo canali non talamici.
Il talamo si occupa anche dei segnali necessari per svegliare o addormentare l’intera corteccia cerebrale: lo fa mediante proiezioni neuronali che partono dalla formazione reticolare di cui ho già parlato. I loro segnali cambiano binario a livello dei nuclei intraliminari; la cpm è un’importante destinazione.
Una funzione del talamo non meno importante - e di gran lunga più specifica quando si tratta della coscienza - è quella di centro coordinatore delle attività corticali, una funzione dipendente dal fatto che diversi nuclei talamici in comunicazione con la corteccia cerebrale ricevono a loro volta messaggi da quest’ultima, così che possano formarsi circuiti ricorsivi istante per istante. Questi nuclei talamici stabiliscono reciproche connessioni a breve e a lungo raggio con diverse parti della corteccia cerebrale. Lo scopo di tale connettività non è di portare informazioni sensoriali primarie, quanto piuttosto quello di interconnettere le informazioni.
In questa stretta interazione fra talamo e corteccia, è probabile che il talamo faciliti l’attivazione simultanea o sequenziale di siti neurali topograficamente separati, facendoli cooperare in configurazioni coerenti. Questa attivazione è responsabile del flusso di immagini che ha luogo nel corso dei pensieri, immagini che diventano coscienti quando riescono a generare pulsazioni del sé nucleare. Probabilmente, questo ruolo di coordinamento dipende dal traffico a doppio senso fra i nuclei associativi del talamo e RCD anch’esse coinvolte nel coordinamento delle attività corticali. Il talamo, in breve, trasmette informazioni essenziali alla corteccia cerebrale e al tempo stesso esegue un’importante funzione associativa nei confronti delle informazioni corticali. La corteccia cerebrale non può operare senza il talamo, giacché le due strutture sono co-evolute legandosi inseparabilmente fin dal loro primo sviluppo.
La corteccia cerebrale
Passiamo infine a quello che attualmente è il pinnacolo dell’evoluzione neurale, la corteccia cerebrale umana. Nell’interazione con il tronco encefalico e il talamo, la corteccia ci mantiene svegli e contribuisce a selezionare ciò a cui dobbiamo prestare attenzione. Sempre in questa interazione, la corteccia costruisce le mappe che poi diventeranno la mente e contribuisce a generare il sé nucleare. Infine, usando le registrazioni dell’attività passata memorizzate nei suoi vasti archivi, la corteccia cerebrale compone la nostra biografia, completa dell’esperienza degli ambienti fisici e sociali in cui abbiamo vissuto. La corteccia ci fornisce un’identità e ci colloca al centro di quello spettacolo straordinario, proiettato in avanti, che è la nostra mente cosciente.6
Allestire lo spettacolo della coscienza richiede una tale cooperazione che non sarebbe realistico isolare uno qualsiasi dei partner che vi contribuiscono. Certo non possiamo generare gli aspetti autobiografici del sé che definiscono così bene la coscienza umana senza invocare il rigoglioso sviluppo delle regioni di convergenza-divergenza che dominano la neuroanatomia e la neurofisiologia corticali. Né l’autobiografia potrebbe sorgere senza i fondamentali contributi del tronco encefalico alla formazione del proto-sé, o senza la necessaria associazione del tronco encefalico con il corpo in senso stretto o, ancora, senza l’integrazione ricorsiva che è messa in opera dal talamo e che coinvolge tutto il cervello.
Sebbene occorra riconoscere il lavoro d’insieme di questi attori principali, è tuttavia consigliabile resistere a idee che vorrebbero sostituire alla specificità delle parti contribuenti l’enfasi su operazioni neurali funzionalmente indistinte a livello cerebrale globale. In termini di fondamento cerebrale, la natura globale della mente cosciente è innegabile. Noi però, grazie alle ricerche che si ispirano alla neuroanatomia, abbiamo la possibilità di scoprire di più sui contributi relativi delle varie componenti cerebrali al processo generale.
LA STRETTOIA ANATOMICA ALLA BASE DELLA MENTE COSCIENTE
Le tre principali divisioni anatomiche appena descritte e le loro connessioni spaziali parlano di sproporzioni morfologiche e alleanze funzionali che solo una prospettiva evolutiva può aiutarci a spiegare. Non occorre essere un neuroanatomista per cogliere il curioso squilibrio dimensionale esistente, nell’uomo, fra corteccia cerebrale e tronco encefalico.
Essenzialmente, operando le dovute correzioni per tener conto delle dimensioni corporee, l’organizzazione fondamentale del tronco encefalico umano risale all’èra dei rettili. La corteccia cerebrale umana, invece, ha una storia diversa. Nei mammiferi essa si è espansa enormemente, non solo da un punto di vista dimensionale, ma anche nell’organizzazione architettonica, soprattutto nella versione dei primati.
