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O
OR
ORT
ORTA
(ciuf ciuf)
ORTA M
ORTA MI
ORTA MIA
ORTA MIAS
ORTA MIASI
ORTA MIASIN
(ciuf ciuf)
ORTA MIASINO
Arrivato.
Orta-Miasino, signori, si scende.
Arrivando in treno dalla Città Grande a Orta, Orta-Miasino, l’effetto è proprio quello lì: si svolta sull’ultima curva che fanno i binari, si arriva su quel rettilineo che sbuca dal bosco e si aspetta che il ramo del castagno che scopre mano a mano il cartello d’arrivo, mentre il treno si avvicina alla stazione, mostri là dove si è arrivati. Il ramo concede alla vista una lettera alla volta.
Orta-Miasino. Due paesi diversi, una stazione sola. Orta è sul lago, Miasino è sopra Orta.
Libero e Lena scesero lì.
Lei avrebbe dovuto farsi a piedi la strada per Orta, quella attraverso il bosco di Legro, superare l’orrenda villa Crespi, arrampicarsi per il Sacro Monte e poi scendere leggermente su quella scalinata di sassi e beole che sviene in piazza Motta fermandosi appena prima, più o meno a metà. A casa sua. Nella sua nuova casa.
Nel parchetto d’erba appena fuori dalla stazioncina di Orta-Miasino, due altalene e una panchina. Sopra quella Libero e Lena.
«Quindi» disse Libero «di per sé lei è laica, con la chiesa non ha nulla a che fare. È laica.»
«Esatto.»
«Come la cagnolina.»
«Meno esotica, senza la cappa.»
«Già, certo, senza la cappa. Quella ce l’hanno le cucine.»
«È rimasto ben scemo, sa? Io sono nata a Orta, e ora sono tornata a vivere qui, anche se lavoro ancora dalle parti della Città Grande, come quando eravamo vicini di casa. Ma lei lo sa cosa facevo allora?»
«Custodiva bauli?»
«In un certo senso. Forse sì. Custodivo segreti. Miei e altrui. Forse ai tempi non lo sapevo bene nemmeno io cosa facevo.»
«E oggi? Oggi che fa?»
«Faccio l’educatrice. Lo facevo anche allora, a dire la verità. Aiutavo le persone a mettere insieme i pezzi. Comunque, oggi passo dalla Città Grande tutti i giorni e poi prendo il pullman per andare a Bisogno, sulle colline del vino. Lassù aiuto i bambini a fare i compiti, ascolto i genitori che non capiscono perché i loro figli non li sappiano fare da soli. L’ultimo prete che è stato lì è stato cacciato dal vescovo e ci voleva qualcuno che mandasse avanti l’oratorio. Io suono la chitarra, sto con loro. Quando riesco faccio volare gli aquiloni.»
«E perché non ci riesce sempre?»
«Perché non sempre c’è il vento, Libero. Lei questa storia degli aquiloni non l’ha mai capita. Anche il giorno del trasloco cercai di regalargliene uno. Rifiutò...»
«Ci metto un po’ a capire le cose, Lena. Anche degli anni...»
Sorrisero.
«È una chiesa bellissima quella di San Rocco, a Bisogno, è un tesoro incredibile. Solo che se non ci va nessuno è come un forziere vuoto. Nessuno scopre il tesoro che c’è dentro.»
«Mi è passata davanti così tante volte nell’arco di una vita che ormai mi sembra una di famiglia, anche se non riuscivo proprio a capire chi fosse.»
«È una cosa ben strana...»
«Faccio cose anche più strane.»
«Ad esempio?»
«Ho sposato mia moglie» disse. «E poi addirittura una volta» e si prese del tempo per tirar fuori il ricordo dalla memoria «ho prenotato in quella Locanda di cui ho trovato il biglietto nel suo baule.»
Anche Lena si prese del tempo per ritrovare quel ricordo.
