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EMOZIONI E SENTIMENTI

 

 

 

 

 

PER UNA COLLOCAZIONE DELL’EMOZIONE E DEL SENTIMENTO

Nel tentativo di comprendere il comportamento umano, molti hanno cercato di farlo tralasciando l’emozione, senza tuttavia trame alcun vantaggio. Il comportamento e la mente dotata o meno di coscienza, insieme al cervello che li genera entrambi, rifiutano di cedere i propri segreti, a meno che non si consideri, rendendole giustizia, anche l’emozione (con i molti fenomeni che si celano sotto il suo nome).

Una discussione sul tema dell’emozione ci riporta alla questione della vita e del valore. Essa richiede che si faccia un cenno ai dispositivi di ricompensa e punizione, agli impulsi e alle motivazioni e, necessariamente, ai sentimenti. Una discussione sulle emozioni implica un’indagine sui dispositivi, estremamente vari, di regolazione della vita, i quali sono presenti nel cervello ma si ispirano a princìpi e obiettivi che da un punto di vista evolutivo lo hanno preceduto e che in linea di massima operano in modo automatico e per certi versi cieco, fino a quando la mente cosciente comincia a conoscerli sotto forma di sentimenti. Le emozioni sono servitori ed esecutori diligenti del principio di valore, e sono finora il prodotto più intelligente del valore biologico. D’altro canto, il prodotto delle emozioni - i sentimenti che colorano tutta la nostra vita, dalla culla alla tomba - ha per l’umanità una importanza tale per cui le emozioni non siano ignorate.

Nella terza parte, quando affronterò i meccanismi neurali alla base della costruzione del sé, invocherò spesso i fenomeni dell’emozione e del sentimento, perché il loro apparato è coinvolto in quel processo. Scopo di questo capitolo non è tanto quello di presentare una rassegna generale delle emozioni e dei sentimenti, quanto piuttosto quello di introdurre brevemente quell’apparato.

 

 

DEFINIZIONE DI «EMOZIONE» E «SENTIMENTO»

Le conversazioni sull’emozione si trovano ad affrontare due problemi fondamentali. Uno consiste nell’eterogeneità dei fenomeni che soddisfano i requisiti della definizione. Come abbiamo visto nel capitolo 2, il principio di valore opera attraverso dispositivi di ricompensa e punizione come pure attraverso impulsi e motivazioni, che sono parte integrante della famiglia delle emozioni. Quando parliamo delle emozioni in senso stretto (per esempio di paura, rabbia, tristezza o disgusto), necessariamente parliamo anche di tutti quegli altri dispositivi, giacché essi sono parti costitutive di ciascuna emozione e sono implicati in modo indipendente nella regolazione dei processi vitali. Le emozioni in senso stretto non sono che un prezioso coronamento, ben integrato nei processi di regolazione della vita.

L’altro importante problema è la distinzione fra emozione e sentimento, i quali - sebbene parte di un ciclo dai componenti intimamente connessi - sono processi distinguibili. Non importa quali parole scegliamo per riferirci a tali processi distinti, purché riconosciamo che l’essenza dell’emozione e l’essenza del sentimento sono diverse. Naturalmente, non vi è nulla di sbagliato nelle parole emozione e sentimento, ed esse funzionano perfettamente allo scopo tanto in inglese quanto in molte lingue nelle quali hanno una traduzione diretta. Cominciamo, allora, da una definizione di questi termini fondamentali, alla luce delle attuali conoscenze nel campo della neurobiologia.

 

 

Le emozioni sono programmi di azione complessi e in larga misura automatici, messi a punto dall ’ evoluzione. Le azioni sono accompagnate da un programma cognitivo comprendente particolari idee e modalità di cognizione; il mondo delle emozioni, tuttavia, è in buona parte un mondo di azioni che vengono eseguite nel corpo e spaziano dalle espressioni facciali e dalle diverse posture, alle modificazioni che interessano i visceri e il milieu interno.

I sentimenti delle emozioni, d’altro canto, sono percezioni composite di quello che accade nel nostro corpo e nella nostra mente quando, ha luogo un’emozione. Per quanto riguarda il corpo, più che azioni vere e proprie i sentimenti sono immagini di azioni; il mondo dei sentimenti è un mondo di percezioni eseguite nelle mappe cerebrali. A questo punto, tuttavia, occorre fare una precisazione: le percezioni che noi chiamiamo «sentimenti delle emozioni » comprendono una particolare componente che corrisponde ai già discussi sentimenti primordiali, basati su quella relazione esclusiva, esistente fra il corpo e il cervello, che privilegia l'enterocezione. Naturalmente esistono altri aspetti del corpo rappresentati nei sentimenti delle emozioni, tuttavia l’enterocezione domina il processo ed è responsabile di quello che designiamo come l’aspetto sentito di queste percezioni.

La distinzione generale fra emozione e sentimento, allora, è ragionevolmente chiara. Mentre le emozioni sono azioni accompagnate da idee e da particolari modalità di pensiero, i sentimenti delle emozioni sono perlopiù le percezioni di quello che il nostro corpo fa mentre l’emozione è in corso, unite alla percezione del nostro stato mentale in quel medesimo lasso di tempo. Negli organismi semplici capaci di comportamento ma senza un processo della mente, le emozioni possono essere rigogliosissime, senza tuttavia dare necessariamente seguito a corrispondenti stati del sentire.

Le emozioni hanno luogo quando le immagini elaborate nel cervello attivano un certo numero di regioni -per esempio l’amigdala o particolari regioni della corteccia del lobo frontale - in grado di innescarle. Quando una qualsiasi di queste regioni innescanti viene attivata, si hanno particolari conseguenze: alcune molecole (nel caso della paura, per esempio, il cortisolo) vengono secrete dalle ghiandole endocrine e dai nuclei subcorticali e sono liberate sia nel cervello, sia nel resto del corpo; sono inoltre intraprese azioni particolari (sempre nel caso della paura, la fuga o l’immobilizzazione, la contrazione dell’intestino); e, infine, vengono assunte particolari espressioni (un’espressione facciale e una postura di terrore). Un aspetto importante, almeno negli esseri umani, è che affiorano alla mente anche idee e piani d’azione particolari. Un’emozione negativa come la tristezza, per esempio, porta a rievocare idee riguardanti fatti anch’essi negativi; un’emozione positiva sortisce l’effetto opposto; i piani d’azione visualizzati nella nostra mente sono anch’essi coerenti con l’espressione generale dell’emozione. Non appena si sviluppa un’emozione, vengono prontamente istituiti particolari stili di elaborazione mentale. La tristezza rallenta il pensiero e può portare a indugiare nella situazione che l’ha causata; la gioia, per contro, può accelerare il pensiero e ridurre l’attenzione prestata a eventi non rilevanti. L’insieme di tutte queste risposte costituisce uno «stato emozionale » che si dispiega nel tempo, in modo abbastanza rapido, per poi diradarsi finché nella mente non sono introdotti nuovi stimoli in grado di causare emozioni, dando così inizio a un’altra reazione a catena.