A causa della sua dominanza nel ruolo di regolatore dei processi vitali, il tronco encefalico è da lungo tempo il sito che riceve ed elabora localmente l’informazione necessaria per rappresentare il corpo e controllarne la vita. Nel momento in cui eseguiva questo suo ruolo antico e importante, in specie in cui la corteccia cerebrale era minima o assente, il tronco encefalico sviluppò anche l’apparato necessario per i processi elementari della mente e perfino per la coscienza, attraverso il proto-sé e i meccanismi del sé nucleare. Esso continua a eseguire queste stesse funzioni anche oggi, negli esseri umani; d’altro canto, la maggiore complessità della corteccia cerebrale ha consentito la creazione di immagini dettagliate, l’espansione della capacità di memoria, l’immaginazione, il ragionamento, e alla fine il linguaggio. E adesso arriva il grande problema: nonostante l’espansione anatomica e funzionale della corteccia cerebrale, le funzioni del tronco encefalico non vennero duplicate nelle strutture corticali. La conseguenza di questa economica divisione dei ruoli è una interdipendenza, fatale e completa, del tronco encefalico e della corteccia: le due strutture sono costrette a cooperare.
L’evoluzione del cervello si trovò ad affrontare una strettoia anatomo-funzionale notevole, ma la selezione naturale, com’era prevedibile, risolse il problema. Poiché il tronco encefalico doveva ancora garantire a tutto il sistema nervoso l’intera gamma dei processi di regolazione della vita e i fondamenti della coscienza, occorreva trovare una via per assicurare che il tronco encefalico influenzasse la corteccia cerebrale e, cosa altrettanto importante, che le attività della corteccia cerebrale influenzassero il tronco cerebrale: influenza cruciale soprattutto - naturalmente - quando si trattava della costruzione del sé nucleare. Questo è importante, a maggior ragione se pensiamo che moltissimi oggetti esterni esistono come immagini solo nella corteccia cerebrale e non possono essere rappresentati in modo completo come tali nel tronco cerebrale.
È qui che il talamo accorse in aiuto, come facilitatore di un compromesso, realizzando una disseminazione di segnali dal tronco encefalico a un vasto territorio del mantello corticale. A sua volta, la corteccia cerebrale, enormemente espansa, incanala segnali verso una struttura su piccola scala quale è il tronco encefalico sia direttamente, sia con l’aiuto di nuclei sottocorticali come quelli dell’amigdala e dei gangli basali. Alla fine, il talamo trova forse la sua migliore descrizione quale sensale nell’unione di una stranissima coppia.
Lo sbilanciamento fra tronco cerebrale e corteccia ha probabilmente imposto delle limitazioni allo sviluppo delle abilità cognitive in generale, e alla coscienza umana in particolare. Poiché la cognizione si modifica quando è soggetta a pressioni come quelle esercitate dalla rivoluzione digitale, è interessante constatare che tale squilibrio può insegnarci molte cose circa le modalità di evoluzione della mente umana. Nella mia descrizione, il tronco encefalico rimarrà una fonte degli aspetti fonda-mentali della coscienza, essendo il primo e indispensabile luogo di origine dei sentimenti primordiali. Le accresciute esigenze cognitive hanno reso un po’ rozza e brutale l’interazione fra corteccia e tronco encefalico; oppure - per dirlo in termini più delicati - hanno reso più difficile l’accesso alla fonte dei sentimenti. A quanto pare, da qualche parte bisogna cedere.
Ho detto che sarebbe sciocco prendere le difese di una delle tre divisioni anatomiche coinvolte nel processo di costruzione della coscienza, favorendola a scapito delle altre. Eppure, occorre convenire che la componente rappresentata dal tronco encefalico ha una precedenza funzionale, che rimane una parte del puzzle assolutamente indispensabile e che - per quella stessa ragione, come pure per le sue modeste dimensioni e per la sua anatomia compressa e disordinata - fra le tre grandi divisioni è quella più vulnerabile alla patologia. Questo va detto con forza, se non altro perché negli scontri in cui è coinvolta la coscienza la corteccia cerebrale tende a prendere il sopravvento.
