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«Eccoti qui!» urlò fortissimo. «ECCO DOV’ERI!» riuscì a urlare ancora più forte.

«Mamma, ti prego, non urlare...»

«Ma urla anche tu, piuttosto! Tutti urleremo: LA GENTE COMINCERÀ A URLARE! A URLARE! Avete sentito? C’è chi ha già cominciato.»

Quindi aveva preso un gran respiro e poi si era lasciata andare a un: «E URLANDO STARÀ MEGLIO» come a sgonfiarsi di tutto.

La voce è quella di Margherita. Il volume quello di un’esplosione. Altro che l’urletto che le era scappato davanti a don Alberto e che l’aveva fatto scappare. Aveva fatto progressi!

Di fronte a sé, ancora davanti alla porta del pullman, Viola la guardava come si guardano le persone che si preferirebbe non vedere. Non in quel momento, almeno.

«Mamma non sono nemmeno tornata a casa, evitami le scene che spiegano a tutti la ragione per cui me ne sono andata...»

«Perché non vuoi urlare?»

«No: perché SEI PAZZA» urlò.

E scostandola si era incamminata verso casa loro. La Casa del Petalo.

«Viola, ascoltami» Margherita la inseguì e la fermò mettendole una mano sulla spalla. «Altro che pazza! I pazzi non sono quelli che urlano, sono quelli che hanno qualcosa da urlare e invece stanno zitti! Questa è follia! Te lo dico io! Vedrai invece che quando la gente tornerà a urlare, quando tutti urleranno, quando l’urlo aiuterà tutti a star bene, noi torneremo anche a essere felici. E io, per di più, diventerò pure ricca.»

«Ti metterai a vendere tappi per le orecchie?»

E si scrollò dalla spalla la mano della madre, riprendendo a camminare. Se non avesse avuto la gonna così corta si sarebbe messa a correre.

«Sarò ricca, Viola. E saranno ricche anche le persone che avranno imparato a urlare.»

Questa delle urla era la storia più recente tra quelle con cui Margherita immaginava di fare cose buone.

Le era venuta quell’idea per colmare il vuoto che si sentiva addosso da quando lei e Viola erano rimaste sole nella grande Casa del Petalo.

Avrebbe affittato le stanze della casa, a tariffe orarie, alle persone che avevano un dolore dentro e avevano bisogno di urlarlo. Ma che non sapevano dove farlo. O che non sapevano che si può fare. Come aveva fatto a non pensarci prima? Stanze dalle pareti bianche, con una poltrona al centro, un quaderno, una penna e un leggio. Per prendere appunti. E una bottiglia d’acqua casomai si seccasse la gola. Con l’assoluta libertà di gridare qualsiasi dolore facesse male all’anima.

Aveva messo anche degli annunci sui giornali: “L’immobile è insonorizzato, gridate quanto volete. Vedrete, e sentirete, che vi farà bene”.

La gente deve gridare, deve gridare! Deve gridare a ogni costo e Margherita gliene avrebbe dato uno. Quattro stanze singole e una doppia, per le coppie che avevano qualcosa da dirsi e vicini pettegoli.

Discrezione totale, perché come si urlava a Bisogno, non si urlava da nessuna parte.

E ampio parcheggio, che tanto nel loro paesino in cima alla collina non veniva mai nessuno se non per la vendemmia.

Non era l’unico servizio che la casa di Margherita avrebbe offerto: il mercoledì avrebbe organizzato anche un corso per imparare a piangere. Il primo livello era facile, si usavano le cipolle, ma poi bisognava fare tutto senza aiuto.

Il giovedì sera, invece, sarebbe stato dedicato alla paura. Imparare ad avere paura. Con prova pratica.

«Vedi, Viola» le spiegava Margherita, «la gente non sa avere paura. Tutte le volte che hanno paura, le persone si spaventano. E non sanno cosa fare. E invece è così facile vivere bene la sofferenza e il dolore: basta stare male! Che ci vuole?»

Viola la ascoltava distratta, la considerava un po’ pazza, sua madre, e spesso la prendeva anche in giro.

A un certo punto Margherita la superò e le si piazzò davanti con una di quelle domande dalle quali non si può fuggire:

«Viola, ma cosa ti sei messa in testa? Perché vuoi andare via da qui? Da che cosa stai scappando?»

«E tu, mamma? Con tutte queste palle che ti racconti da che cosa ti stai nascondendo?»

«La tua casa è questa, Viola, la Bianca Casa del Petalo! Ci sono tutti i fiori scordati della collina di Bisogno da curare, che vogliamo farne? E poi ci sono i clienti. Se vai via tu chi mi dà una mano con le prenotazioni per la casa per urlare? Presto ce ne saranno molte, moltissime! Tutti vorranno urlare per Bisogno! Come faccio io, da sola, con tutta la gente che verrà qua per gridare in pace se tu vai via? E come faccio con i fiori da accordare?»

Viola non rispose più nulla.

Stava per dirle qualcosa, quando un ragazzo seduto poco prima sul suo stesso pullman a qualche posto di distanza dal suo – l’aveva notato per il cappello – si avvicinò a loro due facendo cenno con la mano destra e l’indice e il medio teso verso il cielo in segno d’attenzione, come dovesse benedirle, o chiedere qualcosa.

«E lei chi diavolo è?!» Viola gli scaricò in faccia tutta la sua rabbia.

«Don Piter.»

«Oh mio Dio!» si vergognò Margherita.

«Oh no, non esageriamo: sono solo il parroco. Il nuovo parroco. Il vescovo mi aveva avvisato che qui urlano in faccia ai preti... Il pullman però mi ha lasciato qui e mi chiedevo dove fosse la chiesa di Bisogno. Non la vedo da nessuna parte.»

Un prete. Il nuovo parroco.

Viola sbatté le ciglia.

Non disse niente.

Con le mani si stirò l’orlo della gonna corta, lo fece aderire alle cosce.

“Che gesto pieno di pudore” pensò Margherita, che a certe cose comunque teneva ancora.

“Che stia ben giù” pensò Viola, già pentita di essere tornata.

Solo un istante prima di cominciare a correre.