erede di un ducato e di una sostanza che vi assicurasse mille sterline al giorno.

Non vorrete farmi credere che non fareste di tutto per entrarne in possesso!

Dunque, è più che logico concludere che questi grandi personaggi, avendo

provato quel genere di sentimenti nei confronti del proprio padre, non possono

riscontrarne di diversi nei figli, per quanto li concerne. E non dimentichiamo i

sentimenti del primogenito verso i cadetti. Voi non dovreste ignorare, caro

signore, che tutti i primogeniti detestano i cadetti, perché li reputano

usurpatori del denaro contante cui pretendono di aver diritto. Più di una volta

mi è stato riferito che George MacTurk, il figlio primogenito di Lord Bajazet,

diceva che, se avesse potuto agire a suo capriccio il giorno in cui fosse entrato

in possesso del titolo paterno, non avrebbe esitato a far decapitare tutti i suoi

fratelli, come fanno i sultani. E questo, più o meno, è il sentimento che tutti

costoro hanno in comune. Eh, si: in cuor loro sono dei veri turchi. Quella è

gente che sa stare al mondo, signor mio!» Ma a questo punto dei suoi

sproloqui, nel constatare che si stava avvicinando qualche personaggio

altolocato, Mr. Eaves chinava il capo e si affrettava a correre avanti

sprofondandosi in una riverenza. Anche lui sapeva stare al mondo: per lo meno

secondo la formula tomeavesiana che aveva elaborato a proprio uso e

consumo. Senza contare che, avendo investito tutti i suoi beni pecuniari in una

rendita vitalizia, Tom Eaves può anche permettersi di non provare alcun

risentimento verso i suoi nipoti, e di non provare nei riguardi delle persone di

estrazione superiore alla sua. - sentimenti diversi dal desiderio d'essere

invitato a cena in casa loro.

Tra la marchesa e il naturale, tenero sentimento che ogni madre prova

per i propri figli, si ergeva la spaventosa barriera della differenza di religione. E

lo stesso amore ch'ella provava per loro non faceva che accentuare l'infelicità

della timorosa e devota signora. Il baratro fatale che disgiungeva la madre dai

figli era invalicabile. Non le era dato di protendere le deboli braccia verso di

loro, e attirarli dalla sua parte, lontano dalla quale - stando alla sua fede -

c'era soltanto l'eterna dannazione. Quando i figli Steyne erano ancora ragazzi,

il padre, uomo erudito e casista dilettante, si riservava un divertimento col

quale, d'inverno, era solito allietare le monotone serate in campagna. Tra un

bicchiere e l'altro alimentava diatribe fra il reverendo Trail, oggi vescovo di

Ealing, e il reverendo Mole, padre spirituale di lady Steyne. Si trattava,

insomma, di spronare Oxford contro Saint Acheul, ora gridando. «Bravo

Latimer!», ora esclamando: «Ben detto, Loyola!» Prometteva a Mole il

vescovato se avesse abbracciato la Riforma, e a Trail il cappello cardinalizio se

si fosse convertito alla Chiesa di Roma. Ma nessuno dei due prelati si lasciò

sedurre da siffatte lusinghe. Lady Steyne sperava che il figlio minore avrebbe

optato per la Chiesa - la Chiesa di sua madre - ma una triste, amarissima

delusione attendeva la pia signora: una delusione ch'ella interpretò come la

punizione assegnatale da Dio per aver contratto un simile, sciagurato

matrimonio. Lord Gaunt sposò, circostanza ben nota a tutti coloro che

frequentano l'aristocrazia, Lady Blanche Thistlewood, della nobile famiglia dei

Bareacres, già da noi ricordata in questa vendica storia. Al giovane ménage

venne assegnata un'ala secondaria di Gaunt House, poiché il capo della casata

aveva deliberato di non rinunciare al suo regno prima della fine dei suoi giorni.

Per parte sua l'erede viveva il meno possibile in casa: non andava d'accordo

con la moglie e contraeva debiti sulla futura eredità, dal momento che le

modeste somme di denaro accordategli a malincuore dal padre non gli

bastavano assolutamente. Il marchese era informato di quei debiti fino

all'ultimo scellino; e alla sua morte, seguita da vasto compianto, si scopri

ch'egli stesso si trovava a possedere gran numero di queste cambiali,

ricomperate a beneficio dei figli del suo cadetto, e loro destinate da Sua

Signoria.

E siccome, con gran dolore di Lord Gaunt e immensa compiacenza del.

suo naturale nemico e padre, Lady Gaunt non aveva messo al mondo figli, Lord

George Gaunt venne richiamato da Vienna, dove trascorreva il tempo fra

impegni diplomatici e giri di valzer, e indotto a convolare a nozze con la nobile

Joan, unica figlia di John Jones, primo barone di Helvellyn e capo supremo

della Banca Jones, Brown & Robinson di Threadneedle Street. Da questi

sponsali nacque numerosa prole d'ambo i sessi, ma i casi di costoro sono del

tutto estranei alla nostra storia.

Nei primi tempi il matrimonio scorse su binari felicemente oliati. Lord

George Gaunt non solo sapeva leggere, ma anche scrivere con un certo garbo.

Parlava correntemente il francese ed inoltre era uno dei migliori ballerini di

valzer in tutta Europa. Grazie al nome e alle doti suddette, indubbiamente Sua

Signoria avrebbe potuto raggiungere il culmine della carriera. La contessa sua

consorte veleggiava beatamente nel mondo delle Corti, e la sua cospicua

sostanza le consentiva di dare splendidi ricevimenti nelle città del Continente

ove temporaneamente si trovava a risiedere, ivi portata dagli impegni

professionali del marito. Si parlava di una nomina a ministro, e al Club dei

Viaggiatori qualcuno era pronto a scommettere che in breve volger di tempo

sarebbe stato nominato ambasciatore. Senonché, all'improvviso, cominciarono

a correre voci sullo strano comportamento del segretario d'ambasciata. Nel

corso di un pranzo ufficiale dato all'ambasciata, era balzato in piedi

proclamando a gran voce che il pâté de foie gras era avvelenato.

Successivamente si era presentato al ballo dell'ambasciatore di Baviera, conte

di Springbock-Hohenlaufefl, con la testa rasata e vestito di un saio da frate

cappuccino. No, non si trattava di un bal masqué, come qualcuno si sforzava di

far credere. Sta di fatto che il suo comportamento andava facendosi, a dir

poco, stravagante. C'era qualcosa che non funzionava, andava bisbigliando la

gente. Del resto, anche suo nonno era così. Insomma, si trattava di una tara di

famiglia.

La moglie e i figli fecero ritorno a Londra, richiudendosi a Gaunt House.

Quanto a Lord George, dovette rassegnare le dimissioni dall'incarico che

ricopriva in Europa, e fu destinato in Brasile. Ma la gente sapeva perfettamente

come fossero andate le cose. Da quel viaggio in Brasile Sua Signoria non tornò

mai; ne ci morì, per il semplice fatto che non, era mai partito alla volta di quel

lontano paese. «Sapete dov'è il Brasile?» chiedevano i maligni. «Il Brasile è a

St. John's Wood. Rio de Janeiro è una certa casa circondata da una quadruplice

cinta di mura, e George Gaunt è accreditato presso un guardiano che gli ha

conferito l'ordine della Camicia di Forza. a Tale è il genere di squisiti epitaffi

che il prossimo si scambia, alla Fiera della Vanità.

Due o tre volte la settimana, a titolo di espiazione dei propri peccati,

l'infelice madre si recava di buon'ora a trovare il povero demente. Talvolta, al

vederla, lui scoppiava a ridere, e quelle risate erano più penose delle sue

lacrime; talaltra, invece, ella sorprendeva il brillante e mondano diplomatico

del Congresso di Vienna intento a trainare un giocattolo o a cullare una

bambola della figlia del guardiano.

In altre occasioni il poveruomo riconosceva sia la madre che padre Mole,

sua guida spirituale; ma tosto se ne dimenticava, così come non serbava

ricordo alcuno della moglie, dei figli, dell'amore, dell'ambizione, di tutte le

vanità di questo mondo. Però non dimenticava mai l'ora dei pasti, e innalzava

alti lai se il vino, troppo annacquato, non sapeva di nulla.

Il sangue di quella stirpe era inquinato da una tabe misteriosa, trasmessa

dalla madre al figlio insieme all'antico ceppo donde era sortita. Quel male si

era già palesato due o tre volte nella famiglia del padre, prima che Lady

Steyne si rendesse colpevole dei suoi orrendi peccati e avesse offerto in

espiazione dei medesimi, lacrime, penitenze e digiuni. L'orgoglio della casata

era stato colpito come il primogenito del Faraone. La nera impronta del Fato

era impressa, indelebile, sulla soglia, sull'antica maestosa soglia sovrastata da

stemmi scolpiti e corone nobiliari.

Frattanto i figli dell'assente nobiluomo crescevano felici e ignari della

condanna che pendeva sul loro capo. Dapprima sulle loro labbra il nome del

padre ricorse con notevole frequenza. Facevano progetti in vista del suo

ritorno. Poi presero a nominarlo sempre meno spesso, fino al giorno in cui il

morto-vivente cessò di esser menzionato. Ma la vecchia nonna dolente

tremava al pensiero che anch'essi, insieme coi titoli, ereditassero l'onta

paterna, e attendeva in preda al terrore il giorno in cui l'ancestrale maledizione

sarebbe piombata anche su di loro.