I sentimenti delle emozioni costituiscono il passaggio ulteriore che segue a ruota l’emozione e sono il risultato ultimo, legittimo e consequenziale, del suo processo: in altre parole, la percezione composita di tutto quello che è accaduto durante l’emozione, ovvero le azioni, le idee, lo stile che caratterizza il flusso di queste ultime (che può procedere in modo lento o veloce, fissarsi su un’immagine, oppure scambiare rapidamente le immagini fra loro).

Da una prospettiva neurale, il ciclo emozione-sentimento comincia nel cervello: dapprima con la percezione e la valutazione di uno stimolo potenzialmente in grado di causare un’emozione, e successivamente con l’innesco di quest’ultima. Il processo poi si estende sia ad altre regioni del cervello, sia al corpo in senso stretto, dando luogo allo stato emozionale. Alla fine, il processo torna al cervello affinché al ciclo sia aggiunta la componente rappresentata dal sentimento; tale ritorno interessa tuttavia regioni cerebrali diverse da quelle in cui il processo ha avuto inizio.

I programmi delle emozioni incorporano tutte le componenti dell’apparato per la regolazione dei processi vitali venuti in essere nel corso dell’evoluzione, quali la percezione e il rilevamento delle condizioni, la misura delle esigenze interne, il processo di incentivazione (con i suoi aspetti di ricompensa e punizione) e i dispositivi di previsione. Impulsi e motivazioni sono i costituenti più semplici di un’emozione: ecco perché la felicità o la tristezza alterano lo stato degli impulsi e delle motivazioni, mutando immediatamente il quadro composito di appetiti e desideri.

 

 

EMOZIONI: INNESCO ED ESECUZIONE

Come vengono innescate le emozioni? Molto semplicemente, tramite immagini di oggetti o eventi che stanno realmente accadendo in tempo reale o che, essendo accaduti in passato, vengono rievocati. Per l’apparato delle emozioni, la situazione in cui siamo comporta una differenza: possiamo effettivamente trovarci in una scena della nostra vita e reagire a un’esecuzione musicale o alla presenza di un amico; oppure possiamo essere da soli e ricordare una conversazione che è avvenuta il giorno prima e che ci ha turbati. Le immagini possono essere « dal vivo », ricostruite grazie alla memoria, o ancora create dal nulla nell’immaginazione; in ogni caso, danno inizio a una catena di eventi. I segnali provenienti dalle immagini elaborate sono messi a disposizione di diverse regioni del cervello. Di queste ultime, alcune sono coinvolte nel linguaggio, altre nel movimento, altre ancora nelle manipolazioni che costituiscono il ragionamento. L’attività in una qualsiasi di quelle regioni conduce a risposte diverse: parole con le quali è possibile denominare un oggetto; rapida-evocazione di altre immagini che consentono di concludere qualcosa su di esso; eccetera. È importante osservare che i segnali provenienti dalle immagini di un certo oggetto arrivano anche in regioni in grado di innescare reazioni a catena specifiche. Questo è, per esempio, il caso dell’amigdala nelle situazioni di paura; o quello della corteccia prefrontale ventromediale in situazioni che inducono compassione. I segnali sono messi a disposizione di tutti questi siti; probabilmente, però, certe configurazioni di segnali - purché questi ultimi siano sufficientemente intensi e il contesto sia appropriato - attivano solo un sito particolare e non tutti gli altri dove sono pure disponibili. È quasi come se certi stimoli avessero la chiave giusta per una certa serratura, anche se la metafora non coglie la qualità dinamica e flessibile del processo. Questo è il caso degli stimoli che inducono paura, i quali spesso attivano l’amigdala e riescono, appunto, a innescare la cascata corrispondente a questa emozione. Il medesimo insieme di stimoli non ha la stessa probabilità di attivare altri siti. A volte, tuttavia, se gli stimoli sono sufficiente-mente ambigui da attivare più di un sito, viene prodotto uno stato emozionale composito. Ne consegue un’esperienza dolceamara, un sentimento « misto » che scaturisce da un’emozione pure mista.

Per molti aspetti, questa è la stessa strategia adottata dal sistema immunitario per rispondere ad agenti invasori provenienti dall'esterno. Sulla superficie cellulare di alcuni globuli bianchi denominati linfociti, vi è un vastissimo repertorio di anticorpi che si combinano con un numero ugualmente grande di possibili antigeni invasori. Quando uno di questi antigeni penetra nel sangue circolante ed entra in contatto con i linfociti, finisce per legarsi con l’anticorpo più adatto alla sua forma. In altre parole, l’antigene si adatta all’anticorpo come una chiave alla serratura, e il risultato è una reazione immunitaria: il linfocita produrrà quell’anticorpo in quantità tale che esso contribuirà a distruggere l’antigene invasore. Ho dunque proposto il termine «stimolo emozionalmente competente » per rifarmi al sistema immunitario e attirare l’attenzione sulla somiglianza formale fra il dispositivo delle emozioni e un altro fondamentale apparato coinvolto nella regolazione dei processi vitali.

 

 

Una volta che «la chiave entra nella serratura» quel che accade certamente non manca di turbare, nel vero e proprio senso del termine; equivale infatti, a vari livelli nell’organismo - dal cervello stesso, a moltissimi distretti del corpo -, a una perturbazione dello stato vitale in corso. Riprendendo ancora una volta l’esempio della paura, le perturbazioni sono le seguenti.