«E cosa c’è di strano? È un posto bellissimo, una locanda solo per due! Il posto più bello del mondo. Mi sembra normale che lei lo abbia fatto...»
«È che l’ho fatta, la prenotazione, per dieci anni più tardi rispetto al giorno in cui ho telefonato.»
«Fantastico! Si è preso tutto il tempo per prepararsi alla sua ultima solitudine. Mi sembra giusto. E poi ci è andato?»
«Dove?»
«No, le chiedevo se poi ci fosse andato. Alla Locanda dell’Ultima Solitudine. Si chiamava così, vero? Noi la conosciamo da sempre, anche se è lontanissima da qui, perché sembra che sia stato un bambino che veniva da queste parti a costruirla...»
Silenzio.
Libero ci pensò a lungo. Non disse nulla. Poi fece solo una domanda:
«Che giorno è?»
«Oggi?»
«Sì.»
A tutte le stranezze c’è un limite. Lena a quella domanda non avrebbe mai risposto. Aprì la borsa, tirò fuori il quotidiano del giorno, e lo buttò sotto il naso di Libero.
Lui lo guardò come se avesse visto il Santo Graal.
«Ma è domani!»
«Libero, ma sta bene? Mi sembra un po’ confuso.»
«No, sto benissimo, è che è domani. La prenotazione che ho fatto dieci anni fa, quando l’ho incontrata, sarebbe per domani!»
«E se ne è dimenticato?»
«Prenoti lei oggi un ristorante nel 2027 e poi vediamo se si ricorda di andare con tutto quel che succede in dieci anni...»
«Bene, allora ha ancora tempo per andarci e per arrivare puntuale nonostante tutto. Nonostante si sia dimenticato di tutto.»
«Ma lei sta scherzando, sono un uomo sposato, ormai.»
«...»
«Ma lei sta scherzando, è domani ed è in capo al mondo!»
«...»
«Ma lei sta scherzando, non ho nemmeno idea di come si faccia ad arrivarci laggiù.»
Tacque.
«E poi sono sposato» ripeté.
«Con la figlia del sindaco della Città Grande...»
Le disse il nome. Lena non disse una parola. Sospirò.
«Non mi posso muovere, ho delle responsabilità ormai...»
La Locanda dell’Ultima Solitudine. Come si finisce in posti così? Sono quasi più delle idee. Il sole di luglio, lento, stava tramontando dietro il Monte Rosa e come una spada d’oro colorava di taglio il lago d’Orta, come un sentiero, che porta all’isola nel centro. L’isola di San Giulio che dalla stazioncina si vedeva appena.
«Senta, Libero, lei ha preso il treno per inseguire una donna che non sapeva chi potesse essere, e non vuole andare in un posto in cui ha prenotato dieci anni fa solo perché è sposato?»
«È cambiato tutto. Da allora. Da quando ho prenotato. Credo non sarebbe più giusto andare. È cambiato tutto. Sono cambiato anche io. È cambiata anche la mia casa. È cambiata anche lei, Lena, non so ancora come abbia fatto a riconoscermi.»
«E cambi ancora. Torni sui suoi passi. Torni a pensare di poter scambiare la sua vita per un viaggio in treno inseguendo una sconosciuta. Per una prenotazione da qui a dieci anni. Per un sorriso. Per un panino al prosciutto con la senape. Vuole? Le piace la senape?» E gli offrì un panino appena scartato, uscito dalla borsa da viaggio da cui prima aveva estratto il giornale. «Ne vuole un pezzo?»
Lo divise. Come se non avesse ancora finito di nutrirlo, di spingerlo verso una vita prenotata tanti anni fa ma mai inseguita con ardore. E convinzione. Solo aspettata.
«Non può mollare tutto proprio ora.»
«Ma sono sposato.»
«Ma ha prenotato dieci anni fa, quando ancora non lo era. Quello con l’Ultima Solitudine è un impegno che precede tutto. Ci vada. E piuttosto, se proprio non può farne a meno, ci vada con sua moglie. È domani no? Va a casa, la prende e ci va con lei. Fa ancora in tempo!»