DAL LAVORO DI INSIEME DELLE GRANDI DIVISIONI ANATOMICHE AL LAVORO DEI NEURONI
Fino a questo punto, ho cercato di spiegare l’emergere di una mente cosciente in larga misura muovendo dalla prospettiva di componenti che possono essere identificate a occhio nudo, compresi i piccoli nuclei del tronco encefalico e del talamo. Quelli che a occhio nudo non si vedono, però, sono i milioni di neuroni che costituiscono le reti o i sistemi all’interno di tali strutture, come pure i numerosi piccoli raggruppamenti dei neuroni che contribuiscono all’impresa generale di costruire una ménte dotata di un sé. Il lavoro di insieme delle grandi divisioni anatomiche si fonda sul lavoro di insieme di componenti su scala sempre minore, fino ad arrivare a piccoli circuiti neuronali. In questa tendenza anatomica verso il basso, troviamo regioni corticali sempre più circoscritte, e tutte le loro connessioni con altri siti cerebrali; vi sono nuclei sempre più piccoli connessi in modo particolare ad altri nuclei e a varie regioni della corteccia; infine, al fondo della gerarchia, troviamo i piccoli circuiti neuronali, le unità costruttive microscopiche, le cui temporanee configurazioni spaziali di attività creano la mente. La mente cosciente è costruita a partire dalla struttura del cervello: una struttura costituita da molte componenti, gerarchiche e annidate.
In genere si dà per scontato che la scarica dei neuroni connessi mediante sinapsi all’interno di circuiti microscopici dia origine ai fenomeni fondamentali per la costruzione della mente, denominati «protofenomeni» della cognizione. Si pensa anche che il progressivo accumularsi di un gran numero di tali fenomeni dia luogo alla costruzione delle mappe che conosciamo come immagini, e che una parte di quel processo di accumulo graduale dipenda dalla sincronizzazione dei singoli protofenomeni, come ipotizzato nel capitolo 3.
Possiamo chiederci se sia sufficiente combinare i microeventi della protocognizione con la sincronia, amplificandoli progressivamente in una gerarchia annidata, distribuita all’interno delle tre divisioni neuroanatomiche discusse in precedenza. Nella spiegazione qui sopra, la protocognizione muove dai microeventi neurali e viene gradualmente amplificata fino a giungere alla mente cosciente, ma i sentimenti sono omessi. Vi è un «protosentimento» equivalente, costruito a partire da microeventi neurali e che va amplificandosi a poco a poco, parallelamente alla protocognizione?
In tutte le proposte avanzate nei precedenti capitoli, il sentimento è stato presentato come partner obbligato e membro fondatore della mente cosciente, ma non si è detto nulla sulle sue possibili origini a livello microscopico. Come ho già proposto, noi otteniamo sentimenti spontanei a partire dal proto-sé, e quei sentimenti danno origine, in modo ibrido, a un primo barlume di mente e di soggettività. Abbiamo poi invocato i sentimenti del conoscere per separare il sé dal non-sé e per contribuire a generare un sé nucleare vero e proprio. Alla fine, abbiamo costruito un sé autobiografico a partire da queste molteplici componenti del sentire. I sentimenti sono stati presentati come l’altra faccia della medaglia della cognizione, ma il loro emergere è stato collocato al livello dei sistemi. Io ho invocato, quali fonti di sentimenti corporei qualitativamente distinti, la stretta relazione, esclusiva e risonante, del tronco encefalico con il corpo, insieme alla combinazione ricorsiva ed esaustiva, nel tronco encefalico superiore, dei segnali provenienti dal corpo. Questo potrebbe benissimo bastare a spiegare come sorgano i sentimenti. Tuttavia, è ragionevole interrogarsi su un ulteriore aspetto. Se collochiamo, in generale, l’origine delle immagini al microlivello, postulando che i piccoli circuiti neuronali generino frammenti di protocognizione, perché non dovremmo concedere lo stesso trattamento a quella classe speciale di immagini che chiamiamo sentimenti, facendo iniziare anch’essi all’interno di quei medesimi piccoli circuiti, o in loro prossimità? Nella prossima sezione, proporrò che i sentimenti possano avere questa modesta origine. I protosentimenti si svilupperebbero allora gradualmente nelle gerarchie annidate, all’interno di circuiti più grandi - in questo caso i circuiti del tegmento del tronco encefalico superiore -, dove un’ulteriore elaborazione darebbe luogo ai sentimenti primordiali.
QUANDO SENTIAMO LE NOSTRE PERCEZIONI
Chiunque nutra un interesse per i temi legati al cervello, alla mente e alla coscienza ha sentito parlare dei qualia e si è fatto un’opinione su come le neuroscienze debbano approcciare la questione: prenderla sul serio e cercare di affrontarla; considerarla materia intrattabile e rimandarla a tempo indeterminato; o liquidarla senza troppi complimenti. Come il lettore può constatare, io prendo l’argomento sul serio. Prima però, visto che il concetto dei qualia è un poco insidioso, cerchiamo di capire di che cosa si tratta.7
Nelle prossime pagine, i qualia sono trattati come una combinazione di due problemi. Nel primo, i qualia si riferiscono ai sentimenti, che sono una componente obbligata di qualsiasi esperienza soggettiva - una sfumatura piacevole o la sua assenza, un accenno di dolore, di disagio o di benessere, oppure la loro mancanza. Io definisco questo tema il «problema dei qualia I». Il secondo problema è più profondo. Se le esperienze soggettive sono accompagnate da sentimenti, come vengono generati gli stati del sentire? Questo interrogativo si spinge oltre la questione di come nella nostra mente una esperienza qualsiasi acquisisca qualità sensoriali specifiche, per esempio il suono di un violoncello, il gusto del vino, l’azzurro del mare. Ci si pone quindi ima domanda più diretta: perché la costruzione delle mappe percettive, che sono eventi fisici e neurochimici, ha una qualità percepita? Perché le sentiamo? Questo è il « problema dei qualia II ».