I nuclei delle amigdale inviano comandi all’ipotalamo e al tronco encefalico, i quali si traducono in diverse azioni eseguite in parallelo. La frequenza cardiaca, la pressione ematica, il ritmo respiratorio e lo stato di contrazione dell’intestino cambiano. I vasi sanguigni cutanei si contraggono. Nel sangue viene secreto il cortisolo, e ciò modifica il profilo metabolico dell’organismo e lo prepara a un consumo extra di energia. I muscoli della faccia adottano una caratteristica maschera di paura. A seconda del contesto in cui compaiono le immagini che inducono la paura, l’individuo può immobilizzarsi oppure fuggire dalla fonte di pericolo. L’immobilizzazione o la fuga, due reazioni molto specifiche, sono finemente controllate, nel tronco encefalico, da regioni distinte del grigio periacqueduttale (gpa) . Ciascuna risposta ha la sua routine motoria e il suo correlato fisiologico specifici. L’immobilizzazione induce automaticamente uno stato di inattività, accompagnato da respirazione superficiale e frequenza cardiaca ridotta: tutti vantaggi nel tentativo di rimanere immobili ed eludere le attenzioni di un aggressore. L’opzione della fuga, invece, aumenta automaticamente la frequenza cardiaca e il flusso ematico agli arti inferiori, poiché per fuggire occorre una buona ossigenazione dei muscoli delle gambe. Inoltre, se il cervello sceglie l’opzione della fuga, automatica-mente il gpa smorza l’attività lungo le vie di elaborazione del dolore. Perché? Per ridurre al massimo il rischio che il dolore intenso di una ferita procurata nella fuga paralizzi il fuggitivo.

I meccanismi sono così raffinati che anche un’altra struttura, il cervelletto, farà il possibile per modulare l’espressione della paura. Ecco perché chi ha ricevuto un addestramento militare nei corpi speciali, esprime le proprie reazioni di paura in modo diverso da chi è stato allevato nella bambagia.

Per finire, l’elaborazione delle immagini nella corteccia cerebrale è essa stessa influenzata dall’emozione in corso. Risorse cognitive come l’attenzione e la memoria di lavoro, per esempio, vengono adattate alle circostanze. Alcuni temi di ideazione diventano improbabili: quando si fugge da un cecchino, difficilmente si indulge a pensieri di sesso o di cibo.

Nell’arco di qualche centinaio di millisecondi, la cascata emozionale riesce a trasformare lo stato in cui versano numerosi visceri, il milieu interno, la muscolatura striata della faccia, la postura, la velocità stessa della mente e l’argomento dei pensieri. Di certo si tratta di una perturbazione, sono sicuro che chiunque ne converrà. Quando l’emozione è abbastanza forte, una parola ancora più calzante è upheaval, «sconvolgimento», termine usato dalla filosofa Martha Nussbaum.1 Tutto questo sforzo, complicato nell’orchestrazione e dispendioso perla quantità di energia che consuma (ecco spiegato perché essere emotivi è tanto sfibrante)., tende ad avere - e spesso, ma non sempre, ha - un fine utile. In alcuni casi, la paura potrebbe non essere altro che un falso allarme lanciato da una cultura non più funzionale. Invece di salvarci la vita, la paura diventa allora un fattore di stress, il quale, a lungo andare, distrugge la vita sia dal punto di vista mentale, sia dal punto di vista fisico: lo sconvolgimento ha conseguenze negative.2

Una versione dell’intero repertorio dei cambiamenti emozionali in corso nel corpo viene trasmessa al cervello attraverso i meccanismi tratteggiati nel capitolo 4.

 

 

LO STRANO CASO DI WILLIAM JAMES

Prima che io mi dedichi alla fisiologia dei sentimenti, credo sia appropriato citare William James e discutere la situazione venutasi a creare sia intorno a lui, sia intorno ai successivi studi scientifici sull’argomento, a causa delle parole che egli scrisse a proposito dei fenomeni dell’emozione.

La questione può essere riassunta in modo rapido ed efficace citando un suo passaggio lapidario.

Il nostro modo naturale di pensare a queste emozioni è che la percezione mentale di alcuni fatti ecciti l’affezione mentale denominata emozione, e che quest’ultimo stato della mente dia origine all’espressione corporea. La mia tesi, al contrario, è che le modificazioni del corpo seguano diretta-mente la percezione del fatto eccitatorio e che il nostro sentire quelle stesse modificazioni, nel momento in cui hanno luogo, SIA l’emozione.3

Queste sono le parole testuali di James, scritte nel 1884, comprese le maiuscole di percezione e sia.

L’importanza di questa idea non può essere sopravvalutata. James invertì, nel processo dell’emozione, la tradizionale sequenza di eventi, interponendo il corpo fra lo stimolo causativo e l’esperienza dell’emozione. Non vi era più un’ « affezione mentale », denominata emozione, che «dava origine agli effetti corporei». Questi ultimi, invece, erano causati dalla percezione di uno stimolo: un’ipotesi audace, che la ricerca moderna ha confermato appieno. Il passo citato contiene però un fonda-mentale problema. Dopo aver fatto riferimento senza mezzi termini al «nostro sentire quelle stesse modificazioni »James confonde il quadro affermando che, dopo tutto, quel sentire «SIA» l’emozione. Questo equivale a unire emozione e sentimento. James respinge l’idea dell’emozione come affezione mentale che causa modificazioni corporee, solo per accettarla come affezione mentale costituita dal sentimento delle modificazioni corporee - un quadro del tutto diverso da quello che io ho presentato in precedenza. Non è chiaro se questa sia una formulazione infelice o un’espressione accurata di quello che James pensava effettivamente. Sia come sia, la mia idea delle emozioni come programmi di azione non corrisponde all’idea di James nella forma in cui egli la esprime nel suo testo; il concetto di sentimento di James non è uguale al mio. Tuttavia, la sua idea del meccanismo del sentire è molto simile a quella del mio meccanismo del sentimento basato sul circuito del corpo. (James non contempla un meccanismo « come se », sebbene una nota, nel suo testo, faccia pensare che ne vedesse la necessità).

