Ringraziamenti

Il giorno che mi regalò quel libro, mio padre, ci scrisse sopra una dedica lunghissima. Era il 1983, avevo tre anni, e non avrei imparato a leggere che quattro anni più tardi. Di quelle righe autografe, per molto tempo, fui in grado di capirne solo la firma: uno svolazzo rosso e nervoso che sapevo essere il suo nome e quel cognome uguale al mio. Quelle parole sono un segreto ancora tutto mio, ma il loro senso l’ho raccontato in questa storia. Come a dirgli grazie. Del libro, della dedica, del tempo impiegato per capirla e di quello passato insieme. Grazie.

Questo libro non esisterebbe senza Silvia Tesio, che ha scoperto la Locanda nelle mie carte, e Maria Paola Romeo che ringrazio per averla accolta con quel suo sorriso di cui credo si nutra anche il cielo quando ha bisogno di tirarsi su.

Marilena Rossi e Barbara Gatti vanno ringraziate con un inchino profondo: c’era polvere e disordine e non tutte le assi della Locanda erano inchiodate giuste quando sono arrivate a leggerne le pagine. La dolcezza e la bravura con cui mi hanno aiutato a mettere ordine in quelle parole mi commuove come un pulcino.

Ci sono alcuni amici che hanno una parte in queste righe: Marco Carnevale Maffé, Riccardo Tacca, Elisa Ceriani, Gaia Oggioni, Marco Manzella, Maria Paola Colombo, Veronica Arnone, Marco Sindico e Carlotta Sillano. Sono loro le orecchie a cui ho affidato le fondamenta di questa storia. Alberto Spillo Piccolini, addirittura, l’ha vestita di una copertina calda per proteggerla dal freddo fino ad oggi. Andrea Ballaratti, poi, è il fotografo bravissimo che mi ha scattato la foto con la papera mostrando una pazienza che neppure la papera, di legno, ha di solito con me. Una sera, sentendo suonare i Venere e Andrea Fabiano, di colpo, ho visto per la prima volta Libero e Viola. Non ho mai capito se Andrea, Marco Iacomelli, Emanuele Sarri e Lele Pintus, da quel palco, se ne siano proprio accorti: ma li ringrazio per quelle note che me li hanno fatti nascere dentro di me.

Alessandro Marchetti e Valeria Belloro da qualche anno, in estate, mi lasciano la loro cascina spersa nei campi: lì faccio la guardia a gatti feroci e ragni enormi. Questa storia, in parte, è scritta laggiù, in quel luogo che ha la stessa voce della Locanda: il silenzio.

Alla Locanda dell’Ultima Solitudine, io, ci sono stato davvero con Barbara Bozzola, amica che se non ci fosse sarei perso, e Valentina Bernardi, amica a cui ho rubato un nome, Viola, e la forza di vivere la vita come una scommessa vinta. Sempre. In queste pagine c’è qualcosa di loro.

Ringrazio, profondamente, Fabio Lagiannella che lesse questa storia tra i primi e disse: “Bellissima: è tutta da riscrivere”. Aveva ragione. Certi librai sanno trovare i libri quando ancora nemmeno ci sono e Fabio è un libraio straordinario. Grazie per avermi consigliato tanti libri belli e avermi dato lo sprone per scriverne uno. Con lui ringrazio i miei colleghi librai di Novara: Alessandro, Carlo, Ludovica, Elisa, Marco, Roberto (e Matilde) e i miei colleghi librai di Vercelli: Daniele, Isotta, Valentina, Gabriele ed Enrico, ma anche Daniela e Sara di Gallarate: leggere è la famiglia di cui siamo tutti figli.

Non posso chiudere questo viaggio senza ringraziare chi mi ha insegnato a ridere, Rosalba Galimberti, e chi a giocare: Sarah Barbaglia. E che non sempre la vita va come vorresti, ma che se ridi e giochi, forse, va già un po’ meglio. In Enrico, io credo, riconosceranno l’una un padre, l’altra un nonno.

Bene, ho finito. Torno alla Locanda dell’Ultima Solitudine. Vieniquì è già arrivato. E anche io: vi aspetto lì.