35.
Quando
capiremo che il futuro dei giovani dipende
dalla
qualità delle nostre
scuole?
Naturalmente per insegnare ci vuole carisma, capacità di comunicazione ed entusiasmo, perché l’attenzione degli studenti passa dal coinvolgimento emotivo.
Caro prof. Galimberti, ai mali della scuola italiana, che lei elenca nella sua risposta a Michela, ne aggiungerei un terzo: la folla indistinta di intellettuali e non che, da almeno vent’anni a questa parte, parlano a ruota libera di scuola e insegnanti sapendone poco o nulla. Il loro unico scopo, forse anche il suo, sembra quello di essere offensivi, distruttivi.
Quali competenze ha lei per affermare che gli insegnanti non sanno la matematica? La fisica? La letteratura? La filosofia? Si sono tutti laureati, hanno in gran parte superato concorsi pubblici, chi altro o che cosa avrebbe dovuto valutare le loro competenze disciplinari? Non hanno carisma? Non affascinano? Vogliamo introdurre un “valutatore di carisma” o di fascino nella selezione del personale docente?
Mi scusi, ma io rifuggo dal carisma e dal fascino, soprattutto con adolescenti: le dico per esperienza che possono essere armi molto pericolose. Ha un modello di insegnante tipo “Capitano, mio capitano”? Io volerei su orizzonti meno retorici e più quotidiani. Giudizi ripetuti, arbitrari, ingiusti e offensivi come i suoi hanno contribuito e contribuiscono ad affossare la scuola italiana.
Insegno Filosofia in uno storico liceo del centro di Roma. Per quanto le sembrerà strano, lo faccio con il preciso intento di “insegnare a pensare”. Non sempre, ma spesso, nonostante tutto, ci riesco. Gran parte dei miei studenti sono figli di famiglie benestanti che potrebbero mandarli nel fior fiore della scuola privata. Se vengono da noi, con strutture cadenti, classi affollate, aule fredde o bollenti, vuol dire che noi insegnanti non saremo “bravi”, ma almeno discreti.
Paola
U.G. Che molti professori (sottolineo: molti, non tutti) non abbiano una competenza sufficiente nella loro materia è cosa nota agli studenti, ai genitori e ai colleghi professori. Questi ultimi, quando dovesse capitar loro di subentrare l’anno successivo in quell’insegnamento, si trovano a dover recuperare due anni in uno. E c’è chi lo fa e chi non ritiene suo compito farlo. Gli studenti si arrangino come possono. Essere laureati non è di per sé indice di competenza. Posso garantirle che ci si può laureare, ad esempio in Filosofia, anche senza aver letto una sola pagina di Platone o di Kant. Queste cose dovrebbero essere note anche a lei, come lo sono a molti suoi colleghi che mi hanno scritto, confermando in toto quanto avevo detto nella risposta a quella lettera a cui lei si riferisce.
Quanto a me, qualche conoscenza diretta della scuola la possiedo, avendo insegnato, prima di accedere all’università, nelle scuole medie inferiori, negli istituti tecnici, negli istituti magistrali, nei licei scientifici e classici. Ho fatto parte di commissioni concorsuali, dove ho potuto toccare con mano il basso livello di competenza di molti candidati che, per ragioni davvero incomprensibili, superavano comunque il concorso.
Lei mi chiede: “Vogliamo introdurre un ‘valutatore di carisma’ o di fascino nella selezione del personale docente?”. Le rispondo. Assolutamente sì, come avviene in qualsiasi colloquio di lavoro, dove chi si presenta è sottoposto a un test di personalità per verificare, ad esempio in una casa editrice, se il candidato è abbastanza ossessivo e quindi idoneo a fare il correttore di bozze.
È Platone a insegnarci che si impara per fascinazione, perché nell’età dell’adolescenza la mente si apre quando la sfera emotiva è coinvolta. Come ciascuno di noi ricorda di aver studiato con impegno le materie dei professori che ci avevano affascinato e davanti ai quali non si voleva fare brutta figura.
Lei pensa che i pericoli della fascinazione siano maggiori dei pericoli della demotivazione che, come una nebbia pesante, grava in molte classi delle nostre scuole? La demotivazione è insidiosissima, è l’anticamera della depressione, e la depressione è l’anticamera del suicidio. Legga il terzo capitolo di un mio libro, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani (Feltrinelli), ci sono diverse testimonianze di come i giovani vivono la loro pericolosissima demotivazione, spesso a vostra insaputa.
Da ultimo, lei si è accorta che nei nostri licei si è rinunciato alla formazione dei giovani, che vengono giudicati solo sulla base delle loro prestazioni oggettive che fanno media matematica, per cui alla fine del quadrimestre uno si trova in pagella un 6 che risulta dalla media di compiti che, in successione, vanno dal 9 al 3, dal 2 all’8? Ma che idea può farsi uno studente in questa altalena di voti?
E poi, perché non si fanno più i temi, ma solo la comprensione di un testo scritto con un voto a scalare per ogni parola incompresa? Forse perché in un tema si esprime la soggettività dello studente che non è valutabile in termini oggettivi, e magari obbliga l’insegnante a tener conto delle condizioni psicologiche dei suoi alunni?
Perché, cari professori, non aprite un libro di psicologia dell’età evolutiva? Forse capireste perché Freud, già nel 1910, scriveva: “La scuola deve fare più che evitare di spingere i giovani al suicidio, essa deve creare in loro il piacere di vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i loro legami con la casa paterna e la famiglia. Mi sembra incontestabile che la scuola non faccia ciò e che per molti aspetti rimanga al di sotto del proprio compito, che è quello di offrire un sostituto della famiglia e di suscitare l’interesse per la vita che si svolge fuori nel mondo”. Sembra che i giovani questo interesse oggi lo avvertono appena escono da scuola. Come mai?