Le critiche che la teoria delle emozioni di James avrebbe subito nel Novecento sono perlopiù da attribuirsi alla formulazione del paragrafo citato. Fisiologi di fama come Charles Sherrington e Walter Cannon usarono le parole di James, prese alla lettera, per concludere che i loro dati sperimentali erano incompatibili con il meccanismo da lui proposto. Sebbene nessuno dei due avesse ragione - né Sherrington né Cannon -, non si può attribuire a loro tutta la responsabilità di quel fraintendimento.4

D’altro canto, la teoria dell’emozione di James è passibile di valide critiche. Egli tralasciò completamente, per esempio, la valutazione dello stimolo e confinò l’aspetto cognitivo dell’emozione alla percezione dello stimolo e dell’attività del corpo. Per James, dapprima vi era la percezione del fatto eccitatorio (che equivale al mio stimolo emozionalmente competente) e poi seguivano direttamente le modificazioni corporee. Noi oggi sappiamo che, sebbene le cose possano effettivamente andare così, dalla rapida percezione all’innesco dell’emozione, vi è tuttavia la tendenza a interporre alcuni passaggi di valutazione: un’operazione che filtra e incanala lo stimolo mentre esso penetra nel cervello e viene infine condotto alla regione innescante. Lo stadio della valutazione può essere brevissimo e non cosciente, ma deve essere riconosciuto. Qui, l’idea di James - di uno stimolo che immancabilmente arriva al pulsante rosso e innesca l’esplosione - diventa una caricatura. Un altro punto, ancor più importante, è che la cognizione generata da uno stato emozionale non è assolutamente confinata - come sosteneva James - alle immagini dello stimolo e delle modificazioni corporee. Negli esseri umani, come abbiamo visto, il programma dell’emozione innesca anche certi cambiamenti cognitivi che si accompagnano a quelli corporei. Noi possiamo considerarli sia come componenti tardive dell’emozione, sia come componenti precoci, relativamente stereotipate, dell’imminente sentimento dell’emozione. Nessuna di queste riserve, comunque, sminuisce in alcun modo lo straordinario contributo di James.

 

 

I SENTIMENTI DELLE EMOZIONI

Comincerò con una definizione operativa. I sentimenti delle emozioni sono percezioni composite di 1) un particolare stato del corpo durante un’emozione reale o simulata; e 2) di uno stato di alterazione delle risorse cognitive e di un dispiegamento di certi script mentali. Nella nostra mente, tali percezioni sono connesse all’oggetto che le ha causate.

Una volta chiarito che i sentimenti delle emozioni sono prevalentemente percezioni del nostro stato corporeo durante un’emozione, è ragionevole affermare che essi contengano tutti una variazione sul tema dei sentimenti primordiali, quali che essi siano in quel momento, amplificati da altri aspetti dell’alterazione corporea legati o meno all’enterocezione. Diventa anche ovvio che il substrato di tali sentimenti, a livello cerebrale, dovrebbe essere cercato nelle regioni che producono immagini e più specificamente nelle regioni somatosensoriali di due distretti distinti: il tronco encefalico superiore e la corteccia cerebrale. I sentimenti sono stati della mente che trovano fondamento in un substrato specifico.

A livello della corteccia cerebrale, la regione principale coinvolta nel processo dei sentimenti è la corteccia dell’insula: di dimensioni apprezzabili, essa si trova tuttavia in posizione defilata, sotto gli opercoli frontali e parietali. L’insula - che come suggerisce il nome sembra effettivamente un’isola - presenta diversi giri. La sua porzione anteriore è un’eredità antica legata al senso del gusto e dell’olfatto e, tanto per confondere un poco le cose, costituisce una piattaforma non solo per il processo dei sentimenti, ma anche per innescare alcune emozioni. L’insula è infatti il sito di innesco del disgusto: un’emozione importantissima e anche una delle più antiche del repertorio. Il disgusto comparve come mezzo automatico per respingere i cibi potenzialmente tossici, evitando che fossero introdotti nell’organismo.

Gli esseri umani possono essere disgustati non solo dalla vista di cibi guasti e dall’odore e dal sapore rivoltanti che li accompagnano, ma anche da una varietà di situazioni in cui la purezza di oggetti o comportamenti è compromessa e vi è « contaminazione ». È importante osservare che gli esseri umani provano disgusto anche quando percepiscono azioni moralmente reprensibili. Di conseguenza, molte azioni contenute nel programma del disgusto umano, comprese le tipiche espressioni facciali, sono state cooptate dal disprezzo, che è un’emozione sociale e costituisce spesso una metafora del disgusto morale.

La parte posteriore dell’insula è costituita da neocorteccia evolutivamente recente, mentre la parte centrale ha un’età filogenetica intermedia. È noto da tempo che la corteccia dell'insula è associata alle funzioni dei visceri: essa infatti li rappresenta e partecipa al loro controllo. Insieme alle cortecce somatosensoriali primaria e secondaria (note come SI e SII), l’insula è uno dei siti che generano mappe corporee. In effetti, rispetto ai visceri e al milieu interno, l’insula è l’equivalente di una corteccia primaria visiva o uditiva.

Verso la fine degli anni Ottanta, ipotizzai che le cortecce somatosensoriali avessero un ruolo nel processo dei sentimenti, e indicai l’insula come un sito probabilmente coinvolto nella loro genesi. Volevo allontanarmi da quell’idea senza speranza che attribuisce l’origine degli stati del sentire alle regioni che, come le amigdale, guidano l’azione. All’epoca, parlare delle emozioni evocava negli ascoltatori compassione se non proprio derisione, e suggerire che i sentimenti avessero un substrato distinto seminava sconcerto.5 Dal 2000, però, sappiamo che l’attività dell’insula è in effetti un importante correlato di qualsiasi tipo di sentimento sia dato di immaginare, da quelli associati alle emozioni a quelli corrispondenti a qualsiasi sfumatura di piacere o dolore, indotti da un’ampia gamma di stimoli: per esempio, ascoltare una musica che piace o si detesta; osservare immagini che piacciono - compreso materiale erotico -, oppure che disgustano; bere vino; fare sesso; alterarsi consumando droghe; interrompere l’assunzione di droghe e sperimentare l’astinenza; eccetera.6 Di certo l’idea che la corteccia insulare sia un importante substrato per i sentimenti è corretta.

D’altra parte, quando si tratta dei correlati dei sentimenti, l’insula non è assolutamente in grado di spiegare tutto. Quando esperiamo i sentimenti, la corteccia del cingolo anteriore tende ad attivarsi parallelamente all’insula; le due regioni sono strettamente legate, grazie a connessioni reciproche. L’insula ha una duplice funzione - sensoria e motoria -, sia pure con una maggiore inclinazione per il versante sensoriale del processo; il cingolo anteriore opera invece come struttura motoria.7

Il fatto più importante, ovviamente, è che (come ho accennato nei due capitoli precedenti) diverse regioni subcorticali hanno un ruolo importante nel costruire gli stati del sentire. All’inizio, regioni come il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale sono state considerate alla stregua di stazioni intermedie per i segnali provenienti dall’interno del corpo, in quanto li trasmettono a un settore dedicato del talamo, che a sua volta li proietta alla corteccia insulare. Come indicato in precedenza, però, considerato lo status particolare di quei nuclei, è probabile che i sentimenti comincino ad affiorare proprio con la loro attività: infatti essi sono i primi, fra quelli che ricevono informazioni dai visceri e dal milieu interno, ad avere la capacità di integrare i segnali provenienti da tutto l’interno del corpo; inoltre, nella progressione verso i centri superiori, dal midollo spinale all’encefalo, queste strutture sono le prime in grado di integrare e modulare i segnali riguardanti un paesaggio interno generale - torace e addome, con i loro visceri -, come pure gli aspetti viscerali degli arti e della testa.

