50.
L’amore giovanile instabile e narcisista

Per i giovani d’oggi l’amore è sciolto da tutto, anche dal vincolo che lega due persone che si sono innamorate. E questo perché si è fatto strada un nuovo concetto di libertà intesa come revocabilità di tutte le scelte.

Gentile Prof. Galimberti, le invio questa mia piccola riflessione sull’amore in un momento di malinconia e disincanto. Che cos’è l’amore? La risposta di per sé è semplice: è un sentimento. Come sentimento ha le sue radici in un’emozione: l’attrazione per qualcuno, il piacere che si trae dalla sua vicinanza più o meno intima. Da tale emozione deriva il desiderio di compiacere l’altro, di farlo felice, e contemporaneamente il bisogno del possesso e cioè l’esclusività del rapporto. Negli esseri umani l’amore è questo.

Ciò non toglie che, all’interno di diverse aree culturali e soprattutto in base al temperamento di ogni persona, esso venga percepito in modi molto diversi: come piacevole fase di una vita che tuttavia si realizza compiutamente con strategie esistenziali assai diversificate (come la procreazione, la famiglia, il lavoro, il prestigio sociale), come cioè momento importante ma non determinante il senso della propria vita; oppure, al contrario, come esperienza fondante quel senso, che nell’amore trova origine e compiutezza.

Nella storia della civiltà umana, quest’ultima prospettiva si è affermata compiutamente alla fine del XVIII secolo e ha dominato incontrastata per tutto il XIX e ben oltre nel XX secolo. Solo dopo la Seconda guerra mondiale l’idea romantica dell’amore ha cominciato seriamente a sgretolarsi, non reggendo forse, il dramma amoroso, il confronto con l’immane tragedia storica che aveva travolto il destino di milioni di esseri umani. Eppure dovevano passare ancora molti decenni perché l’uomo e la donna occidentali si rendessero conto che l’idea di amore che avevano inseguito fino ad allora era una chimera che stava sbiadendo nella luce del tramonto di un’epoca storica: la post-modernità.

Se intere generazioni di adolescenti, ancora negli anni settanta, si struggevano su poesie d’amore, canzoni d’amore, film d’amore, romanzi sentimentali, soap e fiction in cui l’amore era presentato come il valore più alto della vita e perciò perseguito come totale realizzazione del senso della propria esistenza, a partire dagli anni ottanta le generazioni successive vennero educate (o forse si autoeducarono) all’idea che è molto più importante perseguire un sogno artistico, un obiettivo professionale, una solida situazione economica, avere cioè prestigio e successo. Se amore e successo entravano in competizione, il protagonista della vicenda sceglieva, pur soffrendo, il secondo perché la realizzazione dell’io aveva ormai soppiantato progressivamente ma inesorabilmente la fondazione del “noi”.

La vera novità della situazione, che in realtà era sempre stata prerogativa esclusiva degli uomini, era che adesso anche le donne rivendicavano tale possibilità come un diritto imprescindibile, anche se esso comportava la realizzazione non di qualche alto progetto o ambizione sorretta da vero talento ma semplicemente il raggiungimento di “un progetto”. Che esso consistesse nel partecipare a qualche rivoluzione o semplicemente nell’aprire un bar o una salumeria non faceva differenza.

L’amore sta scomparendo? Come emozione no, come sentimento sì, perché esso in fasi molto precise si è configurato come un’ideologia e tale ideologia è stata sconfitta da altre più concrete visioni della vita. Ogni volta che un’ideologia cade, insieme ai suoi ideali lascia sul terreno delle vittime: uomini e in particolare donne, giovani, tardivi idealisti, ma soprattutto adulti di mezza età, che non riescono più, dopo aver impostato idealmente la propria vita su certi valori amorosi, a rassegnarsi a pensare l’amore come intermezzo, parentesi, opportunità… e basta.

Molti di fronte alla fine della fase passionale non riescono a rinunciare al proprio sogno di compiutezza, che altro non è che bisogno di fusione sorretto dall’eccitazione. Se possono, continuano a inseguirlo gettandosi alle spalle il cadavere del/la precedente compagno/a da cui hanno succhiato tutte le energie possibili e, vampiristicamente, si gettano sulla preda successiva. Monogami seriali, sono chiamati dalla moderna sociologia. Il gioco è in questo momento ancora in mano agli uomini, tuttavia bisogna riconoscere che le donne stanno recuperando terreno nel prolungare il tempo della seduzione ben oltre la soglia dei quarant’anni a cui erano state fissate inesorabilmente negli ultimi duecento anni.

Ciò comporta che il trauma esistenziale, l’abbandono, la solitudine e la discontinuità, che prima erano vissuti esclusivamente dalle donne, ora siano diventati esperienza possibile anche degli uomini più che maturi. Che, tuttavia, continuano a mantenere il vantaggio di poter scegliere e trovare nuove opportunità di accoppiamento e di condivisione affettiva in tempi più rapidi e in una più ampia riserva di caccia.

