«Questa gente mi dà prova di simpatia e di affetto, ma quando morirò non

sarà certo straziata dal dolore. Sono ricco e quelli puntano all'eredità: tutto

qui.» Oppure: «Sono povero, molto povero, e non ne possono più di

sopportarmi.»

Il periodo di lutto per la scomparsa di Mrs. Sedley. si era appena

concluso e Jos aveva appena avuto il tempo di mettere in disparte i panciotti

neri per far ritorno a quelli multicolori e sgargianti per i quali andava in

visibilio, quando apparve evidente alle persone che vivevano a contatto con Mr.

Sedley che un altro analogo e mesto evento era ormai imminente, e che il

vecchio era ormai prossimo a raggiungere la fredda terra ove la consorte lo

aveva preceduto. «Le condizioni di salute in cui versa il mio genitore,»

declamava solennemente Jos agli amici del circolo, «faranno sì che nel corso

della corrente stagione io mi veda costretto a non dare pranzi di riguardo a

casa mia. Tu, però, mio caro Chutney, potrai venire quando vuoi per una cena

semplice, nell'intimità, intorno alle sei, sei e mezzo, in compagnia di qualcuno

dei vecchi amici. Troverai sempre la più cordiale accoglienza.» È così che Jos e

i suoi compari se ne stavano appartati a consumare i loro pasti annaffiandoli di

borgogna, mentre al piano superiore la sabbia della vita scorreva nella

clessidra del vecchio. Il domestico portava il vino camminando col passo

felpato, e dopo cena Jos e i suoi amici si disponevano a una partita a carte cui

di tanto in tanto partecipava anche il maggiore Dobbin. A volte, dopo aver

preparato per la notte il malato, che cadeva in quello stato di blando torpore

caratteristico della vecchiaia, scendeva in salotto anche Mrs. Osborne.

Nel corso della sua malattia Mr. Sedley si attaccò vieppiù alla figlia.

Soltanto lei riusciva a fargli sorbire il brodo o trangugiare le medicine, cosicché

l'assistenza al padre finì col diventare l'unica occupazione di Amelia. Fece

sistemare il proprio letto accanto alla porta che dava accesso alla camera del

vecchio, ed era pronta ad accorrere non appena captava un rumore o un

movimento proveniente dal giaciglio del querulo invalido. Occorre nondimeno

precisare che sovente il pover'uomo restava sveglio per ore ed ore senza

muoversi, nel timore di svegliare la sua tenera e vigile infermiera.

Ora, forse, egli amava la figlia con una tenerezza che non le aveva più

tributata da quando era bambina. Nell'adempimento dei suoi amorevoli uffici,

dei suoi doveri filiali, quella soave creatura metteva precipuamente in risalto le

sue virtù. «Entra nella camera silenziosa come un raggio di sole,» pensava il

maggiore Dobbin, quando la vedeva andare e venire dalla stanza del padre, il

volto atteggiato a un'espressione di serena dolcezza. A chi non è accaduto di

contemplare quella luce dolce ed angelica irraggiante dal viso di una donna

quando si china sui suoi bambini o si prodiga al capezzale di un malato?

Fu così che quello screzio occulto, protrattosi per tanto tempo, venne alla

fine cancellato, per effetto di una tacita riconciliazione. Nelle ultime ore di vita

il vecchio dimenticò tutto il rancore che aveva provato nei suoi riguardi, e tutte

le colpe che lui e sua moglie le avevano rinfacciato, parlandone senza posa nel

corso di tante notti insonni. Le rimproveravano di aver privilegiato il figlio su

ogni altra cosa o persona; di non essersi data pensiero dei vecchi genitori, di

essersi preoccupata sempre e soltanto del figlio; di essersi comportata in modo

incongruo e sventato, ed anzi addirittura spietato, quando le avevano sottratto

George. In breve, al momento di tirare le ultime somme, il vecchio Sedley si

dimenticò di tutti gli appunti mossi alla figlia e rese giustizia a quella piccola

martire che non aveva mai deplorato la propria sorte. Una notte, entrando

silenziosa nella stanza del padre, Amelia constatò che era sveglio, e fu in

quella circostanza che il povero vecchio, affranto, si abbandonò alla sua

confessione: «Sai, Emmy,» disse, posando la sua mano fredda e tremante in

quella della figlia, «pensavo che siamo stati davvero ingiusti con te!» Lei si

pose in ginocchio al capezzale e s'immerse nella preghiera; ed anche il padre

pregò, continuando a tenerle la mano. Quando toccherà a noi, caro amico,

voglia il Cielo che una simile compagnia accompagni le nostre preci!

Forse in quei momenti, mentre giaceva sveglio nel suo letto, Sedley

ripercorreva l'arco della sua vita, le lotte della prima gioventù sorrette dalle

speranze dei verd'anni, il successo e gli anni prosperi che avevano

accompagnato la sua maturità, la catastrofe che aveva segnato l'ultimo scorcio

della sua esistenza, l'inerzia irreversibile del suo stato attuale, senza speranza

alcuna di veder rifiorire quella Fortuna che aveva avuto la meglio su di lui. Non

avrebbe lasciato in eredità né un nome prestigioso né denaro alcuno. La sua

vita si era consumata senza costrutto, tra le sconfitte e le amarezze patite, e

ormai la sua fine si avvicinava. D'altra parte io mi chiedo, caro lettore: è

migliore la sorte di chi muore in prosperità o di chi si congeda dalla vita povero

e amareggiato? È peggio avere ogni cosa ed essere costretti ad abbandonarla,

oppure andarsene dopo aver fallito nel corso dell'umana esistenza? Strano

davvero dev'essere il giorno in cui matura la nostra ora fatale e ci troviamo a

dire: domani successo e insuccesso non conteranno più. Il sole sorgerà, le folle

umane si recheranno al lavoro abituale, ma io ormai sarò fuori della mischia.

Giunse una mattina, un'alba in cui tutti si alzarono per dedicarsi alle

proprie occupazioni, ai propri multiformi piaceri, ad eccezione del vecchio

Sedley che non avrebbe più lottato contro la Fortuna, né avrebbe coltivato

vane speranze, né si sarebbe affannato per conseguire questo o quel risultato.

Al contrario se ne sarebbe andato a occupare un tranquillo e ignorato ricetto in

un camposanto di Brompton, accanto alla vecchia consorte.

Il maggiore Dobbin, Jos e Georgy seguirono la sua spoglia sino alla

tomba all'interno di una carrozza foderata di tessuto nero. Jos venne

appositamente dallo Star & Garter di Richmond, dove si era ritirato dopo il

luttuoso evento. Non gli andava di restarsene in casa con il... capirete, date le

circostanze. Emmy invece rimase, e come sempre fece il suo dovere. Non si

può dire che fosse spezzata dal dolore: più che addolorata appariva assorta.

Sperava nondimeno che la sua morte fosse più serena e meno penosa di quella

di suo padre, e ripensava alle parole che aveva udito pronunciare da lui

durante la sua degenza: parole di fede e rassegnata speranza in una vita

futura.

Sì, sono convinto che delle due questa sia la morte più confacente.

Supponiamo che una persona sia molto ricca e prospera, e nell'ora estrema

mediti fra sé in questi termini: «Sono molto ricco e godo di larga fama. Per

tutta la vita ho frequentato la migliore società e, grazie al Cielo, provengo da

un'ottima famiglia. Ho servito con onore il re e la mia patria. Per vari anni sono

stato deputato in Parlamento ove, posso permettermi di affermarlo, i miei

discorsi erano accolti dal plauso generale. Non sono debitore di denaro verso

nessuno: anzi, ho prestato a Jack Lazarus, un mio vecchio compagno di scuola,

la somma di cinquanta sterline, che i miei esecutori testamentari sono pregati

di non voler sollecitare. Lascio a ciascuna della mie figlie diecimila sterline, che

per una donna sono una sommetta più che discreta. Alla mia vedova lascio,

vita natural durante, l'argenteria, la mobilia e la mia casa di Baker Street,

unitamente a una cospicua rendita. Lascio a mio figlio le mie terre, oltre ai

denari in titoli e alla mia cantina di vini altamente selezionati. Lascio al mio

domestico personale la somma di venti sterline annue, e sfido chiunque a

trovar qualcosa a ridire su di me dopo che me ne sarò andato all'altro mondo.»

Ed ora supponiamo di prestar l'orecchio a un canto del cigno completamente

diverso, e che un tale si dica: «Sono un povero vecchio sventurato e deluso, e

tutta la mia vita non è stata che un fallimento. Non ho avuto cervello né

fortuna, è doveroso ammetterlo, così come ho commesso innumerevoli errori e

sciocchezze. Ammetto inoltre di aver sovente trascurato i miei doveri. Non

sono in grado di pagare i miei debiti. Ora giaccio umile e impotente nel mio

letto di morte, chiedo perdono delle mie debolezze e con cuore contrito mi

affido alla misericordia di Dio.» Quale fra questi due discorsi preferireste per il

vostro funerale? Il vecchio Sedley pronunciò quest'ultimo; e mentre tenendo la

mano di sua figlia così si umiliava, vita, delusioni e vanità lo abbandonarono

per sempre.

«Vedi,» diceva il vecchio Osborne a George, «che cosa fruttan la

capacità, la tenacia nel lavoro, l'abilità negli affari e altre doti del genere?

Guarda me, guarda il mio conto in banca. E guarda quel pover'uomo di tuo

nonno Sedley. Guarda come si è ridotto! Eppure vent'anni fa era un uomo che

valeva più di me. Valeva, per così dire, diecimila sterline più del sottoscritto.»

Oltre alle due persone sopra citate ed ai Clapp, che vennero da Brompton

in visita di condoglianze, non un'anima si curo del vecchio John Sedley, o

rammentò che fosse mai esistito.

Quando il vecchio Osborne si sentì dire per la prima volta da un vecchio

amico come il colonnello Buckler che il maggiore Dobbin era un così valente

ufficiale, reagì dapprima con sprezzante scetticismo e si disse fortemente

dubbioso che un uomo del genere potesse aver cervello e reputazione. In

seguito peraltro altre sue conoscenze gli parlarono di Dobbin in termini di alto

elogio. Sir William teneva il figlio in grande stima e indugiava a riferire episodi

atti a comprovare il coraggio e la cultura del maggiore, nonché la

considerazione della quale godeva in società. Un giorno il suo nome apparve

nell'elenco di coloro che partecipavano ai ricevimenti di alcune famiglie dell'alta

aristocrazia, e quest'ultima circostanza agi prodigiosamente sul vecchio signore

di Russell Square.

Nella sua qualità di tutore di Georgy, dopo che quest'ultimo era stato

affidato al nonno, Dobbin non poté scansare qualche saltuario abboccamento

con Mr. Osborne. Fu in occasione di uno di tali incontri che quest'ultimo, astuto

uomo d'affari, esaminando i conti del maggiore attinenti al suo figlioccio e alla

madre, fu colto da un sospetto che se da un lato lo rattristò valse dall'altro a

rallegrarlo alquanto. Credette infatti di poter concludere che il denaro di cui

erano vissuti la vedova e il bambino provenisse in gran parte dalle tasche di

William Dobbin.

Spronato con insistenza a chiarire questa faccenda, Dobbin, incapace di

mentire, si fece rosso, poi prese a profferire parole sconnesse e alla fine si

rassegnò a confessare. «Io sono uno dei più diretti responsabili di quelle

nozze,» disse, mentre la faccia del suo interlocutore si abbuiava. «Ero del

parere che il mio defunto amico si fosse spinto troppo in là con la sua

promessa di nozze per mancare alla parola data senza vederne compromesso il

suo onore e mettendo in gioco la vita stessa di Mrs. Osborne. Così, quand'ella

si è ritrovata vedova e sola, e priva di qualsiasi risorsa finanziaria, non ho

potuto esimermi dall'offrirle tutto il denaro di cui potevo disporre, onde se ne

servisse per il proprio mantenimento.

«Maggiore Dobbin,» disse il vecchio Osborne, avvampando e

guardandolo fisso in volto, «voi mi avete usato una grave offesa. Permettetemi

di dirvi nondimeno che siete una persona di gran cuore. Eccovi la mia mano,

signore. Non supponevo che una persona del mio stesso sangue vivesse di ciò

che gli davate voi.» E i due uomini si strinsero la mano, con grande confusione

da parte del maggiore, il cui pietoso sotterfugio era stato svelato.

Egli cercò altresì di ammansire il vecchio onde riconciliarlo con la

memoria del figlio. «Era un nobile cuore,» disse. «Era benvoluto da tutti. Non

c'era persona che non fosse pronta a far qualcosa per lui. Quando ero giovane,

mi sentivo oltremodo lusingato dalla spiccata simpatia di cui mi faceva oggetto.

Gradivo di più mostrarmi in sua compagnia che a fianco del generale. Non ho

mai trovato nessuno che gli stesse a pari in quanto a coraggio e, in genere, a

tutte le doti che competono a un vero soldato.» E Dobbin raccontò al vecchio

padre dell'amico scomparso tutti gli aneddoti che ricordava sul valore e sulle

gesta del figlio. «E Georgy gli assomiglia moltissimo,» concluse.

«Gli assomiglia a tal punto che a volte mi fa tremare,» rispose il vecchio

Osborne.

Per alcune sere consecutive (questi fatti si verificavano in concomitanza

con la malattia del vecchio Sedley) Dobbin si recò a cena in casa di Mr.

Osborne, e dopo il pasto la conversazione verteva unicamente sulle virtù del

defunto eroe. Il padre se ne sentiva fiero e magnificava se stesso raccontando

le benemerite imprese del figlio.

Sta di fatto che il suo atteggiamento nei confronti di lui si era fatto più

accondiscendente e comprensivo di quanto lo era stato in passato; e il cuore

cristiano del buon maggiore si rallegrava nel ravvisare i sintomi di un

rinascente sentimento di affetto e di perdono. La seconda sera il vecchio

Osborne chiamò Dobbin per nome, William, così come usava fare quando

George e Dobbin erano ragazzi; e il buon maggiore fu ben lieto di avvertire

questi segni di un'avviata riconciliazione.

Il giorno dopo, a colazione, quando Miss Osborne con l'acredine che le

veniva sia dall'età, sia dal carattere, si permise qualche osservazione poco

obbligante circa l'aspetto e il comportamento del maggiore, il padrone di casa

si affrettò a interromperla: «Saresti stata ben lieta di agganciarlo, Miss O.,

mentre adesso trovi che l'uva è acerba. Eh no, mia cara, il maggiore Dobbin è

un uomo proprio in gamba.»

«È vero nonno,» confermò George. Poi si accostò al vecchio, lo afferrò

per i vistosi baffi e lo baciò ridendo della sua risata schietta e gioviale. Poi, la

sera, riferì l'episodio a sua madre, che si mostrò totalmente d'accordo con il

figlio. «Il tuo caro papà lo diceva sempre: Dobbin è uno degli uomini migliori

che ci siano.»

Combinazione volle che Dobbin sopravvenisse subito dopo questa

conversazione, e fu questa, forse, la causa del rossore di Amelia. Dopo di che il

piccolo discolo accrebbe ulteriormente la sua confusione raccontando la

seconda parte della storia. «Ehi, Dob, c'è una signorina di eccezionale venustà

che muore dalla voglia di sposarti. Ha un mucchio di quattrini, porta la

pettorina di pizzo e redarguisce il personale di servizio dalla mattina alla sera.»

«E chi è mai costei?» chiese Dobbin.

«È la zia O.,» rispose il ragazzo. «Lo ha detto il nonno. Sai, Dob, sarebbe

proprio fantastico averti come zio.»

In quel momento la voce querula del vecchio Sedley chiamò dalla stanza

accanto invocando Amelia, e le risate si spensero.

Ormai era evidente che i sentimenti del vecchio Osborne stavano

subendo un radicale mutamento. Accadeva che chiedesse al ragazzo notizie

dello zio, e rideva quando il ragazzo diceva «Dio mi perdoni!» imitando Jos

nell'atto di trangugiare la minestra. Ma dopo aggiungeva: «Non sta bene che

un ragazzino rifaccia il verso ai suoi parenti più anziani. Miss O., oggi quando

esci a farti una passeggiata in carrozza, passa a lasciare il mio biglietto da

visita da Mr. Sedley, hai capito? Dopo tutto non ci sono screzi tra me e lui.»

Il biglietto da visita venne ricambiato, dopo di che Jos e il maggiore

furono invitati a cena: la cena più sontuosa e più uggiosa che il vecchio avesse

mai offerto a qualcuno. L'argenteria di famiglia faceva mostra di sé al gran

completo. Vennero invitati commensali d'alto prestigio. Mr. Sedley diede il

braccio a Miss Osborne per accompagnarla a tavola, e lei si mostrò oltremodo

affabile con lui, mentre ignorò quasi completamente il maggiore, che sedeva

lontano, al colmo dell'imbarazzo, di fianco al vecchio Osborne. Joe dichiarò

solennemente di non aver mai mangiato una minestra di tartaruga tanto

squisita, e chiese al padre dove avesse comprato quel Madera.

«È ancora parte del vino del vecchio Sedley,» bisbigliò il maggiordomo al

suo padrone.

«L'ho in cantina da molto tempo,» rispose Osborne ad alta voce, rivolto

al suo ospite, ma subito dopo si chinò sul suo vicino di destra e a bassa voce

gli confidò di averlo acquistato all'asta del vecchio.