Considerate le evidenze analizzate in precedenza, dire che i sentimenti emergono a livello subcorticale è plausibile: la totale compromissione delle cortecce dell’insula in presenza di strutture del tronco encefalico intatte è compatibile con un’ampia gamma di stati del sentire; i bambini idroanencefalici, che mancano di cortecce insulari e somatosensoriali di altro tipo ma presentano strutture del tronco encefalico intatte, esibiscono comportamenti che indicano la presenza di tali stati.

Non meno importante, nella generazione dei sentimenti, è un aspetto fisiologico essenziale per il mio quadro generale della mente e del sé, e cioè il fatto che le regioni del cervello implicate nella generazione delle mappe corporee, e pertanto alla base dei sentimenti, siano parte di un circuito risonante con la fonte stessa dei segnali che esse mappano. L’apparato del tronco encefalico superiore deputato alla mappatura del corpo interagisce direttamente con la fonte delle mappe che esso stesso produce, in quella che è una quasi-fusione, molto stretta, fra corpo e cervello. I sentimenti e le emozioni emergono da un sistema fisiologico che non ha paralleli nell’organismo.

Voglio concludere questa sezione ricordando un’altra componente importante degli stati dei sentimenti: tutti i pensieri indotti dall’emozione in corso. Come ho già osservato, alcuni di quei pensieri sono componenti del programma dell’emozione; mentre quest’ultima si dispiega, esse sono evocate in modo che il contesto cognitivo sia in armonia con l’emozione stessa. Altri pensieri, tuttavia, invece di essere componenti stereotipe del programma dell’emozione, sono reazioni cognitive all’emozione in corso, messe in atto successivamente. Le immagini evocate da queste reazioni finiscono per essere parte del percetto del sentimento, insieme a elementi quali la rappresentazione dell’oggetto che ha causato l’emozione, la componente cognitiva del programma dell’emozione stessa, e la lettura percettiva dello stato corporeo.

 

 

IN CHE MODO SENTIAMO LE EMOZIONI?

Essenzialmente vi sono tre modi di generare il sentimento di un’emozione. Il primo e il più ovvio consiste nel far sì che un’emozione modifichi lo stato del corpo. Qualsiasi emozione sortisce in breve questo risultato; l’emozione, infatti, è un programma d’azione, e quest’ultima produce una modificazione dello stato del corpo.

Il cervello genera di continuo un substrato per i sentimenti; i segnali riguardanti lo stato del corpo, infatti, sono continuamente riportati, utilizzati e trasformati nei siti di mappatura appropriati. Non appena si sviluppa un’emozione, avviene una serie di cambiamenti specifici; la registrazione di una variazione nelle mappe generate in tempo reale nel tronco encefalico e nell’insula dà luogo a una mappatura del sentimento dell'emozione. Le mappe così create costituiscono il substrato di un’immagine composita, generata a livello di più siti.8

Affinché lo stato del sentire sia connesso all’emozione, l’oggetto causativo e la relazione temporale fra la comparsa di quest’ultimo e la risposta emozionale devono ricevere la giusta attenzione. Ciò è molto diverso da quanto accade nel caso della vista, dell’udito o dell’olfatto. Tali altri sensi sono concentrati sul mondo esterno, e quindi le regioni che creano le rispettive mappe possono, per così dire, cancellare ogni volta la lavagna costruendo un’infinità di configurazioni. Nel caso di siti dedicati alla percezione del corpo - i quali sono obbligatoriamente rivolti verso l’interno e vincolati a ciò che la infinita identità del corpo presenta loro -, la situazione è diversa. Il cervello, che è concentrato sul corpo, è effettivamente prigioniero di quest’ultimo e della sua attività di segnalazione.

Il primo modo per generare i sentimenti, allora, richiede quello che io chiamo « circuito corporeo » o « circuito del corpo». Vi sono tuttavia almeno altri due modi. Uno dipende dal circuito corporeo « come se », introdotto nel capitolo 4. Come indica il nome, si tratta di una sorta di gioco di prestigio. Le regioni del cervello che inaugurano la normale cascata emozionale possono anche ordinare alle regioni responsabili della mappatura del corpo, come l’insula, di adottare la configurazione che avrebbero assunto nel caso il corpo avesse segnalato loro lo stato emozionale. In altre parole, le regioni innescanti le emozioni ordinano all’insula di procedere e di configurare la sua scarica «come se» stesse ricevendo dei segnali che descrivono lo stato emozionale X. Il vantaggio di questo meccanismo di aggiramento è ovvio. Poiché approntare uno stato emozionale pienamente sviluppato richiede una considerevole quantità di tempo e consuma moltissima energia preziosa, perché non andare subito al sodo? Senza dubbio questa possibilità emerse nel cervello sia in considerazione del risparmio di tempo ed energia, sia perché i cervelli intelligenti sono anche estremamente pigri. Ogni volta che possono fare qualcosa di meno, invece che qualcosa di più, colgono l’occasione, seguendo questa filosofia minimalista quasi fosse una religione.

Vi è solo un inconveniente con il meccanismo « come se ». Al pari di qualsiasi altra simulazione, non è una replica esatta della realtà. Io credo che gli stati « come se » siano comunissimi in tutti noi e certamente riducono i costi imposti dalla nostra vita emozionale; tuttavia, sono solo versioni attenuate delle emozioni effettivamente innescate dal circuito del corpo. Le configurazioni « come se » non possono essere avvertite come gli stati riconducibili al circuito del corpo in primo luogo perché si tratta di simulazioni, e non della realtà; e in secondo luogo perché probabilmente, rispetto agli stati generati dal normale circuito del corpo, le configurazioni «come se», essendo più deboli, hanno maggiori difficoltà a competere con le configurazioni corporee in corso.