Tali foschi presentimenti opprimevano del pari Lord Steyne. Egli tentava

di affogare i funesti spettri familiari in un Mar Rosso di vino e di bagordi; e

qualche volta il turbine dei suoi piaceri riusciva fugacemente a dissolverli. Ma

quand'era solo, tosto lo riassalivano, e col passare degli anni presero ad

incombere su di lui, onnipresenti, implacabili. «Abbiamo preso tuo figlio,»

dicevano, «perché mai dovremmo rinunciare a te? Prima o poi potremmo far

richiudere anche te in un manicomio, come abbiamo fatto con tuo figlio; un

semplice tocco sul tuo capo, e domani stesso scomparirebbero piaceri, onori,

bellezza, divertimenti, amici, cuochi francesi, cavalli, palazzi lussuosi. E al loro

posto avresti una prigione, un guardiano e un pagliericcio, come George

Gaunt.» E allora Sua Signoria sfidava gli spettri che lo minacciavano:

conosceva il rimedio col quale sconfiggere il suo nemico.

Pertanto, dietro i battenti scolpiti del portale d'ingresso di Gaunt House,

coi suoi stemmi e i suoi fregi affumicati dal tempo, regnavano lusso e

ricchezza, ma non altrettanta felicità. Vi si davano le feste più sfarzose di tutta

Londra, ma non vi aleggiava letizia alcuna, fatta eccezione per gli ospiti che

sedevano alla tavola di Mylord. Se egli non avesse fruito di un posto così

eminente nei ranghi dell'alta nobiltà, ben pochi gli avrebbero fatto visita. Ma

alla Fiera della Vanità i peccati dei Grandi vengono giudicati con soverchia

indulgenza. « Nous regardons deux á fois, » diceva una signora francese,

«prima di pronunciare una sentenza di condanna nei confronti di qualcuno che

abbia gli indubbi requisiti di un Lord.» Noti fustigatori di costumi e uggiosi

moralisti esprimevano giudizi alquanto malevoli sul conto di Lord Steyne, ma

quando lui li invitava erano ben lieti di andare a casa sua.

«Lord Steyne è veramente un poco di buono,» continuava Lady

Slingstone, «però non c'era persona che non ci vada. Beninteso, dovrò vegliare

con la massima attenzione, onde non capiti qualcosa di male alle mie figliole. a

«Sua Signoria è la persona alla quale debbo tutto,» diceva per parte sua il

reverendo Trail, pensando che l'arcivescovo era in pessime condizioni di salute;

e Mrs. Trail e le figlie avrebbero piuttosto disertato la chiesa, ma non un solo

ricevimento di Lord Steyne. «Sì, è un uomo di dubbia moralità,» diceva il

giovane Lord Southdown alla sorella che, avendo sentito raccontare dalla

madre episodi semplicemente orripilanti su quanto accadeva a Gaunt House,

aveva osato muovergli qualche timido rimprovero; «però ha il miglior Sillery

secco che si possa trovare in tutta Europa, maledizione!» In quanto al degno e

austero baronetto Sir Pitt Crawley, ancorché avesse presieduto tante adunanze

riguardanti le missioni, non pensò neppure lontanamente di mancare a quei

festini. «In una casa nella quale si recano persone come il vescovo di Ealing e

la contessa di Slingstone,» soleva dire il baronetto, «possiamo andare anche

noi, mia cara Jane, senza alcun timore di sbagliare. L'altissima posizione

sociale di Lord Steyne e le qualifiche che gli competono, gli consentono di

esercitare la sua autorità su persone della nostra condizione. Il Lord

Governatore di una contea, mia cara, è una persona al disopra di ogni

discussione. Senza contare che un tempo io e George Gaunt siamo stati legati

da rapporti d'intima amicizia: era mio subalterno quando eravamo entrambi

attachés a Pumpernickel.

Per concludere: tutti si recavano da quel grand'uomo. Intendo, per «tutti

a, le persone che lui invitava. Come ci andresti tu, caro lettore (oseresti

affermare il contrario?), o andrei io, scrittore, se per caso fossimo invitati.

XLVIII • NEL QUALE IL LETTORE VIENE INTRODOTTO NELLA

MIGLIORE SOCIETÀ

Finalmente il garbo e le attenzioni di Becky verso il capo della famiglia di

suo marito vennero premiate con una ricompensa d'inaudito splendore: una

ricompensa certamente poco sostanziosa, ma alla quale Becky mirava con

maggior ardore di quanto potesse desiderare vantaggi più tangibili. Sebbene

conducesse un'esistenza per nulla edificante, desiderava nondimeno fruire di

un'ottima reputazione, e noi sappiamo come nessuna esponente

dell'aristocrazia possa aspirare a consimile fama di donna virtuosa se prima

non si è messa lo strascico, non si è adornata il capo di piume e non è apparsa

ufficialmente al cospetto del re. Da tale augusta presentazione la signora in

questione esce con la qualifica di donna rispettabile. È il Lord Ciambellano a

recare questo attestato di virtù. Allo stesso modo in cui merci o lettere che si

temono infette vengono messe sotto quarantena, spruzzate di aceto aromatico

e alla fine dichiarate indenni, così molte dame accompagnate da una fama per

così dire discutibile e sospette di recar contagio, passando attraverso il

liberatorio processo di presentazione alle auguste Maestà vengono liberate da

ogni macchia. È pertanto comprensibile che dame del rango di Lady Bareacres,

Lady Tufto o Mrs. Bute Crawley, là nel suo isolamento campagnolo, ed altre

signore che avevano avuto occasione di conoscere Mrs. Rawdon Crawley,

lanciassero gridolini scandalizzati all'idea che quell'antipaticissima avventuriera

si piegasse in un inchino davanti al re, e convenissero che se la dolce e buona

regina Charlotte fosse stata ancora al mondo, non avrebbe mai accettato di

aprire il suo intemerato salotto a una persona di costumi tanto deplorevoli.

D'altra parte Mrs. Crawley aveva passato il suo esame alla presenza del Primo

Gentiluomo d'Europa, ottenendone, per così dire, un diploma di buona

condotta. Di conseguenza, continuare a mettere in forse la sua buona condotta

diventava una sorta di tradimento. In quanto a me, evoco questo grande

personaggio della storia con devozione e timore reverenziale. Ah, quale alto

concetto delle peculiarità che contraddistinguono una gentildonna, si doveva

avere della Fiera della Vanità, quando quel nobil signore venne proclamato, per

acclamazione unanime della crème del reame e dell'impero, Primo Gentiluomo

del Regno. Ricordi, caro amico M..., compagno della mia giovinezza, quella

felice sera di venticinque anni fa quando venne rappresentato The Hypocrite

interpretato da Dowton e Liston (l'impresario era Elliston) e due giovincelli

ebbero il permesso dai loro condiscendenti maestri di uscire dalla Slaughter

House School, dove essi studiavano, per raggiungere il Drury Lane Theatre e

mescolarsi a un piccolo assembramento di persone colà riunitosi per salutare il

re? Il re? Il re era là, coi Beefeaters ai lati del palco centrale. Dietro il suo

seggio c'erano il marchese di Steyne e altri magnati del regno. Egli sedeva, il

volto fondo e compiaciuto, l'abito ricoperto di decorazioni, il capo adorno di una

bella parrucca tutta riccioli. Ricordi? Intonammo God Save the King e tutta la

sala vibrò sotto lo scroscio degli applausi e al suono di quella splendida musica.

Esultanti, gridavamo Hurrah!, sventolando i fazzoletti. Le signore piangevano,

le madri si stringevano i pargoletti al seno; qualcuno svenne, sopraffatto

dall'emozione. In platea la ressa era tale, che le persone rischiavano di

soffocare. Grida e lamenti si alzavano, frammisti al fremito e al vociare della

massa che era pronta a morire per lui, e ne forniva la prova inoppugnabile. Sì,

noi l'abbiamo visto. Altri hanno visto Napoleone. È ancora al mondo qualcuno

che può dire di aver conosciuto Federico il Grande, il dottor Johnson, Maria

Antonietta. Per parte nostra, avremo pieno diritto di vantarci coi nostri figli di

aver conosciuto Giorgio, il Buono, il Magnifico, il Grande.

Spuntò dunque il giorno tanto atteso in cui l'angelica Mrs. Rawdon

Crawley venne assunta al paradiso della Corte, quel paradiso cui agognava,

presentata dalla cognata in qualità di madrina. Nel giorno convenuto, la

carrozza padronale costruita apposta in previsione del giorno in cui Sir Pitt

avrebbe assunto la carica di Alto Sceriffo della sua contea, portò il baronetto e

Lady Jane in Curzon Street, con grande soddisfazione di Raggles che dalla

soglia della sua bottega ebbe agio di ammirare le eleganti piume e i grandi

mazzi di fiori che adornavano il petto dei lacchè in uniformi nuove fiammanti.

Sir Pitt, vestito della sua splendida uniforme, scese dalla carrozza ed

entrò nella casa di Curzon Street, con lo spadino di rappresentanza fra le

gambe. Il piccolo Rawdon se ne stava dietro i vetri della finestra, e faceva

sorrisi e cenni con la mano alla zia, che era rimasta a sedere all'interno del

lussuoso veicolo. Dopo poco Sir Pitt uscì dalla casa dando il braccio a una

signora onusta di vistosissime piume, avvolta in uno scialle bianco, che

reggeva con grazia uno strascico di sontuoso broccato. Salì in vettura come

fosse stata una principessa abituata a recarsi a Corte con estrema frequenza,

tributando un ampio sorriso al servitore fermo sulla porta, e a Sir Pitt che la

seguì. Poi uscì Rawdon che indossava la sua uniforme delle Guardie ormai

troppo stretta e tristemente sdrucita. Era rassegnato a seguire la compagnia

chiudendo il piccolo corteo con la vettura di piazza nella quale avrebbe preso

posto, ma la cognata insistette perché andassero tutti insieme in carrozza. La

vettura era spaziosa, le signore non erano grasse e lo strascico poteva essere

raccolto in grembo. Così partirono fraternamente tutti quanti insieme e la

carrozza raggiunse il corteo degli equipaggi reali che stava percorrendo

Piccadilly e St. James's Street, verso il palazzo di mattoni ove la Stella di

Brunswick attendeva di ricevere l'aristocrazia sulla quale regnava.