Più di una volta chiese a Dobbin notizie di Mrs. George Osborne: un

argomento intorno al quale il maggiore faceva spesso alto sfoggio di

eloquenza. Non esitò infatti a raccontare a Mr. Osborne le sofferenze ch'ella

aveva patito, gli riferì dell'amore profondo che aveva nutrito nei confronti del

suo consorte, di cui adorava tuttora la memoria, della tenera devozione filiale

con la quale aveva esplicato i suoi doveri di assistenza nei confronti dei vecchi

genitori, della rassegnazione coraggiosa con la quale si era separata dal figlio

quando aveva ritenuto che fosse doveroso accettarlo. «Voi non potete

immaginare quanto abbia sofferto,» disse il buon Dobbin con un tremito nella

voce. «E voglio augurarmi che siate disposto a riconciliarvi con lei. Se vi ha

tolto il figlio, è pur vero che lei vi ha dato il suo. Credetemi, per quanto abbiate

amato vostro figlio, ella ama il suo dieci volte di più.»

«Per Dio, siete davvero una brava persona, signor mio,» esclamò Mr.

Osborne.

Non gli era mai passata per la testa l'idea che la vedova avesse sofferto

nel separarsi dal figlio, o che la singolare fortuna occorsa a Georgy potesse

tradursi per lei in sofferenza. Ormai la riconciliazione appariva logica e

imminente, e il cuore di Amelia pulsava già al pensiero del difficile incontro con

il padre di George.

E tuttavia questo incontro non avrebbe mai avuto luogo. Dapprima la

lunga degenza del vecchio Sedley, poi la sua morte, lo resero per qualche

tempo inattuabile. Non si può escludere che questo ed altri dolorosi eventi

abbiano influito negativamente sul vecchio Osborne. Negli ultimi tempi

appariva molto alterato, molto invecchiato, quasi fosse roso da un tormento

segreto. Aveva convocato il notaio e presumibilmente aveva mutato qualcosa

nel testamento. Il dottore venne a visitarlo, trovandolo molto debole e in uno

stato di forte prostrazione, onde fu indotto a consigliare un salasso e un

periodo di riposo al mare. Il vecchio peraltro respinse i due rimedi.

Un giorno, all'ora in cui solitamente scendeva per la colazione, il

maggiordomo non vedendolo apparire sali nello spogliatoio del padrone e lo

trovò riverso sul pavimento, ai piedi del tavolo da toeletta. Miss Osborne venne

tosto informata, fu mandato a chiamare il medico, e quel giorno Georgy non

andò a scuola. Giunsero gli infermieri per cavargli sangue e applicargli le

coppette. Osborne parve riprendere conoscenza, ma nonostante si sforzasse

aveva perso l'uso della parola, e in quattro giorni mori.

I medici scesero le scale, e a saline furono gli addetti alle pompe funebri.

Le finestre che si affacciavano sul giardino di Russell Square vennero chiuse

con le imposte. Bullock si precipitò dalla City, agitatissimo: quanto aveva

lasciato al ragazzo?

Non la metà, sperava! Non dubitava che avesse lasciato ai tre parti

eguali. Fu un momento di grandissima emozione.

Chissà cos'aveva tentato di dire due o tre volte, il pover'uomo! Voglio

augurarmi che intendesse manifestare il proposito, prima di spirare, di

conoscere la buona fedele moglie di suo figlio. Ed è assai probabile che fosse

così, giacché il testamento valse a dimostrare che l'odio tanto a lungo nutrito

nel suo cuore si era ormai dissolto da un pezzo.

Nella tasca della sua veste da camera trovarono la lettera col grande

sigillo rosso che George gli aveva scritto da Waterloo. Presumibilmente aveva

riletto altri documenti che riguardavano il figlio, perché in tasca fu trovata

anche la chiave dello stipo nel quale era solito tenerli. Risultò che aveva rotto i

sigilli e dissuggellato le buste molto probabilmente la sera prima del colpo

apoplettico, quando il maggiordomo era entrato nello studio a portargli il tè e

lo aveva trovato immerso nella lettura della grande Bibbia di famiglia rilegata

in pelle rossa.

Il testamento venne aperto. Osborne aveva lasciato la metà dei suoi beni

a George, mentre l'altra metà era spartita tra le due sorelle. Quanto a Mr.

Bullock, era autorizzato a curare i loro interessi continuando ad occuparsi degli

affari dell'azienda; se invece preferiva andarsene, era perfettamente libero di

farlo. A carico dei beni di George era stabilita una rendita annua di cinquecento

sterline a beneficio di sua madre, ossia «della vedova del mio amatissimo

figlio, George Osborne»,la quale sarebbe tornata ad assumere la tutela del suo

figliolo.

«Il maggiore William Dobbin, l'amico del mio amatissimo figlio George,»

veniva nominato esecutore testamentario, e dal momento che «in virtù della

sua generosità e benevolenza, e facendo ricorso ai suoi beni personali, egli ha

mantenuto mio nipote e la vedova di mio figlio quando essi non avevano altre

risorse economiche,» così proseguiva l'esposto del testatore «io lo ringrazio di

gran cuore per l'affetto ch'egli ha voluto dimostrargli e per la cura che si è

preso di loro, onde lo prego di accettare una somma atta a consentirgli di

assicurarsi il grado di tenente colonnello, oda destinare ad altro scopo che gli

sia più accetto.»

Quando Amelia seppe che il suocero, in morte, si era riconciliato con lei,

ne fu profondamente commossa e grata per la rendita che le aveva lasciato.

Ma quando comprese che Georgy le veniva restituito, e seppe come e per il

tramite di chi; quando apprese che era stata la generosità di William a

mantenerla quando versava nell'indigenza, che era stato William a darle suo

marito e suo figlio, ebbene, allora ella cadde in ginocchio e invocò ogni

benedizione su quell'animo generoso e costante, prosternandosi con la mente e

col cuore ai piedi dell'uomo che le aveva elargito un affetto così puro e

profondo e incondizionato.

Tutto ciò ch'ella sapeva accordargli, quale compenso per una devozione

così sublime, era la propria gratitudine. Nient'altro che gratitudine, in cambio

di tanti benefici! E se appena ella arrischiava l'ipotesi di accordargli qualche

altro beneficio, l'immagine di George sorgeva dalla tomba per dirle: «Tu sei

mia, solo mia, ora e sempre.

Fu altamente edificante constatare come Mrs. Osborne, non appena si

riseppero i particolari del testamento di suo suocero, salisse immantinente

nella considerazione di tutti i suoi conoscenti. I domestici della casa di Jos, che

erano soliti controbattere i suoi ordini quando lei si arrischiava a impartirne, e

usavano obiettare che avrebbero domandato prima al «padrone», non si

permisero più di darle risposte simili. La cuoca smise di burlarsi dei suoi abiti

dimessi e consunti, che a dire il vero sparivano davanti all'eleganza di cui la

detta signora faceva sfoggio quando la domenica usciva di casa per recarsi in

chiesa. E del pari gli altri servitori non osarono più brontolare ogni qual volta

Amelia si permetteva di suonare il campanello, né se la presero più tanto

comoda prima di rispondere alle sue chiamate. Il cocchiere, sempre pronto a

borbottare ogni qual volta doveva tirar fuori i cavalli per portare a passeggio

Mr. Sedley e sua figlia, a dire che il suo cocchio era diventato un ospedale, ora

era sempre prontamente disponibile e dava prova della maggior solerzia. Era

terrorizzato all'idea di vedersi sostituito dal cocchiere di Mr. Osborne dichiarava

che «i cocchieri di Russell Square non potevano sapere come si faccia a girare

per le vie della città.» Non erano persone, diceva, che potessero degnamente

sedere a cassetta della carrozza di una signora. Gli amici di Jos, dell'uno e

dell'altro sesso, provarono inopinatamente un accentuato interesse per Emmy,

mentre in anticamera sulla consolle si andavano ammucchiando i biglietti di

condoglianze. Lo stesso Jos, che l'aveva sempre giudicata alla stregua di una

dolce e inoffensiva questuante, da foraggiare con denaro e con cibo, ora

ostentava nei confronti suoi e del figlio un contegno oltremodo deferente. Era

desideroso di distrarla, dopo tutte le angustie sofferte, «povera, cara ragazza»,

onde prese l'abitudine di comparire all'ora di colazione, al precipuo scopo di

chiederle quali programmi avesse per la giornata.

Nella sua qualità di tutrice di Georgy, ella pregò Miss Jane Osborne,

d'accordo col maggiore Dobbin, esecutore testamentario, di continuare ad

abitare in Russell Square sino a quando lo avesse gradito. Miss Osborne

ringraziò, ma disse che non intendeva assolutamente abitare da sola in quella

triste dimora, e partì alla volta di Cheltenham, vestita a lutto, portando seco

due delle sue vecchie cameriere. Quanto alle altre, vennero licenziate dopo

esser state compensate con generose prebende. Per parte sua, il vecchio e

fedele maggiordomo, che Mr. Osborne aveva esortato a mantenere in servizio,

preferì invece licenziarsi e investire i propri risparmi in una bettola, ove ci

auguriamo che i suoi affari si siano rivelati finanziariamente proficui. Dal

momento che Miss Osborne non aveva voluto continuare ad abitarci, ed anche

Mrs. Osborne, dopo lunga meditazione, aveva rinunciato a trasferirvisi, la casa

di Russell Square venne chiusa. La fastosa mobilia, le suppellettili, gli orrendi

candelabri e le fosche specchiere vennero imballati e riposti. I mobili del

salotto in legno di rosa furono impagliati e imballati, i tappeti arrotolati e legati

con lo spago. I pochi libri dalle pregevoli rilegature vennero chiusi in due

cassette da vino, e tutte queste masserizie vennero trasportate, a bordo di

veicoli acconci, sino al Pantechicon, ove sarebbero rimaste finché Georgy non

avesse raggiunto la maggiore età. A sua volta la massiccia argenteria venne

depositata nelle cassette di sicurezza di Stupy & Rowdy, per giacere nelle

segrete di codesti esimi banchieri fino alla stessa epoca.

Un giorno Emmy, in lutto profondo, tenendo per mano George, andò a

dare un'occhiata alla casa ormai vuota e deserta nella quale non aveva rimesso

piede da quando era fanciulla. Il cortile d'ingresso, ove le suppellettili erano

state caricate sui furgoni adibiti al trasporto, appariva cosparso di paglia.

Entrarono nelle grandi stanze vuote, le cui pareti recavano ancora il segno dei

quadri che vi erano stati appesi. Salirono il grande scalone di pietra e

penetrarono nelle camere da letto, nella stanza ove il nonno era morto, precisò

Georgy a bassa voce; poi salirono ancora, fino alla stanza ch'era stata del

bimbo.

Georgy le stava al fianco, ma in quel momento Amelia non pensava al

figlio: la sua mente era rivolta al padre del ragazzo. Quella era stata la sua

stanza.

Ella si avvicinò ad una delle finestre, una di quelle cui era solita levare il

suo sguardo ansioso nei primi tempi in cui il bambino le era stato tolto. Da quel

punto, al di sopra degli alberi, le riuscì di scorgere anche la casa dov'era nata e

aveva vissuto nei giorni felici della sua sacra giovinezza. Tutto, in quel

momento, le riaffiorò alla mente: le liete vacanze, i volti sorridenti, quel

passato sereno, senz'ansia. E poi le lunghe sofferenze alle quali aveva dovuto

rassegnarsi. Pensò a tutto ciò e all'uomo che non aveva mai cessato di

proteggerla; pensò al suo buon genio, al suo unico benefattore, a quell'amico

tenero e generoso.

«Guarda, mamma,» esclamò Georgy, «qui c'è un G.O. inciso sul vetro col

diamante. Non l'avevo mai visto. Non sono stato io, a farlo.»

«Questa era la stanza di tuo padre molto prima che tu nascessi,» rispose

lei. E lo baciò arrossendo.

Poi, mentre in carrozza tornavano verso Richmond, indugiò a lungo

silenziosa. Tornavano a Richmond, sì, a Richmond, dove avevano affittato una

casa, dove ossequiosi legali si recavano premurosamente a riverirla, non senza

affrettarsi ad annotare la visita sulla parcella, e dove naturalmente non

mancava una camera pronta ad accogliere il maggiore Dobbin, che vi si recava

sovente, dal momento che la sua qualifica gli imponeva di occuparsi

personalmente di parecchi affari riguardanti il suo figlioccio.

Nel frattempo Georgy aveva lasciato la scuola di Mr. Veal per una

vacanza di lunghezza indeterminata, e il gentiluomo in questione aveva

ricevuto l'incarico di elaborare un'epigrafe da incidere su una bella lapide di

marmo, che poi sarebbe stata collocata a Foundling Church sotto il monumento

funebre del capitano George Osborne.

La Bullock, ossia la zia di George, sebbene defraudata di una metà della

somma che avrebbe dovuto ereditare da suo padre in virtù di quel piccolo

mostro, volle nondimeno dar prova di longanimità facendo visita alla madre del

ragazzo e riconciliandosi formalmente con lei. Roehampton è situata a breve

distanza da Richmond, e un giorno la carrozza fregiata sulle portiere del

blasone dai torelli dorati raggiunse la casa di Mrs. Osborne col suo carico di

bambini smunti. L'intera comitiva dei Bullock irruppe nel giardino ove Amelia

era intenta a leggere. Jos, sotto il pergolato, si mangiava placidamente qualche

fragola tuffandola nel vino, mentre il maggiore, in giacca di foggia indiana se

ne stava carponi sull'erba, in attesa che Georgy si servisse della sua schiena

per saltare alla cavallina. Infatti scattò saltando al di sopra della testa di

Dobbin e. andò a ruzzolare tra lo stuolo dei bimbi Bullock che stavano

affluendo in corteo, tutti in abito nero e cappelli infiocchettati a lutto per non

esser da meno della madre, in gramaglie da capo a piedi. «Ha l'età giusta per

Rose,» pensò la tenera genitrice lanciando un'occhiata alla sua cara figlioletta,

una ragazzina emaciata di sette anni.

«Rose, va' a dare un bacio al tuo caro cuginetto,» disse Mrs. Bullock.

«Non mi riconosci, George? Sono tua zia.»

«Vi riconosco benissimo,» rispose George, «però non baciatemi, vi prego,

perché non mi va a genio.» E si ritrasse dalla cuginetta.

«Che strano bambino sei!» esclamò la Bullock. «Suvvia, conducimi da

tua madre.» E fu così che le due donne s'incontrarono dopo un intervallo di

quindici anni.

Durante il lungo lasso di tempo in cui Emmy era stata povera e

sopraffatta dalle ansietà, la cognata in questione non si era mai sognata di

andare a trovarla. Ora peraltro che la sua posizione sociale aveva subito una

radicale e positiva trasformazione, andare a trovarla era logico e doveroso.

E come lei agirono tanti altri. Miss Swartz, la nostra vecchia amica,

giunse a cavallo da Hampton Court in compagnia del marito, con gli staffieri in

chiassose livree gialle, e esternò ad Amelia l'affetto di cui le aveva sempre dato

prova. Occorre peraltro precisare, per dovere di giustizia, che la Swartz non

avrebbe disdegnato di recarsi a trovarla se solo ne avesse avuta la possibilità.

Se non che, que voulez-vous?, questa città è così vasta che non si riesce a

rimediare il tempo necessario per andare a far visita agli amici. Se capita che

essi escano dai ranghi mentre noi siamo costretti a continuare per la nostra

strada, è giocoforza procedere senza di loro. Quando mai ci si accorge degli

assenti in questa Fiera della Vanità?

Così, prima ancora che si concludesse il periodo di lutto per la morte di

Mr. Osborne, Amelia si trovò al centro di una cerchia di persone altamente

selezionate, ciascuna delle quali era sempre stata lungi dal pensare di non

essere in tutto degna di appartenervi. Erano ben poche le signore che non

fossero imparentate con qualche Pari del Regno, ancorché il consorte facesse il

droghiere nella City. Talune di esse, inoltre, erano sempre perfettamente

informate e altamente erudite. Leggevano Mrs. Sommerville e frequentavano

la Royal Institution, altre, per contro, erano fedeli adepte della Chiesa

Evangelica e assidue frequentatrici della Exeter Hall. A onor del vero bisogna

riconoscere che Amelia si trovava a disagio in quest'accolita, e solo a

malincuore dovette rassegnarsi ad accettare gli inviti della cognata Bullock.

Costei si era investita del compito di presiedere alla sua educazione. Le

consigliò una buona sarta e prese a occuparsi dell'andamento di casa, nonché

di correggere i punti deboli del suo galateo. Giungeva con estrema frequenza

da Roehampton per informare l'amica degli ultimi pettegolezzi sulla vita di

Corte. Jos si divertiva a porger l'orecchio alle sue ciance, mentre il maggiore si

allontanava, disgustato, ogni qual volta quella nobildonna da strapazzo faceva

la sua comparsa. Una sera arrivò al punto di addormentarsi, di fronte alla testa

calva di Mr. Bullock , in occasione di una fastosa cena offerta dal banchiere,

vieppiù speranzoso che i beni pecuniari degli Osborne venissero trasferiti dalla

banca Stumpy & Rowdy alla sua.

Frattanto Amelia, che non aveva studiato il latino, ignorava chi fosse

l'autore dell'ultimo articolo di fondo dell'«Edinburgh» e non approvava né

disapprovava l'inconcepibile tirammolla di Mr. Peel in merito a un documento

determinante come il Catholic Relief Bill, sedeva in pertinace silenzio in mezzo

alle signore riunite nel salotto, lo sguardo posato sui verdi tappeti erbosi, sui

vialetti ricoperti di ghiaia e sui vetri scintillanti delle serre.

«A quanto pare è di buon carattere, ma alquanto insulsa,» osservò Mrs.

Rowdy. «Ad ogni modo quel maggiore mi sembra molto épris

«Quello che le manca è il ton,» incalzò Mrs. Hollyock. «Mia cara amica,

sono certa che da lei non riuscirete mai a cavar nulla.»

