21.
Non vi
vergognate del vostro razzismo?
Tante volte i pensieri degli adolescenti sono molto più evoluti di quelli degli adulti.
Egregio dottor Galimberti, spesso leggo con mia madre la sua rubrica dove lei risponde a domande che a volte mi faccio, ma che non ho il coraggio di rivelare. Chi le scrive è una ragazza dodicenne con la passione di evidenziare le ingiustizie che le accadono intorno. Il motivo di questa mia lettera è denunciare le discriminazioni e le umiliazioni che ogni giorno subisce chi è “diverso” da noi.
In tutto il mondo e in tutti gli ambienti, si manifestano atti di razzismo che portano a scontri e incomprensioni. La nostra vita di tutti i giorni è caratterizzata da atti violenti e irrispettosi. A scuola vedo bulli che insultano, disturbano e stuzzicano ragazzi più piccoli e deboli di loro troppo spaventati per difendersi. Camminando per le strade del mio paese, sento barzellette offensive su ebrei, africani, cinesi e sulle donne. Ai telegiornali raccontano di incendi appiccati nei campi del popolo rom, di venditori ambulanti picchiati e di ragazze straniere violentate. Perfino i politici non hanno rispetto per gli altri popoli. Un ministro francese ha proposto di sterilizzare le donne rom, in modo che non possano più avere figli.
La nostra intolleranza nei confronti di chi è diverso ha raggiunto livelli estremi: anche gli animali vengono trattati con maggior rispetto! Perché, nelle aziende, le donne vengono pagate meno degli uomini? E perché gli africani sono tutti considerati dei ladri e dei saccheggiatori? Il razzismo è in ognuno di noi, confinato in un angolino della nostra mente: siamo talmente condizionati da programmi televisivi e da racconti sentiti a scuola o negli ambienti di lavoro che sobbalziamo se vediamo un mendicante che ci chiede qualche soldo o pensiamo male se un venditore straniero ci passa accanto.
Abbiamo costantemente paura del diverso perché non lo conosciamo. È come un vuoto buio e ignoto, di cui non sappiamo nulla. Tutto ciò che non procede secondo la normalità viene considerato come un pericolo da eliminare. Invece dovremmo considerarci fratelli di tutti e “cittadini del mondo”. Anche se abbiamo la pelle, la religione e i costumi diversi, avremo sempre qualcosa che ci accomunerà tutti: la stessa forza generatrice che ci ha creati e l’amore per la libertà. Se noi ragionassimo avendo questa ottica, forse le guerre e i conflitti che imperversano nel pianeta cesserebbero e renderemmo il nostro mondo un posto più felice per tutti.
So di essere solo una ragazza con gli orizzonti troppo idealizzati, ma spero che condivida e accolga le mie idee, creando una rubrica che cerchi di sensibilizzare i giovani al concetto della libertà e della tolleranza. Con la speranza di essere ascoltata.
Diletta
U.G. Cara Diletta, sono stupito dalle idee che abitano la tua mente e dal modo con cui riesci a esprimerle. E se anche qualcuno ti ha aiutato nel pensarle e nell’esprimerle, questo qualcuno ha preso le mosse dagli spunti che tu gli hai fornito. La tua età, dodici anni, è interessante in ordine alla formazione di pregiudizi razzisti, perché, finché si è bambini e si scopre il mondo, ogni cosa nuova che si incontra, e quindi ogni curiosità – che si tratti del colore della pelle o del taglio degli occhi degli altri bambini, del loro modo di parlare o di vestirsi –, desta interesse.
Ma i bambini non crescono solo in un prato verde dove giocano con tutti quelli della loro età, i bambini crescono anche in famiglie, in alcune delle quali sono invitati a non familiarizzare troppo con chi ha la pelle nera o non parla bene la nostra lingua, perché questi bambini non sono proprio uguali a noi, dove è sottinteso che sono inferiori a noi. E infatti abitano case che non sono belle e spaziose come le nostre, a scuola hanno qualche difficoltà in più nell’apprendere, talvolta quando si esprimono fanno ridere, e allora nell’età della prima adolescenza, in cui ogni bambino è alla ricerca di una propria identità, non c’è strada più facile per trovarla che arroccarsi nella differenza che li distingue da loro e, a partire dalle considerazioni che hanno ascoltato in famiglia, sentirsi in questa differenza superiori.
Quando uno si sente superiore a un altro cade facilmente preda di quella legge animale dove il forte aggredisce il debole. E il gioco riesce, perché chi viene da noi, lasciando la sua terra, la sua lingua, le sue abitudini, è davvero più debole di chi cresce nella propria terra, parla la propria lingua e non deve cambiare il suo modo di vivere. L’aggressione del debole fa sentire ancora più forti, e la propria identità così rafforzata diventa uno stile di vita.
Ma siccome oltre alla “legge animale” del più forte esiste anche la “legge umana” in base alla quale chi da subito incontra difficoltà e con il tempo e l’impegno le supera diventa più abile di chi le difficoltà non le ha mai incontrate, e quindi non ha avuto occasione di affrontarle e superarle, alla fine tutto si capovolge, e quello che un tempo era più debole diventa più forte di chi si riteneva forte, perché così in famiglia aveva sentito dire. Succederà allora che, in un mondo che ormai mescola tutte le culture, chi fin da piccolo è stato abituato a inserirsi e convivere con una cultura diversa dalla sua sarà più capace di muoversi nel mondo, rispetto a chi non è mai uscito dal proprio paese e in questo recinto ha trovato la sua misera identità.