A Becky sembrava di dover benedire la folla dal finestrino della carrozza,

tale era la sua emozione e tanto forte era in lei la consapevolezza dell'alto

rango alfine conquistato. Capita assai spesso veder uomini vantarsi di meriti

che gli altri, per contro, faticano a riconoscergli. Un caso ci è offerto da Comus,

che si considera il più grande attore tragico d'Inghilterra. Un altro ci è dato da

Brown, il celebre romanziere, che vuol passare non per un uomo di genio ma

per un uomo di mondo; per non dire del sommo avvocato Robinson, che tiene

alla sua fama di ottimo cavallerizzo assai più della stima di cui è fatto oggetto

a Westminster Hall. Parimenti, per Becky era essenziale essere, ed essere

considerata, una donna assolutamente rispettabile. In ciò è da vedere la

ragione per la quale si era messa a frequentare assiduamente l'alta nobiltà,

riuscendo nel proprio intento con straordinaria prontezza e pieno successo. Già

abbiamo avuto modo di osservare che a volte riusciva a convincersi di essere

una gran signora, ancorché non avesse un soldo e gli ufficiali giudiziari le

stessero alle calcagna, senza contare i fornitori da molcere e da raggirare.

Insomma, dimenticava di non avere la terra sotto i piedi. Orbene, ecco che

ora, mentre si recava a Corte sulla carrozza di famiglia, Rebecca assunse un

contegno così altezzoso, fiero e supponente, che perfino Lady Jane fu indotta al

riso. Varcò la soglia degli appartamenti reali con una mossa dei capo affatto

degna di un'imperatrice; e del resto sono certo che, se io fosse stata davvero,

ne avrebbe incarnato perfettamente i modi.

Siamo autorizzati a ritenere che il costume de Cour indossato da Mrs.

Rawdon Crawley in occasione della sua presentazione al re fosse elegantissimo

e sontuoso. Chi di noi si fregia di decorazioni, stelle e cordoni al merito; chi

partecipa ai ricevimenti al palazzo di St. James o passeggia su e giù per Pali

Mali con gli stivali imbrattati di fango gettando un'occhiata ai personaggi

impennacchiati che transitano in carrozza, verso le due del pomeriggio del

giorno in cui si dà udienza a Corte, avrà avuto agio di osservare certe signore

dell'alta società, mentre le Guardie di Sua Maestà intonano marce trionfali

dando fiato alle loro trombe, sedute sui loro cavalli color crema come se

fossero sgabelli da musica. Si tratta di esemplari femminili tutt'altro che

attraenti, e insuscettibili di alimentare desideri, a quell'ora così luminosa del

primo pomeriggio. Una pingue contessa sui sessanta, décolletée, il viso rugoso

e carico di belletto sino alle palpebre flosce, la parrucca sparsa di brillanti,

costituisce senza dubbio uno spettacolo edificante, ma non per questo

piacevole a vedersi. La nobildonna in questione ha l'aspetto deprimente che

presenta St. James's Street di primo mattino, quando una metà dei lampioni è

già spenta e gli altri sono prossimi ad estinguersi , simili a fantasmi che

svaniscano alle prime luci dell'alba. Bellezze delle quali cogliamo qualche

fuggevole barlume mentre ci sfilano accanto a bordo dei loro cocchi,

dovrebbero mostrarsi fuor delle mura solo di notte. Se persino Cinzia,

frequente apparizione invernale, ci sembra alquanto smorta quando Febo,

contemplandola dal capo opposto del cielo, muta sembianza, come può

permettersi Lady Castlemouldy di tener la testa alta quando il sole batte sui

cristalli della sua carrozza mettendo in evidenza tutte le magagne che il tempo

ha impresso sul di lei volto? No, i ricevimenti di Corte si dovrebbero tenere in

novembre, oppure il primo giorno di nebbia. A meno che le annose sultane

della nostra Fiera della Vanità si decidano a circolare entro lettighe chiuse, a

scendere dai loro veicoli sotto un passaggio coperto e a piegarsi nel loro

inchino al sovrano sotto la protezione di una luce artificiale.

Ma la nostra beneamata Rebecca non aveva bisogno di un siffatto,

complice espediente per mettere in evidenza la sua venustà. A quell'epoca la

sua carnagione era in grado di sfidare il sole a qualunque ora del giorno. In

quanto al suo abito, che probabilmente verrebbe giudicato oltremodo ridicolo

dalle attuali frequentatrici della Fiera della Vanità, vent'anni addietro appariva

stupendo ai suoi occhi come a quelli altrui, né più né meno come il vestito che

oggi indosserebbe la donna più bella e più appariscente della stagione in corso.

Tra altri vent'anni anche quest'altro, questo capolavoro della sartoria, sarà

passato nel regno dell'assurdo, non altrimenti dalle altre pregresse vanità. Ma

non attardiamoci oltre. Il giorno memorabile di quella presentazione a Corte

l'abito di Mrs. Rawdon Crawley venne giudicato channant. Persino Lady Jane fu

costretta ad ammettere segretamente che il proprio gusto impallidiva di fronte

a quello di cui dava prova sua cognata.

In realtà ignorava quanta cura, quanta perizia e quanta ingegnosità la

titolare avesse profuso in quel suo vestito. Rebecca aveva più gusto di

qualsiasi sarta europea, nonché un'abilità di cui Lady Jane non aveva la

minima idea. Si limitò pertanto ad ammirare la bellezza del broccato e il

raffinato splendore del merletto.

Il broccato, precisò Becky, era solo un avanzo; e in quanto al pizzo lo

aveva avuto d'occasione. Era un secolo che li aveva comprati.

«Mia cara Mrs. Crawley, sono certa che saranno costati un capitale,»

osservò Lady Jane chinando lo sguardo sul suo merletto, assai meno bello di

quello di Rebecca. Quanto al broccato, stava per dire che persino lei non

avrebbe potuto permettersene uno così bello, ma tacque per gentilezza e

discrezione nei riguardi della cognata.

Invero, se Lady Jane avesse saputo come stavano effettivamente le cose,

probabilmente avrebbe avuto un moto di stizza. Sta di fatto che, mentre stava

riordinando la casa di Sir Pitt, Becky aveva trovato il broccato e il merletto in

un vecchio armadio, retaggio delle precedenti padrone di casa, e senza

esitazione alcuna se li era portati a casa onde farne uso personale. La Briggs

aveva notato la sua manovra, ma non aveva fatto domanda, né mai ne fece

parola a chicchessia. È probabile, del resto, che approvasse, non diversamente

da tantissime altre donne.

Quanto ai diamanti, poi... «Dove diamine hai preso quei diamanti,

Becky?» chiese il marito posando l'occhio ammirato su certi gioielli che non

aveva mai visto prima d'ora, e che ruscellavano baluginando dal collo e dalle

orecchie della consorte.

Becky fu colta da un lieve rossore e lo dardeggiò di una breve occhiata

gelida. Anche Sir Pitt arrossì e spostò lo sguardo fuori del finestrino. Il fatto è

che lui le aveva dato una minima parte di quei gioielli: una spilletta di diamanti

che fungeva da fermaglio a una collana di perle, circostanza che il baronetto

aveva trascurato di riferire alla moglie.

Becky guardò il marito, poi Sir Pitt, con un'espressione di impertinente

trionfo che sembrava volesse dire: «Vi debbo tradire, dunque?»

«Indovina;» rispose al marito. E tosto aggiunse: «Che sciocco sei! Dove

vuoi che li abbia presi? Li ho presi in prestito, è logico. Tutti, tranne questa

spilletta che mi ha regalato una mia cara amica, tanti anni fa. Li ho presi in

prestito da Polonius, in Coventry Street. Credi forse che tutti i diamanti che

vanno a Corte appartengano a chi li indossa? Come le bellissime pietre che

porta Lady Jane, e che sono molto più belle di quelle che ho io, questo è poco

ma sicuro.»

«Sono gioielli di famiglia,» precisò Sir Pitt con espressione imbarazzata.

Mentre aveva luogo questa conversazione familiare, la carrozza aveva percorso

tutto il tragitto, deponendo il suo carico ai cancelli del palazzo, ove Sua Maestà

sedeva in pompa magna.

I diamanti che avevano suscitato l'ammirato stupore di Rawdon non

fecero mai ritorno da Mr. Polonius in Coventry Street, né costui sollecitò mai la

loro restituzione, ma di bel nuovo vennero riposti in un cofanetto segreto che

Amelia Sedley le aveva donato molti anni prima, ove Rebecca conservava

innumerevoli cose utili, o fors'anche preziose, di cui il marito ignorava

l'esistenza. Ignorare è un aspetto della natura di certi mariti, così come

nascondere rientra nella natura di certe mogli. Eh, care signore, quante di voi

hanno un conto aperto dalla sarta? Quante hanno vestiti e braccialetti che non

osano mostrare, oppure indossano tremebonde, sorridendo all'ignaro marito

che gli sta al fianco, incapace di distinguere un abito nuovo da uno vecchio, un

braccialetto nuovo da quello dell'anno avanti, o del tutto all'oscuro del fatto

che quel merletto giallo che adorna il vostro scialle costa quaranta ghinee, e

che ogni settimana madame Bobinot scrive l'ennesima lettera minatoria per

ottenere il pagamento dovutole?

Ecco pertanto che Rawdon nulla sapeva degli orecchini di brillanti e della

splendida collana che adornava il seno leggiadro di sua moglie; ma Lord

Steyne, che a corte rivestiva la carica di Primo Lord Camerlengo ed era uno dei

più illustri dignitari, dei più eletti difensori del trono d'Inghilterra, rivolse la sua

attenzione a quella dama giovane e vezzosa mentre si faceva innanzi onusto di

collari, cordoni, stelle e giarrettiere, nonché perfettamente edotto circa la

provenienza e il donatore dei gioielli summenzionati.