«Non si capisce se la sua sia indifferenza o un'ignoranza disarmante,»

osservò Mrs. Glowry con voce cavernosa, scuotendo il capo fasciato da un

turbante. Le ho chiesto se, a suo giudizio, il Papa sarebbe caduto nel 1836 o

nel 1839, secondo quanto asseriscono rispettivamente Mr. Jowls e Mr.

Wapshot, e lei si è limitata a rispondere: "Povero Papa! Spero proprio che non

cada. Che cos'ha fatto, poveretto?"»

«Si tratta della vedova di mio fratello,» intervenne Mrs. Bullock. «Vi

prego pertanto di fare il possibile per consentirne l'accesso in società. Come

certo potete immaginare, che non v'è alcuna implicazione venale da parte di

coloro di cui ben conoscete la delusione

«Povera Mrs. Bullock!» esclamò la Rowdy rivolta alla Hollyock, quando

furono di nuovo in carrozza. «Si aggiusta, si dà da fare come può. Vorrebbe

che il conto corrente degli Osborne venisse trasferito dalla nostra banca alla

sua. Immagino avrete notato come s'ingegna di far sedere il piccolo Georgy

accanto a Rose, quella sua mocciosa dagli occhi cisposi. È una cosa

semplicemente ridicola.»

«Vorrei che la Glowry non cavasse alcunché dal suo Uomo del Peccato e

dalla sua Battaglia di Armageddon,» uscì a dire l'altra, mentre la carrozza

attraversava rumorosamente Putney Bridge.

Ma questo genere di società era troppo perfidamente raffinata per

Emmy, e tutti fecero un salto di gioia quando emerse improvvisamente la

proposta di intraprendere un viaggio all'estero.

LXII • AM RHEIN

I banalissimi eventi testé descritti erano avvenuti da qualche settimana

quando un bel mattino, chiusa la sessione parlamentare e ad estate ormai

inoltrata, cosicché la crème della società londinese si accingeva ad

abbandonare la capitale per cercare come ogni anno nuove evasioni e cure

salutari - un bel mattino, dicevo, il piroscafo Batavier salpò dallo scalo della

Torre, recando a bordo un cospicuo numero di inglesi in fuga estiva. Sul ponte

erano stati tesi i tendoni e le panche e le passerelle brulicavano di marmocchi

paffuti e di bambinaie che si affannavano ad accudirli, di signore in cappello

rosa ed eleganti abiti estivi, nonché di signori in berretto da viaggio e giacche

di tessuto leggero, il labbro fregiantesi di mustacchi avviati a una congrua

crescita in occasione del viaggio testé intrapreso. C'erano altresì i floridi e

pimpanti ex combattenti dalle cravatte inamidate e dagli alti cappelli

accuratamente spazzolati: quegli esemplari che hanno invaso l'Europa alla fine

del conflitto e diffondono il Godden nazionale in tutte le città del continente. Un

incredibile numero di cappelliere, scrittoi pieghevoli e nécessaires da viaggio si

ammucchiava sul ponte. C'erano altezzosi studenti di Cambridge che,

accompagnati dai loro, professori, si apprestavano a raggiungere Nonnenwerth

o Königswinter in viaggio culturale. Parimenti si annoveravano tra i viaggiatori

eleganti giovanotti irlandesi dai baffi arroganti, adorni di gioielli, che parlavano

senza posa di cavalli, ma erano sempre oltremodo gentili con le signore nei

confronti delle quali, per contro, i suddetti studenti di Cambridge e i loro

mentori manifestavano una candida timidezza. C'erano vecchie «colonne» di

Pali Mali che partivano alla volta di Ems o di Wiesbaden, e già preconizzavano il

piacere di passarvi le acque onde smaltire gli eccessi dei banchetti cui avevano

partecipato nel corso della passata stagione londinese. Si preparavano inoltre a

qualche piacevole partita a trente-et-quarante e alla roulette, tanto per non

perderne l'abitudine. C'era il decrepito Matusalemme con la giovanissima

consorte, alla quale il capitano delle Guardie Papillon reggeva il parasole e le

guide turistiche. E c'era del pari il giovane May in viaggio di piacere con la sua

sposa (già Mrs. Winter, nonché compagna di scuola della nonna di suo marito).

C'erano Sir John e signora con uno stuolo di mocciosi e un adeguato numero di

bambinaie, nonché la numerosa quanto illustre famiglia dei Bareacres che si

teneva a debita distanza, spregiando di rivolger la parola a chicchessia.

Sul ponte di prua erano state sistemate le carrozze, fregiate di corone e

blasoni e sormontate da scintillanti imperiali, e accanto ad esse stazionavano

altri cocchi meno sfarzosi. Non era facile aprirsi un varco tra quei veicoli, e gli

sventurati ai quali erano state assegnate le cabine che si aprivano su quel

ponte stentavano a muoversi in uno spazio tanto esiguo. I personaggi in

questione erano due gentiluomini di Houndsditch, vestiti con estrema eleganza,

che si erano portati appresso le provviste ma sarebbero stati in grado di

comprare una buona metà della comitiva che affollava il salone da ritrovo,

alcuni dignitosi individui in mustacchi, muniti di cartelle da disegno, che

presero tosto ad abbozzare qualche schizzo; due femmes de chambre francesi

che ebbero un attacco di mal di mare prima ancora che la nave avesse

oltrepassato Greenwhich; e un paio di staffieri addetti alla sorveglianza dei

carri bestiame che oziavano vicino ai parapetti, vicino alle pale della ruota,

cianciando di cavalli, del favorito alla corsa di Leger o di chi avrebbe vinto o

perso la Goodwood Cup.

Gli accompagnatori, non appena ebbero cessato di affannarsi su e giù per

i ponti e sistemato i rispettivi padroni nelle loro cabine, si raccolsero in gruppo

a chiacchierare e a fumare. Ad essi si unirono alcuni ricchi ebrei per ammirare

da vicino le carrozze: il grande veicolo di Sir John che avrebbe potuto

accogliere una dozzina di persone, quello di Lord Matusalemme, e poi il

calesse, la berlina e il fourgon per i bagagli di Lord Bareacres, tutti ancora da

pagare ai rispettivi venditori. Non si capiva proprio come Lord Bareacres

avesse rimediato il denaro per pagare il viaggio. Invece i signori ebrei lo

sapevano fin troppo bene. Come sapevano a quanto ammontasse la somma

che in quel momento si trovava nelle tasche di Milord, a quale interesse lo

avesse ottenuto e chi glielo avesse dato. C'era, infine, una stupenda carrozza

da viaggio, oggetto in quel momento della discussione in corso tra gli

accompagnatori.

« A qui cette voiture là? » chiese a un collega un distintissimo

accompagnatore, in orecchini, che reggeva un grosso portafoglio in marocchino

rosso.

« C'est à Kirsch, je bense... je l'ai vu tout à l'heure, qui brenoit des

sangviches dans la voiture, » rispose l'interlocutore in un suo mirabile francese

tedeschizzato. Kirsch sopraggiunse in quel momento, proveniente dalla stiva

dove si era recato a impartire istruzioni, condite da bestemmie in varie lingue,

ai marinai impegnati a sistemare il bagaglio dei passeggeri. Rispose dunque

alle domande dei suoi amici. La carrozza in questione era di proprietà di un

facoltoso indiano giunto da Calcutta e dalla Giamaica: un uomo di una

ricchezza favolosa che lo aveva assunto in servizio per la durata di quel

viaggio. In quel momento un giovincello, scacciato dal ponte dove era andato a

piazzarsi vicino alle pale della ruota, e che da lì si era inerpicato in cima alla

carrozza di Lord Matusalemme, per poi procedere balzelloni da un imperiale

all'altro, era finalmente approdato alla propria, sgusciando all'interno della

medesima attraverso il finestrino, tra gli scroscianti applausi degli astanti.

« Nous allons avoir une belle traversée, Monsieur George. » disse

l'accompagnatore con un sorriso, e al tempo stesso levandosi il berretto

gallonato.

«Al diavolo quel dannato francese,» disse il giovincello a mo' di risposta.

«Piuttosto, dove sono i biscotti?» Al che Kirsch gli rispose in inglese, o meglio

in una contraffazione personale del suddetto idioma, giacché, sebbene Mr.

Kirsch avesse dimestichezza con molte lingue, in realtà non ne conosceva bene

nemmeno una, onde non esitava a parlarle tutte con la medesima sicumera e

facendo un monte di strafalcioni.

L'albagioso, giovane gentiluomo che si stava abboffando di biscotti (e ne

aveva ben donde, dal momento che non mangiava un boccone da quando

aveva lasciato Richmond tre ore innanzi) era il nostro amico Georgy Osborne.

Sua madre e lo zio Jos erano sul ponte in compagnia di un signore che, in

pratica, non si allontanava mai dal loro fianco, e tutti insieme si accingevano a

fare un bel viaggio estivo.

Per l'esattezza, in quel momento Jos sedeva sotto un tendone,

praticamente vis-à-vis di Lord Bareacres e dei di lui familiari, i cui movimenti

calamitavano quasi completamente l'attenzione del bengalese. I nobili coniugi

sembravano più giovani di quanto apparissero in quel fatale 1815, in cui Jos

ricordava di averli incontrati a Bruxelles. Per essere sinceri, in India si era

sempre compiaciuto di lasciar credere d'essere unito ai Bareacres da vincoli di

strettissima amicizia. Le chiome di Lady Bareacres, a quel tempo corvine, ora

apparivano di un bel color mogano dorato, mentre i baffi del di lei consorte,

allora di un biondo rossiccio, adesso erano di un nero intenso, con riflessi

porpora e verdastri. Orbene, le movenze della nobile coppia, così mutata,

assorbivano totalmente l'attenzione del nostro amico Jos. La presenza di un

lord lo affascinava, dissuadendolo dal volger lo sguardo altrove.

«A quanto pare quei due vi interessano molto,» osservò Dobbin ridendo

e indugiando a guardarlo. Anche Amelia rise. In testa recava una cuffietta di

paglia adorna di nastri neri, mentre il resto dell'abbigliamento era ligio al lutto

più rigoroso; ma l'atmosfera di allegra confusione che preludeva a quei giorni

di vacanza contribuiva a favorirne il buonumore, conferendole una fisionomia

radiosa.

«Che splendida giornata!» osservò Emmy, e tosto aggiunse, con rara

originalità: «Voglio sperare che il mare sia calmo.»

Jos agitò una mano, e al tempo stesso sogguardò con occhio sdegnoso

gli illustri personaggi che gli stavano di fronte. «Se avessi fatto i viaggi che

abbiamo affrontato noi,» disse, «non ti daresti tanto pensiero del tempo.» Sta

di fatto, peraltro, che l'incallito viaggiatore trascorse l'intera notte in preda a

un atroce mal di mare, soccorso all'interno della sua carrozza dal suo

accompagnatore, che gli porgeva brandy e acqua ed altri beveraggi del caso.

All'ora prevista la comitiva gettò l'ancora nel porto di Rotterdam, dove

s'imbarcò su un altro vapore, diretta a Colonia. Qui i nostri amici e i loro cocchi

sbarcarono a terra e Jos fu altamente compiaciuto di constatare che il suo

arrivo era annunciato dai giornali con la dizione « Herr Graf Lord von Sedley

nebst Begleitung aus London». Aveva accluso al bagaglio il suo abito di Corte e

aveva insistito affinché Dobbin portasse seco tutti i complicati accessori

dell'alta uniforme. Adesso era giunto il momento di esternare la sua intenzione

di farsi presentare a qualche Corte straniera e di porgere i propri omaggi ai

sovrani dei paesi ch'egli si proponeva di onorare di una sua visita.

Ovunque la comitiva facesse sosta Jos coglieva il destro di lasciare il suo

biglietto da visita e quello del maggiore al «Nostro Ministro Plenipotenziario».

Non fu cosa facile dissuaderlo dal presentarsi in tricorno e brache attillate al

ginocchio al banchetto cui erano stati invitati dall'ospitale console inglese della

Città Libera di Judenstadt. Jos teneva inoltre una specie di diario nel quale

andava registrando virtù e difetti delle locande nelle quali avevano agio di

fermarsi, prendendo nota dei vini e delle vivande che gustava.

Emmy per parte sua era felice e si divertiva moltissimo. Ovunque lei lo

desiderasse, Dobbin era pronto a trasportarle lo sgabello e la cartella dei

disegni, sempre pronto ad elogiare quei saggi pittorici facendoli oggetto di

incondizionata ammirazione. Amelia sedeva sul ponte del battello donde

riproduceva i castelli che sfilavano lungo la costa, oppure montava in groppa a

un ciuco, e accompagnata da Georgy e Dobbin raggiungeva le torri di un

fortilizio, un tempo rifugio di briganti. E rideva per quanto Dobbin fosse buffo

(ma del resto rideva anche lui) a cavalcioni di quel somaro, con le zampe

penzoloni che rasentavano terra. Dobbin, nelle sue vesti di ufficiale, conosceva

il tedesco, e fungeva da interprete per tutto quanto il gruppo. Quanto a

George, si divertiva moltissimo a sentirgli raccontare le gesta delle campagne

del Palatinato e del Reno. Nel giro di poche settimane, e in virtù delle assidue

conversazioni con Herr Kirsch, Georgy fece notevolissimi progressi nella

conoscenza del tedesco, tant'è che riusciva ad esprimersi coi camerieri e gli

accompagnatori, con indicibile, orgogliosa soddisfazione di sua madre e del suo

tutore, oltremodo divertito.

Raramente Mr. Jos prendeva parte alle gite pomeridiane del gruppo.

Dopo pranzo preferiva farsi delle buone dormite e rilassarsi al sole sotto la

pergola delle osterie lungo il Reno. Ah, che delizia quei giardini affacciati al

fiume! Che incanto quel paesaggio placido e solatio, coi suoi monti violetti le

cui cime si riflettono nelle acque dell'immenso corso d'acqua. Chi, fra quanti ha

veduto quello scenario, non conserva un ricordo incancellabile della sua serena

bellezza? Solo a posar la penna per indugiare col pensiero a quelle splendide

terre che costeggiano il Reno, ci si sente pervasi da un impeto di felicità. A

quest'ora, nelle sere estive, le mucche scendono dalle colline ricoperte di

pascoli, tra muggiti e clangore di campanacci, giù fino alle storiche città cinte

da antichi fossati, con le loro porte, le loro torri a cuspide, i loro castagni che

proiettano lunghe ombre azzurre sull'erba. Più lontani, il cielo e il fiume sono

immersi in un'aura fiammeggiante d'oro e di porpora, mentre la luna, già

spuntata, spicca pallida nel cielo avvampato dal tramonto. Il sole cala dietro i

monti coronati dai castelli, poi annotta di colpo e le acque si fanno vieppiù

cupe, mentre la luce, sprigionantesi dalle finestre che si aprono negli antichi

bastioni, vi si riflette tremula. E, sulla sponda opposta, quale sentimento di

pace aleggia dai lumi dei paeselli che si snodano ai piedi delle colline!

Jos dunque si concedeva delle saporose dormite, gli occhi protetti dalla

sciarpa, e si leggeva tutte le notizie attinenti all'Inghilterra (non ne perdeva

una parola) di quello splendido giornale di Gallignani (che i fondatori e i

proprietari di quel giornale benemerito possano trar frutto dalla benedizione di

tutti i lettori inglesi all'estero!). Sta di fatto che dell'assenza di Jos, sveglio o

dormiente, i nostri amici non soffrivano gran che. Erano di lietissimo umore. La

sera quasi sempre andavano all'Opera: frequentavano assiduamente quei

simpatici teatri lirici delle piccole città tedesche, ove non si fa pompa alcuna e

dove la nobiltà siede in un settore a piangere e a far la calza, mentre sul lato

opposto si raccolgono i borghesi, a far né più né meno le stesse cose, mentre

Sua Trasparenza il Duca e la sua Trasparente famiglia, tutti molto cordiali e

paciosi, siedono nel palco centrale e la platea appare gremita di giovani,

elegantissimi ufficiali, con la vita sottile, i biondi baffi vistosi e due soldi di paga

al giorno. Fu li che Emmy si diverti più che in ogni altro luogo e fu iniziata alle

incantevoli musiche di Mozart e Cimarosa. Già abbiamo avuto agio di parlare

dell'inclinazione musicale di Dobbin e della sua abilità nel suonare il flauto; ma

forse il maggior piacere procuratogli da quelle serate consisteva nel

contemplare il viso estatico di Amelia mentre ascoltava l'opera. Un nuovo

mondo di bellezza e di amore si era dischiuso ai suoi occhi nel momento in cui

aveva avuto la rivelazione di quelle divine composizioni. Data la sua estrema

sensibilità, come avrebbe potuto restare insensibile all'incanto musicale di

Mozart? I brani più melodici del Don Giovanni suscitavano in lei una così viva e

tenera emozione, che la sera, al momento di raccogliersi in preghiera, si

domandava se per caso non fosse peccato trarre così intenso piacere

dall'audizione di «Vedrai, carino» o di «Batti, batti, bel Masetto». Ma quando si

fu rivolta al maggiore in qualità di consulente teologico, e ben sapendo quanto

egli fosse rispettoso della religione e timorato di Dio, questi le rispose che ogni

espressione di bellezza, fosse questa artistica o naturale, suscitava sempre in

lui un sentimento di riconoscenza a Dio che si tramutava immantinente in

felicità. Di conseguenza il piacere che si traeva dall'ascoltare una bella musica,

al pari di quello offerto dal firmamento stellato, da un bel paesaggio o da un

quadro, era un dono di cui era giusto ringraziare il Cielo, non altrimenti che per

qualsiasi altro bene terreno. Poi, in risposta a qualche blanda obiezione di

Amelia, derivante dalla lettura di opere di edificazione religiosa come La

lavandaia di Finchley Common e altre della stessa scuola, di cui Mrs. Osborne

era stata provvidamente fornita nel periodo della sua vita trascorso a

Brompton, lui le raccontò la fiaba orientale del gufo convinto che gli occhi non

potessero assolutamente tollerare la luce solare, e che l'usignolo fosse un

uccellino completamente pazzo. «La natura ha voluto che per l'uno la luce del

sole non fosse sopportabile, e che per l'altro il cantare fosse una cosa

naturale,» le fece osservare ridendo. E aggiunse: «Dal momento che voi avete

una voce dolcissima, sono certo che apparteniate alla famiglia degli usignoli.»