Osservando lucidamente e in modo scientifico le modalità di vivere i sentimenti delle ultime generazioni, verrebbe da esprimere giudizi negativi di superficialità e cinismo. Non bisogna cedere a moralismi tanto inutili quanto fuor­vianti. Non ci sono responsabilità individuali se gli esseri umani non riescono a persistere più di qualche anno in un sogno esistenziale che, nella migliore delle ipotesi, permette comunque di procedere a una felice procreazione e a una ancor più felice, se condivisa, educazione della prole.

C’è solo da modificare drasticamente l’ideologia del sentimento amoroso, decostruirlo in modo più sistematico tramite una seria pedagogia dell’esistenza, una matura educazione sentimentale che deve essere avviata molto precocemente nell’infanzia, riuscendo tuttavia a riempire quel vuoto con valori migliori della semplice affermazione professionale e del successo personale. Per tutti coloro che non riescono ad accettare questo cambiamento di prospettiva esistenziale non ci sono alternative, se non la solitudine, che è sempre amara.

Ambra

U.G. In una società come la nostra che, lungi dall’essere “liquida” come andava ripetendo Zygmunt Bauman, è in ogni suo aspetto rigorosamente recintata e cementata dalla razionalità tipica dell’età della tecnica, che a noi chiede solo efficienza, produttività, realizzazione degli obiettivi di cui ogni anno si alza l’asticella, l’amore è l’unico spazio in cui ciascuno può esprimere se stesso e la sua libertà al di fuori di ogni regola.

Non è sempre stato così. Nell’età pre-tecnologica, per i poveri l’amore era funzionale alla sopravvivenza, alla sicurezza economica, all’avere figli per garantire forza-lavoro e assistenza per la vecchiaia in assenza di uno stato sociale, mentre per i privilegiati era suggello di alleanza tra famiglie di rango, quando non strumento per ampliare il proprio patrimonio e il proprio prestigio. Oggi, che l’amore è diventato una libera scelta, su cui né la famiglia d’origine, né il diritto, né lo Stato, né la Chiesa sono in grado di esercitare un vero potere, l’amore è diventato un assoluto, nell’accezione latina di “solutus ab, sciolto da tutto”, sciolto persino dal vincolo che in amore lega due persone che si sono innamorate. E questo per diverse ragioni che qui vale la pena elencare.

La prima è che abbiamo confinato il sentimento nella passione che, come dice la parola stessa, ci vede “passivi” di fronte alla fascinazione dell’altro. Ma siccome la passione è instabile e mutevole o, come dice Freud, “è un delirio che ha l’unico pregio di essere breve”, la costruzione dell’amore è sempre minacciata dalla sua distruzione, l’esaltazione cede spesso e volentieri alla desolazione, la realizzazione di sé e la perdita di sé camminano affiancate.

La seconda ragione è che, siccome noi viviamo ogni giorno, nella vita sociale e lavorativa, come una risposta agli altri, che ci compensano a partire dalle prestazioni che siamo in grado di offrire agli apparati di appartenenza, ciascuno cerca nell’amore la propria autorealizzazione, la possibilità di entrare in contatto con il proprio sé profondo, al di là del proprio ruolo sociale e lavorativo, dove l’identità profonda di ciascuno di noi deve essere messa tra parentesi a favore della sua idoneità e funzionalità all’apparato di appartenenza. Va da sé che, in un contesto di questo genere, ciascuno cerca, nell’altro di cui si innamora, il proprio io, quindi non tanto il piacere della relazione, quanto la gratificazione della propria autorealizzazione. Dove è evidente che individualismo, egoismo e narcisismo sono in agguato, anche se ben nascosti e tacitati.

La terza ragione è che, sempre per motivi di autorealizzazione, in questa società, cementata e non liquida, abbiamo trovato nell’amore l’unico spazio per celebrare la nostra libertà, che però non è più intesa come libera scelta nella costruzione della propria esistenza, ma come revocabilità di tutte le scelte, per cui si cambiano i partner con la stessa facilità con cui si cambiano gli abiti, in omaggio all’amore inteso come passione, le cui caratteristiche sono l’instabilità e la mutevolezza.

E qui l’amore entra in un’insanabile contraddizione con se stesso. Non più “relazione all’altro” com’è nella sua natura, ma “strumentalizzazione dell’altro” che diventa funzionale alla realizzazione di sé, alla celebrazione del proprio io che, per quanto narcisisticamente compiaciuto nell’esercizio della sua libertà, non esce dalla sua solitudine, perché si è reso impermeabile alla trasformazione di sé, che solo l’altro può compiere, trafiggendo la nostra autosufficienza e aprendo una breccia nella nostra identità protetta e difesa. Perché questo è l’amore: violazione della nostra integrità. E chi non capisce queste cose non solo non conosce se stesso, ma nulla vuol sapere dell’altra parte di sé che solo l’altro è in grado di rivelarci.

La parola ai giovani
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