No. No. No. Non era così che doveva andare. Non era così che aveva passato gli anni della sua giovinezza a immaginare che andasse!
Ma che cosa stava facendo, poi? Si stava facendo dare consigli da una donna con cui praticamente non aveva mai parlato in vita sua neanche quando vivevano sullo stesso pianerottolo e che aveva rincontrato perché era salito su un treno a caso in un giorno a caso. Basta, avrebbe fatto di testa sua. Quando aveva prenotato aveva fatto di testa sua? Lo avrebbe fatto ancora.
«Crede che Dio sarebbe contento se andassi? Se lasciassi tutto e andassi?»
«Che ne so! Faccio giocare i bambini nella chiesa di San Rocco ma non sono così amica di Dio da ricevere le sue telefonate serali nelle quali mi spiega cosa sia giusto fare e cosa no.» E azzannò il panino con la senape.
«Ma se ci vado, che ci vado a fare? Ho aspettato anni come se qualcosa dovesse arrivare dal cielo e non è mai arrivato. Le cose non cadono mica dal cielo, sa?»
«La pioggia sì. La neve anche. Il silenzio pure. E pure il vento cade dal cielo. È per quello che gli aquiloni hanno il filo. Per non cascare anche loro.»
«E poi alla Locanda dell’Ultima Solitudine non ci si può andare da soli, bisogna andarci per forza in due...»
«E allora lei ci vada con il se stesso che è diventato! Lei e il suo nuovo essere lei. O col silenzio. È una bella compagnia, sa?»
Col silenzio.
Nel silenzio di quel cielo Libero disse così: «E se decidessi di andarci, da che parte devo andare?».
E che ci crediate o no, Lena, la buona Lena, tirò fuori un cellulare. E gli chiamò un taxi.
«Un taxi?» disse Libero. «Di quelli gialli?»
«Questo è blu, Libero, Dio solo sa il perché. Lo guida un amico mio di queste parti. Una volta l’ha fatto anche per me. Le farà un buon prezzo e la porterà dove vuole. Arriverà in piena notte, ma almeno domattina all’alba sarà già lì. Si godrà tutta la giornata.»
«Sa perché sono salito su questo treno, oggi? Perché dalla prima volta in cui l’ho vista passare sul binario sette della stazione della Città Grande ho pensato che lei aveva qualcosa da dirmi. Da rivelarmi. E che finché non mi avesse visto, non me l’avrebbe rivelato. Forse doveva regalarmi quel baule e poi spiegarmi il tesoro che conteneva. Forse doveva riconoscermi oggi, offrirmi un panino alla senape e spingermi ad andare. Forse doveva anche solo chiamarmi un taxi da Orta e farlo guidare da un suo amico. Forse era scritto davvero nei piani di Dio che fosse così.»
«Dice?»
«Non so. Non sono così amico di Dio da ricevere le sue telefonate nelle quali mi dice cosa sia nei suoi progetti e cosa debba saltare in aria.»
Si guardarono stupiti.
L’automobile che avrebbe portato Libero alla Locanda dell’Ultima Solitudine arrivò poco dopo, proprio davanti alla stazioncina di Orta-Miasino.
E come fosse la cosa più spontanea da fare Libero abbracciò la buona Lena che aveva ritrovato. Con un abbraccio vero.
Caldo.
Intenso.
E per salutarsi si diedero del tu.
«Libero, pregherò che tu possa arrivare sano e salvo là dove sei diretto; ora va’, l’automobile ti aspetta: e che Dio t’assista.»
«Addirittura! Tassista? Non pensavo avresti chiamato proprio lui come autista! Ci arriverò, Lena, anche se a guidare il taxi fossi solo io...»
«Lo prendo come uno scherzo?»
«Prendilo come un grazie.»
E si strinsero la mano come avessero fatto un patto di cui si accorgevano solo allora.