Mi compiaccio di indugiare su questo periodo della vita di Amelia, lieto di

presumere ch'ella dovesse sentirsi gaia e spensierata. Invero, sino a questo

momento un 'esistenza come questa le era stata negata, né aveva avuto modo

di coltivare la propria intelligenza, di gratificare i suoi gusti. Sino a quel

momento era stata costretta a occuparsi soltanto di cose tristi e quotidiane, né

in ciò la sua sorte era stata dissimile da quella di tante altre donne. E poiché

ogni esponente del gentil sesso si sente rivale di ciascuna delle sue simili, in

base al loro criterio di giudizio, sempre tanto benevolo, la timidezza viene

scambiata per dabbenaggine, la gentilezza per idiozia, mentre il silenzio,

espressione di timido rifiuto nei confronti della umana sicumera, e soprattutto

silenziosa obiezione, non troverà sentimento alcuno di pietà nel terrificante

tribunale dell'inquisizione femminile. Se pertanto, mio caro e illustre lettore,

questa sera ci accadesse di trovarci in un gruppo di erbivendoli, tanto per fare

un esempio, difficilmente la nostra conversazione potrebbe rivelarsi molto

interessante. E parimenti, se un solo erbivendolo si trovasse a sedere alla tua

tavola, ove ognuno fa sfoggio di battute spiritose e le persone che conducono

vita mondana si compiacciono di sparlare del prossimo, è molto probabile che

l'erbivendolo non parteciperebbe intensamente alla conversazione, né si

dimostrerebbe molto interessato alla parola altrui.

Occorre inoltre ricordare che, sino a quel momento, la povera signora

non aveva avuto occasione alcuna di far la conoscenza di un gentiluomo. Del

resto non si può escludere che simili personaggi non allignino in gran numero.

Chi può affermare di annoverarne più d'uno, nella cerchia dei propri

conoscenti? Alludo, si badi, a uomini schietti e generosi, dotati di una

franchezza che deriva dall'incapacità di piegarsi a giochi meschini; in grado di

guardare il mondo nella sua realtà, di posare lo stesso sguardo benevolo e

virile sui potenti come sugli umili. Ciascuno di noi conosce un buon numero di

persone vestite con eleganza, una dozzina di individui dotati di raffinata

educazione, tre o quattro esemplari appartenenti alle cosiddette cerchie

esclusive, e che sono riusciti a raggiungere il vertice della scala sociale. Ma fra

costoro vi sono molti gentiluomini? Prendiamo un foglio di carta e ciascuno di

noi si accinga a compilare l'elenco che gli compete.

Nel mio segnerò senza alcun dubbio il mio amico, il maggiore Dobbin.

Aveva due gambe molto lunghe, il viso giallognolo e una pronuncia difettosa

che al primo momento riusciva un tantino buffa. Per contro i suoi pensieri

erano nobili, la sua intelligenza indubbia, la sua esistenza intemerata, il suo

cuore umile e appassionato. Non c'è dubbio che fosse dotato di mani e piedi

spropositati, che non di rado avevano suscitato il dileggio e le risate dei due

George Osborne, e non si può escludere che fossero stati proprio quei lazzi a

indurre in errore Emmy, portandola a sottovalutare il maggiore. Ma non è

accaduto a tutti noi di formulare all'inizio un giudizio errato sui nostri eroi, per

poi mutare d'opinione centinaia di volte? In quei giorni felici Emmy dovette

constatare che il suo parere aveva subito un netto cambiamento, in relazione

ai meriti del maggiore Dobbin.

Fu quello, forse, il periodo più lieto della loro vita, ancorché loro non lo

sapessero. E chi mai, d'altronde, ne è consapevole? Chi mai, di noi, è in grado

di dire quale sia l'acme, il momento supremo della gioia terrena? Sta di fatto,

comunque, che la nostra coppia si sentiva più che soddisfatta, e si godette

quella vacanza estiva al pari di qualsiasi altra felice coppia londinese. Georgy li

seguiva ovunque, anche a teatro, ma alla fine dello spettacolo era il maggiore

a posare lo scialle sulle spalle di Amelia. Quando facevano una passeggiata o

un 'escursione, il ragazzo li precedeva sempre, arrampicandosi sugli alberi o

issandosi in cima alle torri, mentre Emmy e il maggiore lo seguivano con passo

tranquillo, o se ne stavano giù ai piedi del torrione, lui fumandosi un sigaro e

lei abbozzando uno schizzo del paesaggio o del castello diroccato. È stato

proprio in quel periodo che io li ho incontrati e ho fatto la loro conoscenza: io

che ora sono impegnato a scrivere questa storia veritiera in ogni suo dettaglio.

Fu nella piccola e leggiadra capitale del ducato di Pumpemickel (proprio

la stessa in cui Sir Pitt Crawley si era distinto nello svolgimento delle sue

funzioni di attaché, evento che peraltro risaliva ad epoca ormai lontana, prima

che l'esito della battaglia di Austerlitz inducesse a far fagotto tutti i diplomatici

inglesi di stanza sul territorio tedesco) che ebbi la ventura di vedere per la

prima volta il colonnello Dobbin assieme ai suoi compagni di viaggio. Erano

scesi con carrozza e cocchiere all'Hotel Erbprinz, il migliore della città, e l'intera

comitiva pranzò alla table d'hôte. Tutti concentrarono la loro attenzione

sull'aspetto imponente di Jos e sull'aria compunta da conoscitore con la quale

sorbiva, o meglio succhiava, il johannisberger che aveva ordinato per cena.

Osservammo del pari che anche il ragazzino non mancava di vigoroso appetito,

e consumava in larghe dosi Schinken, Braten e Kartoffeln, nonché insalata,

marmellata di mirtilli, budini, polli arrosto e dolciumi vari con un coraggio che

faceva onore alla sua patria. Dopo una quindicina di portate concluse il pasto

con un dessert del quale non esitò a portarsi via qualcosa all'atto di alzarsi da

tavola. Infatti alcuni bellimbusti che avevano assistito divertiti alle sue

disinvolte esibizioni lo avevano spronato a infilarsi in saccoccia una manciata di

amaretti, che poi sgranocchiò con delizia mentre andavano a teatro, il luogo

abitualmente frequentato dagli abitanti di quella gaia e ospitale cittadina

tedesca. La signora in abito nero, ossia la madre del ragazzo, rideva, arrossiva

e assumeva un'espressione compiaciuta e timida quanto più contemplava le

spericolate prodezze e i saggi di espièglerie del suo figliolo. Il colonnello (ormai

chiamiamolo così, dal momento che la nomina sarebbe seguita di poco a questi

eventi) scherzava, ricordo, col ragazzo, e con buffa compunzione gli additava

le vivande che non aveva gustato, scongiurandolo di non tenere a freno il suo

appetito, e anzi di servirsi una volta ancora di questa o quella pietanza.

Al Ducale Pumpernickelisch Hof, ossia al Teatro di Corte, era serata di

gast-rolle, come si suoi dire, e Madame Schròder-Devrient, allora nel fulgore

della sua avvenenza e delle risorse della sua ugola d'eccezione, interpretò il

ruolo della protagonista in quell'opera sublime che è il Fidelio. Dal nostro umile

posto in balconata avevamo agio di vedere i nostri amici della table d'hôte

assisi nel palco che Schwendler, il proprietario dell'Hotel Erbprinz, riserva ai

suoi ospiti di riguardo, e non potei esimermi dal notare l'effetto che la musica e

l'arte di quella grande artista produceva su Mrs. Osborne, tale essendo il nome

col quale l'avevo udita interpellare dall'imponente signore coi mustacchi.

Nel corso del mirabile coro dei prigionieri, sul quale si levava purissima la

voce della cantante dando luogo a una squisita e perfetta associazione

armonica, il volto della signora inglese aveva assunto un'espressione di così

estatica e deliziata ammirazione che persino Fipps, l'attacché dell'ambasciata

inglese, gentiluomo alquanto blasé, non poté fare a meno di esternare questa

sua considerazione: «Mio Dio, fa veramente piacere vedere che una donna è

capace di tanto trasporto!» E nella scena della prigione, allorché Fidelio corre

verso il marito e grida: « Nichts, nichts, mein Florestan, » Amelia parve sul

punto di cadere in deliquio e si premette gli occhi col fazzoletto. D'altro canto

in quel momento piangevano tutte le signore presenti in sala, e se la mia

attenzione si concentrò in modo spiccato sulla sua persona è solo perché ero

predestinato a scrivere questa storia.

Il giorno dopo era in programma un'altra opera di Beethoven, Die

Schlacht von Vittoria. All'inizio dell'opera si presenta il personaggio di Malbrook

a sottolineare la travolgente avanzata dell'esercito francese. Poi echeggiano le

trombe, rullano i tamburi, si odono tuonar le artiglierie e gemere i feriti. Infine,

al culmine di un crescendo fragoroso, prorompono le note del God Save the

King.

Non c'erano più di venti cittadini inglesi, in teatro, ma non appena

risuonò quell'inno tanto amato e a tutti noto, noialtri giovani seduti in

balconata, Sir John e Lady Bullminister (trasferitisi a Pumpernickel per

l'istruzione dei loro nove rampolli), il pingue signore dai mustacchi,

l'allampanato maggiore dai pantaloni di tela indiana bianca, la madre del

ragazzino (ossia la signora che il maggiore faceva oggetto delle sue

attenzioni), e persino il cocchiere Kirsch seduto in galleria, tutti, dicevo,

balzarono in piedi rivelando la loro appartenenza alla cara e vecchia patria

inglese. Tapeworm, Chargé d'Affaires a Pumpernickel, si alzò a sua volta in

piedi nel suo palco e si inchinò gonfiando il torace, quasi intendesse

rappresentare di persona tutto quanto l'impero. Egli era il nipote ed erede del

vecchio maresciallo Tapeworm, già affiorato nelle pagine di questa storia prima

della battaglia di Waterloo sotto il nome di generale Tiptoff, comandante del

...° reggimento di cui faceva parte il maggiore Dobbin, morto quell'anno

stesso, carico d'onori, in conseguenza di una potente indigestione di aspic a

base d'uova di piviere. Dopo di che il comando del reggimento era stato

graziosamente affidato da Sua Maestà al colonnello Sir Michael O'Dowd,

K.C.B., che già aveva guidato quelle truppe su molti gloriosi campi di battaglia.

È molto probabile che Tapeworm avesse già conosciuto il colonnello

Dobbin in casa di colui che era stato il suo superiore, ossia il maresciallo

Tapeworm; tant'è che quella sera lo riconobbe, e il ministro plenipotenziario di

Sua Maestà benignamente lasciò il suo palco per andare a stringere

pubblicamente la mano a quell'amico inopinatamente ritrovato.

«Guarda quel dannato intrigante di Tapeworm,» sibilò Fipps, seguendo

dalla sua poltrona le mosse del proprio superiore. «Riesce sempre a intrufolarsi

là dove ci sia una bella donna.» C'è peraltro da chiedersi se i diplomatici

esistano per svolgere funzioni diverse dalla suddetta.

«Ho l'onore di rivolgermi a Mrs. Dobbin?» chiese il ministro

plenipotenziario col suo più accattivante sorriso.

Georgy scoppiò in una risata fragorosa. «Per giove,» esclamò, «questa sì

che è buona!» Emmy e il maggiore arrossirono: ce ne accorgemmo anche noi

dalla balconata.

«Siete in errore,» lo corresse il maggiore. «La signora è Mrs. Osborne, e

il signore è Mr. Sedley, alto funzionario del Bengal Civil Service. Mi sia

permesso di presentano a Vostra Signoria.»

Sua Signoria mandò Jos in sollucchero facendogli dono di uno dei suoi più

suadenti sorrisi. «Vi proponete di soggiornare a lungo a Pumpernickel?»

domandò. «una città alquanto noiosa. Sentiamo il bisogno di gente simpatica e

posso assicurarvi che faremo di tutto per allietare la vostra permanenza. Mr...

ehm, sì... Mrs. ah... sarò molto onorato di farvi visita domani stesso in

albergo.» Dopo di che prese congedo elargendo un ultimo sorriso a Mrs.

Osborne, quasi fosse stata una freccia del Parto, nell'intima certezza che

valesse a soggiogarla del tutto.

Terminato lo spettacolo, i giovani si trattennero ancora nella balconata

per osservare il pubblico che sfollava dal teatro. La duchessa madre se ne andò

a bordo della sua vecchia carrozza carica di sonagliere, scortata da due vecchie

zitelle rugose, ossia le sue damigelle d'onore, nonché da un affannato

omuncolo, il gentiluomo d'onore, in parrucca castana e casacca verdognola

onusta di decorazioni, tra le quali aveva particolare spicco la stella e il gran

cordone giallo dell'Ordine di San Michele di Pumpernickel. I tamburi rullarono,

la guardia scattò sull'attenti e la vecchia carrozza si allontanò con fragore.

Seguirono Sua Trasparenza il duca e la sua Trasparentissima famiglia, i

dignitari di Corte e le altre personalità del seguito. Il duca s'inchinò a tutti con

garbata condiscendenza; poi, tra il saluto delle guardie, il rosseggiare delle

fiaccole impugnate dai lacché che correvano or qua or là, nelle loro livree

scarlatte, le carrozze dei Trasparentissimi si misero in moto alla volta dello

Schloss ducale, che svettava al sommo dello Schlossberg, irto di guglie e di

pinnacoli. A Pumpernikkel tutti si conoscevano, e non appena faceva la sua

comparsa un forestiero il ministro degli Esteri o qualche altro funzionario di

stato più o meno autorevole si affrettava a recarsi all'Hotel Erbprinz per farsi

dare le generalità del nuovo arrivato.

Noi indugiammo anche fuori del teatro a contemplare la gente che ne

usciva. Tapeworm se n'era andato poco prima, drappeggiato nell'enorme

mantello che gli aveva recato l'imponente domestico personale che lo seguiva

ovunque. Con quel manto somigliava tal quale a Don Giovanni. La moglie del

primo ministro era riuscita, non senza sforzo, a prender posto sul sedile della

sua portantina, mentre sua figlia, l'incantevole Ida, si era infilata la mantellina

e le soprascarpe. Quando poi uscì anche il gruppo degli inglesi (il ragazzino

sbadigliando senza ritegno, il maggiore affannandosi ad avvolgere Mrs.

Osborne nello scialle e Mr. Sedley incedendo tronfio e maestoso, il cilindro da

sera piazzato di sghimbescio sulla testa e una mano infilata nel vistoso

panciotto bianco all'altezza dello stomaco), tutti ci affrettammo a scappellarci

per salutare degnamente i nostri compagni di table d'hôte, e la signora ci

gratificò di un sorriso e di un inchino del quale tutti le fummo

incondizionatamente grati.

Davanti al teatro la carrozza dell'albergo, affidata al solerte Mr. Kirsch,

era in attesa della comitiva. Ma a quel punto il grasso Mr. Sedley manifestò il

proposito di rientrare a piedi per fumarsi un sigaro in santa pace, cosicché gli

altri tre se ne andarono senza di lui, mentre Kirsch seguiva la scia del suo

padrone reggendo la scatola dei sigari.

Anche noi preferimmo avviarci a piedi, conversando col corpulento

Sedley degli agréments che offriva Pumpernickel. Per un inglese il luogo era

dei più gradevoli: non mancava la possibilità di fare escursioni e di andare a

caccia. Inoltre quella piccola Corte così cordiale organizzava feste da ballo e

ricevimenti in quantità. La gente era cordiale, gli spettacoli teatrali di

prim'ordine e la vita decisamente a buon mercato.

«Senza contare,» aggiunse il nostro nuovo amico, «che il ministro

plenipotenziario è una persona veramente affabile. Con un simile

rappresentante della Corona e... e un buon medico, reputo che questo posto

sia l'ideale per risiederci. Buonanotte, signori.» E Jos salì alla volta della sua

stanza, facendo scricchiolare gli scalini, seguito da Kirsch che reggeva un

doppiere. Quanto a noi, speravamo di tutto cuore che quella signora così

graziosa decidesse di trattenersi un po' di tempo in quella città.

LXIII • NEL QUALE RITROVIAMO UNA VECCHIA CONOSCENZA

Un comportamento così cortese da parte di Lord Tapeworm non poteva

non incontrare reazioni altamente favorevoli in Mr. Sedley, il quale la mattina

dopo, a colazione, non esitò ad affermare che Pumpernickel era la località più

piacevole fra quante ne avevano visitate durante il loro viaggio. Le recondite

motivazioni del comportamento di Jos non erano per il solito di difficile

interpretazione. Per parte sua Dobbin rise tra sé e sé quando constatò, dall'aria

saccente con la quale il funzionario parlava del castello di Tapeworm e dei vari

membri della famiglia, come il medesimo si fosse alzato di buonora per

consultare la copia dell'Almanacco di Gotha che si era portato in viaggio. Certo,

certo, e come no? Aveva conosciuto benissimo il molto onorevole conte di

Ragwig, padre di Sua Signoria. Era sicurissimo di averlo incontrato a Corte in

occasione di qualche udienza. Quando, esattamente, non era in grado di

precisano. Dobbin non lo ricordava, per caso? E allorché il diplomatico, in

adempimento alla promessa fatta, si recò in visita al gruppo dei nostri amici,

Jos lo accolse con onori e atteggiamenti ossequiosi quali raramente venivano

accordati a quel piccolo plenipotenziario. Quando Sua Eccellenza arrivò, Jos

strizzò l'occhio a Kirsch, e questi, istruito a tempo debito, se ne andò a

presiedere alla preparazione di piatti a base di carni fredde, gelatine ed altre

cibarie prelibate, recate su vassoi, con le quali Mr. Jos voleva degnamente

rifocillare il suo illustre ospite.

