3
LA CREAZIONE DI MAPPE E IMMAGINI
MAPPE E IMMAGINI
La gestione dei processi vitali è indiscutìbilmente la principale funzione del cervello umano; di certo, però, non è il suo aspetto più esclusivo. Come abbiamo visto, i processi vitali possono essere gestiti anche senza un sistema nervoso, e a maggior ragione senza un cervello pienamente sviluppato. In fatto di manutenzione, anche i modesti organismi unicellulari se la cavano benissimo.
L’aspetto distintivo dei cervelli come il nostro è la prodigiosa abilità di creare mappe. Questa operazione è essenziale per una gestione sofisticata, giacché la formazione di mappé e il controllo dei processi vitali vanno di pari passo. Quando il cervello crea delle mappe, informa se stesso. L’informazione contenuta nelle mappe può essere usata, senza coinvolgere la coscienza, per guidare in modo efficace il comportamento motorio: risultato quanto mai desiderabile se si considera che la sopravvivenza dipende dal fatto che si compiano o meno le azioni appropriate. Quando un cervello crea delle mappe, però, sta creando anche delle immagini, ovvero la fondamentale valuta usata dalla nostra mente. In ultima analisi, la coscienza ci permette di esperire le mappe come immagini e di manipolare queste ultime applicando loro il ragionamento.
Le mappe vengono costruite quando interagiamo con gli oggetti - per esempio cori una persona, una macchina, un luogo - dall’esterno del cervello verso l’interno. Non sottolineerò mai abbastanza la parola interazione. Essa ci ricorda che spesso la creazione di mappe -creazione che, come ho accennato sopra, è essenziale per migliorare l’azione - inizialmente ha luogo, appunto, nel contesto di un’azione. Azione e mappe, movimento e mente sono parte di un ciclo infinito: un’idea colta in modo assai suggestivo da Rodolfo Llinas quando attribuisce la nascita della mente al controllo esercitato dal cervello sul movimento organizzato.1
La costruzione di mappe avviene anche quando richiamiamo gli oggetti dagli archivi della memoria custoditi nel nostro cervello. Come dimostrano i sogni, questa attività non si ferma mai, nemmeno durante il sonno. Il cervello umano traccia mappe di qualsiasi oggetto e di qualsiasi azione si trovino esternamente a esso, e di tutte le relazioni che oggetti e azioni intrattengono nello spazio e nel tempo, sia tra di loro, sia nei confronti di quella sorta di nave ammiraglia che è l’organismo: unico proprietario del nostro corpo, del nostro cervello e della nostra mente. Il cervello umano è un cartografo nato e la cartografia iniziò con la mappatura del corpo all’interno del quale esso è collocato.
Il cervello umano è un incontenibile imitatore. Qualsiasi cosa si trovi al suo esterno - il resto del corpo, naturalmente, dalla cute alle viscere; ma anche il mondo circostante, fatto di uomini, donne e bambini, gatti e cani, luoghi, clima caldo e freddo, superfici lisce e ruvide, suoni forti e sommessi, il miele dolce e il pesce salato - è oggetto di imitazione nelle reti cerebrali. In altre parole, il cervello ha la capacità di rappresentare alcuni aspetti della struttura di oggetti ed eventi non cerebrali, comprese le azioni eseguite dal nostro organismo e dalle sue parti (per esempio gli arti, le componenti dell’apparato di fonazione, eccetera). Stabilire esattamente come avvenga la mappatura è più facile a dirsi che a farsi. Non si tratta di ottenere una mera copia, di un trasferimento passivo di informazioni dall’esterno all'interno del cervello. La composizione d’insieme creata dai sensi implica un contributo attivo proveniente dall'interno del cervello, disponibile fin dai primi stadi di sviluppo: l’idea che il cervello sia una tabula rasa ha ormai da tempo perso favore.2 Spesso - come accennato prima - la composizione ha luogo nel contesto del movimento.
Una breve nota sulla terminologia. Un tempo ero molto rigido circa l’uso del termine immagine solo come sinonimo di configurazione o immagine mentale, mentre usavo il termine configurazione neurale o mappa per riferirmi a una particolare configurazione di attività nel cervello, distinto dalla mente. Il mio intento era di riconoscere che la mente - che io considero parte dell’attività del tessuto cerebrale - merita una sua descrizione, sia a causa della natura privata dell’esperienza che la riguarda, sia perché l’esperienza privata è esattamente il fenomeno che desideriamo spiegare; quanto alla descrizione degli eventi neurali con il loro vocabolario appropriato, essa era parte dello sforzo teso a comprendere il ruolo di quegli eventi nel processo della mente. Tenendo separati i livelli di descrizione, non stavo assolutamente suggerendo che si trattasse di sostanze separate, una mentale e l’altra biologica. Io non sono un sostenitore del dualismo della sostanza come lo era - o si spacciava di essere - Cartesio quando diceva che il corpo ha un’estensione fisica che la mente non ha, perché le due cose sono fatte di sostanze diverse. Stavo semplicemente soffermandomi su un dualismo dell’ aspetto, discutendo il modo in cui le cose appaiono quando si presentano all’esperienza superficiale. Ma naturalmente anche il mio amico Spinoza - lui, classico paladino del monismo, proprio l’opposto del dualismo - faceva altrettanto.
E tuttavia, a che scopo complicare le cose, per me stesso e per il lettore, usando termini distinti per riferirmi a due cose che credo essere equivalenti? In tutto questo libro, userò i termini immagine, mappa e configurazione neuralem. modo quasi intercambiabile. A volte sfumerò anche il confine fra mente e cervello, e lo farò deliberata-mente, per sottolineare il fatto che la distinzione, sebbene valida, può ostacolare la visuale di quanto stiamo cercando di spiegare.
SOTTO LA SUPERFICIE
Supponiamo di tenere in mano un cervello e di osservare la superficie della corteccia cerebrale. Ora, immaginiamo di prendere un bisturi ben affilato e di praticare delle incisioni parallelamente alla superficie, a una profondità di due o tre millimetri, asportandone così una lamina sottile. Dopo aver fissato e colorato i neuroni con un reagente chimico adatto, è possibile deporre il tessuto così preparato su un vetrino e osservarlo al microscopio. Scopriremo allora, in ogni strato corticale esaminato, una struttura laminare che ricorda essenzialmente un reticolo quadrato bidimensionale. I principali elementi del reticolo sono i neuroni, disposti orizzontalmente. Possiamo immaginare qualcòsa di simile a una cartina di Manhattan, purché eliminiamo Broadway, visto che nei reticoli corticali non esistono importanti linee oblique. Si capisce immediatamente che questa disposizione è ideale per una rappresentazione topografica esplicita di oggetti e azioni.