Pertanto si piegò in un inchino all'indirizzo della medesima, sorrise e citò

i bellissimi, celebrati versi del Ricciolo rapito sui diamanti di Belinda « which

Jews might kiss and infedels adore».

«Io peraltro oso sperare che vostra signoria sia ortodosso,» osservò la

leggiadra signora con una fiera movenza del capo. Non pochi erano, nel

frattempo, le dame presenti che confabulavano a bassa voce tra loro, e i

gentiluomini che ammiccavano e sussurravano nel constatare di quanta

attenzione l'illustre personaggio degnasse la piccola avventuriera.

Quali fossero le circostanze dell'incontro tra Rebecca Crawley née Sharp

e il suo Imperial Signore, una penna modesta quanto la mia non può certo

aspirare a riferirlo. Gli occhi si chiudono, abbagliati, di fronte a così

Meravigliosa Idea. Il rispetto, la devozione e la decenza impongono persino alla

fantasia di non spiare troppo da presso e con soverchia indiscrezione nella

sacra sala delle udienze, ma esortano invece a uscirne a ritroso con silenziosa

e rispettosa tempestività, profondendosi in inchini al cospetto dell'Augusta

persona.

Basterà dire che, dopo questo incontro, in tutta Londra non ci fu cuore

più fedele al sovrano di quello di Becky. Il nome del re aleggiava

costantemente sulle sue labbra, ed ella lo definiva l'uomo più affascinante della

terra. Andò nella bottega di stampe di Colnaghi e ordinò il più bel ritratto di

Sua Maestà che fosse possibile ottenere a credito. Scelse quello famoso nel

quale il migliore dei monarchi è effigiato in casacca da sera col collo di pelliccia,

brache al ginocchio e calze di seta, mentre siede su un divano in

atteggiamento pensieroso, il capo ricoperto da una parrucca di riccioli bruni. E

parimenti ne fece ricavare una miniatura montata a spilla dalla quale non si

separava mai. Non cessava di parlare ai suoi conoscenti dell'avvenenza e della

cortesia del re, e se quei discorsi divertivano, talvolta non mancavano di

suscitare il tedio. Chissà se, nel segreto del suo cuore, la piccola signora non

sognava di diventare un'altra Pompadour o un'altra Maintenon!

Ma dopo la presentazione a Corte il massimo divertimento offerto dalla

sua persona fu quello di udirla parlare in termini di edificazione. Aveva ben

poche conoscenze femminili, e non si può certo affermare che alla Fiera della

Vanità costoro godessero di alta reputazione. Ma dal giorno in cui era diventata

una cosiddetta persona onesta, o quantomeno aveva deciso di reputarsi tale,

Rebecca rifiutò di intrattenere ulteriori rapporti con quelle signore di dubbia

fama, e ostentatamente ignorò Lady Crackenbury quando costei la salutò con

un cenno dal suo palco all'opera. E del pari smise di salutare Mrs. Washington

White quando accadeva che s'incontrassero al parco.

«Bisogna far pesare la propria condizione,» diceva al marito. «Occorre

evitare di mostrarsi con persone discutibili. Compiango con tutto il cuore Lady

Crackenbury e non nego che Mrs. Washington White sia una persona

simpatica. Niente ti vieta di andare a cena da loro, dal momento che a te fa

piacere fare una partitina a carte, ma io non me lo posso permettere e intendo

evitarlo assolutamente. Anzi, ti prego di dire a Smith che non sarò mai in casa

né per l'una né per l'altra.»

I giornali pubblicarono una descrizione particolareggiata dell'abito di

Becky: piume, broccato, diamanti strepitosi e tutto il resto. Lady Crackenbury

lesse quel trafiletto con un sentimento di acuta contrarietà e lo commentò coi

suoi ammiratori, deplorando che quella donna si fosse messa a darsi tante arie.

Anche Mrs. Bute Crawley, e relative figliole, che ricevevano una copia del

«Morning Post» dalla città, non mancarono di esternare la loro scandolezzata

sorpresa.

«Se tu avessi i capelli rossi e gli occhi verdi, e fossi la figlia di una

saltimbanca francese,» disse Mrs. Bute Crawley alla figlia maggiore (la quale

invece era bassa, tarchiata, con la pelle olivastra e il naso a patata) «qualcuno

avrebbe provveduto a farti omaggio di diamanti altrettanto stupendi e saresti

stata presentata a Corte da Lady Jane, tua cugina. Tu invece, povera cara, sei

solo una gentildonna senza sostanze. Nelle tue vene scorre il sangue più eletto

d'Inghilterra, ma non hai ricchezza alcuna al di fuori dei tuoi principi morali e

religiosi. Io stessa, che pure sono sposata al fratello cadetto di un baronetto,

non ho mai potuto aspirare ad essere ricevuta a Corte... E del resto non

sarebbe stata ricevuta neanche quest'altra, se la buona regina Charlotte fosse

ancora al mondo!»

Così si consolava la degna consorte del vicario, mentre le figlie

sospiravano e trascorrevano la notte a scorrere l'Almanacco della Nobiltà.

Qualche giorno dopo la presentazione, Becky fruì di un altro grandissimo

onore. La carrozza di Lady Steyne si fermò davanti alla porta della casa di Mrs.

Crawley e un servitore, ancorché sembrasse deciso a sfasciare l'uscio data la

violenza con la quale aveva bussato, in realtà si limitò a consegnare due

biglietti da visita che recavano impresso il nome della marchesa di Steyne e

della contessa di Gaunt. Se quei quadratini di cartone fossero stati altrettanti

quadri di pregio o avessero servito ad avvolgere cento iarde di pizzo di Malines

per un valore in ghinee pari al doppio della suddetta lunghezza, Becky non li

avrebbe contemplati con maggior compiacenza. Inutile dire che andarono a

occupare un posto in evidenza dentro la coppa di porcellana posata sulla tavola

in salotto, ove Becky raccoglieva i biglietti da visita delle persone che

onoravano la sua casa. Dio, Dio! Come finirono sul fondo, in coda al mazzo, i

poveri e reietti bigliettini da visita di Lady Cranckenbury e di Mrs. Washington

White (che pure la nostra piccola amica era stata ben lieta di ricevere solo

qualche mese innanzi) non appena quei due sontuosi, aristocratici cartoncini

ebbero fatto la loro apparizione! Steyne! Bareacres! Johnes di Helwellyn!

Caerlyon di Camelot! Non c'è dubbio che Becky e la Briggs si precipitarono a

verificare la presenza di quei nomi eletti nell'Almanacco di Gotha, e ne

seguirono le nobili orme su per le capillari ramificazioni dell'albero genealogico.

Più tardi, quando si recò a farle visita, Lord Steyne si guardò attorno

posando lo sguardo su ogni cosa in omaggio alle proprie inveterate abitudini.

Notò pertanto i biglietti da visita della moglie e della nuora, posti in bella

evidenza a rappresentare le «briscole» del mazzo di Becky, ed ebbe un

sorrisetto maligno. Sorrideva sempre, quel vecchio cinico, al cospetto di certe

ingenue manifestazioni della debolezza umana. Dopo un breve indugio Becky

scese a salutarlo. Ogni qual volta era in attesa di Sua Signoria la cara ragazza

si presentava elegantissima, i capelli pettinati alla perfezione, i mouchoirs, lo

scialle, le scarpette di marocchino e ogni altro capo del complicato

armamentario femminile in perfettissimo ordine. Dopo di che sedeva in

atteggiamento piacevolmente spontaneo e si disponeva a riceverlo. Quando

invece egli si presentava senza preavviso, era costretta a precipitarsi in

camera, darsi un'occhiata fuggevole allo specchio e ridiscendere in tutta fretta

a rendere omaggio al grande Pari del Regno.

Lo trovò che ridacchiava osservando la coppa. Colta in fallo, arrossì

leggermente. «Grazie, Monseigneur, » disse. «Come vede, le signore sono state

qui. Siete stato gentile a venirmi a trovare. Mi spiace, non ho potuto scendere

prima perché ero in cucina a preparare un budino.»

«Lo so. Vi ho vista nello scantinato attraverso la ringhiera, nel momento

in cui la carrozza si fermava,» rispose il vecchio gentiluomo.

«Voi vedete ogni cosa,» replicò lei.

«Be', in effetti vedo parecchie cose, ma non questa,» rispose lui in tono

bonario. «Eh no, piccola bugiarda. Vi ho udita armeggiare nella vostra camera

dove eravate andata a darvi un po' di belletto. Dovreste darne un poco a Lady

Gaunt, che ha una carnagione semplicemente orrenda. Poi ho udito aprirsi

l'uscio della camera da letto e siete scesa da basso.»

«È forse un delitto che io cerchi di farmi bella quando venite a trovarmi?»

disse Mrs. Rawdon Crawley in tono vezzosamente lamentoso; e si strofinò le

guance col fazzoletto, quasi a dimostrare che sul suo volto non c'era traccia di

belletto, che quel rossore era frutto di modestia e di un dono affatto naturale.

«E chi può obiettare qualcosa in argomento? So di un rossetto che non vien via

nemmeno strofinandolo col fazzoletto, e addirittura di una marca così raffinata

che nemmeno le lacrime riescono a cancellarlo.»

«Bene,» disse il vecchio signore arrotolando il biglietto da visita della

moglie, «vedo che avete deciso di diventare una gran dama. Non la smettete

di affliggermi affinché vi faccia entrare nell'alta società. Non potrete resistervi a

lungo, scioccherella che non siete altro. Dove li rimediate, i quattrini?»

«Ma voi ci otterrete un incarico,» intervenne lei, «e quanto prima

possibile.»