Tapeworm, desideroso di poter contemplare una volta di più gli occhi

luminosi di Mrs. Osborne, la cui carnagione trasparente reggeva in pieno anche

alla luce del giorno, non era affatto scontento di aderire alla proposta di restare

negli appartamenti di Mr. Sedley. Gli rivolse qualche domanda pertinente

sull'India e sulle danzatrici indiane, s'informò presso Amelia circa il bellissimo

giovinetto che aveva visto la sera prima insieme a lei, e si complimentò con

l'attonita, giovane signora per l'impressione estremamente favorevole che

aveva suscitato la sera prima a teatro. Tentò altresì di attirarsi la simpatia di

Dobbin portando la conversazione sull'ultima guerra e sul coraggio di cui

avevano dato prova le truppe di Pumpernickel, che avevano preso parte al

conflitto sotto il comando dell'allora principe ereditario, l'attuale duca.

Lord Tapeworm aveva ereditato una porzione non irrilevante della

galanteria tipica della sua famiglia, onde viveva nella lieta convinzione che ogni

donna sulla quale gli accadesse di posare un occhio benevolo si dovesse

innamorare automaticamente di lui. Pertanto prese congedo da Emmy

nell'assoluta certezza di averla sedotta col suo fascino personale e l'acume

della sua conversazione, e tornò a casa col proposito di scriverle seduta stante

una breve missiva. Lei peraltro non era stata nemmeno vagamente affascinata,

ma solo interdetta, davanti alle sue svenevolezze, al suo fazzoletto profumato

e ai suoi stivaletti dal tacco alto. Non capì nemmeno la metà dei complimenti

che lui le aveva rivolto. La sua conoscenza del mondo era così limitata, che

sino a quel momento non le era mai accaduto di imbattersi in uno svenevole

zerbinotto di quella fatta, onde il suo occhio si posava su Sua Signoria con

un'espressione nella quale la curiosità prevaleva sul compiacimento. E se per

costui non provava alcuna ammirazione, pure non poteva reprimere un

sentimento di generica curiosità. Jos invece era al settimo cielo. «Com'è

gentile, Sua Signoria!» diceva. «stato oltremodo cortese da parte sua

promettere di mandare il suo medico personale! Kirsch, porterete senza

indugio i nostri biglietti da visita al conte di Schlüsselback. Quanto a me e al

maggiore Dobbin, ben presto saremo lieti e onorati di andare a recare i nostri

omaggi a Corte. Kirsch, preparate la mia uniforme, anzi le nostre uniformi.

Rendere ossequio ai sovrani stranieri come ai propri è un dovere al quale ogni

cittadino inglese bennato non deve assolutamente venir meno.»

Il dottor von Glauber, ossia il medico inviato da Tapeworm, il quale era

altresì il medico personale di Sua Grazia il duca di Pumpernickel, non durò

fatica a persuadere Jos che le fonti termali di quella località avrebbero

restituito snellezza e vigore al nostro amico bengalese. «L'anno scorso essere

fenuto qui cenerale Bulkeley, un cenerale inclese molto più crasso che foi,»

disse. «E topo tre mesi l'ho rimandato intietro molto più magro, anzi topo tue

mesi pallava già con la paronessa Glauber. Jos aveva deciso seduta stante. Le

acque termali, il medico, la Corte di Pumpernickel, lo Chargé d'Affaires lo

avevano convinto, onde prese la decisione di trascorrere l'autunno in

quell'incantevole piaga. A sua volta, in ossequio all'impegno assunto, il giorno

dopo lo Chargé d'Affaires presentò Jos e il maggiore Dobbin a Vittorio Aurelio

XVII, al cui nobil cospetto vennero introdotti dalla persona del conte di

Schlüsselback, maresciallo di Corte.

Subito ricevettero l'invito di trattenersi a cena a palazzo, e non appena

essi ebbero esternato l'intenzione di prolungare la loro permanenza in città, le

signore più compìte di Pumpernickel si affrettarono a recarsi in visita da Mrs.

Osborne; e dal momento che anche la più squattrinata di costoro era, come

minimo, baronessa, Jos non stava più nella pelle dalla felicità. Scrisse pertanto

una lettera a Chutney, al circolo, per dirgli come in Germania i funzionari

statali godessero della più alta considerazione, e che egli si proponeva di

insegnare al conte di Schlüsselback (col quale aveva stretto legami di

personale amicizia) come si cacciasse il cinghiale all'indiana. E aggiungeva che

i suoi augusti amici, ossia il duca e la duchessa di Pumpemickel, erano nei suoi

confronti oltremodo amabili e ospitali.

Anche Emmy venne presentata alla famiglia ducale, e dal momento che

in determinati giorni non è consentito portare il lutto a Corte, vi si presentò in

abito di crespo rosa, con una spilla di diamanti appuntata sul seno, che le

aveva donato suo fratello. Era così vezzosa con quell'abito, che il duca e tutti i

cortigiani - per tacere del maggiore, il quale non l'aveva mai veduta in abito da

sera e giurava che non dimostrasse più di venticinque anni - la fecero oggetto

della loro incondizionata ammirazione. Così abbigliata partecipò altresì ad un

ballo di Corte, nel corso del quale danzò la polka col maggiore Dobbin, e dal

momento che la polka è un ballo che non implica difficoltà di sorta, Jos ebbe

l'onore di ballarla con la contessa di Schlüsselback, un'anziana gentildonna

alquanto gibbosa ma dotata di sedici quarti di nobiltà e imparentata con quasi

tutte le case regnanti di Germania.

Pumpernickel è situata al centro di un'amena vallata, lungo la quale

scorre il fiume Pump, e rende fertili le circostanti campagne prima di sfociare

nobilmente nel Reno in un punto che non mi è possibile precisare, non avendo

una carta sottomano. In qualche tratto il fiume è così ampio e profondo, che vi

può navigare un piccolo piroscafo-traghetto; in altri è in grado di far turbinare

la ruota di un mulino. Nella stessa Pumpernickel, il terz'ultimo delle

Serenissime Trasparenze, il celebre Vittorio Aurelio XIV, edificò uno splendido

ponte sul quale è stata innalzata la statua che lo raffigura, circondato da uno

stuolo di nereidi nonché da innumerevoli simbologie figurate della pace e della

vittoria: egli preme arditamente il piede sul capo di un turco prostrato (la

storia insegna ch'egli ingaggiò un combattimento contro un giannizzero, e che

poi lo trafisse da parte a parte, quando l'armata di Sobieski mosse in soccorso

di Vienna assediata), ma, per nulla turbato dagli spasimi in cui si torce il

musulmano atterrato, scosso dai singulti dell'agonia, il principe sorride serafico

e indica con la spada in direzione di Aurelius Platz, là ove egli aveva dato inizio

alla costruzione di una nuova residenza principesca che sarebbe diventata una

delle meraviglie architettoniche del suo tempo, se solo non gli fossero mancati

i fondi necessari per condurre la magna opera a compimento. Ma il palazzo di

Montplaisir (o di Montblaisir, come lo designavano i bravi tedeschi) non poté

mai essere ultimato per carenza di denaro liquido, e ora l'edificio, il parco e il

giardino presentano un aspetto alquanto trascurato. Si aggiunga che le sue

dimensioni avrebbero consentito di ospitare soltanto dieci volte il numero di

persone che costituiscono l'attuale famiglia regnante e la sua Corte.

I giardini erano stati disegnati col proposito di emulare quelli di

Versailles. Tra terrazze e boschetti si ergono tuttora elaborate fontane gremite

di figurazioni allegoriche, che nei giorni di festa zampillano e spumeggiano

solenni, al punto di spaventare gli astanti con la violenta prosopopea dei loro

giochi d'acqua. C'è, fra l'altro, la grotta di Trofonio, nella quale, in virtù di

qualche ingegnoso artificio, i tritoni di piombo non si limitano a emettere

acqua, ma fanno udire le loro voci cavernose fuoriuscenti da grandi conchiglie,

parimenti di piombo. E c'è il Bagno delle Ninfe, c'è la Cascata del Niagara, che

tutti gli abitanti del territorio circostante vengono ad ammirare quando

giungono in città in occasione della fiera che vi si svolge in concomitanza con

l'apertura della nuova sessione parlamentare, oppure quando ha luogo una di

quelle fêtes con le quali il piccolo Stato felice usa ancora celebrare il genetliaco

o i fausti sponsali dei suoi illustri principi.

In tali occasioni, da tutte le città del ducato, il quale estende i suoi confini

per una decina di miglia - da Bolkum, posta alla frontiera orientale donde

sembra lanciare la propria sfida alla Prussia, da Grogwitz, dove il Principe

possiede un casino di caccia e dove il fiume Pump separa i suoi domini da

quelli del suo vicino, il principe di Potzenthal -, da tutti i paeselli che, oltre ai

suddetti prestigiosi centri urbani, fanno parte di quel beato paese, dalle fattorie

e dai mulini che si affacciano al corso del Pump giungono turbe di sudditi in

gonnella scarlatta e berretto di velluto, oppure col cappello a tricorno e la pipa

in bocca, per godersi la fiera e gli spassi offerti dai festeggiamenti. In

occasione di queste fêtes l'ingresso a teatro è gratuito e le acque di Montplaisir

entrano in azione (ed è una fortuna che la gente accorra sempre in gran

numero ad assistere allo spettacolo, giacché una persona sola si

spaventerebbe).Arrivano altresì saltimbanchi e cavallerizzi (è circostanza a tutti

nota che Sua Trasparenza abbia subìto il fascino di una cavallerizza

soprannominata La Petite Vivandière, che sembra fosse una spia dei francesi),

mentre il popolo ammirato fruisce del permesso di sfilare per le sale della

Residenza Granducale. Quivi la folla stupefatta posa l'occhio sui pavimenti

lucidissimi e sdrucciolevoli, sui fastosi arazzi e tendaggi nonché sulle

sputacchiere collocate accanto alla porta delle innumeri stanze. A Montplaisir

c'è anche un padiglione arredato da Vittorio Aurelio XV, principe assennato

ancorché soverchiamente dedito alle gioie della vita, che, a quanto se ne dice,

sarebbe un vero capolavoro di licenziosa eleganza. Gli affreschi che ne

adornano le pareti si ispirano al mito di Bacco e Arianna, mentre una tavola

entra ed esce dalla sala da pranzo per mezzo di un marchingegno meccanico, il

che consente di cenare senza l'indiscreta presenza di servitori. Ma il padiglione

venne chiuso da Barbara, vedova di Vittorio Aurelio XV, austera e timorata

principessa del casato di Bolkum e reggente del Ducato durante la gloriosa

minore età del figlio, giacché l'augusto consorte era stato stroncato nel fiore

dei suoi gaudenti anni.

Il teatro di Pumpernickel gode di larga fama in quelle regioni della

Germania. Conobbe una fase di decadenza all'epoca in cui il duca felicemente

regnante imponeva che vi venissero rappresentate le opere che egli stesso

componeva; ed anzi a tale proposito si racconta che una volta, mentre

assisteva dalla platea a una prova, avrebbe fracassato un contrabbasso sulla

testa del Maestro di cappella perché a suo giudizio dirigeva a un tempo troppo

lento. Allo stesso periodo risalgono le commedie intimiste che sfornava di sua

testa la duchessa Sophia, e che sembra suscitassero il tedio degli spettatori.

Attualmente peraltro il principe fa eseguire la propria musica solo in privato,

mentre la duchessa si limita a far rappresentare le sue commedie ad esclusivo

beneficio dei visitatori stranieri ospiti della sua deliziosa, piccola Corte.

Si tratta, del resto, di una piccola Corte la cui vita non manca di sfarzo e

splendore. Gli invitati alle feste da ballo possono raggiungere il numero di

quattrocento; c'è sempre un lacchè in livrea scarlatta adorna di trine per ogni

quattro invitati, e le cibarie vengono servite su piatti d'argento. Feste e

spettacoli si susseguono senza posa; il duca ha i suoi ciambellani e i suoi

addetti personali, così come la duchessa ha le sue dame di palazzo, non

altrimenti da altri potentati più autorevoli e prestigiosi di loro.

La Costituzione è, o comunque era, ispirata a un blando dispotismo,

temperato da un Parlamento che a volte viene eletto, a volte no. Per quanto mi

concerne, durante il mio soggiorno a Pumpernickel non ho mai saputo che il

Parlamento in questione tenesse o no le sue sedute. Il Primo Ministro abita un

appartamento al secondo piano di una casa qualunque, mentre il Ministro degli

Esteri occupa un confortevole alloggio sopra la Konditorei Zwieback. L'esercito

consisteva in una splendida banda che si esibiva altresì sul palcoscenico, ove

era un vero divertimento vedere questi dignitosi personaggi sfilare abbigliati da

turcomanni, il volto impiastricciato di belletto, roteando scimitarre di legno,

oppure vestiti da antichi romani, con oficleidi e corni da guerra. Questo,

beninteso, alla sera, dopo che per tutta la mattinata avevamo suonato nella

Aurelius Platz, proprio di fronte al café dove noi facevamo colazione. A parte la

banda, le forze militari di Pumpernickel includevano un fiero e nutrito novero di

ufficiali e, forse, anche qualche soldato, oltre beninteso alle sentinelle. Tre o

quattro uomini in uniforme da ussaro montavano la guardia davanti alla

Residenza ducale, ma non li ho mai visti a cavallo. E d'altra parte, au fait, a

che cosa sarebbe servita la cavalleria in tempo di pace? E dove diamine

sarebbero andati a cavalcare, gli ussari?

Tutti - ossia tutti coloro che appartenevano all'aristocrazia, giacché per

quanto riguarda i borghesi non ci si può certo attendere che ci occupiamo di

loro - si recarono in visita dal nostro amico. Sua Eccellenza Madame de Burst

riceveva un giorno la settimana, ed anche Sua Eccellenza Madame de

Schnurrbart aveva la sua serata. Il teatro dava spettacolo due volte la

settimana, la corte graziosamente riceveva una volta la settimana: insomma,

Pumpernickel era in grado di offrire ai suoi visitatori una gamma di svaghi

sufficientemente ricca e varia.

A Corte, nessuno poteva negarlo, non mancavano intrighi e faide

intestine. La vita politica era molto intensa e aspra la contesa tra i vari partiti.

C'era la consorteria della Strumpff e c'era la fazione della Lederlung, l'una

sostenuta dal nostro rappresentante diplomatico e l'altra da quello della

Francia, Monsieur de Macabau. In effetti bastava che il ministro di Gran

Bretagna sostenesse la Strumpff, la quale senz'alcun dubbio superava la rivale,

ossia la Lederlung, battendola facilmente di qualche punto; bastava, dicevo,

che il nostro ministro esprimesse qualsivoglia opinione su costei, perché il

diplomatico francese si affannasse a contraddirlo e a rispondergli per le rime.

L'intera città era divisa tra questi due partiti. Madame de Lederlung era

una creatura senza dubbio molto graziosa, e la sua voce (quel fu di voce che

aveva) era di timbro soave. Per parte sua la Strumpff non era né giovane né

bella, e per giunta di una grassezza impressionante (tanto che, nella celebre

scena della Sonnambula in cui deve uscire dalla finestra in camicia da notte,

reggendo una lucerna in mano, per poi attraversare il ponticello del mulino,

faticava alquanto ad uscire dalla finestra e faceva flettere e scricchiolare le assi

del piccolo ponte), ma cantava il finale dell'opera in modo semplicemente

divino. E con quale appassionato trasporto ella si gettava nelle braccia di

Elvino! Mancava poco che lo soffocasse. Per contro la piccola Lederlung... Ma

bando ai pettegolezzi. Sta di fatto che queste due rivali simboleggiavano il

partito francese e quello inglese di Pumpernickel, e l'alta società era divisa tra

la fedeltà all'una o all'altra tra due nazioni potenti quali la Francia e

l'Inghilterra.

Dalla nostra parte stavano il Ministro degli Interni, il Maestro della

Cavalleria, il segretario personale del duca, il precettore del principe ereditario,

mentre dalla parte dei francesi si annoveravano il Ministro degli Esteri, la

consorte del Capo di Stato Maggiore (un ex ufficiale napoleonico), il Gran

Maresciallo di Corte e Signora, cui piaceva mantenersi ligia ai dettami della

moda di Parigi e riceveva tempestivamente i suoi cappellini per il cortese

tramite del corriere personale di Monsieur de Macabau. Il segretario della

Cancelleria di quest'ultimo era un certo Griganc, un giovincello maligno come il

diavolo, che aveva vergato caricature di Tapeworm in tutti gli album della città.