QUALIA I
Nessun insieme di immagini coscienti di alcun tipo e su alcun argomento manca mai di essere accompagnato da un corteo disciplinato costituito dalle emozioni e dai sentimenti che a esse conseguono. Mentre sto guardando l’Oceano Pacifico avvolto nella sua luce mattutina, protetto da un tenue cielo grigio, io non sto solo vedendo, sto anche provando emozioni di fronte a questa imponente bellezza e avverto tutta una gamma di modificazioni fisiologiche che si traducono, ora che ci penso, in un tranquillo stato di benessere. Questo sta accadendo senza che vi sia alcuna deliberazione da parte mia, e io non ho alcun potere di impedire i sentimenti, non più di quanto, in precedenza, fosse in mio potere farli affiorare. Si sono presentati, ora sono qui, e ci resteranno -più o meno modulati - fintanto che lo stesso oggetto cosciente rimarrà in vista e le mie riflessioni li manterranno in essere, in una sorta di riverbero.
Mi piace pensare ai qualia I come a una musica, una partitura che accompagna il remainder del processo mentale in corso, notando tuttavia che l’esecuzione è anche all’interno del processo mentale. Quando il principale oggetto della mia coscienza non è l’oceano, ma musica vera, allora nella mia mente esistono due tracce, una con il brano di Bach che sta suonando proprio ora, e l’altra con una traccia come-se-fosse-musica con la quale io reagisco, nel linguaggio dell’emozione e del sentimento, alla musica vera. Questo non è altro che il quale I per una esecuzione musicale - possiamo chiamarla « musica sulla musica». Forse la musica polifonica fu ispirata dall’intuizione di questo sovrapporsi nella mente di linee melodiche parallele.
In una piccola casistica di situazioni reali, l’accompagnamento obbligato dei qualia I può essere ridotto o addirittura non materializzarsi. Gli scenari più benigni sono quelli derivanti dall’effetto di qualsiasi farmaco in grado di bloccare la reattività emozionale: basti pensare a un tranquillante come il Valium, a un antidepressivo come il Prozac, o anche a un p-bloccante come il propanololo, i quali - purché somministrati in dosaggio appropriato - possono tutti ottundere tanto la capacità di rispondere emozionalmente come, di conseguenza, quella di esperire i sentimenti delle emozioni.
Questi ultimi non si materializzano anche in una comune situazione patologica, la depressione, nella quale gli aspetti del sentire positivo sono notoriamente assenti e anche i sentimenti negativi, come la tristezza, possono essere a tal punto attenuati da dar luogo, a tutti gli effetti, a uno stato di ottundimento.
Come fa il cervello a produrre il necessario effetto che associamo ai qualia I? Come abbiamo visto nel capitolo 5, in parallelo ai dispositivi della percezione che mappa-no qualsiasi oggetto si desideri, e in parallelo alle regioni che presentano tali mappe, il cervello è dotato di numerose strutture che rispondono ai segnali provenienti da quelle mappe producendo le emozioni dalle quali poi emergono i sentimenti. Esempi di queste regioni, simili a una sòrta di « pulsante rosso », comprendono strutture che abbiamo già incontrato: la famosa amigdala; la porzione della corteccia prefrontale .quasi altrettanto famosa, nota come settore ventromediale; e una serie di nuclei localizzati nel prosencefalo basale e nel tronco encefalico.
Come abbiamo visto in precedenza, le modalità con cui le emozioni vengono innescate sono affascinanti. Le regioni che creano immagini possono inviare i loro segnali - sia direttamente, sia dopo un’ulteriore elaborazione - a tutte le regioni in grado di innescare le emozioni. Se la configurazione di segnali corrisponde al profilo al quale una data regione è predisposta a rispondere (ovvero, se ha i requisiti di uno stimolo emozionalmente competente), il risultato è l’innesco di una cascata di eventi, attuati dapprima in altre parti del cervello e poi anche nel corpo, che dà luogo a un’emozione. La lettura percettiva dell’emozione è un sentimento.