L’altro modo di costruire gli stati del sentire consiste nell'alterare la trasmissione dei segnali inviati dal corpo al cervello. In seguito all’azione degli analgesici naturali o alla somministrazione di farmaci (antidolorifici, anestetici) che interferiscono con i segnali provenienti dal corpo, il cervello riceve una visione distorta di quello che è il suo stato reale in quel momento preciso. Sappiamo che nelle situazioni di paura in cui il cervello sceglie l’opzione della fuga invece dell’immobilizzazione, il tronco encefalico disattiva parte dei circuiti dedicati alla trasmissione del dolore: un po’ come se staccasse la spina del telefono. Il grigio periacqueduttale, che controlla queste risposte, può anche ordinare la secrezione di oppioidi naturali, ottenendo esattamente lo stesso risultato che si avrebbe somministrando un analgesico: l’eliminazione dei segnali del dolore.

In senso stretto, qui abbiamo a che fare con un'allucinazione, perché ciò che è registrato dal cervello nelle sue mappe e ciò che è sentito dalla mente cosciente non corrispondono alla realtà del corpo che potrebbe essere percepita. Ogniqualvolta ingeriamo sostanze che hanno il potere di modificare la trasmissione o la mappatura dei segnali provenienti dal corpo, facciamo leva su tale meccanismo. L’alcol fa proprio questo; e altrettanto vale per gli analgesici e gli anestetici, come pure per le numerosissime droghe d’abuso. Oltre che per curiosità, è chiaro che gli esseri umani sono attirati da queste sostanze perché desiderano procurarsi sensazioni di benessere in cui i segnali del dolore vengano cancellati e siano invece indotti segnali del piacere.

 

 

IL FATTORE TEMPO NELLE EMOZIONI E NEI SENTIMENTI

In alcuni studi recenti, il mio collega David Rudrauf ha indagato l’andamento temporale delle emozioni e dei sentimenti nel cervello umano usando la magneto-encefalografia:9 di gran lunga meno precisa della risonanza magnetica funzionale in termini di localizzazione spaziale dell’attività cerebrale, la magnetoencefalogra-fia ha tuttavia una notevole capacità di stimare il tempo impiegato da certi processi all'interno di distretti ragionevolmente estesi del cervello. In tali studi ci siamo serviti di questo approccio proprio per indagare l’aspetto temporale.

Scrutando all’interno del cervello, Rudrauf ha seguito nel tempo l’attività associata alle reazioni - emozioni e sentimenti - indotte da stimoli visivi piacevoli e spiacevoli. Dal momento in cui gli stimoli erano elaborati nelle cortecce visive fino a quello in cui i soggetti riferivano l’affiorare dei sentimenti, passavano quasi cinquecento millisecondi, ossia mezzo secondo: molto o poco? Dipende dalla prospettiva: in termini di « tempo cerebrale » si tratta di un intervallo enorme, se si pensa che un neurone può scaricare in circa cinque millisecondi; in termini di «tempo della mente cosciente», però, non è molto. Esso si colloca fra i circa duecento millisecondi necessari per avere coscienza di una configurazione a livello percettivo, e i sette-ottocento millisecondi che occorrono per elaborare un concetto. Oltre la soglia dei cinquecento millisecondi, tuttavia, i sentimenti possono durare secondi o minuti - ovviamente reiterati in un qualche tipo di riverbero -, soprattutto se sono sentimenti con la « s » maiuscola.

 

 

LE VARIETÀ DELL’EMOZIONE

I tentativi di descrivere la gamma completa delle emozioni umane o di classificarle non sono particolarmente interessanti. I criteri usati per le classificazioni tradizionali lasciano a desiderare e ogni repertorio di emozioni può essere criticato perché ne trascura alcune mentre altre vi sono rappresentate troppo generosamente. Una vaga regola empirica suggerisce che dovremmo riservare il termine « emozione » a un programma d’azione ragionevolmente complesso (che includa più di una o due risposte simili a riflessi) innescato da un oggetto o un e-vento identificabile (uno stimolo emozionalmente competente) . In genere si ritiene che le cosiddette emozioni universali (paura, rabbia, tristezza, felicità, disgusto e sorpresa) soddisfino quei criteri. Comunque sia, queste emozioni sono certamente presenti in tutte le culture e sono facilmente riconosciute perché una parte del loro programma d’azione - le espressioni facciali - è del tutto caratteristica. Tali emozioni sono presenti perfino nelle culture in cui mancano le parole per nominarle. Siamo debitori a Charles Darwin per il primo riconoscimento di questa universalità, non solo negli esseri umani, ma anche negli animali.

L’universalità delle espressioni delle emozioni rivela in quale misura il loro programma di azione sia automatizzato e indipendente dall’apprendimento. Ogni volta che viene eseguita, l’emozione può essere modulata, per esempio, con piccoli cambiamenti dell’intensità o della durata dei movimenti componenti. La routine del programma fondamentale, tuttavia, è stereotipata a tutti i livelli corporei coinvolti nell’esecuzione: movimenti esterni; alterazioni viscerali che interessano cuore, polmoni, intestino e cute; e modificazioni endocrine. L’esecuzione della stessa emozione può variare da un’occasione all’altra ma non abbastanza da renderla irriconoscibile al soggetto o ad altri individui. Essa varia nella stessa misura in cui Summertime di Gershwin può cambiare se eseguita da interpreti diversi, o anche dallo stesso interprete in occasioni diverse. L’emozione è ancora perfettamente identificabile perché il profilo generale del comportamento viene conservato.

Il fatto che le emozioni siano programmi di azione non appresi, automatici e prevedibilmente stabili svela la loro origine dalla selezione naturale e dalle risultanti istruzioni contenute nel genoma. In larghissima misura, queste istruzioni sono state conservate nell’evoluzione e sono responsabili della costruzione del cervello in modo specifico e affidabile, così che alcuni circuiti neuronali possano elaborare stimoli emozionalmente competenti e indurre le regioni cerebrali che scatenano le emozioni ad attuare risposte emozionali complete. Le emozioni, e i fenomeni a esse sottesi, sono talmente essenziali per il mantenimento della vita e per la successiva maturazione dell’individuo che vengono dispiegate in modo ripetibile già nelle fasi precoci dello sviluppo.