Il loro quartier generale e la loro table d'hôte avevano sede nel

Pariser-Hof, l'altro prestigioso albergo della città, e sebbene le circostanze

imponessero il reciproco rispetto del rispettivo nemico in pubblico, pure non

mancavano di scambiarsi motti e frecciate feroci. Il che mi rammenta come

una volta, nel Devonshire, abbiamo assistito al combattimento fra due lottatori

che si scambiavano calci negli stinchi senza tradire la minima sofferenza,

nemmeno con una piccola contrazione dolorosa del viso. Non accadeva mai che

Tapeworm o Macabau inviassero dispacci ai rispettivi governi senza

abbandonarsi ai più feroci attacchi contro il proprio rivale. Ecco, ad esempio, in

quali termini si esprimeva il nostro rappresentante diplomatico: «Gli interessi

della Gran Bretagna in questo Stato e in tutto il territorio tedesco sono messi a

repentaglio dal perdurare nel proprio incarico dell'attuale rappresentante della

Francia. È una persona che non esita davanti a qualsiasi azione sleale, che non

arretrerebbe nemmeno davanti all'ipotesi del delitto, pur di pervenire al proprio

scopo. Inquina i sentimenti della Corte nei confronti del rappresentante

inglese, prospetta il contegno della Gran Bretagna nella luce più falsa e odiosa.

Purtroppo la sua azione è sostenuta da un ministro la cui ignoranza e avidità

non sono inferiori all'influenza deleteria ch'egli è in grado di esercitare.» Per

parte sua il collega francese scriveva: «Monsieur de Tapeworm continua ad

estrinsecare la sua stolida arroganza insulare e a ricorrere all'arma triviale del

mendacio ai danni della più grande nazione del mondo. Ieri è stato udito

esprimersi in termini disobbliganti sul conto di Sua Altezza Reale la duchessa di

Berry. In un'altra circostanza ha avuto parole di spregio nei riguardi dell'eroico

duca di Angoulême, né ha esitato a insinuare che Sua Altezza Reale il duca

d'Orléans stia tramando contro l'augusto trono dei gigli d'oro. E quando le

sfrontate minacce di un simile individuo non pervengono al loro risultato, egli

non esita a spargere oro a piene mani. Ricorrendo a simili, indegni espedienti,

è riuscito a far breccia anche a Corte trovandovi degli accoliti. Di conseguenza

Pumpernickel non avrà pace, la Germania non avrà tranquillità, la Francia non

otterrà rispetto, l'Europa non godrà di sicurezza alcuna sino a quando questa

serpe velenosa non verrà schiacciata sotto il tallone...» E così via. E quando,

dall'una o dall'altra parte, il dispaccio comportava espressioni particolarmente

pepate, qualcosa non mancava mai di trapelare.

Prima che l'inverno fosse ormai troppo avanzato, anche Emmy aveva

scelto la propria serata dedicata agli ospiti, e accoglieva gli esponenti della

buona società col tratto semplice e cordiale che le era proprio. Si era messa a

studiare il francese, e l'insegnante si complimentava con lei per l'ottimo

accento e la rapidità nell'apprendere. È pur vero, del resto, che già molti anni

prima Amelia si era applicata allo studio di questa lingua, insistendo con molto

zelo sulla parte grammaticale. Infatti il suo scopo era stato quello di poterla

insegnare a Georgy. Madame Strumpff provvedeva a darle lezioni di canto, ed

Emmy vi si applicava con tanto zelo, facendo sfoggio di una voce così soave,

che al piano di sopra le finestre della stanza del maggiore erano sempre

aperte, onde consentirgli di porger l'orecchio a quei concerti. Alcune signore

tedesche - e le signore tedesche, si sa, sono di gusti semplici e facilmente

inclini al sentimentalismo - furono colte da indicibile simpatia per Amelia e di

punto in bianco presero a darle del tu. Probabilmente indugiamo su particolari

di modesta portata; essi attengono nondimeno a un periodo d'intensa felicità.

Il maggiore assunse di propria iniziativa le mansioni di precettore di George,

cui leggeva Cesare e spiegava la matematica. La sera invece subentrava un

insegnante di tedesco; poi, terminata la lezione, Dobbin e George si

concedevano una passeggiata a cavallo procedendo fianco a fianco della

carrozza di Emmy, la quale, sempre così timorosa, non osava imitarli poiché il

minimo scarto della bestia l'avrebbe spaventata oltremodo. Preferiva quindi

passeggiare in carrozza in compagnia di una delle signore tedesche, mentre

Jos sonnecchiava sul sedile posteriore.

Quest'ultimo cominciava a provare il più vivo interesse sentimentale per

la Gräfin Fanny de Butterbrod, una giovane donna dolce e modesta,

canonichessa nonché erede del titolo comitale, qualifiche che peraltro non

comportavano una rendita annua superiore alle dieci sterline (Fanny non

esitava a confessare che diventare sorella di Amelia sarebbe stata la maggior

fortuna che il Cielo le potesse accordare, Jos, per parte sua, avrebbe potuto

fregiare la carrozza e le posate dello stemma e della corona della contessa in

questione); ma proprio allora.., proprio allora sopravvennero degli avvenimenti

importanti, ossia le grandi fêtes allestite per celebrare gli sponsali del principe

ereditario di Pumpernickel con l'incantevole principessa Amelia von

Humbourg-Schlippenschloppen.

Tali festeggiamenti si rivelarono di un fasto quale non si era mai più visto

in quella piccola contrada tedesca dai tempi del dissipato Vittorio Aurelio XIV.

Alla festa convennero tutti i principi, tutte le principesse e i potentati della

regione. Un letto, a Pumpernickel, assurse al prezzo di mezza corona per

notte, e i soldati erano esausti a forza di fungere da guardie del corpo di tutte

le Altezze Reali, le Altezze Serenissime, le Eccellenze che affluivano da ogni

dove nel paese. La principessa si sposò per procura nel palazzo avito. Per parte

sua lo sposo era rappresentato dal conte di Schlüsselback. Furono distribuite

tabacchiere a profusione (come si seppe dal gioielliere di Corte, che le aveva

vendute e più tardi le avrebbe ricomperate) e addirittura a staia venne

concesso ai nobili del paese della sposa l'Ordine di San Michele di

Pumpernickel, mentre la nobiltà del ducato si vide assegnare ceste di Cordoni e

decorazioni varie dell'Ordine della Ruota di Santa Caterina di

Schlippenschloppen. Il rappresentante della Francia si vide assegnare l'uno e

l'altro. «È ricoperto di decorazioni come una giumenta che abbia vinto il primo

premio alla fiera del bestiame,» fu il commento di Tapeworm il quale, ligio al

regolamento inglese, non poteva fregiarsi di nessuna decorazione. «Se le goda

pure, le sue patacche: tanto, la vittoria non è sua.» Ed era vero, perché in

effetti erano stati gli inglesi a spuntarla, mentre la Francia aveva brigato per

combinare

il

matrimonio

con

una

principessa

del

casato

di

Potzausend-Donnerwetter, alla quale naturalmente, noi ci eravamo opposti.

Tutti furono invitati alle fêtes per le fauste nozze. Ghirlande e archi

trionfali adornavano le strade per dare il benvenuto alla giovane sposa. Dalla

fontana di San Michele scorreva un vino eccezionalmente aspro, mentre da

quella di piazza dell'Artiglieria fluiva spumeggiante la birra. Entrarono in

funzione anche i giochi d'acqua del parco di Montplaisir, e nei giardini vennero

issati gli alberi della cuccagna per la gioia dei contadini che vi davano la scalata

e si conquistavano gli orologi, le forchette d'argento e le salsicce appesi sulla

cima tra uno svolazzare di nastri scarlatti. Anche George riuscì a conquistarsi

una di quelle salsicce, dopo essersi inerpicato sino in cima al palo sotto l'occhio

divertito degli astanti, per poi scendere a terra con la velocità di uno scroscio

d'acqua. Inutile dire che l'aveva fatto al solo scopo di esibirsi, onde non ebbe

alcuna difficoltà a regalare la sua salsiccia a un contadino che se l'era lasciata

sfuggire per un pelo ed ora se ne stava seduto ai piedi dell'albero, contrariato

dal suo insuccesso.

Il consolato di Francia era illuminato da sei lampioni in più del nostro, ma

il nostro trasparente, con l'immagine della giovane coppia che procedeva

mentre la Discordia, le cui sembianze apparivano comicamente identiche a

quelle dell'ambasciatore di Francia, se ne volava via, batteva ai punti il

trasparente esposto alla finestra della legazione francese, e senza alcun dubbio

procacciò a Tapeworm un avanzamento di grado oltre all'Ordine della Croce e

del Bagno che gli venne accordato poco dopo.

Alle fêtes affluirono frotte di stranieri, ivi inclusi, naturalmente, molti

inglesi. Oltre a quelli di Corte, ebbero luogo balli alla Prefettura e al Municipio.

Quivi e sia pure limitatamente alla settimana consacrata ai festeggiamenti -

venne allestita una tavola per il gioco del trente-et-quarante e della roulette, a

cura di una delle grandi compagnie tedesche di Ems o di Aquisgrana. La tavola

da gioco era vietata agli ufficiali e agli abitanti della città; vi erano invece

ammessi gli stranieri, i contadini, le signore e in genere chi desiderasse

guadagnare o sperperar quattrini.

Tra gli altri vi si recò quel piccolo scavezzacollo di George Osborne.

Aveva sempre le tasche piene di talleri, e approfittando del fatto che i suoi

parenti stavano presenziando al ballo di Corte andò allo Stadthaus in

compagnia di Mr. Kirsch. A Baden-Baden, tenuto per un braccio dal maggiore,

era riuscito a stento a dare un'occhiata alla sala da gioco e, naturalmente, non

gli era stato permesso di puntare. Pertanto non voleva lasciarsi sfuggire questo

spasso, e prese ad aggirarsi fra i tavoli, ove croupiers e giocatori erano

assorbiti dalle loro diverse attività. C'erano anche alcune giocatrici col volto

coperto da una mascherina, una licenza tollerata in quei giorni di sfrenatezze

carnevalesche. A uno dei tavoli della roulette sedeva una signora bionda,

dall'abito alquanto scollato e niente affatto nuovo, il volto protetto da una

maschera nera. Attraverso i fori si coglieva il vivido balenare delle pupille.

Posati davanti a lei c'erano un foglio di carta e uno spillone, oltre a qualche

fiorino. Ogni qual volta il croupier menzionava ad alta voce il colore e il

numero, costei con estrema diligenza bucava la carta con lo spillone, e si

decideva a puntare sul rosso e sul nero solo dopo che l'uno e l'altro erano usciti

un certo numero di volte. Era una donna davvero molto strana.

Ma nonostante i suoi calcoli così oculati, non le riuscì di fare la puntata

giusta, e i suoi ultimi due formi vennero spazzati via dalla paletta implacabile

del croupier che nel frattempo annunciava ad alta voce il numero e il colore

vincenti. Lei sospirò, alzò le spalle indispettita, infilzò lo spillo nella carta e

indugiò ancora un poco al suo posto tamburellando sulla tavola con le dita. Poi

volse lo sguardo intorno a sé e notò il volto ingenuo di George che stava

osservando quella scena. Che cosa ci faceva in un posto simile, quel piccolo

birbante?

La donna lo scrutò attentamente coi suoi occhi lucenti attraverso i fori

della maschera nera, poi gli domandò: « Monsieur n'est pas joueur? »

« Non, Madame, » rispose il ragazzo; ma evidentemente il suo accento ne

tradì la nazionalità, perché la dama mascherata insistette a parlargli, ma

questa volta esprimendosi in un inglese dall'inflessione lievemente straniera:

«Se non avete mai giocato,» gli disse, «sareste disposto a farmi un

favore?»

«Di che favore si tratta?» chiese George arrossendo. In quel momento

Mr. Kirsch era impegnato a un altro tavolo di rouge et noir, onde gli sfuggivan

le mosse del signorino.

«Giocate questo a nome mio,» proseguì la signora. Posate la moneta su

un numero qualsiasi. Quale, non ha importanza.» E nel dir questo tolse dal

seno una borsa, ne estrasse un ultimo zecchino e lo posò nella mano di

George.

Il ragazzo rise e accondiscese alla richiesta.

Inutile dire che il numero uscì. Sembra che i novellini siano dotati di

poteri arcani.

«Grazie,» disse la signora, impossessandosi del denaro che aveva vinto.

«Grazie di cuore. Come vi chiamate?»

«Mi chiamo Osborne,» rispose George, e già si stava frugando nelle

tasche per cercarvi qualche tallero e tentare a sua volta la fortuna, quando

nella sala fecero la loro comparsa il maggiore Dobbin in uniforme e Jos en

Marquis, provenienti dal ballo a Corte. Altri, al pari di loro, non avevano

tardato ad annoiarsi a quel ballo e avevano preferito trasferirsi al più ameno

Stadthaus, ma è probabile che il maggiore e Jos fossero andati da palazzo a

casa, e avessero constatata l'assenza del ragazzo, perché il primo si avvicinò

rapidamente a George, e posatagli saldamente una mano sulla spalla si affrettò

ad allontanarlo da quel luogo di perdizione. Poi, volgendo lo sguardo attorno a

sé, vide Kirsch impegnato nel modo testé illustrato e, fattoglisi accosto, gli

chiese come avesse osato condurre George in un luogo siffatto.

« Laissez-moi tranquille, » fu la risposta di Mr. Kirsch, elettrizzato dal

gioco e dalle libagioni.» Il faut s'amuser, parbleu. Je ne suis pas au service de

monsieur. »

Dobbin, constatate le condizioni di Mr. Kirsch, ritenne che in quel

momento non fosse il caso di intavolare una polemica, ma si limitò a condurre

via George e a chiedere a Jos se intendesse seguirlo. Quest'ultimo si trovava

proprio accanto alla signora mascherata, che ora appariva assorbita dal gioco e

sembrava assistita dalla fortuna.

«Non fareste meglio a venire anche voi con me e con George, Jos?»

chiese pressante il maggiore.

«No, preferisco trattenermi un poco, poi tornerò a casa tirandomi dietro

quel lestofante di Kirsch,» fu la risposta di Jos. E Dobbin, vuoi per prudenza,

vuoi per il contegno che sapeva di dover tenere al cospetto di George, ritenne

opportuno non insistere, onde prese congedo dal nostro amico e tornò a casa

insieme col ragazzo.

«Hai giocato?» gli domandò lungo il tragitto.

«No,» gli rispose George.

«Dammi la tua parola di gentiluomo che non giocherai mai.»

«Perché?» chiese Georgy. «A quanto sembra è molto divertente.»

Allora il maggiore, in termini decisi e suadenti, gli illustrò le ragioni che

dovevano dissuaderlo dal giocare; e avrebbe avuto buon motivo di citargli

l'esempio del padre, se questo non avesse implicato il denigrarne la memoria

agli occhi del ragazzo.

Accompagnò George a casa, poi raggiunse la propria stanza e di là vide

la luce che si spegneva nella camera di George accanto a quella occupata dà

Amelia. Quella di Amelia si spense una mezz'ora dopo; né saprei dire come mai

il maggiore rilevasse una siffatta circostanza.

Jos, dal canto suo, rimase al tavolo da gioco. Non era un giocatore di

vocazione, ma saltuariamente non disdegnava l'eccitazione che il gioco poteva

dare. Per giunta aveva qualche napoleone che gli tintinnava nelle saccocce

ricamate del suo panciotto di gala. Ne posò uno sul tavolo, al di sopra delle

spalle della giocatrice che gli stava dinnanzi, e vinse. Lei si scostò un poco, e

raccogliendo il vestito gli fece posto al suo fianco.

«Sedetevi accanto a me, mi porterete fortuna,» disse, esprimendosi con

un accento straniero ben diverso dall'inglese perfetto e sonoro col quale aveva

ringraziato Georgy per il coup portato a segno a suo favore. L'obeso signore,

dopo essersi guardato attorno per esser certo di non esser veduto da nessuna

persona d'alto bordo, sedette bofonchiando «Be', sì, certo, non c'è che dire, io

sono fortunato. Vi porterò fortuna, vedrete,» e formulando altre espressioni

siffatte, a mezza via tra l'adulatorio e l'impacciato.

«Giocate molto?» chiese la forestiera mascherata.

«Be', gioco qualche napoleone,» rispose Jos, lasciando solennemente

cadere sulla tavola una moneta d'oro.

«Certo, certo, un pisolino dopo pranzo,» rispose maliziosamente la

mascherina. E dal momento che Jos la scrutava inquieto e perplesso, lei

proseguì nel suo leggiadro accento francese: «Voi non giocate per vincere. E

nemmeno io, del resto. Io gioco per dimenticare, ma non ci riesco. Non riesco

a dimenticare i bei tempi, Monsieur. Il vostro nipotino è il ritratto del padre. E

anche voi non siete cambiato, Monsieur. Ma no, mi sbaglio, siete mutato

invece. Tutti cambiano, tutti dimenticano, non c'è nessuno che non sia senza

cuore.»

«Dio mio, chi siete mai?» domandò Jos in preda all'angoscia.

«Non vi riesce di indovinare, Joseph Sedley?» disse la donnina con voce

mesta, poi si tolse la maschera e lo guardò in faccia. «Mi avete dimenticata,

dunque.»

«Cielo! Mrs. Crawley!» sbottò Jos con voce soffocata.

«Sì, sono Rebecca,» rispose lei, guardandolo e posando la piccola mano

nella sua. Non senza trascurare il gioco, però.

«Abito all'Hôtel Elefante,» continuò poi. «Potete chiedere di Madame

Raudon. Ho visto la mia cara Amelia, oggi. È così graziosa, ha un'aria così

felice! E anche voi sembrate felice, Joseph Sedley. Tutti sembrate felici, tranne

me. Io sono disperata, Joseph.»

Poi, con un gesto sbadato della mano spostò la sua puntata dal rosso al

nero, mentre si tamponava gli occhi con un fazzolettino orlato di merletto

sdrucito. Di nuovo uscì il rosso e Rebecca perse tutta la puntata.

«Andiamocene via,» disse, «venite un po' con me. Dopo tutto siamo vecchi

amici, non è così Mr. Sedley?»