Il segreto della mia esperienza complessa di questo particolare istante è la capacità del mio cervello di rispondere allo stesso contenuto (per esempio, la mia immagine dell’Oceano Pacifico) in diversi siti e in parallelo. Da un sito cerebrale ottengo il processo emozionale che culmina in una sensazione di benessere; da altri siti rica vo diverse idee sul tempo di oggi (il cielo non ha quell’aspetto stratificato tipico dell’inversione termica; ha più un’aria cotonosa, una nuvolosità irregolare) o sul mare (può essere di una maestosità imponente, oppure presentarsi aperto e accogliente a seconda della luce e del vento, per non parlare dell’umore di chi lo guarda), eccetera.
Di solito uno stato di coscienza normale contiene un certo numero di oggetti da conoscere - raramente uno solo - e li tratta in modo più o meno integrato, senza mostrare però quasi mai lo stile democratico che accorderebbe a ogni oggetto un’uguale quota di spazio cosciente e di tempo. Poiché immagini diverse hanno un diverso valore, sono messe in risalto in modo non uniforme. A sua volta, questa mancanza di uniformità genera un « ordine » delle immagini che può essere proficuamente descritto come una forma spontanea di editing e montaggio. Il processo grazie al quale viene riconosciuto un diverso valore a immagini diverse si fonda, in parte, sulle emozioni che esse provocano e sui sentimenti che ne conseguono sullo sfondo della coscienza: la risposta dei qualia I, sottile, ma non liquidabile. Sebbene il problema dei qualia sia tradizionalmente considerato come parte del problema della coscienza, infatti, io credo che appartenga in modo più appropriato al dominio della mente. Le risposte che riconduciamo ai qualia I riguardano oggetti elaborati nella mente e aggiungono a quest’ultima un ulteriore elemento. Non penso che il problema dei qualia I sia un mistero.
QUALIA II
Il problema dei qualia II è concentrato su un interrogativo più sconcertante: perché le mappe percettive, che sono eventi fisici e neurali, sono, in un modo o nell’altro, effettivamente percepite? Per tentare una rispo-sta su più livelli, cominciamo a concentrarci sullo stato del sentire che io considero come fondamento simultaneo della mente e del sé, e precisamente sui sentimenti primordiali che descrivono lo stato interno dell’organismo. Devo cominciare da qui, considerata la soluzione che ho proposto per il problema dei qualia I: se i sentimenti riguardanti lo stato dell’organismo sono l’accompagnamento obbligatorio di tutte le mappe percettive, allora dobbiamo innanzitutto spiegare l’origine di quegli stessi sentimenti.
La spiegazione deve, in primo luogo, prendere in considerazione alcuni fatti cruciali. Gli stati del sentire emergono grazie alla funzione di alcuni nuclei del tronco encefalico, altamente interconnessi, i quali ricévono segnali integrati, di grande complessità, provenienti dall’interno dell’organismo. Nell’utilizzare tali segnali per regolare i processi vitali, i nuclei - grazie alla loro attività - li sottopongono a una trasformazione. Quest’ultima viene ulteriormente amplificata dal fatto che i segnali sono trasmessi all'interno di un circuito grazie al quale il corpo comunica con il sistema nervoso centrale e questo a sua volta risponde ai messaggi del corpo. I segnali non sono separabili dagli stati dell’organismo in cui hanno origine. L’insieme costituisce un’unità dinamica e coesa. Io ipotizzo che questa unità attui una fusione funzionale degli stati corporei e degli stati percettivi, tale che fra i due non possa più essere tracciata una linea di divisione. I neuroni deputati a trasmettere al cervello i segnali riguardanti lo stato interno del corpo avrebbero un’associazione così intima con le strutture interne del corpo, che i segnali trasmessi non si limiterebbero a riferirsi allo stato della carne ma sarebbero, letteralmente, sue estensioni. I neuroni imiterebbero la vita in modo così accurato da diventare tutt’uno con essa. In breve, nella complessa interconnettività di questi nuclei del tronco encefalico, si troverebbe l’inizio di una spiegazione del perché i sentimenti - in questo caso, i sentimenti primordiali - siano in qualche modo sentiti.