Osservando la sezione di un’area circoscritta di corteccia cerebrale, è facile capire perché - sebbene anche altre parti del cervello possano creare mappe a bassa risoluzione - quelle più dettagliate nascano proprio qui. Uno degli strati corticali, il quarto, è probabilmente responsabile della creazione di gran parte delle mappe più ricche di dettagli. Osservando una piccola area di corteccia cerebrale, ci si rende anche conto del perché l’idea delle mappe cerebrali non sia una metafora troppo spinta. Su un reticolo di quel genere, infatti, è possibile tracciare degli schemi, e se si strizzano un po’ gli occhi e ci si lascia andare all’immaginazione, si riesce a visualizzare quel tipo di pergamena su cui probabilmente Enrico il Navigatore rifletteva quando progettava i viaggi dei suoi capitani. Una grande differenza, naturalmente, sta nel fatto che in una mappa cerebrale le linee non sono tracciate con la penna o la matita, ma sono il risultato della temporanea attività di alcuni neuroni e della simultanea inattività di altri. Quando certi neuroni si trovano in stato di « on » in una particolare distribuzione spaziale, ecco che viene «tracciata» una linea, retta o curva, spessa o sottile, creando così un disegno distinto rispetto allo sfondo dei neuroni in stato di «off». Un’altra grossa differenza: il principale strato orizzontale che produce le mappe è inserito fra-altri strati, sopra e sótto; ciascun elemento dello strato fa quindi anche parte di una disposizione verticale di elementi, più precisamente di una colonna, ciascuna delle quali contenente centinaia di neuroni. Le colonne forniscono alla corteccia cerebrale input provenienti da altre regioni del cervello, oppure dalle sonde sensoriali periferiche (per esempio gli occhi), oppure anche dal resto del corpo. Le colonne, inoltre, inviano output a quelle stesse regioni, ed eseguono varie integrazioni e modulazioni dei segnali elaborati in ogni sito.
Le mappe cerebrali non sono statiche come quelle della cartografìa classica: sono imprevedibili, cambiano da un momento all’altro per riflettere i cambiamenti che hanno luogo nei neuroni che le alimentano, cambiamenti che a loro volta riflettono le modificazioni in corso all'interno nel nostro corpo e nel mondo intorno a noi. Le modificazioni delle mappe cerebrali riflettono anche il fatto che noi siamo in costante movimento. Ci avviciniamo agli oggetti o ci allontaniamo da essi; un attimo prima possiamo toccarli e subito dopo essi sono fuori dalla nostra portata; possiamo assaggiare un vino, ma ben presto il suo gusto svanisce; ascoltiamo della musica, che poi però tace; anche il nostro corpo, soggetto com’è a diverse emozioni, si modifica e sopravvengono sentimenti differenti. L’intero ambiente offerto al cervello è in perpetuo cambiamento: sia spontaneamente, sia per effetto delle nostre attività; le mappe corrispondenti che esso crea cambiano di conseguenza.
Il tipo di immagine che si vede nei tabelloni elettronici, in cui il disegno è tracciato da elementi luminosi attivi e inattivi (lampadine o diodi luminosi), può essere una moderna analogia con quanto accade nel cervello, in una mappa visiva. L’analogia con le mappe elettroniche è quanto mai calzante perché il loro contenuto può rapidamente cambiare, solo modificando la distribuzione degli elementi attivi rispetto a quelli inattivi. Ciascuna distribuzione di elementi attivi e inattivi costituisce, nel tempo, una configurazione. All'interno della stessa piccola area di corteccia visiva, differenti distribuzioni di attività possono disegnare - in successione o addirittura in sovrapposizione - una croce, un quadrato, oppure una faccia. Le mappe possono essere tracciate, ritracciate e sovrascritte, a velocità fulminea.
Lo stesso tipo di « disegno » ha luogo anche nella retina, un complesso avamposto del cervello. Anche qui vi è un reticolo quadrato per tracciare mappe: quando i fotoni - particelle di luce - colpiscono la retina nella particolare distribuzione che corrisponde a una configurazione specifica, i neuroni attivati in quella configurazione - poniamo, un cerchio o una croce - costituiscono una mappa neurale transitoria. In base a questa mappa retinica originale, nei livelli successivi del sistema nervoso si formeranno poi altre mappe: l’attività in ciascun punto della mappa retinica viene infatti segnalata lungo una catena che culmina nelle cortecce visive primarie, conservando le relazioni geometriche originariamente esistenti fra i punti della mappa retinica: una proprietà, questa, detta retinotopia.
Sebbene le aree corticali eccellano nella creazione di mappe dettagliate, alcune strutture subcorticali sono anch’esse in grado di creare mappe grossolane. Alcuni esempi di tali strutture sono i corpi genicolati, i collicoli, il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale. I corpi genicolati sono rispettivamente dedicati ai processi visivi e uditivi. Anch’essi hanno una struttura laminare stratificata ideale per realizzare rappresentazioni topografiche. Il collicolo superiore è un importante generatore di mappe visive che è anche in grado di mettere in rapporto con mappe uditive e riferite al corpo. Il collicolo inferiore è dedicato all’elaborazione uditiva. L’attività del collicolo superiore può essere un precursore dei processi della mente e del sé che fioriscono poi nelle cortecce cerebrali. Per quanto riguarda il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale, sono i primissimi generatori, nel sistema nervoso centrale, di mappe del corpo in toto: mappe la cui attività, come vedremo, corrisponde ai sentimenti primordiali.
La creazione di mappe si applica alle configurazioni riconducibili non soltanto alla vista, ma a ogni tipo di modalità sensoriale che il cervello sia impegnato a costruire. La mappatura del suono, per esempio, ha inizio su entrambi i lati, nell’orecchio interno, a livello della coclea, che è il corrispondente uditivo della retina. La coclea riceve gli stimoli meccanici che risultano dalla vibrazione della membrana timpanica e di una serie di ossicini localizzati a ridosso di essa. Nella coclea, le cellule equivalenti ai neuroni retinici sono denominate « cellule acustiche ». Ciascuna di esse è sormontata da un ciuffo di ciglia che si muove per effetto dell’energia del suono innescando una corrente elettrica captata dai terminali di un neurone localizzato nel ganglio cocleare. Questo neurone invia messaggi al cervello attraverso una catena formata da sei stazioni distinte: il nucleo cocleare, il nucleo olivare superiore, il nucleo del lemnisco laterale, il collicolo inferiore, il nucleo genicolato mediale e, infine, la cortec-cia uditiva primaria. In termini gerarchici, quest’ultima è paragonabile alla corteccia visiva primaria. All’interno della corteccia cerebrale la corteccia uditiva è il primo anello di un’ulteriore catena di segnalazione.
Proprio come le primissime mappe visive si formano nella retina, le primissime mappe uditive si formano nella coclea. In che modo? La coclea è una rampa a spirale con una forma complessivamente conica. Ricorda la conchiglia di una chiocciola, come del resto suggerisce la radice latina della parola coclea. Chi è stato al Guggenheim Museum di New York può facilmente visualizzare che cosa accade all'interno di quest’organo. Tutto quello che occorre fare è immaginare che le spire vadano restringendosi a mano a mano che si sale, e che la forma complessiva dell’edificio sia un cono con la punta rivolta verso l’alto. La rampa lungo la quale si cammina è avvolta intorno all’asse verticale del cono, proprio come la coclea. All'interno della rampa a spirale, le cellule acustiche sono disposte secondo un ordine raffinato, in base alle frequenze alle quali rispondono. Le cellule sensibili alle frequenze più alte sono localizzate alla base della coclea; a mano a mano che si sale lungo la rampa, seguono - in ordine decrescente - le altre frequenze, fino all’apice della coclea, dove le cellule acustiche rispondono alle frequenze più basse. Si comincia con gli acuti da soprano, per finire con i bassi profondi. Il risultato è una mappa tonotopica, ovvero una mappa spaziale dei toni possibili, ordinati in base alla frequenza. Quello che è davvero straordinario è che una versione di questa mappa viene replicata in corrispondenza di ognuna delle cinque stazioni successive del sistema uditivo, lungo la via che porta alla corteccia dedicata, dove la mappa finalmente viene presentata su una superficie laminare. Quando i neuroni si attivano lungo la catena uditiva e quando il layout corticale finale distribuisce spazialmente tutte le ricche sottostrutture dei suoni che arrivano al nostro orecchio, ecco che noi sentiamo suonare un’orchestra o la voce di un cantante.