Mr. Kirsch, che ormai aveva perduto tutto il suo denaro, seguì il padrone

nella notte rischiarata dalla luna, mentre le luci della festa si spegnevano l'una

dopo l'altra e il trasparente esposto alle finestre del nostro consolato era ormai

pressoché invisibile.

LXIV • UN CAPITOLO ERRABONDO

A questo punto dobbiamo indugiare su una parte della biografia di Mrs.

Rebecca Crawley facendo appello al garbo e alla lievità di tocco che il mondo

esige da noi... Alludo al mondo moralista, quello che non ha nulla da obiettare

al vizio di per se stesso, ma non tollera di sentir definire il vizio col suo nome.

Alla Fiera della Vanità ci sono cose che conosciamo e pratichiamo con la

massima disinvoltura, ma di cui non parliamo mai, al pari degli Arimani che

adorano il demonio senza peraltro nominarlo mai. Un pubblico dabbene non

sopporterebbe mai la descrizione del vizio nella sua realtà, né più né meno

come una signora americana o inglese non tollererebbe che la parola «brache»

venisse profferita alla portata delle sue caste orecchie. E pensare, care signore,

che le brache e il vizio vi passano tutti i giorni sotto gli occhi senza che la loro

vista vi turbi minimamente! Se doveste arrossire ogni qual volta transitano al

vostro cospetto, chissà mai quale colore sarebbe il vostro! Solo quando le due

parole disdicevoli vengono pronunciate, la vostra pudicizia si sente oltraggiata,

è colta da un valido motivo d'inquietudine. Per questa ragione il vostro

scrittore ha inteso mantenersi ligio, per tutto il corso di questa storia,

all'andazzo corrente, e ha preferito alludere al male con leggerezza e

noncuranza, allo scopo di non urtare la suscettibilità di nessuno. Sfido

chiunque a sostenere che la nostra Becky, la quale incontestabilmente non

manca di alcuni vizi, non sia stata prospettata in termini compiti e del tutto

innocui. Impegnato a descrivere questa sirena nell'atto di sorridere e cantare,

di adulare e molcere il prossimo, l'autore si permette di chiedere al lettore, non

senza un briciolo di legittimo orgoglio, se una sola volta egli si sia permesso di

trascurare le leggi della buona educazione e abbia mostrato a fil d'acqua la

coda dell'abominevole mostro. No, no. Chi ne avesse vaghezza potrebbe senza

difficoltà spinger lo sguardo nel profondo di quelle acque, di per se stesse

abbastanza trasparenti, e scorgere quella coda che si avviluppa e si torce,

diabolicamente mostruosa e viscida, e che sbatte qua e là tra sparsi ossami,

che si avviluppa intorno ai cadaveri. Io peraltro vi chiedo se alla superficie non

sia sempre apparso tutto impeccabile, piacevole e dignitoso. Il più suscettibile

fra i moralisti che popolano la Fiera della Vanità ha forse il diritto di gridare al

fuoco? Nondimeno, quando la sirena si tuffa e sprofonda tra i cadaveri, l'acqua

sopra di lei s'intorbida e non è possibile spinger lo sguardo verso il fondo. Le

sirene sono belle quando siedono sulle rocce, intente a suonar l'arpa e a

pettinarsi le lunghe chiome, a cantare e a invocare il tuo nome onde tu venga

a reggergli lo specchio; ma quando esse si tuffano nella profondità del loro

elemento naturale, credete pure: le incantevoli sirene non sono mosse da

propositi edificanti, onde è meglio ignorare questi turpi cannibali del mare,

scesi a far scempio delle loro vittime e a saziarsi delle loro carni. Pertanto,

quando non parliamo di Becky, ciò non significa, tutt'altro, che ella sia

impegnata in opere edificanti, ed è preferibile sorvolare su quel che fa.

Se dovessimo riferire nei particolari ciò che ella fece nei due anni

trascorsi dalla catastrofe di Curzon Street, qualcuno potrebbe avere valido

motivo per asserire che questo è un libro immorale. Le azioni commesse da

persone vane, senza cuore e dedite ai piaceri sono spesso immorali, non

altrimenti dalle vostre, caro amico dall'espressione austera e dalla reputazione

intemerata, così come possono esserlo quelle di una donna senza fede, né

amore, né buona fama. Io sono incline a ritenere che nella vita di Becky ci sia

stato un periodo in cui ella è stata colta non dal rimorso ma da una sorta di

disperazione, tanto da trascurare affatto la propria persona, e di non curarsi

affatto di salvaguardare la propria reputazione.

Questo abbattement, questo declino non si verificarono immantinenti,

ma subentrarono gradualmente alla disgrazia, e dopo aver lottato

strenuamente per mantenersi a galla, così come avviene del naufrago che si

aggrappa a una tavola e vi rimane attaccato finché gli resta un filo di speranza,

per poi arrendersi e lasciarsi sommergere dai flutti non appena si accorge che

ogni lotta è vana.

Becky rimase a Londra per tutto il periodo durante il quale il marito si

apprestava a partire per assolvere alle sue funzioni di governatore. Sembra

che tentasse ripetutamente di rivedere il cognato, Sir Pitt Crawley, nella

speranza di riuscire a commuoverlo dal momento ch'era quasi riuscita a tirarlo

dalla sua parte. Un giorno Mr. Wenham la notò, il viso coperto da un crespo

nero, mentre indugiava nelle vicinanze della Camera in attesa di Sir Pitt, che in

effetti era in procinto di arrivare. Poi, quando ella vide che era in compagnia di

Mr. Wenham, e i suoi occhi ebbero incontrato gli occhi di costui, ella si affrettò

ad allontanarsi e da allora in poi ogni suo tentativo di abboccamento col

baronetto non ebbe esito felice.

È probabile che Lady Jane avesse fatto in modo di evitare ogni possibile

incontro fra i due. Ho sentito dire che il marito rimase stupefatto dalla

determinazione di cui la moglie dava prova in quella faccenda e dalla tenacia

con la quale si rifiutò nel modo più categorico di intrattenere rapporti con

Becky. Di sua iniziativa invitò Rawdon ad andare ad abitare nel palazzo avito di

Gaunt Street fino al giorno della sua partenza per Coventry Island. Infatti non

dubitava che, data la sua presenza in casa, Becky avrebbe rinunciato ad ogni

eventuale tentativo di introdurvisi. Inoltre scrutava attentamente l'indirizzo di

tutte le lettere che arrivavano al marito, nel timore che il marito e la cognata

intrattenessero rapporti epistolari. In verità, se lo avesse voluto, Rebecca

sarebbe riuscita egualmente a scrivere a Sir Pitt, ma invero rinunciò a qualsiasi

tentativo di vederlo o di scrivergli in casa sua, e dopo aver ripetuto qualche

altro sterile tentativo accettò che la corrispondenza relativa alla diatriba

coniugale si svolgesse esclusivamente tra i legali delle due parti in causa.

Non c'è dubbio che qualcuno si fosse preso la briga di istigare Sir Pitt

contro la cognata. Poco tempo dopo l'incidente con Lord Steyne, Wenham

aveva avuto un abboccamento col baronetto, e gli aveva fornito una siffatta

cronistoria dei casi personali di Becky, che il proprietario di Queen 's Crawley

era rimasto letteralmente esterrefatto. Di lei Wenham mostrava di sapere ogni

cosa: chi fosse suo padre, in quale anno sua madre si era esibita come

danzatrice all'Opera, quali fossero i suoi trascorsi, quale contegno avesse

tenuto nel corso della sua vita coniugale; e dal momento che senz'alcun dubbio

questa biografia era .calunniosa e tendenziosamente menzognera, non

indugerò certamente a riferirne i particolari. È vero, peraltro, che quel

gentiluomo di campagna, così indulgente nei riguardo della cognata, finì col

farsene una pessima opinione.

Quanto agli emolumenti derivanti dallo stipendio del governatore di

Coventry Island, non si può certo affermare che fossero strepitosi. Sua

Eccellenza ne prelevava a proprio uso e consumo una percentuale alquanto

sostenuta, per pagare certi debiti e certe pendenze tuttora inevase, per tacere

delle spese di rappresentanza, che erano piuttosto consistenti. Ne conseguì che

alla moglie non avrebbe potuto assicurare più di trecento sterline l'anno,

somma che accondiscese a versarle a patto che lei non lo importunasse più. In

caso contrario, non avrebbe esitato a suscitare uno scandalo, cui sarebbero

seguiti la separazione legale e la sentenza di divorzio. Era interesse di Mr.

Wenham, di Lord Steyne, dello stesso Rawdon, di tutti quanti, convincerla a

lasciare l'Inghilterra, onde far calare l'oblìo su quella storia per nulla edificante.

È probabile che Rebecca, totalmente assorbita dalla necessità di dare un

assetto ai suoi rapporti col marito abboccandosi con i legali del medesimo, si

sia affatto disinteressata della sorte del figlio, né d'altronde manifestò il

desiderio di salutarlo prima di intraprendere il suo viaggio. Pertanto il ragazzo

venne affidato senza riserva alcuna alla tutela dello zio e della zia, per la quale

aveva sempre nutrito tanto affetto. La mamma gli scrisse una lettera forbita da

Boulogne, subito dopo aver lasciato il suolo inglese. Lo esortava a studiare e gli

annunciava di dare inizio in quel momento a un lungo viaggio per il Continente,

nel corso del quale gli avrebbe scritto ancora. Da allora in poi, e per un anno

intero, non si curò di dar notizia di sé, sino al giorno in cui l'unico figlio

maschio di Sir Pitt, sempre così fragile e malaticcio, morì di pertosse e

morbillo. Fu allora che la mamma di Rawdon scrisse una lettera oltremodo

affettuosa. Al suo amato figliolo, che quella inopinata morte ne aveva fatto

l'erede di Queen's Crawley, avvicinandolo ancor più alla donna così gentile, il

cui tenero cuore l'aveva già adottato. Rawdon Crawley, che nel frattempo era

diventato un bel giovinotto aitante, non poté esimersi dall'arrossire ricevendo

la lettera suddetta. «Oh, zia Jane,» esclamò, «la mia mamma sei tu, non è

quell'altra.» Il che peraltro non gli impedì di rispondere a Rebecca scrivendole

una lettera molto cortese e rispettosa. La madre, in quel momento, era a

Firenze e alloggiava in una pensioncina. Ma non anticipiamo i tempi.

Il primo volo della nostra Becky non la portò molto lontano. Si posò in un

primo tempo a Boulogne, sulla costa francese della Manica, ricetto di tanti

innocenti cittadini inglesi. Quivi visse con sufficiente decoro, come fosse stata

una degna vedova, accompagnata dalla sua femme de chambre. Occupava un

appartamento di due stanze in un albergo e mangiava alla table d'hôte ove la

sua compagnia incontrava l'apprezzamento degli altri commensali poiché la sua

conversazione verteva precipuamente sul cognato Sir Pitt e su tutte le

conoscenze influenti ch'ella contava nella capitale inglese. Conversava in quel

tono di falsa e studiata noncuranza che non manca mai di produrre il suo

effetto sulla gente di modesta estrazione. Non pochi, fra gli artisti, furono

indotti a ritenere che si trattasse di una persona d'alto bordo. Dava qualche

piccolo party nelle stanze da lei occupate e partecipava agli innocui

divertimenti che una siffatta località è in grado di elargire: i bagni di mare, le

scarrozzate, le passeggiate sulla spiaggia e le escursioni nei dintorni. Mrs.

Burjoice, la moglie del tipografo, che trascorreva l'estate nello stesso albergo

ove alloggiava Becky e il cui coniuge, Mr. Burjoice, veniva a trovarla a fine

settimana, non esitava a definirla una persona incantevole. Questo, beninteso,

fino al momento in cui lo scapestrato suo consorte non prese a farla oggetto di

attenzioni un po' troppo assidue. Non che la cosa implicasse propositi

peccaminosi, ma si sa, Becky era cordiale, espansiva, sempre di ottimo

umore... e in modo particolare con gli uomini.

Conclusa la stagione, erano sempre numerose le persone che lasciavano

Londra per recarsi all'estero; onde Becky aveva modo di saggiare, attraverso il

contegno dei conoscenti ch'ella annoverava nel bel mondo londinese, quale

opinione coltivasse la «società» in merito alla sua condotta. Un giorno, mentre

passeggiava modesta e compunta per il lungomare di Boulogne, si trovò faccia

a faccia con Lady Partlet e relative figlie. Le scogliere di Albione luccicavano in

lontananza, al di là del profondo mare azzurro. Con un gesto autoritario del

parasole Lady Partlet ingiunse alle figliole di fare dietrofront, e tutte quante,

girarono attorno alla povera, piccola Becky dardeggiandola con occhiate

d'indignazione; poi si allontanarono dal lungomare lasciandovi la sventurata in

solitudine.

Un altro giorno arrivò il piroscafo. Era stata una giornata di vento, e per

Becky era sempre un motivo di autentico spasso l'osservare quelle facce

stravolte che emergevano a poco a poco dalla nave. Volle il caso che, in quella

circostanza, a bordo ci fosse Lady Slingstone. La nobildonna era stata

malissimo, nella sua carrozza ch'era stata imbarcata sul battello, e si sentiva

così sfinita che a stento le riuscì di percorrere la passerella che collegava il

ponte della nave al molo. Ma raccolse tutte le sue forze non appena si accorse

del sorrisetto ironico di Becky, che la guardava da sotto la sua cuffietta rosa.

Le lanciò un occhiata sprezzante, tale da assassinare moralmente qualsiasi

donna, dopo di che incedette maestosa in direzione degli uffici doganali. Becky

si limitò a riderne, ma non credo che la cosa l'abbia altamente lusingata. Si

sentì sola, era tagliata fuori. Per lei le bianche scogliere d'Inghilterra che

scintillavano in lontananza erano diventate irraggiungibili.

Anche il contegno degli uomini nei suoi riguardi aveva subìto un sensibile

cambiamento. Grinstone le rideva in faccia, mostrando l'intera chiostra dei suoi

denti, ostentando un trattamento confidenziale tutt'altro che apprezzabile. Il

piccolo Bob Suckling, che sino a due mesi prima la trattava con estremo

ossequio e non avrebbe esitato a percorrere un miglio a piedi sotto la pioggia

per andare a chiamare la sua carrozza ferma in fila tra le altre davanti a Gaunt

House, un giorno, mentre conversava con Fitzoof delle Guardie Reali (il figlio di

Lord Heehaw), si limitò a salutare Becky che gli passava accanto lungo la

passeggiata con un breve cenno del capo, senza nemmeno togliersi il cappello,

dopo di che aveva ripreso a chiacchierare con l'erede della contea di Heehaw.

Tom Raickes osò perfino tentare di varcare la porta del salottino di Becky

all'albergo tenendo il sigaro stretto fra le labbra; ma lei gli sbatté l'uscio in

faccia, e lo avrebbe chiuso a chiave se lui non avesse infilato le dita tra i

battenti. Cominciò a rendersi conto di esser rimasta completamente sola. «Se

lui fosse stato qui,» si diceva, «questi vigliacchi non si sarebbero mai permessi

di insultarmi.» Pensava a «lui» con un sentimento di profonda tristezza, e

forse, chissà, anche di rimpianto. Pensava alla sua onesta, stupida, costante

fedeltà e tenerezza nei suoi riguardi, alla sua indefettibile obbedienza, al suo

perpetuo buonumore, al suo coraggio, al suo ardimento. Né si può escludere

che avesse pianto, perché quando discese per la cena si mostrò più vivace del

consueto e aveva le guance copiosamente accese dal belletto.

Oramai si truccava sempre, e... e la sua cameriera le procurava del

cognac, oltre a quello che figurava sul conto dell'albergo.

Eppure, nonostante tutto, il contegno insultante degli uomini era più

sopportabile della simpatia che le tributavano certe donne. Mrs. Crackenbury e

Mrs. Washington White fecero sosta a Boulogne, in attesa di proseguire per la

Svizzera. (Il gruppo includeva altresì il colonnello Horner, il giovane Beaumoris,

oltre naturalmente al vecchio Crackenbury e alla figlioletta di Mrs. White).

Ebbene, costoro non la scansarono, al contrario. Risero, scherzarono,

cercavano di compiangerla e risollevarle il morale, ma con un'aria di protezione

che finì col farla smaniare di rabbia. «La protezione di gente simile! » pensò,

quando costoro ebbero preso congedo dopo averla baciata. Udì la risata di

Beaumoris per le scale, e sapeva perfettamente che significato attribuire a

quella sua ilarità.

Dopo quella visita Becky, che pagava puntualmente il suo conto

settimanale, e all'albergo si era conquistata la simpatia generale sorridendo

alla padrona, rivolgendosi ai camerieri con la qualifica di Monsieur e

prodigandosi in parole gentili e in scuse all'indirizzo delle cameriere (un modo

di supplire alle sue parsimoniose elargizioni in denaro, giacché sotto questo

profilo non era mai stata molto generosa) Becky, dicevamo, fu invitata dal

padrone a lasciare senza indugio l'albergo. Costui era stato informato da

qualcuno che si trattava di persona non confacente al buon nome del suo

esercizio, dal momento che nessuna signora inglese avrebbe accondisceso a

sederle accanto a tavola. Si vide pertanto costretta a riparare in un

appartamento, dove si sentì oppressa dalla tristezza e dalla solitudine.

Ma queste mortificazioni non la indussero ad arrendersi. Decise di far

fronte alla cattiva sorte e di aver ragione dello scandalo. Prese a frequentare

costantemente le funzioni religiose, mostrò interesse per la sorte delle vedove

dei pescatori periti nei naufragi, offrì disegni e lavori vari a beneficio della

missione di Quashyboo, raccolse fondi a favore delle congregazioni religiose e

cessò di frequentare le feste da ballo. In poche parole optò per il massimo

della rispettabilità, ed è appunto per questa ragione che ci soffermiamo su

questa fase della sua vita più che su altre successive, senza dubbio assai meno

edificanti. La gente la evitava, ma lei si sforzava egualmente di mostrarsi

benevola e sorridente: il suo aspetto non rivelava affatto il travaglio causatole

dalle umiliazioni.