Tuttavia, come ho ipotizzato nella sezione precedente, forse possiamo tentare di spingerci più a fondo, a livello dei piccoli circuiti neuronali. Il fatto che i neuroni derivino dal differenziamento di altre cellule viventi -funzionalmente distinti da quelle, eppure al tempo stesso organicamente simili a esse - fornisce a quest’idea un punto d’appoggio. I neuroni non sono microchip che ricevono segnali dal corpo. I neuroni sensoriali responsabili dell’enterocezione sono un tipo specializzato di cellule del corpo, che ricevono segnali da altre cellule del corpo. Inoltre, vi sono aspetti della vita cellulare che indicano la presenza di precursori di una funzione del «sentire». Gli organismi unicellulari sono «sensibili» a intrusioni che costituiscono una minaccia. Se si punge un’ameba, quella si ritrarrà. Se si fa lo stesso con un paramecio, lo vedremo allontanarsi dall’ago nuotando nel mezzo acquoso. Possiamo osservare questi comportamenti e trovare comodo descriverli come « atteggiamenti » ben sapendo che le cellule non sanno che cosa stanno facendo nel modo in cui lo sappiamo noi quando sfuggiamo a una minaccia. Ma che possiamo dire dell’altra faccia di questo comportamento, ovvero dello stato interno della cellula? Essa non ha un cervello, meno che mai una mente per «sentire» la puntura di un ago, eppure risponde, perché qualcosa al suo interno è cambiato. Se estrapoliamo questa situazione ai neuroni, è proprio qui che potrebbe risiedere lo stato fisico la cui modulazione e amplificazione, attraverso circuiti cellulari sempre più ampi, potrebbe dar luogo a un protosentimento, l’onesta controparte della protocognizione, affiorante allo stesso livello.
I neuroni hanno effettivamente queste capacità di risposta. Prendiamo, ad esempio, la loro intrinseca « sensibilità» o «irritabilità». Rodolfo Llinàs si è basato su questo indizio per proporre che i sentimenti affiorino dalle funzioni sensoriali specializzate dei neuroni, ma siano amplificati in modo proporzionale al gran numero di neuroni che fanno parte di un circuito.8 Questo è il ragionamento che faccio anch’io, simile all’idea che ho avanzato nel capitolo 2 a proposito della formazione di una «volontà collettiva di vivere », che si manifesta nel processo del sé a partire dagli atteggiamenti di numerose singole cellule unite cooperativamente in un organismo. Una tale idea attinge dal concetto di sommazione dei singoli contributi cellulari: moltissime cellule muscolari uniscono, letteralmente, le proprie forze contraendosi simultaneamente e producendo una singola forza, più intensa e concentrata.
Quest’idea ha delle sfumature interessanti. La specializzazione dei neuroni rispetto alle altre cellule del corpo origina in buona parte dal fatto che essi, insieme alle cellule muscolari, sono eccitabili. L’eccitabilità è una proprietà derivante dal possesso di una membrana cellulare nella quale la permeabilità locale agli ioni può spostarsi da una regione all’altra per tutta la lunghezza dell’assone. N.D. Cook ha ipotizzato in primo luogo che la permeabilizzazione temporanea ma ripetuta della membrana cellulare rappresenti una violazione alla chiusura quasi ermetica che protegge la vita all'interno del neurone, e in secondo luogo che una tale vulnerabilità possa essere un buon candidato per la creazione di un protosentimento istantaneo.9
Non sto assolutamente affermando che questo sia il modo in cui sorgono i sentimenti, tuttavia ritengo che tale linea di indagine sia meritevole di approfondimenti. Infine, voglio osservare che queste idee non dovrebbero essere confuse con il ben noto sforzo di localizzare l’origine della coscienza a livello dei neuroni, ricorrendo agli effetti quantici.10
Su un altro piano, la risposta a chi chiede perché le mappe percettive del corpo debbano essere in qualche modo «sentite» richiede un ragionamento in chiave evolutiva. Affinché esse siano efficaci nel portare un organismo a evitare il dolore e cercare il piacere, non solo dovrebbero essere sentite, ma devono esserlo necessariamente. La costruzione neurale degli stati di dolore e piacere deve essere stata realizzata presto nell’evoluzione e deve aver avuto un ruolo cruciale nel suo svolgersi. Probabilmente essa derivò dalla fusione corpo-cervello di cui ho già sottolineato l’importanza. È notevole il fatto che, prima della comparsa dei sistemi nervosi, organismi senza cervello già avessero stati corporei ben definiti necessariamente corrispondenti a quello che poi noi arrivammo a esperire come dolore o piacere. La comparsa dei sistemi nervosi avrebbe indicato un modo per rappresentare questi stati per mezzo di segnali neurali dettagliati, conservando lo stretto legame fra le componenti neurali e quelle corporee.
Un aspetto legato a questa risposta mette in evidenza lo spartiacque funzionale fra gli stati del piacere e del dolore, i quali sono rispettivamente correlati, nel caso del piacere, a uno svolgimento ottimale e senza intoppi delle operazioni di gestione dei processi vitali, oppure, nel caso del dolore, problematico e costéllato di ostacoli. Questi estremi sono associati alla liberazione di particolari sostanze chimiche che hanno un effetto sul corpo in senso stretto (per esempio sul metabolismo o sulla contrazione muscolare) e sul cervello (dove possono modulare l’elaborazione delle mappe percettive sia nel caso in cui siano appena assemblate, sia nel caso in cui siano oggetto di rievocazione). A parte altre ragioni, il piacere e il dolore sarebbero sentiti in modo diverso perché sono la rappresentazione di stati corporei molto diversi, proprio come un certo rosso è diverso da un particolare azzurro in quanto i due colori sono associati a lunghezze d’onda diverse, e la voce di un soprano è diversa da quella di un baritono perché ha frequenze sonore più alte.
