L’onore e l’offesa

 

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Nel 1834, ad Amburgo, il barone von Trautmansdorf, un giovane e affascinante ufficiale dell’esercito, sfidò a duello un altro ufficiale, il barone von Ropp, per una poesiola che circolava fra i loro amici. Ispirandosi ai baffi di von Trautmansdorf, l’autore del componimento insinuava che quella non fosse l’unica parte floscia e sottile del corpo del suo avversario. La rivalità tra i due nobili era nata a causa della passione che entrambi nutrivano per la stessa donna, la bella contessa Lodoiska, dagli occhi grigio-verdi, vedova di un generale polacco. Non sapendo risolvere la contesa in modo amichevole, gli ufficiali s’incontrarono all’alba nella campagna fuori Amburgo. Era il mese di marzo. Erano entrambi armati di spade, entrambi prossimi a compiere trent’anni, ed entrambi morirono nel duello.

Simili episodi non erano per nulla insoliti. Dalla sua nascita, nell’Italia rinascimentale, sino alla sua scomparsa, con la Prima guerra mondiale, in Europa la pratica del duello fece un numero incredibile di vittime: nel diciassettesimo secolo, solo in Spagna, ci furono cinquemila morti. I visitatori stranieri venivano invitati a usare ogni cautela per non ledere l’onore dei loro ospiti e finire così in una bara. «Ogni giorno in Spagna ci sono duelli» dichiara un personaggio di Calderón. Lord Herbert di Cherbury riferisce che in Francia, nel 1608, erano pochi gli «uomini degni di considerazione» a non aver ucciso un avversario in duello; ma anche in Inghilterra un vero galantuomo era soltanto chi avesse «impugnato la spada».

A parte qualche caso, il più delle volte ci si scontrava per ragioni d’onore, o per ragioni ancora più futili. Nel 1678, a Parigi, un uomo morì per aver dichiarato che l’appartamento di un suo conoscente era di cattivo gusto. Nel 1702 a Firenze uno studioso tolse la vita a un cugino che lo aveva accusato di non capire Dante. In Francia, durante il regno di Filippo d’Orléans, due ufficiali della guardia si batterono sul Quai des Tuileries per il possesso di un gatto d’Angora.

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Il duellante non riesce a concepire l’idea che la reputazione sia frutto del proprio agire più che del giudizio altrui. Insomma, non riesce ad accettarsi se la società lo giudica malvagio o infame, vigliacco o fallito, stolto o effeminato. E piuttosto che vivere sapendo di non avere la stima del mondo, preferisce morire con un proiettile in corpo o per una coltellata.

Intere società hanno fatto della tutela di uno status e, in particolare, dell’«onore», il dovere principale del maschio adulto. In Grecia, l’onore era chiamato timé, nelle società musulmane sharaf, presso gli indù izzat, ma in ogni caso veniva difeso con la violenza. In Spagna, per essere degno di honra, un uomo doveva essere coraggioso e forte fisicamente, sessualmente potente, donnaiolo da celibe e fedele dopo il matrimonio; doveva essere in grado di mantenere la famiglia e abbastanza autoritario con la moglie da far sì che non flirtasse o non andasse a letto con altri uomini. Disonore era venir meno alle proprie responsabilità ma anche non saper rispondere con la necessaria violenza all’iniuria. Reagire senza sfidare a duello chi ci avesse deriso sulla piazza del mercato o rivolto un’occhiata offensiva per strada significava giustificare l’oltraggio ricevuto.

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Anche se guardiamo con diffidenza quanti ricorrono alla violenza per risolvere le questioni d’onore, spesso, come loro, siamo sensibili al disprezzo altrui. Come accadeva ai duellanti più impulsivi del passato, decidiamo quanta autostima avere di noi stessi in base al valore che gli altri ci riconoscono. Ma il duello è solo uno dei tanti esempi di come, nella storia, l’uomo si sia dimostrato universalmente suscettibile in merito al problema.

L’intenso bisogno di godere della stima degli altri continua a stare in cima alla scala delle nostre priorità. Il timore di diventare ciò che gli spagnoli definivano deshonrado, parola che un tempo evocava la stessa idea di gelido sprezzo oggi suggerita da «perdente», assilla noi come i personaggi di Calderón o di Lope de Vega.

Vedersi negare una posizione di rispettabilità, per esempio perché non abbiamo raggiunto certi obiettivi professionali o siamo stati incapaci di provvedere alla nostra famiglia, può essere per noi tanto doloroso quanto lo era per i membri delle comunità antiche che avevano perso honra, timé, sharaf o izzat che dir si voglia.