«Voi non avete un soldo e pretendete di competere con chi ne ha. Voi,

povero vaso di terracotta, vorreste nuotare seguendo la corrente in compagnia

delle grosse brocche di rame. Eh, sì, tutte eguali, voi donne! Vi affannate per

ottenere ciò di cui non potrete disporre mai. Ieri ho cenato col re: collo di

montone e rape. Spesso un piatto di verdure val meglio che uno di bue

ingrassato. Certo, e come no? Vi siete messa in testa di venire a Gaunt House,

e non mi darete respiro fino a quando non vi sarete riuscita. Eppure è molto

meno bella di questa casa. Vi ci annoierete a morte, come del resto mi ci

annoio io. Mia moglie è allegra come Lady Macbeth e le mie nuore sono

simpatiche e cordiali come Regana e Gonerilla. Io non me la sento di dormire

nella mia cosiddetta camera da letto. Il letto sembra il baldacchino di San

Pietro e i quadri sono terrificanti. Dormo in uno spogliatoio su un lettino di

ottone, su un piccolo materasso di crine, come fossi un anacoreta. E sia, la

settimana prossima sarete invitata a pranzo. E gare aux femmes!

Sorvegliatevi, mi raccomando. Le donne non mancheranno di attaccarvi,

credete a me!» Era un discorso molto lungo per un uomo di poche parole come

Lord Steyne, e non era nemmeno il primo che profferisse quel giorno a

beneficio di Becky.

La Briggs, che sedeva al tavolino da lavoro nella stanza attigua, alzò lo

sguardo e sospirò, nell'udire Sua Signoria esprimersi con tanto spregio sul

conto del sesso femminino.

«Se non vi sbarazzate di quell'abominevole cane da guardia,» ruggì il

marchese, «parola mia che la farò avvelenare.»

«Il mio cane da guardia mangia sempre nel mio stesso piatto,» obiettò

Rebecca con un risolino maligno; ed essendosi compiaciuta per qualche istante

della sconfitta subita da Sua Signoria, che detestava la Briggs in quanto gli

impediva il téte-à-téte con l'avvenente consorte del colonnello, provò

finalmente un moto di compassione per il suo ammiratore. Pertanto chiamò la

Briggs, osservò che il tempo era splendido e di conseguenza la invitò a portare

il bimbo a passeggio.

«Non posso liberarmene,» confessò Becky dopo qualche istante, in tono

desolato. E nel dir questo gli occhi le si riempirono di lacrime, onde volse il

capo dalla parte opposta.

«Le dovete lo stipendio, immagino,» disse Sua Signoria.

«Peggio, molto peggio,» rispose Becky, sempre distogliendo lo sguardo.

«L'ho rovinata.»

«L'avete rovinata? E allora perché non la cacciate?» chiese il nobil

signore.

«Queste son cose che fanno gli uomini,» rispose Becky con voce amara.

«Ma le donne non sono così malvage. L'anno scorso, quando noi non avevamo

più una ghinea, lei ci ha dato tutto ciò che aveva. Non permetterò che se ne

vada prima che sia riuscita a restituirle fino all'ultimo spicciolo. A meno che

non ci roviniamo del tutto, eventualità tutt'altro che remota.» -

«E... qual è la somma?» chiese il marchese con una bestemmia. Becky

meditò prontamente sulle doviziose disponibilità finanziarie del suo

interlocutore, onde menzionò una cifra ch'era quasi il doppio della somma

prestatale dalla Briggs.

Lord Steyne si abbandonò a una serie di imprecazioni orrende che

esprimevano tutta la sua collera, mentre Rebecca abbassava vieppiù la testa,

piangendo lacrime amare. «Non ho potuto esimersi. Era la mia ultima risorsa.

Mio marito non ne sa nulla. Guai se glielo avessi confessato. È un segreto che

non ho rivelato a nessuno. Solo voi ne siete al corrente, e solo perché mi avete

forzato a parlarne. Che sarà mai di me, Lord Steyne? Ah, sapeste come sono

infelice!»

Lord Steyne non profferì parola, limitandosi a rispondere con un nervoso

tamburellare delle dita e mangiucchiandosi le unghie. Infine si calcò il cappello

in testa e uscì dalla stanza, furibondo. Rebecca perseverò nel suo

atteggiamento desolato fino a quando udì richiudere la porta e la carrozza

mettersi in moto. Allora si alzò con un'espressione di vittoria nei suoi maliziosi

occhi verdi, proruppe in un'allegra risata e si mise al lavoro: il che significa che

sedette al pianoforte e prese a suonare un'allegra marcia trionfale, così festosa

e brillante da indurre i passanti a fermarsi e a porgere l'orecchio a quella

gioiosa esplosione musicale.

Quella sera stessa giunsero da Gaunt House due lettere indirizzate alla

piccola padrona di casa: l'una racchiudeva un invito a cena a Gaunt House, il

venerdì successivo, da parte di Lord e Lady Steyne; l'altra comprendeva una

strisciolina di carta grigia che recava la firma di Lord Steyne e una dicitura col

nome della banca Jones, Brown & Robinson, sita in Lombard Street.

Due o tre volte, durante la notte, Rawdon udì Becky che rideva. Lei, a

mo' di spiegazione, gli disse che già preconizzava il piacere di recarsi a Gaunt

House e trovarvi le due nobili dame. Ma ben altri erano i pensieri che le

frullavano per il capo. Che fare? Pagare la Briggs e darle il suo congé? Oppure

pagare il conto allo stupefatto Raggles? Meditò sulle alterne ipotesi per tutta la

notte, e il mattino dopo, quando Rawdon uscì per la solita visita mattutina al

club, Mrs. Crawley (in abito assai dimesso e cappello adorno di velletta) si

diresse alla City a bordo di una carrozza pubblica. Varcò la soglia della banca

Jones & Robinson, presentò il documento all'impiegato che stava al banco, e

quello, a mo' di risposta, le domandò come li desiderasse.

Lei dichiarò con voce soave che avrebbe gradito centocinquanta sterline

in banconote di piccolo taglio e il resto in un'unica banconota. Poi fece una

breve sosta in St. Paul's Churchyard, e comprò alla Briggs il più bell'abito di

seta che le riuscì di trovare, per poi farne dono alla vecchia e ingenua zitella

accompagnandolo con un bacio e le espressioni più affettuose.

Quindi andò da Mr. Raggles, si premurò di chieder notizia dei suoi

bambini e gli diede un acconto di cinquanta sterline. Altrettanto fece con

l'uomo dal quale era solita noleggiare la carrozza. «Voglio sperare,» disse,

«che questo le serva da lezione, Spavin. Non vorrei che in occasione del

prossimo ricevimento a corte mio cognato, Sir Pitt, dovesse sopportare il

disagio di ospitarci in quattro sulla sua carrozza perché la mia non compare.» A

quanto sembrava, in occasione dell'ultimo ricevimento a corte era scoppiato un

alterco in conseguenza del quale Rawdon aveva dovuto piegarsi all'umiliazione

di presentarsi alla reggia a bordo di una carrozza pubblica.

Una volta provveduto alle sopraddette incombenze, Becky si accostò al

già menzionato scrigno donatole da Amelia Sedley tanti anni prima, e

contenente innumerevoli cosucce tanto utili quanto preziose, e in quel piccolo

ricettacolo privato ripose la banconota consegnatale dal cassiere della Banca

Jones & Robinson.

XLIX • NEL QUALE VENGONO DEGUSTATI TRE PORTATE E IL DESSERT

Quella mattina, mentre le padrone di casa di Gaunt Street facevano

colazione, Lord Steyne - che per solito sorbiva la sua cioccolata in privato ed

evitava di importunare le signore, ed anzi si limitava a vederle in pubblico

(salvo il caso che s'incontrassero in anticamera) o ad osservarle all'Opera dal

proprio palco mentre loro sedevano in un palco di prima fila - Sua Signoria,

dicevamo, fece la sua apparizione tra le signore e i bambini radunati a

prendere il tè accompagnato da pan tostato, ed ebbe inizio così la battaglia

campale a proposito di Rebecca.

«Lady Steyne,» esordi, «vorrei vedere l'elenco degli invitati alla cena di

venerdì. Vorrei pregarvi inoltre di mandare un biglietto d'invito al colonnello

Crawley e a sua moglie.»

«Questo è compito di Blanche,» rispose Lady Steyne, agitatissima. «È

Lady Gaunt a scriverli.»

«Mi rifiuto di mandare un biglietto d'invito a una persona simile,» reagì

Lady Gaunt, una signora alta e maestosa, sollevando fuggevolmente lo

sguardo e tosto riabbassandolo non appena ebbe finito di profferire quella

frase. Non era piacevole incontrare gli occhi di Lord Steyne, per chiunque lo

avesse offeso.

«Fate uscire i bambini!» strillò il nobiluomo, dando uno strattone al

cordone del campanello. «Suvvia, andate!» I ragazzi, sempre in soggezione al

suo cospetto, si affrettarono a scomparire. La madre si accingeva a seguirli,

ma lui la fermò. «Voi no,» ingiunse Lord Steyne. «Voi fermatevi.»

«Lady Steyne,» continuò poi, «vi invito una volta ancora a sedervi allo

scrittoio e a scrivere quell'invito per la cena di venerdì.»

«Per parte mia, signore, non vi presenzierò. Me ne andrò a casa.»

«E allora andate e restateci. Scoprirete che gli ufficiali giudiziari di

Bareacres sono una compagnia oltremodo gradevole, e per parte mia sarò

liberato dal dovere di prestar denari ai vostri parenti e da quella vostra

espressione melodrammatica. Del resto, come vi permettete di dare ordini?