Spesso si trascura il fatto che l’informazione proveniente dall’interno del corpo è trasmessa direttamente al cervello da numerose sostanze chimiche che viaggiano nel sangue circolante ed entrano in contatto con le parti del cervello prive di barriera ematoencefalica: precisamente, l’area postrema nel tronco encefalico e un certo numero di regioni note collettivamente come « organi circumventricolari ». Dire che le sostanze potenzialmente attive sono « numerose » non è un’esagerazione, giacché l’elenco fondamentale comprende decine di esempi (sia i soliti sospetti - trasmettitori/modulatori come le immancabili noradrenalina, dòpamina, serotonina e acetilcolina -, sia un’ampia gamma di ormoni come gli steroidi e l’insulina, sia gli oppioidi). Quando il sangue entra in contatto con queste aree recettive, le molecole adatte attivano direttamente i neuroni. Ecco perché, per esempio, una sostanza tossica che agisce sull’area postrema può indurre una reazione concreta come il vomito. Ma quali altri effetti sono causati dai segnali che sorgono in queste aree? Un’ipotesi ragionevole è che tali segnali inducano o modulino i sentimenti. Queste regioni inviano proiezioni altamente concentrate al nucleo del tratto solitario; molto diffuse anche quelle dirette ad altri nuclei del tronco cerebrale, dell’ipotalamo e del talamo, come pure alla corteccia cerebrale.
Mettendo da parte la questione dei sentimenti, il resto del problema dei qualia II sembra più abbordabile. Prendiamo, a titolo di esempio, le mappe visive, che sono rappresentazioni schematiche di proprietà visive quali forma, colore, movimento, profondità. La reciproca connessione di tali mappe - per così dire, la fecondazione incrociata dei loro segnali - è la ricetta giusta per produrre una scena visiva multidimensionale ben miscelata. Se si prende questa miscela e le si aggiunge l’informazione proveniente dal portale visivo - nella misura in cui i tessuti intorno agli occhi sono coinvolti nel processo -, insieme a una componente costituita dal sentimento, è ragionevole aspettarsi un’esperienza compiuta di quanto viene visto: un’esperienzà associata in modo appropriato ai qualia.
Che cosa possiamo aggiungere a questa complessità affinché le qualità di un percetto risultino effettivamente distintive? Un elemento ha a che fare con i portali sensoriali coinvolti nella raccolta delle informazioni. Come abbiamo visto, le alterazioni a livello dei portali sensoriali sono importanti non solo nella costruzione della prospettiva, ma anche in quella della qualità percettiva. In che modo? Noi conosciamo il suono inconfondibile delle performance di Yo-Yo Ma, e sappiamo anche dove vengono create le mappe del suono nel cervello, tuttavia sentiamo la musica del suo violoncello sia nelle nostre orecchie, sia con le nostre orecchie. Con ogni probabilità, sentiamo i suoni nelle orecchie perché il cervello mappa costantemente tanto l ’informazione proveniente dalla sonda sensoriale - dall’intera catena di segnalazione uditiva comprendente la coclea -, quanto la gran quantità di segnali concomitanti provenienti dall’apparato che circonda il dispositivo sensoriale. Nel caso dell’udito, tale apparato comprende l’epitelio della cute che riveste l’orecchio e il canale uditivo esterno, insieme alla membrana del timpano e ai tessuti che mantengono le connessioni fra le parti del sistema degli ossicini, deputato a trasmettere le vibrazioni meccaniche alla coclea. A questo dobbiamo aggiungere i movimenti di varia entità della testa e del collo, costantemente eseguiti nel tentativo automatico di regolare la posizione del corpo rispetto alla fonte dei suoni. Questa componente, che aggiunge ai percetti la loro struttura qualitativa, è l’equivalente nel sistema uditivo delle importanti modificazioni che hanno luogo nel globo oculare, come pure nei muscoli e nella cute circostanti, quando vediamo e osserviamo un oggetto.
Le sensazioni olfattive, gustative o tattili affiorano attraverso lo stesso tipo di meccanismo. La nostra mucosa nasale, per esempio, contiene terminazioni nervose olfattive che rispondono in modo diretto alla conformazione delle molecole presenti nelle sostanze odorose - è così che costruiamo le mappe degli odori, ed è così che conduciamo un’essenza di gelsomino o una goccia di Chanel N. 19 all’incontro con il nostro sé. L’informazione circa il dove sentiamo l’odore proviene tuttavia da altre terminazioni nervose presenti nella mucosa nasale: le stesse che si irritano quando mettiamo troppo wasabi nel sushi e siamo costretti a starnutire.