Lo schema della mappatura si applica ovunque a configurazioni che hanno a che fare con la struttura del corpo, per esempio a un arto e ai suoi movimenti, oppure alla soluzione di continuità della cute causata da una scottatura, o alle configurazioni derivanti dal toccare le chiavi della macchina, esaminandone la forma e la superficie liscia mentre le teniamo in mano.
La somiglianza fra le configurazioni mappate nel cervello e gli oggetti reali che ne inducono la creazione è stata dimostrata in diversi studi. Nella corteccia visiva di una scimmia, per esempio, è possibile svelare una forte correlazione fra la struttura di uno stimolo visivo (per esempio un cerchio o una croce) e la configurazione di attività neurale che esso evoca. A dimostrarlo per primo fu Roger Tootell in campioni di tessuto cerebrale ottenuto da scimmie. In nessuna circostanza, tuttavia, possiamo « osservare » l’esperienza visiva dell’animale, in altre parole le immagini che esso vede. Le immagini - visive, uditive, o di qualsiasi altra varietà si desideri - sono direttamente disponibili ma soltanto per il proprietario della mente in cui si formano. Esse sono private e non possono essere osservate da una terza parte: a quest’ultima non resta dunque che fare delle ipotesi.
Anche gli studi di neuroimmagine eseguiti sul cervello umano stanno cominciando a svelare tali correlazioni. Usando un’analisi multivariata, diversi gruppi di ricerca - compreso il nostro - sono riusciti a dimostrare che nelle cortecce sensoriali umane alcune configurazioni di attività neurale corrispondono distintamente a una particolare classe di oggetti.9
MAPPE E MENTI
La mente è una spettacolare conseguenza dell’attività, incessante e dinamica, che vede il cervello impegnato nella creazione di mappe. Le configurazioni mappate costituiscono quello che noi, creature dotate di coscienza, conosciamo come esperienze visive, uditive, tattili, olfattive, gustative e anche come dolore, piacere e simili: in breve, immagini. Le immagini presenti nella nòstra mente sono le mappe temporanee, create dal cervello, di qualsiasi cosa sia presente all'interno del nostro corpo e fuori di esso, concreta e astratta, reale oppure registrata in precedenza nella memoria. Prima che io le concretizzassi sulla pagina nella loro versione scritta, le parole che sto usando per trasmettere al lettore queste idee si sono inizialmente formate, per quanto in modo breve e schematico, come immagini uditive, visive o somatosensoriali di fonemi e morfemi. Allo stesso modo, le parole scritte, stampate davanti agli occhi del lettore, sono da questi elaborate come immagini verbali (immagini visive del linguaggio scritto), prima che la loro azione sul cervello promuova l’evocazione di altre immagini, di tipo non verbale. Le immagini di tipo non verbale sono quelle che aiutano a visualizzare mentalmente i concetti corrispondenti alle parole. Sono immagini anche i sentimenti, che costituiscono lo sfondo di ogni istante mentale e in larga misura denotano aspetti dello stato in cui si trova il corpo. La percezione - quale che sia la modalità sensoriale coinvolta - è il risultato delle abilità cartografiche del cervello.
Le immagini rappresentano le proprietà fisiche di entità diverse, insieme alle loro relazioni spazio temporali e alle loro azioni. Alcune immagini, probabilmente derivanti dal fatto che il cervello costruisce anche mappe di se stesso intento a tracciare mappe, sono effettivamente molto astratte. Esse descrivono configurazioni di oggetti nel tempo e nello spazio, oppure le relazioni spaziali e il movimento di oggetti in termini di velocità e traiettoria, eccetera. Alcune immagini penetrano in composizioni musicali o descrizioni matematiche. Il processo della mente è un flusso continuo di tali immagini, alcune delle quali corrispondono ad attività reali in corso esternamente al cervello, mentre altre isono ricostruite, recuperandole dalla memoria nel processo del ricordo. La mente è una combinazione elusiva: un flusso continuo di immagini, reali e richiamate dalla memoria, in proporzioni sempre mutevoli. Le immagini della mente tendono a essere legate fra loro in modo logico; lo sono di sicuro quando corrispondono a eventi che hanno luogo nel mondo esterno o nel corpo, i quali sono entrambi - di per se stessi - governati dalle leggi della fisica e della biologia che definiscono ciò che noi consideriamo logico. Naturalmente, quando si sogna a occhi aperti, è possibile produrre continuità illogiche fra un’immagine e l’altra, proprio come quando si hanno le vertigini e quando si assumono allucinogeni: in realtà, anche se le immagini ci dicono altrimenti, la stanza non sta girando, il tavolo non ci sta venendo incontro. Se si escludono queste situazioni molto particolari, nella maggior parte dei casi il flusso delle immagini procede in avanti nel tempo, velocemente o lentamente, in modo ordinato o a balzi, e a volte sviluppandosi non soltanto in una, ma in più sequenze. A volte queste ultime sono simultanee e scorrono in parallelo; in altri casi si intersecano e si sovrappongono. Quando i processi della mente cosciente sono al massimo dell’intensità, la sequenza di immagini è ridotta all’essenziale, e lascia a malapena intravedere gli aspetti marginali circostanti.
Oltre alla logica imposta dal dispiegamento degli e-venti nella realtà esterna al cervello - una disposizione logica che i nostri circuiti cerebrali, soggetti a selezione naturale, lasciano presagire fin dai primissimi stadi di sviluppo -, le immagini presenti nella nostra mente hanno, nel flusso mentale, una maggiore o minore rilevanza a seconda del loro valore per l’individuo. Ma da dove proviene quel valore? Dall’insieme originale delle disposizioni che orientano la regolazione dei nostri processi vitali, come pure dalle valutazioni associate a tutte le immagini gradualmente acquisite nella nostra esperienza, a loro volta basate sull’insieme originale di disposizioni riguardanti il valore della nostra storia passata. In altre parole, la mente non riguarda semplicemente le immagini che entrano in modo naturale nel suo flusso. Riguarda anche le scelte di editing - in qualche modo simili al montaggio cinematografico - promosse dal nostro pervasivo sistema del valore biologico. Nella mente non vale la regola secondo cui chi arriva prima è servito per primo. Si tratta piuttosto di scelte che hanno una connotazione di valore e sono inserite, nell’arco del tempo, in un contesto logico.4
Infine - e questo è un altro aspetto essenziale - la mente può essere o non essere dotata di coscienza. Le immagini continuano a formarsi, tanto nella percezione quanto nella rievocazione, anche quando noi non ne siamo coscienti. Molte immagini non si guadagnano mai l’attenzione della coscienza e non sono mai udite o viste in modo diretto dalla mente cosciente. In molti casi, tuttavia, esse sono comunque in grado di influenzare il nostro pensiero e le nostre azioni. È possibile che un processo mentale ricco, legato al ragionamento e al pensiero creativo, continui a svilupparsi perfino mentre la coscienza si occupa di qualcos’altro. Tornerò sulle questioni legate alla mente non cosciente nella quarta parte.
