17.
E neppure in
nome di quei valori
riconducibili unicamente
al denaro
Solitari e ribelli. Così i ragazzi, che rifiutano tutte quelle “belle cose” che il denaro può acquistare, si salvano dal nulla.
Sono una ragazza di tredici anni e frequento la scuola media in un paese nelle Dolomiti. Vivo in una famiglia di umili condizioni e in una piccola casa. Sono la più piccola di cinque fratelli e il mio sogno è sempre stato sparire da qui perché sono stata vittima di bullismo, perché i miei compagni sono superficiali, perché non sopporto le prese in giro, non sopporto le superstizioni, la superficialità, chi non legge. Non tollero chi prende in giro un nero, uno di un’altra nazione.
La mia classe è composta da ragazzi che credono di essere fighi. Le idee sono ad esempio queste: se non hai il cellulare da 700 euro non sei mio amico, se non hai le scarpe della Nike non sei mio amico, se non ti vesti alla moda non sei mio amico, se non hai Facebook non sei mio amico, se non hai cose firmate non sei mio amico, se non sei scollata non sei mia amica, se non scii (e io non so sciare perché non ho soldi per pagarmi le lezioni di sci) non sei mio amico, se vivi in una casa piccola e che sta cadendo a pezzi non sei mio amico, e la cosa più orrenda è che, se studi e fai i compiti, ti prendo in giro, secchione! Quest’ultima mi fa più rabbia perché in questa classe la cosa più importante è essere fighi e apparire. Siccome non seguo tutte queste idee sono asociale, sono fuori dal gruppo. E poi volano tantissime bestemmie e parolacce.
Purtroppo i professori non fanno niente, nessuno se ne accorge e il prossimo anno lasciamo le medie. Io non posso dire ai miei compagni che il mio cantante preferito è gay, e che ascolto musica classica, perché mi prendono in giro. Tutti ascoltano musica truzza, vedono video porno e guardano le tette di tutte le ragazze della mia classe. Che futuro avranno questi? Che futuro ho io vivendo la mia adolescenza così? Il mio sogno è fare la cantante lirica, perché la musica per me è come un mostro che mi ha divorato, che mi ha completamente immerso nell’immaginazione, nella fantasia.
È l’unica cosa che non mi fa sentire sola.
Lucia
Sono un ragazzo di sedici anni. Spesso mi capita di osservare le persone e giudicarle o meglio tentare di appiccicare loro un adesivo con scritta una specifica cerchia sociale ben distinta. Mi soffermo su particolari stupidi ma al contempo molto utili per fondare il mio giudizio. Osservo attentamente i vestiti, ascolto i loro discorsi, guardo la postura con cui parlano ecc. Noto sempre più spesso che il soggetto dei loro discorsi è volgarmente pragmatico; di rado sento parlare di politica o di opere liriche. I discorsi molto più in auge sono quelli riguardanti Il grande fratello e altri volgari programmi televisivi. Mi pongo un dubbio: la cultura italiana sta forse svanendo? Il futuro risiederà nella speranza di diventare veline o calciatori? Questo dubbio mi affligge e mi ritrovo sommerso da dubbi, preoccupazioni, domande che mi portano ad avere una visione tragica dell’Italia.
Omar
U.G. Quando eravamo poveri, penso agli anni cinquanta e ai primi anni sessanta, i valori trasmessi in famiglia coincidevano con quelli della società. Oggi, che stiamo diventando poveri ma in una società che non nasconde l’opulenza, la famiglia insegna ancora, anche se sempre più debolmente, valori che sollecitano l’impegno, l’applicazione, la disciplina, il rispetto, mentre la società, sempre meno etica e sempre più mercantile, diffonde valori che sollecitano il consumo, il successo, il potere, avendo come alleato il principio del piacere a cui i giovani sono già naturalmente portati.
La partita è impari e la famiglia cede e si rassegna. Chi si impegna a costruire il proprio futuro, oltre alla fatica, deve sopportare anche il disprezzo e l’isolamento. Di questo si lamentano i due ragazzi che mi hanno scritto, i quali non si sentono migliori dei loro compagni, ma semplicemente emarginati. Di questa emarginazione, che è la porta spalancata per la depressione, la famiglia non si accorge e la scuola, economicamente e culturalmente sempre più povera, ha scarsi strumenti e capacità per intervenire.
La mancanza di prospettive future già da una ventina d’anni ha inaugurato l’epoca nichilista che Nietzsche aveva predetto. E in un’epoca dove il denaro tutto può comprare, persino il sesso e il potere, cosa si pensa possano acquisire e volere i giovani se non “le belle cose”, come scrive Platone nel mito della caverna, che sfilano davanti alla caverna dove sono incatenati gli schiavi?
E però, come nel mito della caverna, uno schiavo si libera dalle catene, esce dall’antro e prende a guardare e ad ammirare le “cose vere”. È un percorso difficile, che avviene in solitudine, accompagnato dal riso e dal disprezzo di quanti dalla caverna non sono usciti, rassicurati dalla loro prigionia. Una prigionia che, al pari degli schiavi di cui parla Platone, i giovani di oggi non avvertono come schiavitù, perché le catene sono dorate e luccicanti. E perciò pensano di essere, più degli altri, all’altezza dei tempi, perché hanno lasciato alle spalle libri e cultura, impegno e rispetto. Valori d’altri tempi, anche se verrà il giorno in cui avvertiranno il vuoto che li circonda e il nulla in cui orientarsi. Ma resta pur sempre il divertimento con cui distrarsi, il vivere il presente in presa diretta ventiquattro ore su ventiquattro, anche se nel frattempo la loro vita, vissuta da virtuosi dell’irresponsabilità, si srotola in un esperimento dall’esito incerto.