Il fatto che le emozioni siano automatiche, non apprese, e stabilite dal genoma solleva sempre lo spettro del determinismo genetico. Non vi è dunque nulla di personale ed educabile nelle emozioni? In realtà, vi è moltissimo. Nel cervello normale, il meccanismo essenziale delle emozioni è molto simile da un individuo all’altro; il che è una buona cosa, perché fornisce all’umanità - nelle diverse culture - una base comune di preferenze fondamentali in relazione al dolore e al piacere. Ma se da un lato i meccanismi sono senz’altro simili, dall’altro, con ogni probabilità, le circostanze in cui alcuni stimoli sono diventati emozionalmente competenti non saranno le stesse da un individuo all’altro. Esistono cose che alcuni temono e altri no; cose che alcuni amano e altri no; e molte, moltissime cose che tutti noi temiamo e amiamo. In altre parole, le risposte emozionali nei confronti dello stimolo causativo sono considerevolmente personalizzate. A questo riguardo, noi siamo molto simili ma non identici. E vi sono anche altri aspetti in questa individualità: influenzati dalla cultura in cui siamo cresciuti, o per effetto della nostra educazione personale, siamo in grado - in parte - di controllare le espressioni delle nostre emozioni. Tutti noi sappiamo come l’esibizione pubblica del riso o del pianto sia differente nelle ‘ diverse culture e come essi siano modulati anche all’interno dei membri di specifiche classi sociali. Le espressioni emozionali si somigliano, ma non sono uguali. Possono essere modulate così da essere rese distintamente personali, oppure indicative dell’appartenenza a un gruppo sociale.

Non vi è dubbio che le espressioni delle emozioni possono essere modulate volontariamente. È chiaro, però, che il controllo esercitato attraverso la modulazione non può spingersi oltre le loro manifestazioni esteriori. Poiché le emozioni comprendono numerose altre risposte - molte delle quali sono interne e quindi invisibili a occhio nudo agli altri -, gran parte del programma emozionale viene comunque eseguita a prescindere da quanta forza di volontà noi applichiamo per inibirla. È molto importante osservare che i sentimenti delle emozioni, risultanti dalla percezione dell'insieme dei cambiamenti indotti dalle emozioni stesse, hanno luogo comunque: anche quando l’espressione esterna dell’emozione è in parte inibita. L’emozione e il sentimento hanno due volti, e questo è coerente con i loro meccanismi fisiologici molto diversi. Quando incontriamo un tipo stoico che rimane impassibile di fronte a una notizia tragica, non dobbiamo dare per scontato che non stia provando dolore o paura. Un antico adagio portoghese coglie bene questa verità: « Chi vede il volto non vede il cuore ».10

 

 

CIME E ABISSI NEL PAESAGGIO DELLE EMOZIONI

Oltre alle emozioni universali, meritano di essere sottolineate quelle appartenenti ad altri due gruppi riconosciuti. Anni fa richiamai l’attenzione sulle emozioni di uno dei due, denominandole «emozioni di fondo». Alcuni esempi sono l' entusiasmo e lo scoraggiamento, che possono essere indotti sia da diverse circostanze contingenti, sia da stati interni, come la malattia e l’affaticamento. Nel caso delle emozioni di fondo, ancora più che in quello delle altre, lo stimolo competente può operare in modo nascosto e innescarle senza che il soggetto ne sia consapevole. Riflettere su una situazione già verificatasi, oppure considerarne una meramente possibile, può innescare emozioni di questo genere. I risultanti « sentimenti di fondo » non distano che un piccolo passo dai sentimenti primordiali. Le emozioni di fondo sono parenti strette degli umori, ma ne differiscono per il profilo temporale più limitato e perché sono riconducibili in modo più netto allo stimolo.

L’altro gruppo importante è quello delle emozioni sociali. Il nome è un po’ curioso, poiché tutte le emozioni possono essere sociali e spesso lo sono; tuttavia, la denominazione è legittima se si pensa allo scenario, inequivocabilmente sociale, in cui hanno luogo questi particolari fenomeni. Qualche esempio delle principali emozioni sociali giustificherà facilmente il termine: compassione, imbarazzo, vergogna, senso di colpa, disprezzo, gelosia, invidia, orgoglio, ammirazione. Queste emozioni sono effettivamente innescate in contesti sociali, e hanno di certo un ruolo prominente nella vita dei gruppi. Da un punto di vista fisiologico, il funzionamento delle emozioni sociali non è in alcun modo diverso da quello di tutte le altre. Esse necessitano di uno stimolo emozionalmente competente; dipendono da specifici siti cerebrali capaci di innescarle; sono costituite da programmi di azione elaborati che coinvolgono il corpo; e sono percepite dal soggetto sotto forma di sentimenti. Vi sono tuttavia alcune differenze degne di nota. La maggior parte delle emozioni sociali è evolutivamente recente, ed è probabile che alcune di esse siano appannaggio esclusivo degli esseri umani. Sembra che questo sia il caso dell’ammirazione e di quella varietà della compassione che si concentra sul dolore altrui non di natura fisica, ma mentale e sociale. Molte specie, in particolare i primati e le grandi antropomorfe, presentano i precursori di qualche emozione sociale. La compassione per le difficoltà fisiche in cui versa l’altro, l’imbarazzo, l’invidia e l’orgoglio sono alcuni buoni e-sempi. Di sicuro le scimmie cappuccine paiono reagire alle ingiustizie percepite. Le emozioni sociali comprendono un certo numero di princìpi morali e costituiscono un naturale fondamento dei sistemi etici.11

 

 

UNA DIVAGAZIONE SU AMMIRAZIONE E COMPASSIONE

Le azioni e gli oggetti che ammiriamo, così come le nostre reazioni nei confronti di chi è responsabile di quelle azioni e di quegli oggetti, definiscono la qualità di una cultura. Senza appropriate ricompense, i comportamenti ammirevoli hanno una minore probabilità di essere emulati. Lo stesso vale per la compassione. Nella vita quotidiana abbondano situazioni difficili di ogni genere, e nel caso in cui gli individui non si comportino compassionevolmente verso coloro che le affrontano, le prospettive di una società sana diminuiscono enormemente. Se dev’essere emulata, la compassione va ricompensata.

Che cosa accade nel cervello quando proviamo ammirazione o compassione? I processi cerebrali corrispondenti a queste emozioni e a questi sentimenti hanno qualche somiglianza con quelli che abbiamo identificato nel caso di emozioni più fondamentali come la paura, la felicità e la tristezza? Oppure sono diverse? Le emozioni sociali sembrano così dipendenti dall’ambiente in cui l’individuo si sviluppa, così legate ai fattori culturali, che possono sembrare null’altro che un sottile strato di vernice cognitiva applicato alla superficie del cervello. È anche importante esaminare il modo in cui l’elaborazione di tali emozioni e di tali sentimenti - che chiaramente chiama in causa il sé dell’osservatore - coinvolge o non coinvolge le strutture cerebrali che abbiamo cominciato ad associare agli stati del sé.