In conclusione, le immagini sono basate su cambiamenti che hanno luogo nel corpo e nel cervello durante l’interazione fìsica con un oggetto. I segnali inviati dai sensori distribuiti nel corpo creano configurazioni neurali che mappano l’interazione dell’organismo con l’oggetto. Le configurazioni neurali si formano in modo transitorio nelle diverse regioni sensoriali e motorie del cervello che normalmente ricevono segnali da specifiche regioni del corpo. L’assemblaggio di queste configurazioni neurali transitorie viene effettuato da un insieme di circuiti neuronali selezionati, reclutati attraverso la stessa interazione. Possiamo immaginare quei circuiti neuronali come unità costruttive preesistenti all’interno del cervello.
La formazione di mappe cerebrali è un aspetto funzionale distintivo di un sistema dedicato alla gestione e al controllo dei processi vitali. La capacità del cervello di tracciare mappe serve alle sue finalità gestionali. A un livello semplice, la mappatura può rilevare la presenza di un oggetto nello spazio oppure fornire la sua posizione o la direzione della sua traiettoria. Questo può rivelarsi utile per monitorare, allo stesso modo, l’emergere di un pericolo o di un’opportunità: per evitare uno, come per cogliere l’altra. E nel momento in cui la nostra mente si serve di numerose mappe per ogni modalità sensoriale creando una prospettiva sfaccettata dell’universo esterno al cervello, ecco che possiamo rispondere con maggior precisione agli oggetti e agli eventi che hanno luogo in quell’universo. Inoltre, una volta che le mappe vengono consegnate alla memoria, dalla quale possono poi essere recuperate sotto forma di immagini rievocate, ecco che diventa possibile pianificare il futuro e inventare risposte più efficaci.
LA NEUROLOGIA DELLA MENTE
È ragionevole chiedersi quali parti del cervello abbiano a che fare con la mente e quali no? La domanda è insidiosa ma legittima. Un secolo e mezzo di ricerca sulle conseguenze delle lesioni cerebrali ci ha fornito le informazioni necessarie per abbozzare una risposta preliminare. Nonostante diano un contributo rilevante a importanti funzioni del cervello, alcune regioni cerebrali non sono implicate nei fondamentali processi di creazione della mente; altre regioni vi sono decisamente implicate a un livello basilare indispensabile; altre ancora, infine, coadiuvano la creazione della mente, eseguendo compiti che implicano la generazione e la rigenerazione di immagini, come pure la gestione del loro flusso (per esempio l' editing delle immagini e la creazione di continuità).
Tutto il midollo spinale - questo è evidente - non è essenziale per i fondamentali processi di creazione della mente. La perdita completa del midollo spinale dà luogo a gravissimi deficit motori, a una perdita profonda della sensazione corporea e a una certa attenuazione .dell’emozione e del sentimento. Tuttavia, fintanto che il nervo vago, che corre parallelamente al midollo, è risparmiato (e in questi casi lo è quasi sempre) la segnalazione incrociata fra corpo e cervello rimane abbastanza robusta per assicurare il controllo autonomo, per gestire le emozioni e i sentimenti fondamentali e per conservare gli aspetti della coscienza che necessitano degli input provenienti dal corpo. Di sicuro i processi di creazione della mente non sono cancellati da un danno al midollo spinale: ce lo hanno dimostrato benissimo i tristi casi di persone che hanno riportato lesioni midollari a causa di incidenti, a prescindere dal livello al quale è localizzato il danno. La bella mente di Christopher Reeve sopravvisse all’estesa lesione midollare in cui egli era incorso, e allo stesso modo fu risparmiata la sua coscienza. Ebbi modo di incontrarlo di persona e ricordo che esteriormente vi era una leggera compromissione, circoscritta al controllo fine delle espressioni emozionali. Ho il sospetto che le rappresentazioni mentali degli stimoli somatosensoriali provenienti dagli arti e dal tronco siano assemblate completamente, insieme ai segnali provenienti sia dal midollo spinale sia dal nervo vago, solo a livello dei nuclei del tronco encefalico superiore; il midollo rimane quindi in una posizione periferica rispetto ai processi fondamentali di creazione della mente. (Un altro modo di collocare il midollo spinale rispetto a tali processi consiste nell’affermare che - sebbene, quando sono presenti, i suoi contributi siano apprezzabili - la funzione globale non risente della loro assenza. In seguito a un’interruzione del midollo spinale, i pazienti, che pure non sentono dolore, mostrano tuttavia riflessi « legati al dolore »: la mappatura della lesione tissutale, infatti, non viene più inviata al tronco encefalico e alla corteccia cerebrale, ma è ancora eseguita a livello midollare).
La stessa esenzione si applica - di sicuro nel caso degli adulti - anche al cervelletto. Quest’organo ha un ruolo importante nel coordinare il movimento e nel modulare le emozioni; è inoltre implicato nell’apprendimento e nel ricordo di abilità, come pure negli aspetti cognitivi del loro sviluppo. Tuttavia, da quanto è dato di capire, i processi fondamentali di creazione della mente non sono affar suo. Possiamo dire lo stesso dell’ippocampo -una struttura essenziale per l’apprendimento di nuovi dati e regolarmente impegnata nel normale processo del recupero dei ricordi -, la cui assenza non compromette i fondamentali processi di creazione della mente. Sia il cervelletto, sia l’ippocampo coadiuvano i processi di editing e di continuità legati a immagini e movimento, insieme a diverse regioni corticali dedicate al controllo motorio, le quali sono probabilmente anch’esse importanti per la composizione della continuità nel processo della mente. Questo è naturalmente essenziale per il funzionamento generale della mente, ma non è necessario per la costruzione delle immagini a un livello elementare. Le evidenze negative riguardanti le capacità di creazione della mente da parte dell’ippocampo e delle cortecce adiacenti sono molto convincenti. Esse sono legate ai comportamenti e alle descrizioni introspettive di pazienti il cui ippocampo e la cui corteccia temporale anteriore siano stati distrutti su entrambi i lati in seguito ad anossia, encefalite da herpes simplex o ablazione chirurgica. Nei soggetti con queste lesioni, l’apprendimento di fatti nuovi è largamente precluso, come lo è anche, in misura maggiore o minore, la possibilità di ricordare il passato. La mente di questi pazienti, d’altra parte, conserva un’immensa ricchezza; essi hanno una percezione pressoché normale nei domini visivo, uditivo e tattile, e mantengono una notevole capacità di ricordare conoscenze a livello generale (non particolare). I fondamentali aspetti della loro coscienza sono in larga misura intatti.
Quando passiamo a considerare la corteccia cerebrale, lo scenario è radicalmente diverso: numerose regioni corticali sono inequivocabilmente coinvolte nella formazione delle immagini poi contemplate e manipolate nella mente. Quanto alle cortecce che non creano immagini, esse mostrano comunque la tendenza al coinvolgimento nella loro registrazione o manipolazione, durante i processi di ragionamento, decisione e azione. Di sicuro creano immagini le cortecce sensoriali di ordine inferiore interessate alla visione, all’udito, alla sensazione somatica, al gusto e all’olfatto; queste isole nell’oceano della corteccia cerebrale sono coadiuvate nel loro compito da nuclei talamici di due tipi: i nuclei di relè (che portano input dalla periferia) e i nuclei associativi (che hanno connessioni a doppio senso con estesi settori della corteccia cerebrale).