Avete quattrini, forse? No. E tantomeno cervello. Il vostro compito qui era

quello di far figli e non siete stata all'altezza della situazione. Gaunt è stufo di

voi, e la moglie di George è l'unico membro della famiglia che non desideri

vedervi andare all'altro mondo. Se voi moriste, Gaunt potrebbe risposarsi.»

«E io non desidero di meglio,» reagì lei con gli occhi pieni di lacrime e di

rabbia.

«Ma già, voi vi permettete anche di assumere quelle vostre arie da

virtuosa! Mentre mia moglie, che è una santa, una donna perfetta che (lo

sanno tutti) non ha mai fatto niente di male in vita sua, è ben lieta di

incontrarsi con la mia giovane amica Mrs. Crawley. Lady Steyne non ignora

come a volte le apparenze giochino a sfavore della migliore fra le donne; come

avvenga che si raccontino menzogne che gettano il discredito su di loro. Di

grazia, signora, che ne direste se vi raccontassi qualche aneddoto sul conto di

Lady Bareacres, la vostra cara mammina?

«Potete anche schiaffeggiarmi, signore, se così vi aggrada. Potete

infierire su di me con la massima crudeltà.» Le sofferenze della moglie e della

nuora non mancavano mai di mettere Lord Steyne di buonumore.

«Mia cara Blanche,» riprese a dire, «per vostra norma io sono un

gentiluomo, non ho mai posato una mano su una donna se non per usarle una

gentilezza. Desidero soltanto ovviare a certe piccole mende del vostro

carattere. Voi donne mancate sempre di umiltà. Sono certo che se padre Mole

fosse presente, non mancherebbe di farlo osservare a Lady Steyne. Non

dovete andar tanto superbe, mie care, ma conservarvi umili e mansuete. Lady

Steyne sa benissimo che questa povera, ottima Mrs. Crawley, è vittima di

volgari calunnie. Suo marito non ha una buona reputazione. Eppure non vale

meno di Bareacres, che non ha mai pagato i suoi debiti di gioco e vi ha

turlupinata privandovi dell'unica eredità sulla quale poteste far conto e

abbandonandovi senza un soldo sulle mie spalle. Mrs. Crawley non è di nobile

estrazione, ma non per questo la sua famiglia è peggiore di quella dell'illustre

antenato di Fanny, il primo De la Jones.»

«Il denaro che ho portato in famiglia...» prese a dire Lady George.

«... vi ha assicurato il diritto di successione.» La interruppe il marchese,

cupo in volto. «Se Gaunt morisse, vostro marito ne erediterebbe il titolo, e a

loro volta i vostri figli potrebbero ereditarlo, e chissà che altro ancora! Per il

momento, comunque, care signore, se volete essere orgogliose,

permettetevelo pure fuori di casa, ma non datevi arie con me, intesi? In

quanto alla reputazione di Mrs. Crawley, non mi abbasserò certo (né abbasserò

lei) sino ad ammettere che sia necessario difenderla. Voi siete tenuta a

riceverla affabilmente, non altrimenti da qualsiasi altra persona ch'io porti in

questa casa. E del resto,» aggiunse, scoppiando a ridere, «che cos'è mai

questa casa? E a chi appartiene, forse? Non è forse mio, questo Tempio della

Virtù? Se anche invitassi tutta Newgate e tutta Bedlam, voi avreste il dovere di

accogliere quelle signore.»

A conclusione di questa energica arringa, nel genere di cui Lord Steyne

dava saggio ogni qual volta il suo harem dava segni d'insubordinazione, le due

umiliate signore non poterono che assoggettarsi. Lady Gaunt scrisse i biglietti

in adempimento al desiderio di Lord Steyne; poi lei e la suocera presero la

carrozza e si recarono di persona, e con profonda amarezza, a lasciare l'invito

a Mrs. Crawley: quell'invito che tanta gioia diede all'innocente destinataria.

C'erano, a Londra, molte signore che avrebbero immolato volentieri il

reddito di un'intera annata pur di ricevere un siffatto invito da due dame così

altolocate. Mrs. Bullock, per esempio, sarebbe andata in ginocchio da Mayfair a

Lombard Street se lì, nella City, fosse stata attesa da Lady Steyne e da Lady

Gaunt, pronte a sollevarla con mano amica per dirle:

«Vi aspetto da noi venerdì prossimo» alludendo non a uno dei grandi balli

Gaunt House ai quali affluiva un mare di gente, ma ad uno di quei sacri,

inavvicinabili, deliziosi, misteriosi ricevimenti, ai quali era ambito onore essere

ammessi, un privilegio, insomma una benedizione.

La bella Lady Gaunt, così austera e impeccabile, occupava un posto

primario nella Fiera della Vanità. La particolare cortesia di cui era oggetto da

parte di Lord Steyne suscitava l'ammirato consenso di tutti coloro che avevano

modo di osservare il suo contegno, e induceva anche i critici più arcigni ad

ammettere che, oltre ad essere un perfetto gentiluomo, Sua Signoria era un

uomo di altissimi sentimenti.

Le signore di Gaunt Street chiamarono in loro soccorso Lady Bareacres

per respingere il nemico comune. Una carrozza di Lady Gaunt si spinse fino a

Hill Street per prelevarvi la madre di Sua Signoria, le cui carrozze, sotto

sequestro, erano in mano degli ufficiali giudiziari e i cui gioielli, persino il

vestiario, erano finiti nelle mani di implacabili ebrei. Persino il castello di

Bareacres era caduto nelle loro grinfie, con tutti i quadri, con la mobilia, con

tutte le sue suppellettili preziose: i magnifici Van Dyck, le nobili tele di

Reynolds, i foschi e splendidi ritratti di Lawrence che trent'anni prima erano

considerati attestazioni inestimabili di un autentico genio, l'impagabile Ninfa

danzante del Canova per la quale Lady Bareacres aveva posato in gioventù (sì,

proprio lei, Lady Bareacres, allora fulgida per avvenenza, censo e prestigio

quanto adesso era vecchia, pelata e sdentata, nient'altro che un cencio di quel

ch'era stato un splendido abito di gala).Il di lei consorte, dipinto in quello

stesso periodo da Lawrence nell'uniforme di colonnello della fanteria di

Thistlewood, nell'atto di brandire la sciabola davanti al castello di Bareacres,

s'era ridotto un vecchierello secco e rattrappito, in giacca lunga e parrucca alla

Bruto, che sgattaiolava nei pressi di Gray's Inn, di preferenza la mattina, e

pranzava per conto suo al circolo. Ora non aveva più la minima voglia di

pranzare con Steyne. Da giovani se l'erano spassata allegramente insieme, e

Bareacres teneva la palma. Ma Steyne aveva maggior capacità di resistenza e

se l'era lasciato alle spalle. Oggi il marchese godeva di un prestigio di gran

lunga superiore a quello di cui aveva fruito il giovane Lord Gaunt nel 1785.

Vecchio, sconfitto, fuori concorso, Bareacres era ormai un relitto. Aveva

chiesto troppi prestiti a Lord Steyne per godere di ulteriori incontri con l'amico

di un tempo; onde quest'ultimo, quando voleva dire qualcosa di spiritoso,

chiedeva sardonicamente a Lady Gaunt come mai il padre non venisse più

trovarla.

«Sono quattro mesi che non viene,» diceva. «Basta che dia un'occhiata

al mio libretto di assegni e sono subito in grado di ricostruire la data dell'ultima

visita di Lord Bareacres. Niente di più comodo, mie care signore: il suocero di

uno dei miei figli funge da banca a mio favore, e io fungo da banca all'altro!»

Non spetta al cronista di questa storia diffondersi sugli altri autorevoli

personaggi che Becky ebbe l'onore di conoscere in occasione del suo esordio

nel gran mondo. C'era, fra altri, il principe di Peterwaradin, accompagnato

dalla principesca consorte: un nobiluomo impettito, il torace ampio e

militaresco sul quale brillava pomposamente la plaque dell'ordine di cui si

fregiava, nonché il collare scarlatto del Golden Fleece. Era il proprietario di

innumerevoli greggi. «Guardate che faccia ha,» bisbigliò Becky a Lord Steyne.

E in effetti l'aspetto di Sua Eccellenza, con quel viso allungato, solenne e

bianchiccio, evocava in certo qual modo un vecchio montone col campanaccio

al collo.

C'era, inoltre, Mr. John Paul Jefferson Jones, ufficialmente accreditato

presso l'ambasciata d'America e corrispondente del «New York Demagogue», il

quale, allo scopo di rendersi accetto alla compagnia, approfittò di una pausa

della conversazione durante il pranzo per chiedere a Lady Steyne se al suo

ottimo amico George Gaunt piacesse il Brasile. George e lui si erano legati da

amicizia in quel di Napoli, e insieme avevano scalato la vetta del Vesuvio. Mr.

Jones redasse un resoconto minuzioso di quel pranzo, resoconto che più tardi

venne debitamente pubblicato dal «Demagogue». Menzionò i nomi e i titoli di

tutti i presenti, diffondendosi altresì in qualche cenno biografico sui più

autorevoli. Descrisse con straordinario realismo le varie signore, il servizio a

tavola, la corporatura e le livree dei domestici; precisò il numero delle portate

e dei vini e fece un rapido computo del valore approssimativo dell'argenteria.

Stabilì che un simile simposio non poteva costare meno di quindici, forse

diciotto dollari per commensale. Da quella volta mantenne, e sino a poco

tempo addietro, l'abitudine di inviare qualche suo protégé con lettere di

presentazione al nuovo marchese di Steyne, a ciò incoraggiato dell'antica

familiarità col marchese defunto. Si adontò aspramente del fatto che un

giovanotto insulso, appartenente a una famiglia di piccola nobiltà, qual era il

conte di Sowthdown, avesse osato precederlo mentre gli invitati si dirigevano

verso la sala da pranzo. «E questo,» ebbe a scrivere, «mentre io mi avvicinavo

a una signora bella e spiritosa per offrirle il braccio: la simpatica e vivace Mrs.

