13.
Perché non ci arrendiamo a chi ci dice
che c’è un solo modo di affrontare la vita

I nostri sogni sono tanti e siamo capaci anche di fare un “passo indietro” pur di trovare le condizioni idonee alla loro realizzazione, onde evitare di vederli spegnere come le stelle che si estinguono.

Egregio Dott. Galimberti, le scrivo in risposta a due lettere precedenti che mi hanno molto colpito, come se parlassero precisamente a me o, ancora di più, come se io stessa le avessi scritte. Anch’io, come Alessandra, ho trent’anni e ho scelto nella mia vita di conoscere la realtà attraverso lo studio, prima ancora che sperimentando nel mondo reale determinate situazioni che, come riti di iniziazione, vengono considerate tappe imprescindibili (ma lo saranno davvero?) della crescita di una persona. E anch’io, come Ludovico, sono un’artista in fieri, una scrittrice che fatica a trovare il suo spazio e a guadagnarsi da vivere con il frutto della propria arte. 

Mi sono sembrati, entrambi, rappresentare bene il grido di una generazione e a loro, a me stessa, a quelli come noi, vorrei dire soltanto due parole: “Non arrendetevi”. Non arrendetevi a chi vi dice che c’è un solo modo di sperimentare il reale, che la pratica (le cosiddette “esperienze”) vale più di qualsiasi chiave interpretativa si possegga per capire e padroneggiare con consapevolezza le situazioni della vita. 

E non pensate nemmeno che i passi indietro debbano essere definitivi. Illudersi mai, ma è ancora più sbagliato non ribellarsi a questo stato di cose, che ci vuole tutti pronti a rinunciare ai nostri sogni, dopo che siamo stati educati e formati per poter desiderare di tutto, anche di fare uno scatto in avanti rispetto ai nostri genitori. 

Anch’io ho dei genitori che rispetto molto, che mi hanno dato tanto e continuano a supportarmi anche in questo momento economico difficile, e capisco benissimo il momentaneo passo indietro di Ludovico, ma non deve per questo rassegnarsi all’idea che sia per sempre. Siamo troppo giovani e abbiamo troppa vita davanti per pensare che tutta la nostra arte e la nostra carriera vadano definite prima dei trent’anni. E siamo abbastanza liberi da non permettere a nessuno, nemmeno agli amici, di invitarci a cedere a una singola visione della vita, che pretende che “facciamo esperienze” a una certa età e in un certo modo, se vogliamo dire di avere vissuto davvero. 

La realtà è troppo complessa per pensare che sia tutto qui, che le possibilità siano così limitate, che ci sia un solo modo di approcciarsi a essa. Continuiamo a lottare, per adattarci allo stato di cose, va bene, ma anche per provare, uno sforzo dopo l’altro, a cambiarlo in meglio.

Ilaria

U.G. Le strade si incrociano: sia quella di Ludovico, che per salvare l’azienda di famiglia sull’orlo del fallimento rinuncia momentaneamente alla sua vocazione artistica, sia quella di Alessandra, stanca di essere accusata di intellettualismo per aver anteposto la conoscenza alla pratica di vita. Storie diverse, tra loro irrelate, che però offrono a Ilaria, che scrive questa lettera, la sensazione di potersi identificare con entrambe, per una sorta di “passo indietro” che talvolta la realtà chiede anche ai giovani, solitamente spronati a guardare avanti e a non fermarsi mai.

Un “passo indietro” non rinunciatario, non rassegnato e soprattutto non per cancellare un sogno, ma per quella sorta di esame di realtà che, proprio perché tiene conto delle condizioni esistenti, evita al sogno di risolversi nell’illusione e pazientemente pone le premesse per la sua realizzazione.

Questo passaggio non è frequente nei giovani, educati in famiglia alla soddisfazione immediata dei desideri. Da piccoli per un fraintendimento dell’amore che passa più attraverso la gratificazione dei doni che attraverso l’ascolto e la comunicazione ininterrotta, e da grandicelli per il timore che il richiamo al principio di realtà induca comportamenti ribelli o avvii su percorsi rischiosi. Il risultato è che alle soglie della maturità questi giovani, trovandosi per la prima volta a fare i conti con la realtà con cui non si sono mai misurati, cadono in depressione, si abbandonano all’ignavia, rinunciano prematuramente alla realizzazione dei sogni, passando repentinamente dall’illusione alla delusione, invece di fare quel “passo indietro” che consente di andare alla ricerca delle condizioni che permettono di tradurre i sogni in realtà.

“Ma ormai non c’è più tempo,” dicono tra loro quando si rendono conto di aver perso tempo in attesa che qualcuno si accorgesse della loro inclinazione, o se preferiamo del loro sogno, e creasse le condizioni favorevoli per poterlo esprimere. Questo “principio di passività”, a cui l’educazione che hanno ricevuto li ha abituati, rende difficile sconfiggere l’inerzia e sostituirla con un’attesa attiva che ha in vista il sogno, ma anche le condizioni per realizzarlo, le quali, se proprio non sono a portata di mano, non sono neppure così lontane da reperire. E il tempo c’è perché, lo ricorda Alessandra: “Abbiamo troppa vita davanti per pensare che tutta la nostra arte e la nostra carriera vadano definite prima dei trent’anni”.

La parola ai giovani
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