A sostegno di questa asserzione, vi sono prove solide. Noi sappiamo che un danno significativo in una qualsiasi isola della corteccia sensoriale compromette estesamente la capacità di quel particolare settore di creare mappe. Chi subisce danni bilaterali alle cortecce visive di ordine inferiore, per esempio, diventa « cieco corticale». I pazienti così colpiti non sono più in grado di formare immagini visive dettagliate non solo a livello percettivo, ma spesso anche mnemonico. Può rimanere loro una cosiddetta visione cieca residua, grazie alla quale stimoli che non raggiungono la coscienza permettono comunque, in una certa misura, una guida visiva dell’azione. Una situazione simile si applica a scenari in cui il danno significativo riguarda altre cortecce sensoriali. Sebbene non primariamente coinvolto nella creazione di immagini, il resto della corteccia cerebrale - l’oceano intorno alle isole - partecipa alla loro costruzione ed elaborazione: in altre parole, alla registrazione, al richiamo e alla manipolazione delle immagini generate nelle cortecce sensoriali di ordine inferiore (tutti processi discussi nel capitolo 6) .5
Contrariamente alla tradizione e alle convenzioni, però, io sono convinto che la mente non sia generata sol-
Tabella 3.1 Diversi tipi di mappe (immagini) e i rispettivi oggetti. Quando sono esperite, le mappe diventano immagini. Una mente normale contiene immagini di tutte e tre le varietà descritte qui sopra. Le immagini dello stato interno di un organismo costituiscono i sentimenti primordiali. Le immagini di altri aspetti dell' organismo combinate con quelle dello stato interno costituiscono specifici sentimenti corporei I sentimenti delle emozioni sono variazioni di sentimenti corporei complessi, causate da un oggetto specifico e riferite a esso. Le immagini del mondo esterno sono normalmente accompagnate da immagini del I e II tipo.
I sentimenti sono una varietà di immagine, resa speciale dalla loro particolare relazione con il corpo (si veda cap. 4). I sentimenti sono immagini spontaneamente sentite. Tutte le altre immagini sono sentite perché accompagnate dalle particolari immagini che chiamiamo sentimenti.
tanto a livello della corteccia cerebrale, ma che le sue prime manifestazioni affiorino nel tronco encefalico. L’idea che l’elaborazione della mente inizi a questo livello è così poco convenzionale da non riuscire nemmeno a essere impopolare; fra chi l’ha difesa con grande passione, voglio citare Jaak Panksepp. Questa idea è tutt’uno con quella secondo cui nel tronco encefalico affiorerebbero anche i primi sentimenti.6 Due nuclei di questa regione - il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale - sono coinvolti nella produzione di alcuni aspetti basilari della mente, in particolare i sentimenti generati dagli eventi quotidiani, compresi quelli descritti come dolore e piacere. Io visualizzo le mappe create da queste strutture come rappresentazioni semplici e in larga misura prive di dettaglio spaziale che tuttavia danno luogo ai sentimenti. Questi ultimi sono, con ogni probabilità, i costituenti primordiali della mente, basati su afferenze provenienti direttamente dal corpo. È interessante osservare che essi sono anche componenti primordiali e indispensabili del sé e che costituiscono, per la mente, la primissima rivelazione del fatto che il suo organismo è vivo.
Questi importanti nuclei del tronco encefalico non producono semplici mappe virtuali del corpo; piuttosto producono stati corporei sentiti. E se il dolore e il piacere sono sentiti nel modo che è loro proprio, le strutture che dobbiamo ringraziare per prime sono sia questi nuclei del tronco encefalico, sia le strutture motorie localizzate nei nuclei del grigio periacqueduttale, attraverso le quali essi dialogano incessantemente con il corpo.
GLI ESORDI DELLA MENTE
Per illustrare quello che intendo dire quando parlo degli esordi della mente, devo discutere, sia pure in breve, tre fonti di prova. Una è offerta dai pazienti le cui cortecce insulari hanno subito lesioni; un’altra dai bambini nati senza corteccia cerebrale; la terza, infine, ha a che fare con le funzioni del tronco encefalico in generale e con quelle dei collicoli superiori (cs) in particolare.
Dolore e piacere dopo la distruzione delle cortecce insulari
Nel capitolo dedicato alle emozioni (cap. 5) vedremo che le cortecce insulari sono inequivocabilmente implicate nell’elaborazione di un’ampia gamma di sentimenti, da quelli che seguono l’emozione a quelli che indicano piacere o dolore, noti come sentimenti corporei. Purtroppo, le prove solide che stabiliscono una relazione fra i sentimenti e l’insula sono state interpretate come altrettante indicazioni dell’opportunità di cercare il substrato di tutti i sentimenti esclusivamente a livello corticale; le cortecce insulari si pongono pertanto come il grossolano equivalente delle cortecce visive e uditive di ordine inferiore. D’altra parte, proprio come la distruzione di queste ultime non abolisce la visione e l’udito, la completa distruzione delle cortecce insulari - in senso anteroposteriore e in entrambi gli emisferi, destro e sinistro - non dà luogo a una completa abolizione del sentimento. Al contrario, i sentimenti di dolore e piacere permangono anche in seguito alle lesioni causate dall’encefalite erpetica che interessano entrambe le cortecce insulari. Insieme ai miei colleghi Hanna Damasio e Daniel Tranel, ho ripetutamente osservato che i pazienti così colpiti rispondono con piacere o dolore a una varietà di stimoli, continuano a provare emozioni e le descrivono in modo inequivocabile. Essi riferiscono disagio in presenza di temperature estreme; sono infastiditi dai compiti noiosi e si irritano quando vedono respingere le proprie richieste. La reattività sociale dipendente dalla presenza di sentimenti emozionali non è compromessa. L’attaccamento è conservato perfino nei confronti di persone che non possono essere riconosciute come amate o amiche perché, a causa della sindrome erpetica, il danno concomitante al settore anteriore dei lobi temporali compromette gravemente la memoria auto-biografica. La manipolazione sperimentale degli stimoli, inoltre, dà luogo a modificazioni dimostrabili dell’esperienza dei sentimenti.7
È ragionevole ipotizzare che in assenza di entrambe le cortecce insulari i sentimenti di dolore e piacere affiorino in due nuclei del tronco encefalico già menzionati, il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale, entrambi adatti a ricevere segnali dall’interno del corpo. Negli individui normali essi inviano i loro segnali alla corteccia insulare attraverso i nuclei dedicati del talamo (cap. 4). In breve, mentre i nuclei del tronco encefalico assicurerebbero sentimenti a un livello elementare, le cortecce insulari ne fornirebbero una versione più differenziata e, cosa più importante, sarebbero in grado di metterli in relazione con altri aspetti della cognizione basati su attività cerebrali che si svolgono altrove.8
Le prove indirette a favore di questa idea sono stringenti. Il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale ricevono un insieme di segnali che descrivono lo stato del milieu interno di tutto il corpo. Nulla sfugge loro: vi sono segnali provenienti dal midollo spinale e dal nucleo del trigemino; e vi sono anche segnali provenienti da regioni «nude» del cervello che - come la vicina area postrema (ap) - sono prive della barriera ematoencefalica protettiva e rispondono direttamente alle molecole presenti nel circolo sanguigno. Tutti questi segnali compongono un quadro generale del milieu interno e dei visceri, e quel quadro è la componente primaria dei nostri stati del sentire. Questi nuclei presentano abbondanti connessioni sia fra di loro, sia con il grigio periacqueduttale (gpa) , localizzato nelle vicinanze. Il gpa è un complesso insieme di nuclei, con subunità multiple, ed è il sito di origine di un’ampia gamma di risposte emozionali legate alla difesa, all’aggressività e alla gestio-
Figura 3.1 La tavola A mostra i risultati della risonanza magnetica effettuata su un paziente con una compromissione completa della corteccia insulare in entrambi gli emisferi, destro e sinistro. A sinistra è mostrata una ricostruzione tridimensionale del cervello del paziente. Sulla destra sono riportate due sezioni del cervello (1 e 2) condotte secondo un piano di taglio verticale e orizzontale (rispettivamente linea 1 e linea 2, nel disegno a sinistra). L’area che nelle sezioni appare in nero corrisponde al tessuto cerebrale distrutto dalla malattia. Le frecce bianche indicano la posizione in cui dovrebbe trovarsi, su ciascun lato, l’insula. La tavola B mostra, a sinistra, un cervello normale in tre dimensioni, e a destra due sezioni condotte allo stesso livello di quelle mostrate in A. Le frecce nere indicano la normale corteccia dell’insula.
