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Titolo: È l’ultima volta che ti scrivo.

Numero: 223

Data: 28-9-20lasciamostare,

Ciao papà, lo sai già, questa è l’ultima volta che ti scrivo, ma è successa una cosa così strana che se non te la racconto, giuro, muoio. E allora eccomi qua. Sai quanti sono i gradini del campanile di San Rocco? Quello che sta su, su, su, al fianco della chiesa, in cima alla collina di Bisogno? Be’, te lo dico io, sono 186. Non è che mi sono data a scalare i campanili e a contare i gradini, è che ieri don Piter mi ha portato lassù a far l’amore.

Sì, hai capito bene, papà, a far l’amore. E sì, hai capito bene anche il resto: don Piter.

Don Piter!

Un prete.

Suona da Dio, coltiva tutte le piante citate nella Bibbia e fa soprattutto il missionario. Nel senso della posizione. Non è nemmeno la prima volta che te ne parlo (né che facciamo l’amore), è che quando l’ho fatto nella lettera 189, quella del concerto notturno alla chiesa – al limite, se non l’hai già buttata nel camino, rileggila –, ai tempi, non sapevo che fosse lui. Don Piter. A suonare, intendo. Insomma, sì, la cosa strana è che ieri mattina presto abbiamo fatto l’amore sulla cima del campanile di San Rocco.

Ci sono le campane, è vero, suonano ogni mezz’ora, è vero, ed è per questo che lui prima di salire ha disattivato il timer che le aziona così che non si mettessero a suonare stordendoci completamente. Magari sul più bello. È vero.

Ce ne siamo dimenticati, poi, è vero, come è vero che ci siamo appisolati. Com’è vero che il campanile è rimasto senza battere le ore tutto il resto della mattina e quando, a mezzogiorno, la gente del paese è venuta a cercare di capire il perché non funzionasse più nulla – forse nella fretta, per errore, avevamo fermato anche il timer dell’orologio – ha trovato la porta del campanile aperta, e ha pensato a un guasto.

Così qualcuno è salito. È vero, ci hanno trovato lì. Addormentati. Nudi. Io e don Piter. È vero. Com’è vero che ora lo sa tutto il paese: ha fatto prima la notizia a diffondersi in provincia che l’orologio del campanile a ripartire.

“Hai visto?” “Hai sentito?” “Don Piter sul campanile.” “Nudo.” “Con Viola.” “Nuda anche lei.” Un giornale locale ci ha fatto anche la prima pagina: “Curato di campagna gioca al dottore sul campanile di San Rocco”, ha titolato.

E il vescovo, che l’ha letto quell’articolo, sembra abbia detto solo così: “Don Piter! Ma cazzo, ancora?”.

Hai capito? Il vescovo ha detto cazzo!

Perché lo abbiamo fatto? Perché dal campanile si vede tutto. Tutto. Le colline, il lago d’Orta, le vigne. Si vede tutto. Che se lo guardi, quel tutto, finisce che fai l’amore anche senza far nulla. Fai l’amore perché fai parte di quel tutto. Perché anche se non l’avessimo fermato noi, l’orologio, anche se non le avessimo fermate noi, le campane, quando fai una cosa del genere dal tempo ci esci ugualmente. Tutto si ferma. Resta solo un campanile puntato verso il cielo. Un dito teso a suonare il campanello del paradiso e a chiedere: “Permesso. Si può?”. Che si è già lì. In paradiso. Poi però si scende. Si cade. Si sbatte il muso.

Non so, papà. Non so proprio. E non voglio sentire paternali: ho fatto sesso con un prete, parecchie volte, tu hai abbandonato me e mamma. Io ho fatto l’amore, tu hai fatto il vuoto.

Fai tu i tuoi calcoli su chi ha fatto peggio e regolati di conseguenza. Mamma cosa ha detto? Urla. Ha delle stanze apposta. E le affitta pure (leggi la lettera numero 16). E scrive le omelie per don Piter, che non le sa scrivere. Le compra dalla mamma. Eh già papà, perché la cosa strana, onestamente, non è che io abbia fatto l’amore con un prete e che tu da anni sia sparito nel nulla. La cosa strana non è che lui coltivi le piante della Bibbia (leggi lettera 201) o che suoni il pianoforte da Dio. E non è nemmeno che io non mi senta in colpa per tutto questo.

La cosa strana è la mia vita. Tutta.

Ricordi cosa mi dicevi? “Se vai a letto con un uomo assicurati solo di una cosa: che non sia sposato.” Vedi, papà, non mi hai mai dato un solo consiglio giusto in tutta la mia esistenza, perché don Piter, sposato, non lo è ma non va bene lo stesso che io ci vada a letto!

Faccio l’amore con un prete che paga mamma perché gli scriva le omelie da raccontare a chi crede a Dio. Fa uscire il sangue dal naso, una cosa del genere...

Accordo i fiori scordati e mi faccio prendere per il culo dalla menta. Ecco, questa è la mia vita. Non mi va. Così ti ho scritto per salutarti. Questa è davvero l’ultima volta che ti scrivo. Vado via.

Dove? Non so, papà, e comunque non sono fatti tuoi. Parto. Bisogno non fa più per me. Ho bisogno, sì, scritto minuscolo, bisogno, d’altro. Di libertà. Della libertà che qui non ho. Da te, dal tuo fantasma, dalla mamma che urla per scacciarlo, dai fiori da accordare. Che facciano senza di me pure loro. Fanculo alle radici. E fanculo pure a te. Papà. Ti ho scritto un pensiero anche oggi, parla dei galli. Te lo lascio alla fine della pagina.

Viola

Pensiero per quando non vengono le parole Numero 223:

“Quando un gallo canta nella nebbia, il tempo o cambia o rimane com’è. Io invece cambio. Fanculo pure al gallo.”

Viola rilesse di corsa. Poi rilesse ancora tutto. Con calma. Tante piccole lettere perfette, una grafia deliziosa da bimba fattasi adulta. C’era tutto. Poi prese la lettera e la imbustò. Come aveva fatto per tutte le 222 che l’avevano preceduta. La piegò e la imbucò nella tasca del proprio io. Per non dimenticarla. Mai.