Dopo tutto, la sua storia era un mistero. I pareri sul suo conto erano

discordi. Chi si era dato la pena di svolgere indagini sulla sua persona asseriva

che si trattava di una criminale. Altri invece erano pronti a giurare ch'era

innocente come un agnello e che la colpa era tutta di quell'essere detestabile di

suo marito. Lei, per contro, riuscì a suscitare la commozione di innumerevoli

persone scoppiando in lacrime e palesando la più viva afflizione ogni qual volta

parlava di suo figlio o s'imbatteva in qualcuno che gli somigliava. Fu così che

riuscì a conquistarsi le simpatie di Mrs. Alderney, la quale era in certo qual

modo la regina della colonia inglese di Boulogne e organizzava cene e balli più

di qualunque altro inglese di stanza nella città. Il giorno in cui il piccolo

Alderney arrivo dalla scuola privata del dottor Swishtail per trascorrere un

periodo di vacanze con la madre, Becky, dichiarò che lui e Rawdon avevano la

stessa età e che si somigliavano moltissimo. Il tutto detto con una voce dalla

quale traspariva la più profonda sofferenza... In realtà tra i due giovani c'erano

cinque anni di differenza, e in quanto ad assomigliarsi, si assomigliavano

quanto si assomigliano il mio rispettabile lettore e il sottoscritto, umilissimo

suo servitore, e autore di questa storia. Mr. Wenham, che si trovò a transitare

da Boulogne per raggiungere a Kissingen Lord Steyne, rese edotta Mrs.

Alderney in proposito, assicurandole ch'egli era in condizione di descrivere il

piccolo Rawdon molto meglio che non sua madre. Era ben noto che lei non

poteva soffrire il figlio, tant'è vero che non lo andava mai a trovare. Pertanto le

precisò che Rawdon aveva tredici anni mentre il piccolo Alderney ne aveva

soltanto nove; che era biondo quanto l'altro cocco di mamma era bruno. In

poche parole offrì alla degna signora più di un motivo per pentirsi del suo buon

cuore.

Ogni qual volta Becky, a costo di sofferenze e sforzi inenarrabili, riusciva

a crearsi una piccola cerchia di conoscenze, subentrava qualcuno che

distruggeva con inaudita perfidia il frutto delle sue fatiche, ed ella si vedeva

costretta a tessere di bel nuovo la sua tela. Era penoso, molto penoso. Era

triste e terribilmente scoraggiante.

Per un breve periodo godette della benevola ospitalità di Mrs. Newbright.

L'avevano affascinata la bella voce di cui Becky faceva sfoggio in chiesa,

nonché le meditate opinioni della stessa su innumerevoli argomenti assai

profondi, intorno ai quali era stata debitamente istruita ai tempi ormai lontani

di Queen's Crawley. Acquistava opuscoli edificanti a sfondo religioso, e li

leggeva. Confezionava sottovesti di flanella per i Quashyboo, berretti da notte

di cotone per gli indiani Cocoanut, dipingeva parafuochi per la conversione del

Papa e degli ebrei. Il mercoledì ascoltava il sermone del reverendo Rowls e il

giovedì presenziava a quello del reverendo Huggleton, e la domenica assisteva

a non meno di due servizi religiosi per tacere di quelli serali di Mr. Bawler, un

darbista. Ma tutto questo senza risultato. Mrs. Newbright ebbe l'occasione di

scrivere alla contessa di Southdown in merito alla Fondazione Scaldaletto pro

abitanti delle Isole Figi (un'istituzione benemerita del cui comitato femminile

facevano parte le due suddette dame), ed essendole accaduto di nominar

incidentalmente la sua «ottima amica» Mrs. Rawdon Crawley, la contessa

madre le scrisse una lettera così pullulante di notizie spicciole e inedite sul

conto di Becky, così farcita di insinuazioni, aneddoti e innumerevoli calunnie,

nonché espressioni di biasimo variamente motivate, che tra Mrs. Newbright e

Mrs. Crawley venne a cessare ogni frequentazione. Non solo: da quel momento

tutta la buona società di Tours, ove si era verificato l'increscioso incidente,

abbandonò la sciagurata al suo destino. Chiunque abbia dimestichezza con le

colonie inglesi all'estero sa perfettamente che noi ci tiriamo appresso il nostro

bagaglio di boria, di pillole, di pregiudizi, di salse, di pepe di Caienna e di altri

siffatti Lari domestici, allo scopo di ricreare una piccola Gran Bretagna ovunque

mettiamo piede.

Pertanto Becky prese a fuggire dall'una all'altra di queste colonie, in

preda a un sentimento di confuso disagio. Da Boulogne passò a Dieppe, da

Dieppe a Caen, da Caen a Tours, mettendo tutta se stessa nell'impegno di

spacciarsi per una donna rispettabile, ma ahimè, finendo sempre con l'essere

scoperta prima o poi, e sempre cacciata dalla gabbia ad opera dei cuccioli di

razza.

In uno dei luoghi suddetti trovò accoglienza da parte dì Mrs. Hook

Eagles, donna affatto intemerata che possedeva una casa in Portman Square.

Alloggiava in un albergo di Dieppe, ove Becky si era rifugiata, e avevano fatto

conoscenza dapprima sul lungomare, poi alla table d'hôte dell'albergo Mrs.

Eagle aveva udito parlare (e chi non ne aveva udito parlare, del resto?) dello

scandalo scoppiato intorno alla figura di Lord Steyne, ma le bastò una

conversazione con Becky per indurla ad asserire che Mrs. Crawley era una

creatura angelica, suo marito una persona ignobile e Lord Steyne quel libertino

amorale che tutti ben conoscevano. Le voci che correvano su Mrs. Crawley

erano il frutto della diffamazione operata da quel losco figuro di Mr. Wenham.

«Se voi aveste fegato, Mr. Eagles,» disse, rivolta al marito, «la prima volta che

vi accadesse d'incontrarlo al circolo non dovreste esitare a prenderlo a pugni.»

Ma Mr. Eagles, il degno consorte della suddetta Mrs. Eagles, non era altro che

un vecchio signore appassionato di geologia e, per di più, così basso di statura,

che non sarebbe mai riuscito a prendere a pugni in faccia chicchessia.

Pertanto gli Eagles presero a proteggere Mrs. Crawley. La brava signora

la invitò nella casa che possedeva a Parigi, ebbe una disputa con la moglie

dell'ambasciatore inglese che si era rifiutata di ricevere in casa propria la sua

protégée, e fece tutto quanto è in potere di una donna per tenere saldamente

Becky sulla retta via della virtù e della buona reputazione.

Da principio Becky stette al gioco, ma di lì a breve tempo si sentì afflitta

dalla noia che la vita virtuosa fatalmente reca con sé. Ogni giorno accadevano

fatalmente le medesime cose, l'attendevano gli stessi agi, lo stesso tedio

deprimente, la stessa passeggiata nello stesso noiosissimo Bois de Boulogne,

la stessa gente ogni sera, lo stesso sermone dello stesso Blair la domenica

sera, sempre lo stesso spettacolo all'opera senza il minimo imprevisto. Becky

stava letteralmente soffocando per inerzia quando, fortunatamente per lei, il

giovane Eagles giunse da Cambridge per trascorrere le vacanze a Parigi, e la

madre, vista l'impressione che la nostra amica aveva prodotto sul figlio, si

liberò di Becky seduta stante.

Allora Becky si provò a convivere con un'amica; ma quel ménage a due

ebbe durata effimera. Ben presto cominciarono a litigare e a indebitarsi. Prese

quindi la decisione di trasferirsi in una pensione, e fu così che visse a lungo

nella ben nota pensione di Madame de Saint-Amour, in Rue Royale, a Parigi,

ove immediatamente esercitò il suo fascino e le sue grazie sui mediocri

bellimbusti e sulle bellezze sfiorite che popolavano i salons della padrona di

casa.

Becky amava la vita di società, e viverne al di fuori le riusciva impossibile

com'è impossibile a un fumatore d'oppio vivere senza la sua droga. Di

conseguenza in quel periodo si sentì abbastanza di buonumore. «Qui le donne

sono divertenti come quelle che abitano a Mayfair,» disse un giorno a un amico

di vecchia data che aveva incontrato per puro caso. «L'unica differenza è che

rispettano assai meno i canoni della moda. Gli uomini portano guanti lavati, ma

sono degli autentici mascalzoni, e in quanto tali non sono diversi da certi

uomini inglesi di mia conoscenza. La padrona della pensione è una donna

decisamente volgare, ma con tutto ciò di gran lunga preferibile a Lady...» E a

questo punto Becky profferì il nome di una signora estremamente alla moda,

un nome che io mi farei ammazzare piuttosto che rivelarlo nel mio racconto. In

verità, chi avesse avuto modo di vedere nelle ore serali i saloni di Madame de

Saint-Amour, gremiti di uomini in plaques e cordons che sedevano ai tavoli

dell' écarté, e osservato le signore a una prudente distanza, avrebbe potuto

illudersi di esser circondato da esponenti della migliore società, e che Madame

fosse una contessa in piena regola. Del resto, molta gente lo credeva, e per un

certo periodo Becky furoreggiò nei suddetti salons della contessa.

Ma è probabile che sia stata scovata dai suoi vecchi creditori, quelli del

1815, giacché la poverina si vide costretta a fuggire da Parigi in fretta e furia e

riparare a Bruxelles.

Come ricordava quella città! Ebbe un sorrisetto nel contemplare il piccolo

entresol ove in altri tempi aveva abitato, e nel ripensare altresì ai Bareacres

che cercavano affannosamente una pariglia di cavalli per tagliar la corda,

mentre la loro carrozza era ferma alla porte-cochère dell'albergo. Si recò in

gita a Waterloo e a Laeken, dove rimase turbata nel vedere il monumento

funebre di George Osborne. Ne abbozzò lo schizzo. «Quel povero Cupido!»

pensò. «Era pazzamente innamorato di me. Povero idiota! Chissà se Emmy è

ancora al mondo! Era una brava ragazza. E quel grassone di suo fratello! o

ancora, tra le mie carte, un disegno che lo immortala, quel ciccione! Era gente

semplice e garbata.

A Bruxelles Becky arrivò munita di una raccomandazione di Madame de

Saint-Amour per una sua amica, Madame la Comtesse de Borodino, vedova del

conte di Borodino, il famoso generale di Napoleone, la quale, defunto il suo

eroe, era rimasta affatto priva d'ogni bene ad eccezione di una table d'hôte e

di una tavola di écarté. In casa di madame de Borodino cenavano e perdevano

denaro zerbinotti di seconda scelta, roués, vedove che avevano sempre un

procedimento legale in ballo e qualche inglese così ingenuo da credere che in

luoghi siffatti si desse convegno «la buona società continentale».Questi

baldanzosi giovinetti britannici offrivano champagne alla table d'hôte,

portavano a passeggio le signore in carrozza, noleggiavano cavalli per fare gite

in campagna, si quotavano per pagare i palchi all'opera, facevano scommesse

alle spalle delle signore che sedevano ai tavoli dell' écarté e scrivevano ai

genitori, nel Devonshire, di esser stati felicemente introdotti nella crème della

società straniera.

Come a Parigi, anche a Bruxelles Becky era la regina delle pensions

frequentate dalla miglior clientela, ove regnava incontrastata. Non rifiutava

mai né lo champagne, né gli omaggi floreali, né i palchi, né le scarrozzate in

campagna. Ma il suo passatempo preferito era l' écarté cui si dedicava, la sera,

e giocava forte. Aveva cominciato giocando solo piccole somme, poi era

passata alle puntate da cinque franchi e da quelle, ai napoleoni e alle

banconote. Di conseguenza accadeva che non riuscisse a pagare il conto della

pensione. Al che non esitava a farsi prestar denaro dai ricchi giovinotti inglesi;

poi vinceva al gioco e trattava scortesemente Madame de Borodino che prima

aveva cercato di blandire e ammansire. Infine riprendeva a giocare, ma era

costretta ad accontentarsi di puntate da pochi soldi, dal momento che

nuovamente versava in povertà. Quando infine riceveva la rendita

quadrimestrale, pagava la pensione e riprendeva a giocare a carte con

Monsieur de Rossignolo o con lo Chevalier de Raff.

Ahimè, la triste verità è che, quando lasciò Bruxelles, doveva a Madame

de Borodino ben tre mesi di pension . Del che Madame si affrettò a rendere

edotti tutti gli inglesi che facevano sosta nella sua pensione, specificando

altresì che quella signora beveva e giocava d'azzardo; che si era prostrata

davanti al reverendo Mr. Muff, vicario della Chiesa d'Inghilterra, supplicandolo

di accordarle un prestito; che civettava con Lord Noodle, figlio di Sir Noodle

nonché pupillo del suddetto reverendo Muff, ricevendolo perfino nella sua

stanza e vincendogli ingenti somme all' écarté, e così via discorrendo sino a

concludere che Mrs. Crawley altro non era che una vipère.

Pertanto la nostra piccola vagabonda continuò a spostarsi da un luogo

all'altro d'Europa, in continuo, irrequieto movimento come Ulisse o Bampfylde

Moore Carew. Si sarebbe detto che vivere in quel modo indecoroso le recasse

un crescente appagamento. In breve tempo diventò una vera bohémienne,

mescolandosi a gente da far rizzare i capelli in testa ad incontrarla.

Non esiste città di qualche importanza, in Europa, che non alberghi un

certo numero di rifiuti della società inglese, gente di cui Mr. Hemp, l'ufficiale

giudiziario, legge periodicamente i nomi nelle corti di giustizia. Spesso si tratta

di giovanotti di ottima estrazione messi al bando dalle loro famiglie,

frequentatori abituali di osterie e di sale da biliardo, immancabili alle corse e ai

tavoli da gioco. Popolano le prigioni per debitori, bevono, schiamazzano,

minacciano, altercano, se ne vanno senza pagare, si battono a duello con

ufficiali francesi o tedeschi, barano all' écarté derubando Mr. Spooney. Se poi

rimediano un po' di denaro, eccoteli arrivare a Baden in fastose carrozze,

pronti a far sfoggio della loro infallibile martingale. Passano di tavolo in tavolo

con le tasche vuote, pieni di boria anche se squattrinati, finché gli riesce di

turlupinare un banchiere ebreo rifilandogli un assegno a vuoto, o di imbrogliare

qualche altro Mr. Spooney. L'alternarsi di miseria e splendore che caratterizza

la vita di questi personaggi è davvero un fenomeno interessante.

La loro vita dev'essere assai esaltante, e Becky - è il caso di precisano? -

vi si adattò con la massima naturalezza. Pertanto prese a vagare da una città

all'altra al seguito di questi bohémiens.

La fortunata Mrs. Rawdon non tardò ad essere ben nota ad ogni tavolo

da gioco di Germania. A Firenze visse per qualche tempo con Madame de

Cruchecassée. Corse voce che fosse stata cacciata da Monaco: Per parte sua, il

mio amico Mr. Frederick Pigeon sostiene che fu in casa di lei, a Losanna, ch'egli

venne drogato, dopo di che perse ottocento sterline che finirono nelle tasche

del maggiore Loder e dell'onorevole Mr. Deuceace. Come vedete, siamo

costretti a fornirvi una succinta cronistoria della vita di Becky; ma tutto

sommato, meno parliamo di questo periodo, meglio è.

Dicono che quando Mrs. Crawley era particolarmente sfortunata, si

adattava a dar concerti e lezioni di musica. Si diede il caso di una certa

Madame de Raudon che diede una matinée musicale a Wildbad, accompagnata

da Herr Spoof, primo pianista dell'Hospodar di Valacchia. Per parte sua, Mr.

Eaves, un amico che ha viaggiato dappertutto e conosce mezzo mondo, ha

sempre assenta ch'egli si trovava a Strasburgo nel 1830, quando una certa

Madame Rebecque vi si esibì ne La Dame Bianche, provocando urla e fischi in

teatro. Fu cacciata dal palcoscenico dai lazzi e dalle grida del pubblico, in parte

per la sua inadeguatezza dei suoi mezzi vocali, ma soprattutto a causa della

malaccorta simpatia che le veniva tributata dal pubblico che stava nel

proscenio, ossia dal palco nel quale venivano ammessi gli ufficiali della

guarnigione. È affatto certo che la sfortunata débutante altri non fosse che

Mrs. Rawdon Crawley.

In effetti, Becky era ormai ridotta una girovaga in pena, che quando

aveva soldi giocava, e quando non ne aveva doveva arrabattarsi per tirare

avanti. Chi mai sarebbe in grado di stabilire in che modo, con quali mezzi

riuscisse a vivere? Qualcuno raccontò di averla vista a Pietroburgo, ma da

questa capitale sarebbe stata cacciata senza indugio per diretto intervento

della polizia, onde non è credibile che agisse da spia dei russi, dapprima a

Töplitz e poi a Vienna. Ho saputo altresì che a Parigi lei avrebbe ritrovato una

sua parente, e per l'esattezza la nonna materna, la quale non si sognava

nemmeno di essere una Montmorency, ma era un'orripilante megera che

faceva la custode dei palchi in un teatro dei Boulevards. Qualcuno sostiene che

quell'incontro fu oltremodo commovente, ma io non sono in condizione di

fornire alcun particolare in proposito.

Una volta, a Roma, subito dopo che la somma equivalente a un semestre

degli alimenti dovuti a Mrs. Rawdon era stata depositata nella banca più

importante della città, il proprietario della stessa (un affarista di consumata