ne del dolore. Il riso e il pianto, le espressioni di disgusto e di paura, come pure le risposte di immobilizzazione o di fuga nelle situazioni di paura sono tutte reazioni innescate dal gpa. Le connessioni in entrata e in uscita da questi nuclei sono adattissime a produrre rappresentazioni complesse. I loro schemi di connessione fonda-mentali qualificano queste regioni come idonee alla creazione di immagini; quanto al tipo di immagini generate, si tratta di sentimenti: i primi passi nella costruzione della mente, essenziali per la conservazione della vita. Da un punto di vista ingegneristico (intendo dire dal punto di vista evolutivo), è dunque senz’altro logico che i loro meccanismi fondamentali siano basati su strutture collocate nelle immediate vicinanze di quelle deputate alla regolazione dei processi vitali.9
La strana situazione dei bambini nati senza corteccia cerebrale
Per ragioni diverse, alcuni bambini possono nascere con le strutture del tronco encefalico intatte ma in larga misura privi di quelle telencefaliche, e precisamente privi di corteccia cerebrale, talamo e gangli basali. Questa sfortunata condizione è comunemente dovuta a un grave ictus verificatosi in utero, in conseguenza del quale tutta la corteccia cerebrale, o gran parte di essa, è stata danneggiata o riassorbita, e viene sostituita con fluido cerebrospinale. Questa situazione è nota come idroanencefalia, per distinguerla dai difetti dello sviluppo - generalmente noti come anencefalia - nei quali, oltre alla corteccia cerebrale, risultano compromesse anche altre stutture.10 I bambini così colpiti possono sopravvivere per molti anni, anche oltre l’adolescenza; sono spesso etichettati come «vegetativi» e di solito vengono ricoverati in istituzioni apposite.
Questi soggetti, d’altra parte, sono tutt’altro che «vegetativi». Al contrario: sono svegli, ed esibiscono un comportamento. In una misura limitata ma assolutamente non trascurabile, sono in grado di interagire con il mondo e di comunicare con chi si prende cura di loro. È chiaro che sono dotati di mente, in un modo ben diverso dai pazienti in stato vegetativo o con mutismo acinetico. La loro disgraziata condizione ci offre una finestra preziosa per contemplare il tipo di mente che può essere generata in assenza di corteccia cerebrale.
Come sono questi bambini sfortunati? Possono compiere movimenti molto limitati a causa della scarsa tonicità della muscolatura del rachide e della spasticità degli arti. Riescono però a muovere liberamente la testa e gli occhi, presentano espressioni facciali che rivelano emozioni, e possono sorridere in risposta a stimoli - come un giocattolo o un suono particolare - verso i quali ci aspetteremmo di veder sorridere anche un bambino normale; possono inoltre ridere ed esprimere una normale allegria quando si fa loro il solletico. Fanno il broncio e si allontanano dagli stimoli dolorosi. Riescono a muoversi in direzione di un oggetto o di una situazione che desiderano: per esempio strisciano vèrso una zona del pavimento inondata dalla luce del sole e dove possono scaldarsi traendo un evidente beneficio dal tepore. I bambini hanno un’aria soddisfatta e manifestano esternamente il tipo di sentimenti che ci aspetteremmo in seguito a una risposta emozionale appropriata allo stimolo.
Questi bambini sono capaci di orientare la testa e gli occhi, anche se in modo imprevedibile, verso la persona che si rivolge a loro o che li tocca; rivelano inoltre di avere preferenze per persone distinte. Tendenzialmente, temono gli estranei e sembrano felici soprattutto quando sono vicini alla madre o a chi si prende abituale cura di loro. Simpatie e antipatie sono palesi, nessuna lampante come quella per la musica. Questi bambini amano alcuni brani musicali più di altri; possono rispondere al suono di strumenti diversi e a diverse voci umane. Riescono anche a rispondere a tempi e stili compositivi differenti. La loro faccia riflette bene lo stato emozionale. In breve, sono allegri soprattutto quando vengono toccati o si fa loro il solletico, quando si fa loro ascoltare la musica che preferiscono, e quando si mettono davanti ai loro occhi certi giocattoli. È chiaro che riescono a udire e vedere, anche se non abbiamo alcun modo di sapere in quale misura riescano a farlo; le loro facoltà uditive sembrano superiori a quelle visive.
Quali che siano, l’udito e la vista di questi bambini sono necessariamente un prodotto dell’attività subcorticale: con ogni probabilità dei collicoli, che sono integri. Anche i loro sentimenti, quali che siano, vengono ottenuti a livello subcorticale grazie all’attività del nucleo del tratto solitario e del nucleo parabrachiale, entrambi intatti; questi bambini infatti non hanno cortecce insulari o somatosensoriali I e II che possano essere d’aiuto in tale compito. Le emozioni che essi producono devono essere innescate dai nuclei del grigio periacqueduttale ed eseguite dai nuclei dei nervi cranici che controllano le espressioni facciali delle emozioni (anch’essi intatti) . La gestione dei processi vitali è sostenuta da un ipotalamo intatto, localizzato subito sopra il tronco encefalico e coadiuvato da un sistema endocrino pure intatto e dal sistema del nervo vago. In età puberale, le bambine idroanencefaliche cominciano ad avere il ciclo mestruale.
Che questi soggetti offrano una qualche evidenza di processi mentali è fuori di dubbio. Allo stesso modo, le loro espressioni di gioia - mantenute per molti secondi e anche per minuti e consone allo stimolo che le causa -possono essere ragionevolmente associate a stati del sentire. È inevitabile per me assumere che il grande piacere che essi mostrano sia davvero un piacere sentito, anche se non possono esprimerlo verbalmente. Stando così le cose, essi si troverebbero al livello più basso di un meccanismo che porta per gradi alla coscienza: precisamente, il livello in corrispondenza del quale i sentimenti sono connessi a una rappresentazione integrata dell’organismo (un proto-sé), forse modificata dalla concentrazione su un oggetto, la quale costituisce un’esperienza elementare.
La possibilità che essi abbiano davvero una mente cosciente, per quanto molto modesta, è sostenuta da un interessante riscontro: le persone che assistono questi bambini rilevano facilmente l’insorgere di una crisi di assenza; sono anche in grado di capire quando la crisi si esaurisce, riferendo che « il bambino è tornato in sé ». Le crisi sembrano dunque sospendere il sia pur minimo livello di coscienza normalmente presente in questi soggetti.