Rawdon Crawley. Il bellimbusto è intervenuto inopinatamente portandosi via la

mia Elena senza una parola di scusa. Ho dovuto rassegnarmi a seguirla in

compagnia col colonnello, marito della signora, un prode guerriero di

corporatura tarchiata e pelo rossiccio distintosi a Waterloo dove ha avuto

maggior fortuna di quella toccata a tante altre giubbe rosse a New Orleans.»

Il viso del colonnello, al momento di fare il suo ingresso nell'alta società,

appariva rosso come quello di un ragazzo di sedici anni nell'atto di esser

presentato alle sorelle dei suoi compagni di scuola. Si è già visto come il buon

Rawdon non avesse mai avuto agio, in qualsivoglia momento della sua vita, di

apprezzare la compagnia delle signore. Al circolo, in mezzo agli uomini, oppure

alla mensa degli ufficiali, non mancava di fare una discreta figura. Fumava,

cavalcava, sapeva giocare a biliardo e osava scommettere come il più

spericolato fra tutti loro. Non che a suo tempo gli fossero mancate amicizie

femminili; ma queste relazioni si riferivano a vent'anni prima, e in ogni caso si

era trattato di signore non dissimili da quelle con le quali sembrava avesse

avuto familiarità il giovane Marlow della commedia, prima di sentirsi

imbarazzato e confuso alla presenza di Miss Hardcastle. Coi tempi che corrono,

osiamo appena alludere a questo genere di compagnia, peraltro abitualmente

frequentato da migliaia di giovanotti della Fiera della Vanità, e che ogni sera è

copiosamente rappresentato nelle sale da gioco, nelle sale da ballo: una

compagnia della cui esistenza, siamo tutti perfettamente edotti, così come

sappiamo che esistono il Ring di Hyde Park o la Congregazione di St. James's,

ma che la più moralista, anche se non certo la più morale delle società, si

ostina caparbiamente a ignorare. A farla breve, sebbene il colonnello Crawley

avesse ormai quarantacinque anni, nell'arco di tutta la sua vita non gli era mai

accaduto di trovarsi al cospetto di una mezza dozzina di donne per bene, oltre

alla sua impagabile consorte. Costoro, e fatta eccezione per Rebecca e per

Lady Jane, la soave cognata che lo aveva incantato col suo garbo squisito,

piombarono nel terrore il nostro prode colonnello. Nel corso di quel primo

pranzo a Gaunt House non lo si udì profferir verbo, se si eccettua

l'affermazione che facesse molto caldo. Per la verità, Becky sarebbe stata ben

lieta di lasciarlo a casa, ma le convenienze imponevano che si presentasse al

fianco del marito, onde quest'ultimo fungesse da usbergo a quella fragile e

timida creatura in occasione del suo ingresso nel gran mondo.

All'apparire di Rebecca, Lord Steyne le mosse incontro, le prese la mano

e la salutò con la massima deferenza, presentandola poi a Lady Steyne e alle

distintissime nuore. Le Loro Signorie si piegarono in tre solenni inchini e la più

anziana delle signore si spinse addirittura a porgere la mano alla nuova

venuta: una mano gelida e inerte come fosse stata di marmo.

Becky la prese in tutta umiltà; poi, con una riverenza in tutto degna di un

maestro di ballo, quasi si prosternò ai piedi di Lady Steyne dichiarando che

Lord Steyne era stato il primo amico e protettore di suo padre, e protestando

altresì che lei, Becky, aveva imparato a rispettare e ad onorare la famiglia

Steyne fin dall'infanzia. In tempi lontani Lord Steyne aveva acquistato due

quadri a suo padre, il vecchio Sharp buonanima, e l'affezionata orfana provava

imperitura gratitudine per il favore accordato alla sua famiglia.

Poi la moglie del colonnello si piegò in un inchino altrettanto rispettoso in

onore di Lady Bareacres, avendone in cambio la sussiegosa e asciutta

riverenza dell'altezzosa signora.

«Ho avuto il piacere di fare la conoscenza di Vostra Signoria dieci anni fa,

a Bruxelles,» disse Becky nel suo tono più suadente. «stato al ballo della

duchessa di Richmond, la sera prima della battaglia di Waterloo. Ricordo del

pari Vostra Signoria e vostra figlia, Lady Blanche, mentre se ne stavano sedute

in carrozza sotto la porte cochère, in attesa che portassero i cavalli. Voglio

augurarmi che i diamanti di Vostra Signoria siano stati tratti in salvo.»

Ciascuno dei presenti si scambiò un'occhiata allibita con la persona che

aveva più vicina. A quanto pareva i diamanti in questione erano stati oggetto

di un ben noto sequestro di cui Becky, inutile dirlo, non sapeva nulla, Rawdon

Crawley si appartò nello sguancio di una finestra insieme con Lord

Suouthdown, e dopo qualche istante echeggiò la risata fragorosa di

quest'ultimo: Rawdon gli stava raccontando l'episodio di Lady Bareacres che

aspettava i cavalli e che «per Giove, s'inchinava» davanti a Mrs. Crawley. «Non

credo proprio di aver motivo di temerla, quella lì, » pensava frattanto Becky. E

non aveva torto, dal momento che Lady Bareacres fu vista scambiare occhiate

terrorizzate e confuse con la figlia, e poscia ritirarsi davanti a un tavolo ove

prese a sfogliare un libro illustrato con soverchia energia.

Quando fecero la loro apparizione i potentati danubiani, la conversazione

continuò in francese: circostanza che fornì a Lady Bareacres e a sua figlia

l'occasione alquanto mortificante di constatare che Mrs. Crawley si esprimeva

in quella lingua assai meglio di loro, e per giunta con un ottimo accento. Becky

aveva avuto modo di conoscere vari magnati ungheresi che tra il 1816 e il

1817 si erano trovati al seguito dell'esercito francese. Si affrettò pertanto a

chiedere notizia di quelle sue conoscenze, onde quegli illustri personaggi

stranieri furono indotti a credere di trovarsi in presenza di una dama della più

eletta società. Mentre si accostavano a Lord Steyne e alla marchesa per andare

a pranzo, il principe e la principessa chiesero gravemente ai padroni di casa chi

fosse mai quella petite dame che si esprimeva con tanta forbitezza.

Finalmente, quando i commensali furono sfilati nell'ordine descritto dal

diplomatico americano, procedettero in massa nel salone ove era stato allestito

il banchetto. E dal momento che ho promesso al lettore di farglielo gustare,

egli sarà libero di ordinare ciò che maggiormente gli aggrada.

La guerra contro Becky sarebbe iniziata nel momento in cui le signore

sarebbero rimaste sole, e lei lo sapeva perfettamente. In effetti, la povera

creatura si trovò in una situazione siffatta, da legittimare pienamente il monito

di Lord Steyne, quando le aveva raccomandato di guardarsi dalle donne di

elevata estrazione sociale. Se è vero che nessuno odia gli irlandesi quanto gli

irlandesi stessi, altrettanto potrebbe dirsi delle donne, che hanno le più

acerrime nemiche nelle loro simili. Quando la povera Becky si trovò sola con le

altre signore, si accostò al caminetto intorno al quale si erano raccolte le dame

altolocate; ma costoro si alzarono tosto prendendo posto intorno a un tavolo

per sfogliarvi un album di disegni. Becky le imitò, ma quelle, alla spicciolata,

fecero ritorno davanti al camino. Allora Becky abbozzò una conversazione con

uno dei bimbi, (al solito, in presenza d'altri, ostentava il massimo trasporto per

i bambini), ma subito il piccolo George Gaunt venne richiamato dalla madre.

Quell'estranea fu oggetto di un trattamento così crudele, che persino Lady

Steyne ne ebbe compassione e si alzò per rivolgere la parola a quella povera

piccola donna sola.

«Lord Steyne mi dice che voi sapete suonare e cantare in modo

delizioso,» disse la marchesa, mentre le gote smunte le si tingevano di un

rossore appena accennato. «Sareste così gentile da cantare per me?

«Sono ben lieta di fare qualunque cosa aggradi a Lord Steyne e a Vostra

Signoria,» rispose Rebecca, sinceramente grata. Poi sedette al pianoforte e

prese a cantare.

Intonò alcuni inni religiosi di Mozart che in tempi lontani Lady Steyne

aveva particolarmente amato. E cantò con tanta grazia e dolcezza che la

padrona di casa, dopo aver sostato in piedi accanto allo strumento, finì per

sedersi e ascoltare, sino a quando i suoi occhi si colmarono di lacrime di

commozione. È pur vero che all'altro capo della stanza le signore

dell'opposizione continuavano a chiacchierare con cicaleccio incessante, ma

Lady Steyne non le udiva. Era tornata bambina, e dopo quarant'anni di deserto

ritrovava il giardino del suo convento. In quei lontani giorni felici, dall'organo

della cappella si erano sprigionati gli stessi suoni. Glieli aveva insegnati

l'organista, ossia la sua suora prediletta. Lady Steyne si rivedeva fanciulla e le

pareva che rifiorisse quella fugace stagione della sua felicità. Poi ebbe un

sussulto: le porte si aprirono cigolando e fece il suo ingresso il gaio stuolo degli

uomini, accompagnato da una risata scrosciante di Lord Steyne.

Lord Steyne comprese all'istante la scena che si era svolta in sua

assenza, e per una volta fu grato alla consorte. Le si fece accosto e le rivolse la

parola chiamandola per nome, cosa che una volta di più accese le pallide

guance della dama di un leggero rossore. «Mia moglie dice che avete cantato

come un angelo,» disse poi, rivolgendosi a Becky. «Ma esistono due specie di

angeli, e a quanto pare ciascuno ha un suo fascino speciale.»