Decisi di rispondere a questi interrogativi insieme a Hanna Damasio e Mary Helen Immordino-Yang, la quale nutre un profondo interesse per l’unione fra neuroscienze e aspetti culturali, e proprio per questo motivo era molto attratta dal problema. Progettammo uno studio in cui, avvalendoci delle tecniche di risonanza magnetica funzionale, avremmo indagato in che modo una storia possa indurre, in esseri umani normali, sentimenti di ammirazione o di compassione. Volevamo suscitare tali risposte, evocandole con certi tipi di comportamento presentati sotto forma di narrazione. Non ci interessava che i nostri soggetti sperimentali riconoscessero l’ammirazione o la compassione quando la osservavano in qualcun altro. Volevamo che fossero loro stessi a sperimentare quelle emozioni. Fin dal principio sapevamo che ci interessavano almeno quattro scenari distinti, due per l’ammirazione e due per la compassione. Nel primo caso gli scenari erano l’ammirazione per atti virtuosi (per esempio un grande atto di generosità) o l’ammirazione per atti di virtuosismo (per esempio prestazioni atletiche impressionanti o straordinarie esecuzioni musicali di solisti). Gli scenari della compassione, d’altro canto, comprendevano quella per il dolore fisico (rivolta, per esempio, alla sfortunata vittima di un incidente stradale) e quella per chi versa in situazioni difficili sul piano psicologico e sociale (rivolta verso chi ha perso la casa in un incendio o la persona amata a causa di una malattia di cui non sa farsi una ragione).

Il contrasto era sempre molto chiaro, soprattutto nel momento in cui Mary Helen diede prova di creatività mettendo insieme alcune storie reali e un metodo efficace per somministrarle ai volontari in un esperimento con tecniche di immagine funzionale.12

Verificammo tre ipotesi. La prima aveva a che fare con le regioni coinvolte nell’ammirazione e nella compassione. Il risultato dell’esperimento fu inequivocabile: le regioni coinvolte erano, in linea di massima, le stesse interessate dalle emozioni elementari cosiddette comuni. In tutti gli scenari, vi era una notevole attivazione dell’insula, nonché della corteccia anteriore del cingolo; come previsto, erano coinvolte anche le regioni del tronco encefalico superiore.

Di certo questo risultato smentiva l’idea secondo cui, rispetto alle emozioni fondamentali, quelle sociali non avrebbero coinvolto nella stessa misura l’apparato della regolazione dei processi vitali. L’interessamento cerebrale era molto intenso, in linea con il fatto che le nostre esperienze di queste emozioni sono profondamente segnate da eventi fisici. Le ricerche comportamentali di Jonathan Haidt sull’elaborazione di emozioni sociali simili rivela molto chiaramente come, in tali situazioni, sia coinvolto il corpo.13

La seconda ipotesi che abbiamo verificato riguardava il tema centrale di questo libro: il sé e la coscienza. Abbiamo scoperto che «sentire» queste emozioni impegnava la corteccia posteromediale (cpm), una regione che noi crediamo coinvolta nella costruzione del sé. Questo ben si accorda con il fatto che, per reagire a una qualsiasi delle storie usate come stimoli, il soggetto doveva diventare a tutti gli effetti spettatore e giudice della situazione; nel caso della compassione, occorreva che provasse empatia in modo completo con la diffìcile situazione in cui versava il protagonista, e nel caso dell’ammirazione che fosse un potenziale futuro emulatore dell’azione ammirevole del protagonista.

Abbiamo poi scoperto anche qualcosa che non avevamo previsto: la parte della cpm più attiva nelle situazioni di ammirazione e compassione, rispettivamente per le capacità fisiche e per il dolore fisico, era ben distinta da quella maggiormente coinvolta nell’ammirazione per azioni virtuose e nella compassione per la sofferenza psicologica. La distinzione era evidentissima, al punto che la configurazione di attivazione della cpm corrispondente a una coppia di emozioni si incastrava - letteralmente - in quella corrispondente alle altre due, proprio come i pezzi di un puzzle.

L’aspetto condiviso da una coppia di scenari - capacità e dolore di natura fìsica - era il coinvolgimento del corpo nei suoi aspetti proiettati all’esterno, concentrati sull’azione. L’aspetto condiviso dall’altra coppia di scenari - sofferenza psicologica e ammirazione per l’atto virtuoso - era uno stato mentale. Il risultato ottenuto ci mostrò che il cervello aveva riconosciuto questi aspetti condivisi - stati fisici in un caso e mentali nell’altro -, e aveva prestato loro un’attenzione di gran lunga maggiore che non alla elementare contrapposizione fra ammirazione e compassione.

La probabile spiegazione di questo affascinante risultato proviene dal diverso legame che - nel cervello di ciascun soggetto - le due parti della cpm intrattengono nei confronti del corpo. Un settore ha a che fare con aspetti muscoloscheletrici, l’altro con il milieu interno e con i visceri. Il lettore attento probabilmente avrà indovinato la regione corrispondente a ciascuno scenario. L’aspetto della fisicità (capacità/dolore a livello fisico) è riconducibile alla componente legata all'attività muscoloscheletrica. L’aspetto mentale (sofferenza psicologica/atto virtuoso) è riconducibile al milieu interno e ai visceri. Come si potrebbe immaginare qualcosa di diverso?

Vi era poi un’altra ipotesi, e un ulteriore risultato degno di nota. Abbiamo ipotizzato che, nel cervello, la compassione per il dolore fisico, essendo una risposta cerebrale più antica e chiaramente presente in diverse specie non umane, dovesse essere elaborata più rapidamente di quella per la sofferenza psicologica: una cosa che richiede l’elaborazione più complicata di un disagio meno immediatamente ovvio, e che con buona probabilità implica una conoscenza di più ampia portata.

I risultati hanno confermato l’ipotesi. Nella corteccia dell’insula, la compassione per il dolore fisico evoca risposte più veloci rispetto alla compassione per la sofferenza psicologica. Le reazioni al dolore fìsico sono più rapide non soltanto ad affiorare, ma anche a estinguersi. Le risposte alla sofferenza psicologica, invece, impiegano più tempo sia per instaurarsi, sia per scomparire.

Nonostante la natura preliminare di questo studio, abbiamo avuto una prima idea di come il cervello elabori l’ammirazione e la compassione. Com’era prevedibile, la fonte di questi processi interessa profondamente tanto il cervello quanto la carne. Tali processi - anche questo era prevedibile - sono fortemente influenzati dall’esperienza individuale. Verissimo, in tutto e per tutto: e dovrebbe essere così per tutte le emozioni.