Gli individui idroanencefalici presentano un quadro molto inquietante, che ci fornisce informazioni sui limiti delle strutture del tronco encefalico e della corteccia cerebrale negli esseri umani. Questa condizione smentisce chi sostiene che la capacità di sentire, i sentimenti e le emozioni si originerebbero esclusivamente nella corteccia cerebrale. Non può essere così: in questi casi, naturalmente, l’entità del sentire, del sentimento é dell’emozione possibile è limitatissima, e - cosa molto importante - non è collegata all’orizzonte più ampio della mente che solo la corteccia cerebrale, in effetti, può fornire. Avendo trascorso buona parte della mia vita a studiare gli effetti dei danni cerebrali sulla mente e il comportamento degli esseri umani, però, posso affermare che questi bambini hanno ben poco in comune con i pazienti in stato vegetativo, nei quali l’interazione con il mondo è ancora più ridotta: una condizione che può essere causata da danni localizzati proprio nelle regioni che sono intatte negli individui idroanencefalici. Ammesso che si possa tracciare un parallelo, escludendo i deficit motori, i bambini idroanencefalici potrebbero essere accostati ai neonati, nei quali - sebbene il sé nucleare stia a malapena cominciando ad affiorare -l’esistenza della mente è chiara. Questo è in linea con il fatto che l’idroanencefalia può essere diagnosticata a distanza di mesi dalla nascita, quando i genitori notano uno sviluppo insufficiente e le scansioni cerebrali rivelano una catastrofica assenza di corteccia. La ragione alla base di questa vaga somiglianza non è troppo difficile da immaginare: nei neonati normali la corteccia cerebrale deve ancora svilupparsi e completare il processo di mielinizzazione; i bambini appena nati hanno un tronco encefalico funzionale, ma una corteccia cerebrale che lo è solo in parte.
Una nota sul collicolo superiore
I collicoli superiori sono parte del tetto, una regione che ha stretti rapporti con i nuclei del grigio periacqueduttale e, indirettamente, con il nucleo del tratto solitario e il nucleo parabrachiale. Il coinvolgimento del collicolo superiore nel comportamento associato alla vista è ben noto. Il possibile ruolo di queste strutture nel processo della mente e del sé viene tuttavia preso in considerazione solo di rado, sebbene si possano trovare notevoli eccezioni nel lavoro di Bernard Strehler, Jaak Panksepp e Björn Merker.11 L’anatomia del collicolo superiore è affascinante, al punto da imporci di formulare qualche ipotesi sulle sue funzioni. Questa struttura presenta sette strati; gli strati dal I al III sono detti «superficiali», mentre quelli dal IV al VII sono denominati «profondi». Tutte le connessioni degli strati superficiali, in entrata e in uscita, hanno a che fare con la visione, e lo strato II - il più importante strato superficiale - riceve segnali dalla retina e dalla corteccia visiva primaria. Questi strati superficiali costruiscono una mappa retinotopica del campo visivo controlaterale.12
Gli strati profondi del collicolo superiore contengono, insieme a una mappa del mondo visivo, mappe topografiche dell’informazione uditiva e somatica, quest’ultima proveniente dal midollo spinale e dall’ipotalamo. Dal punto di vista spaziale, i tre tipi di mappe - visive, uditive e somatiche - sono « in registro »: in altre parole, sono sovrapposte in modo così preciso che l’informazione disponibile in una mappa, riguardante per esempio la visione, corrisponde all’informazione contenuta in un’altra mappa, che ha a che fare con l’udito o con lo stato del corpo.13 Nel cervello non vi è alcun altro luogo in cui l’informazione visiva, uditiva e somatica (riguardante molteplici stati del corpo) sia sovrapposta in modo altrettanto letterale, tale da offrire una prospettiva integrata così efficace. L’integrazione è resa ancor più significativa dal fatto che i suoi risultati hanno accesso al sistema motorio (attraverso le vicine strutture del grigio periacqueduttale e attraverso la corteccia cerebrale).
L’altro giorno, una graziosa lucertolina sfrecciava sul mio terrazzo nel tentativo di catturare una stupida mosca che insisteva a ronzarle intorno volando pericolosamente bassa. La lucertola seguiva la mosca con gran precisione e alla fine l’ha catturata estraendo la lingua al momento giusto. Nei suoi collicoli, i neuroni avevano tracciato la posizione della preda istante per istante, guidando i muscoli di conseguenza, e inducendo infine l’estroflessione della lingua quando la mosca si era trovata a portata di tiro. La perfezione adattativa di questo comportamento visuomotorio rispetto all’ambiente in cui viene eseguito lascia sbalorditi. Immaginiamo ora, nel collicolo superiore della lucertola, la scarica rapida e sequenziale dei neuroni: ancora una volta c’è da rimanere sbalorditi, e vale la pena di fermarsi un secondo a riflettere. Che cosa ha visto la lucertola? Non lo so per certo, ma suppongo che abbia percepito un punto nero in movimento, una macchia che si spostava zigzagando in un campo visivo altrimenti vago. Che cosa sapeva la lucertola a proposito dell’evento in corso? Ho il sospetto che - nella nostra accezione del termine - non ne sapesse proprio nulla. E che cosa sentiva mentre stava consumando il suo pranzo conquistato al prezzo di tanta fatica? Suppongo che il tronco encefalico dell’animale abbia registrato il successo del suo comportamento finalizzato, insieme ai risultati di un miglioramento dell’omeostasi. Probabilmente, nella lucertola, i substrati dei sentimenti erano presenti, sebbene essa non potesse riflettere sulla straordinaria abilità di cui aveva appena dato prova. Non sempre è facile essere verdi.
Questa impressionante integrazione di segnali serve a uno scopo ovvio e immediato, e cioè la raccolta di informazioni necessarie a guidare un’azione efficace, sia essa il movimento degli occhi, degli arti o della lingua. Tutto questo viene realizzato grazie alle ricche connessioni che proiettano dai collicoli a tutte le regioni necessarie per guidare efficacemente il movimento: al tronco encefalico e al midollo spinale, come al talamo e alla corteccia cerebrale. D’altra parte è possibile che - oltre a ottenere una guida efficace del movimento - questa utile organizzazione abbia anche delle conseguenze mentali « interne ». Con ogni probabilità, anche le mappe integrate e bene allineate del collicolo superiore generano immagini: mai ricche come quelle costruite nella corteccia cerebrale, ma pur sempre immagini. È probabile che, in parte, l’esordio della mente sia da ricercarsi qui, e sempre qui potrebbe trovarsi anche quello del sé.14
Che dire del collicolo superiore negli esseri umani? Nella nostra specie, la distruzione selettiva di questa struttura è un evento raro: a tal punto che la letteratura neurologica registra un unico caso di lesione bilaterale, fortunatamente studiato da un grande neurologo e neuroscienziato, Derek Denny-Brown.15 La lesione era derivata da un trauma al quale il paziente sopravvisse per mesi, in uno stato di coscienza gravemente compromesso che ricordava molto un caso di mutismo acinetico. Questo quadro indica una compromissione dell’attività mentale; devo tuttavia aggiungere che quando mi capitò di incontrare un paziente con lesione collicolare, potei rilevare solo un breve disturbo della coscienza.