Infine, notiamo che vi sono retroproiezioni dirette dal cervello alla periferia del corpo, compresa la periferia contenente dispositivi sensoriali specializzati. Questo potrebbe benissimo fornire, nel contesto di un processo sensoriale come l’udito, una versione in chiave minore di quello che il circuito tronco encefalico-corpo rappresenta per il sentimento: un legame funzionale che getta un ponte sull’abisso fra il cervello da una parte, e il punto di inizio delle catene sensoriali nella periferia del corpo dall’altra. Questo circuito potrebbe consentire un altro processo di riverbero. Le cascate di input diretti al cervello sarebbero completate dalle cascate degli output diretti alla stessa « carne » in cui originano i segnali, contribuendo così all’integrazione fra mondo interno ed esterno. Noi sappiamo che arrangiamenti di questo genere esistono, e uno dei principali esempi è proprio quello del sistema uditivo. La coclea riceve segnali di feedback dal cervello, così che quando il meccanismo è sbilanciato, le cellule uditive possono effettivamente dar luogo a emissioni otoacustiche invece di limitarsi a trasmettere i suoni, come si suppone che facciano normalmente. Occorre sapere di più sui circuiti dei dispositivi sensoriali.11
Io credo che quanto abbiamo detto spieghi una parte sostanziale del problema, poiché fa confluire nella mente tre tipi di mappe: 1) mappe di una particolare modalità sensoriale generate dal dispositivo sensoriale appropriato (per esempio la vista, l’udito, l’olfatto, eccetera) ; 2) mappe dell’attività che ha luogo nel portale sensoriale in cui è incluso il dispositivo sensoriale; e 3) mappe che descrivono le reazioni (emozioni e sentimenti) evocate dalle mappe generate nelle condizioni (1) e (2), ovvero risposte riconducibili al tipo qualia I. Quei percetti arriverebbero a essere ciò che sono nel momento in cui diversi tipi di segnali sensoriali confluiscono, a livello del tronco encefalico o della corteccia cerebrale, nelle mappe che creano la mente.12
I QUALIA E IL SÉ
Come si collocano i qualia (I e II) nel processo del sé? Giacché entrambi i loro aspetti partecipano alla costruzione della mente, i qualia fanno parte dei contenuti indicati come « processo del sé »: la costruzione del sé che illumina la costruzione della mente. In modo un po’ paradossale, però, i qualia II sono anche il fondamento del proto-sé e quindi tengono, per così dire, un piede nella mente e un piede nel sé, in una transizione ibrida. L’organizzazione neurale che consente i qualia fornisce al cervello le percezioni sentite, ovvéro un senso di esperienza pura. Una volta che al processo sia stato aggiunto un protagonista, ecco che l’esperienza viene reclamata dal suo proprietario fresco di conio: il sé.
UN LAVORO INCOMPIUTO
La comprensione del modo in cui il cervello costruisce una mente cosciente rimane un’impresa incompiuta. Anche se abbiamo guadagnato un po’ di terreno, il mistero della coscienza è tuttora tale. D’altra parte, è troppo presto per dichiararsi sconfitti.
Di solito, le discussioni sulla neurologia della coscienza e sul problema mente-corpo sono vittime di due palesi sottostime. Una consiste nel non riconoscere come si dovrebbe l’organizzazione e la grande quantità di dettagli del corpo in senso stretto: il fatto che il corpo è pieno di microscopici recessi; che i micromondi costituiti da forma e funzione possono essere segnalati al cervello e quindi mappati; e che il risultato ottenuto può essere utilizzato per molti scopi diversi. Il primo, e il più probabile, scopo di quei segnali è regolatorio: il cervello deve ricevere informazioni che descrivano lo stato dei sistemi corporei così da poter organizzare, con o senza l’aiuto della coscienza, una risposta appropriata. I sentimenti delle emozioni sono l’ovvio risultato di questa segnalazione, sebbene i sentimenti siano poi arrivati ad avere una grande importanza anche nella nostra vita cosciente e nelle nostre relazioni sociali. Allo stesso modo, è perfettamente possibile, anzi probabile, che altri processi corporei - alcuni già noti, altri ancora da scoprire - rivelino di esercitare un’influenza sulle nostre esperienze coscienti a molti livelli.
La seconda sottostima riguarda il cervello stesso. L’idea di avere una solida comprensione di quello che il cervello è, e di quello che il cervello fa, è pura follia; nondimeno, ogni anno sappiamo qualcosa di più rispetto all’anno precedente, e molto, molto di più rispetto a dieci anni prima. I problemi che oggi sembrano intollerabilmente misteriosi e difficili, probabilmente saranno riconducibili a una spiegazione biologica: la questione non è se, ma quando.