Una volta che le cortecce siano andate perdute, vedere servendosi esclusivamente del collicolo equivale probabilmente a rilevare che un qualche oggetto X non specificato si sta muovendo - per esempio allontanandosi o avvicinandosi - in uno dei quadranti del campo visivo. In nessuno dei due casi potrei servirmi della mente per descrivere che cosa sia l’oggetto in questione, e potrei non essere nemmeno cosciente di esso: qui stiamo parlando di una mente molto vaga, che raccoglie informazioni appena abbozzate sul mondo circostante; il fatto che le immagini siano vaghe è incomplete, d’altra parte, non ne riduce o annulla l’utilità, come ben dimostra il fenomeno della visione cieca. Quando però le cortecce visive sono assenti fin dalla nascita, come nei casi di idroanencefalia descritti prima, il contributo del collicolo superiore e di quello inferiore al processo della mente può essere più sostanziale.
Devo aggiungere un ultimo fatto alle varie evidenze a favore della promozione dei collicoli superiori allo status di strutture implicate nel processo della mente. Essi producono oscillazioni elettriche nell’intervallo delle frequenze gamma, un fenomeno che è stato messo in relazione con l’attivazione sincrona dei neuroni e che è stato proposto dal neurofisiologo Wolf Singer come correlato della percezione coerente, se non addirittura della coscienza. Finora, se si esclude la corteccia cerebrale, il collicolo superiore è l’unica regione cerebrale nella quale siano note oscillazioni nell’intervallo delle frequenze gamma.16
CI SIAMO AVVICINATI ALLA CREAZIONE DELLA MENTE?
Il quadro che emerge da quanto abbiamo appena visto indica che la creazione della mente è un’attività altamente selettiva: non tutto il sistema nervoso centrale è uniformemente coinvolto nel processo. Alcune regioni non vi sono implicate; altre lo sono, ma non hanno un ruolo da protagoniste; altre ancora svolgono gran parte del lavoro. Fra queste ultime, alcune forniscono immagini dettagliate; altre, un tipo di immagine semplice ma fondamentale, come i sentimenti corporei. Tutte le regioni implicate nella creazione della mente presentano configurazioni di connettività reciproca altamente differenziate, indicative di un’integrazione molto complessa dei segnali.
La contrapposizione fra regioni che contribuiscono o meno alla formazione della mente non dice nulla sul genere di segnali che i neuroni debbano produrre; non specifica le frequenze o le intensità di scarica nauronale, né le modalità di interazione fra gruppi di neuroni. Ci dice invece qualcosa circa alcuni aspetti dello schema di connessione necessario affinché i neuroni siano coinvolti nei processi di formazione della mente. I siti corticali coinvolti, per esempio, sono gruppi di regioni interconnesse che si organizzano intorno all’ingresso degli input provenienti dalle sonde sensoriali periferiche. I siti coinvolti a livello subcorticale, in questo caso nuclei, sono anch’essi gruppi di regioni intensamente interconnesse, e sono anch’essi organizzati intorno ad afferenze che però originano in un’altra «periferia», più precisamente il corpo.
Un ulteriore requisito, che si applica allo stesso modo alla corteccia cerebrale e ai nuclei subcorticali, è il seguente: fra le regioni che formano la mente deve esistere una intensa interconnessione, così che vi sia una ricorsività diffusa e si ottenga uno scambio di segnali incrociati di grande complessità - un aspetto che, nel caso della corteccia, è amplificato dalle interconnessioni corticotalamiche. (I termini « rientrante » e « ricorsivo » si riferiscono a segnali che, invece di limitarsi a procedere lungo una catena, ritornano anche al sito di origine, ovvero all'insieme di neuroni dove ciascun elemento della catena ha inizio). Le regioni corticali coinvolte nella formazione della mente ricevono anche numerosi input da diversi nuclei localizzati a livelli inferiori, alcuni nel tronco encefalico e altri nel talamo; questi modulano l’attività corticale per mezzo di neuromodulatori (come le catecolamine) e neurotrasmettitori (come il glutammato) .
Infine, è necessaria pure una certa sincronizzazione dei segnali, in modo che tutti gli elementi di uno stimolo simultaneamente afferenti dalla sonda sensoriale periferica possano rimanere uniti anche durante l’elaborazione a livello cerebrale. Affinché emergano gli stati mentali, piccoli circuiti neuronali devono comportarsi in un modo molto particolare. In quelli la cui attività segnala la presenza di un certo aspetto, per esempio, i neuroni aumentano la frequenza di scarica. Insiemi di neuroni che cooperano per indicare una qualche combinazione di caratteristiche devono sincronizzare la propria frequenza di scarica. Questo fu dimostrato per la prima volta nelle scimmie da Wolf Singer e dai suoi colleghi (e anche da R. Eckhom), i quali scoprirono che regioni separate della corteccia visiva, implicate nell’elaborazione dello stesso oggetto, presentavano un’attività sincronizzata intorno a 40 Hz.17 Probabilmente la sincronizzazione viene ottenuta mediante oscillazioni dell’attività nauronale. Quando il cervello sta formando immagini percettive, i neuroni delle regioni separate che contribuiscono al percetto esibiscono oscillazioni sincronizzate nell’intervallo delle alte frequenze gamma. Questo potrebbe essere parte del segreto alla base del «legame» fra regioni separate, ottenuto grazie agli aspetti temporali dell’attività nauronale; invocherò questo tipo di meccanismo per spiegare il funzionamento delle zone di convergenza-divergenza (cap. 6) e la costruzione del sé (capp. 8, 9 e 10).18 In altre parole, oltre a costruire mappe dettagliate in corrispondenza di numerosi siti separati, il cervello deve poi metterle in reciproca relazione, formando insiemi coerenti. La chiave di questa relazione potrebbe benissimo essere la sincronizzazione.
Riassumendo, il concetto di mappa come entità discreta è soltanto un’utile astrazione, la quale nasconde il numero elevatissimo di interconnessioni neuronali che è implicato in ogni singola regione e sta alla base di un’enorme complessità di segnalazione. Quelli che noi sperimentiamo come stati mentali corrispondono non solo all’attività in un’area cerebrale separata e distinta, ma anche al risultato dell’intenso scambio di segnali ricorsivi che coinvolge numerose regioni. Nondimeno -come sosterrò nel capitolo 6 -, gli aspetti espliciti di alcuni contenuti mentali (una faccia specifica, una certa voce) sono probabilmente assemblati all’interno di un particolare insieme di regioni cerebrali la cui struttura si presta al compito di costruire le mappe, anche se con l’ausilio e il contributo di altre regioni. Detto diversa-mente, dietro alla costruzione della mente vi è una certa specificità anatomica: una qualche differenziazione fine nel vortice della generale complessità nauronale.
Quando ci si dibatte nel tentativo di comprendere la base neurale della mente, è legittimo chiedersi se quanto abbiamo appena detto sia positivo o negativo. Vi sono due modi di rispondere a questa domanda. È possibile sentirsi un po’ scoraggiati da questo caos fremente e ronzante, perdendo così la speranza di poter mai riuscire a intuire, a partire dal disordine biologico, un disegno chiaro e senza zone d’ombra. D’altra parte, è anche possibile accogliere la complessità a braccia aperte, comprendendo che quell’apparente disordine è necessario affinché il cervello generi qualcosa di ricco, elegante e adattativo come gli stati mentali. Io scelgo questa seconda opzione. Troverei difficile credere che, di per se stessa, una singola mappa distinta, in un’unica regione corticale, possa mai consentirmi di ascoltare le partite per pianoforte di Bach o contemplare il Canal Grande a Venezia, e meno che mai che possa permettermi di goderne e di scoprirne il significato nell’ordine più ampio delle cose. Per quanto riguarda il cervello, di meno è di più solo quando vogliamo comunicare gli aspetti essenziali di un fenomeno. Altrimenti, di più è sempre meglio.