Sta di fatto che, dimenticato l'andamento della prima parte della serata,

il resto si risolse in un vero trionfo per Becky. Cantò come meglio sapeva, e la

sua voce era così gradevole che tutti gli uomini si raccolsero attorno al

pianoforte. Le donne, le sue nemiche, furono abbandonate in solitudine. E Mr.

Paul Jefferson Jones si convinse di aver fatto la conquista di Lady Gaunt

quando le si avvicinò per tesser le lodi di quella loro incantevole amica che

cantava in modo semplicemente divino.

L • NEL QUALE SI NARRA DI UN BANALE AVVENIMENTO

La musa, chiunque ella sia, che presiede a questa Storia tragicomica, si

vede ora costretta a disertare le sfere superne nelle quali ha regnato sino a

questo momento, e avere la bontà di scendere sull'umile tetto della casa di

Brompton nella quale abita John Sedley, onde illustrarci quanto avviene tra

quelle mura. Anche qui, in questa modestissima dimora, allignano le ansietà, la

sfiducia, la tristezza. In cucina vediamo Mrs. Clapp che confabula col marito

protestando per l'affitto e si sforza di convincere il brav'uomo a ribellarsi contro

il suo antico amico ed ex padrone, nonché attuale inquilino. Ora Mrs. Sedley ha

cessato di far visita a Mrs. Clapp negli ambulacri inferiori della casa, e per la

verità non è certo più in grado di darsi tono con lei. Com'è possibile assumere

certe arie di degnazione nei confronti di una persona alla quale si è debitori di

ben quaranta sterline, e che per giunta non manca di alludervi senza posa? La

servetta irlandese non ha minimamente accantonato il suo atteggiamento

affabile e rispettoso, ma Mrs. Sedley si è messa in testa che, tutt'al contrario,

stia diventando insolente e ingrata, e al pari del ladro che teme l'occulta

presenza di un poliziotto in ogni cespuglio, così ella crede di cogliere

minacciose allusioni e temibili iniziative in ogni frase, in ogni risposta della

ragazza. Quanto a Miss Clapp, che ormai si è fatta una giovinetta, agli occhi

della vecchia signora inacidita sembra una scimmietta sfacciata e

insopportabile. Come Amelia possa recarle affezione, uscire volentieri a

passeggio in sua compagnia o intrattenersi di buon grado con lei nella sua

stanza, è cosa che a Mrs. Sedley riesce letteralmente incomprensibile. La

povertà ha inasprito colei che un tempo era stata una signora così serena e

garbata. Si mostra sconoscente ad Amelia, che pure è sempre così gentile con

lei; ed anzi trova a ridire che la figlia si sforzi di esser sempre cortese e

servizievole, la rimbrotta per mostrarsi sempre così stupidamente fiera del

figlio, trascurando a suo vantaggio i genitori. Non si può certo affermare che la

casa di Georgy sia molto allegra, da quando la rendita annuale concessa dallo

zio Jos ha cessato di affluire e la piccola famiglia è ridotta quasi alla fame.

Amelia si spreme il cervello per escogitare un sistema atto ad

incrementare i modestissimi introiti coi quali la famiglia vive in penose

strettezze. Forse potrebbe dar lezione di qualcosa, dipingere dei portacarte, far

lavori accurati di cucito. Già, ma scopre che ci sono donne disposte, per due

soldi al giorno, a lavorare più sodo e meglio di quanto non riesca a fare lei.

Entra allora da un cartolaio, compra due cartoncini Bristol col bordo dorato; e li

dipinge mettendoci tutta la sua arte. In uno raffigura un pastorello con

panciotto rosso e il visetto rubizzo e sorridente, in un paesaggio a matita;

sull'altro una pastorella con un cagnolino al fianco, nell'atto di attraversare un

ponticello, il tutto delicatamente ombreggiato in chiaroscuro. Il proprietario

dell'Emporio di Belle Arti di Brompton, dal quale aveva acquistato i cartoncini

nella vana speranza che glieli avrebbe ricomprati, una volta adorni dei suoi

disegni, riesce a stento a trattenere un risolino sprezzante nell'atto di

esaminare quelle ingenue espressioni pittoriche. Lancia un'occhiata in tralice

alla signora che attende nel negozio, poi torna ad avvolgere i cartoncini nella

carta marrone porgendoli all'infelice vedova e a Miss Clapp, la quale non aveva

mai visto niente di tanto bello in vita sua e confidava che l'uomo li avrebbe

pagati almeno due ghinee. Tentano in altri negozi in quartieri più centrali di

Londra, mentre le loro speranze si fanno sempre più fievoli. «Non li voglio,»

dice uno. «Fuori dai piedi,» dice sgarbatamente un altro. Tre scellini e mezzo

sprecati senza costrutto. Quanto ai cartoncini, finiscono nella camera di Miss

Clapp, la quale insiste nel trovarli incantevoli.

Ed ecco Amelia scrivere in bella calligrafia un biglietto col quale, dopo

lunga meditazione e ragionata elaborazione del testo, informa il pubblico che

«Una signora, avendo tempo a disposizione, desidera occuparsi dell'istruzione

di bambine, impartendo loro lezioni di inglese, francese, storia, musica e

geografia. Rivolgersi a A.O., presso Mr. Brown». Dopo di che consegna il

biglietto al proprietario dell'Emporio di Belle Arti, il quale accetta di buon grado

di esporlo sul banco del suo esercizio, ma dove non tarda a impolverarsi e a

ingiallire senza alcun risultato.

Amelia passa e ripassa mestamente davanti alla bottega, nella speranza

che Mr. Brown abbia qualche notizia da darle, ma quegli non le fa mai cenno di

entrare. Quando va a fare i suoi modesti acquisti, non ci sono novità per lei.

Povera ragazza, così dolce, così ingenua, così debole, come potrai mai

combattere contro un mondo nel quale imperversano la lotta e la violenza?

Ogni giorno Amelia appare più triste e preoccupata e posa sul figlio due

occhi colmi di ansietà dei quali il piccolo non può certo comprendere il

significato. Di notte si desta di soprassalto e furtivamente va a spiare nella

camera di suo figlio per assicurarsi che dorma, che non le sia stato rapito. È in

preda a un pensiero angoscioso, ossessivo. Nel silenzio della notte piange e

prega senza posa, sforzandosi inutilmente di scacciare quel pensiero che

peraltro continua a riaffiorare: l'incubo di doversi separare da Georgy, la

consapevolezza di essere lei l'unico impedimento che separa il figliolo

dall'agiatezza. Ma no, non ora. Non sarebbe in grado di sopportano. Un altro

giorno, magari. È troppo terribile, troppo!

Poi l'assale un altro pensiero: un pensiero che la fa arrossire e che

vorrebbe scacciare dalla sua mente. Una soluzione potrebbe consistere nel

lasciare la pensione ai suoi genitori, accettando di sposare il curato. In tal

modo assicurerebbe una casa a sé e alla sua creatura. Ma il ricordo e il ritratto

di George sono lì, dinnanzi a lei, a rimproverarla. La vergogna e l'amore le

impediscono di piegarsi a un simile sacrificio. Ne rifugge quasi si trattasse del

pericolo di commettere un sacrilegio. Siffatti pensieri non possono albergare in

un animo tanto puro e gentile.

L'intima lotta alla quale accenniamo in poche righe si protrasse per varie

settimane nel cuore della povera Amelia: settimane durante le quali non ebbe

anima viva alla quale confidar i suoi travagli; e in realtà non poteva averne, dal

momento che insisteva nel chiudersi in se stessa, sebbene arretrasse ogni

giorno di più al cospetto del nemico contro il quale doveva combattere. Le

verità le si ergevano davanti, inesorabili, e non l'abbandonavano più. E

innanzitutto la povertà e l'indigenza, lo stato di umiliante necessità in cui

versavano i suoi genitori, la sorte ingiusta che gravava sul bambino: l'una dopo

l'altra cadevano le difese della fortezza entro la quale aveva gelosamente

rinchiuso il suo tesoro, il suo unico amore.

All'inizio di quella sua strenua tenzone aveva scritto una lettera

affettuosa al fratello, a Calcutta, implorandolo di non voler privare i genitori di

quell'aiuto finanziario che gli aveva accordato, e descrivendogli con parole

patetiche e drammatiche le loro condizioni miserrime e senza speranza. Ahimè,

Amelia ignorava la verità: Jos continuava a versare quella rendita annuale, ma

a riscuoterla era uno strozzino della City al quale era stata ceduta dal vecchio

Sedley in cambio di una somma che gli serviva per finanziare i suoi progetti

scriteriati. Emmy calcolava ansiosamente il tempo richiesto dalla missiva per

giungere al destinatario e quello necessario alla risposta per pervenire sino a

lei. Aveva annotato sulla sua agenda la data in cui aveva impostato la lettera.

Non aveva rivelato alcunché delle sue pene e delle sue difficoltà al tutore di

suo figlio, il buon maggiore residente a Madras. Dopo la lettera con la quale si

rallegrava con lui per le sue nozze imminenti non c'era stato fra loro nessun

altro scambio epistolare; onde Amelia pensava con indicibile tristezza che

l'unico amico rimastole, colui che le aveva dato prova costante di affezione, si

era allontanato definitivamente da lei.

Un giorno che la situazione sembrava più cupa del solito - i creditori si

erano fatti più incalzanti, la madre aveva avuto un attacco isterico, il padre era

più nero del consueto e i vari membri della famiglia si scansavano a vicenda,

ciascuno segretamente oppresso dalla propria infelicità e dalla convinzione di

essere nel torto - padre e figlia si ritrovarono a tu per tu e Amelia pensò che

avrebbe consolato il padre riferendogli della propria iniziativa. Aveva scritto

una lettera a Jos e nel giro di tre o quattro mesi avrebbero ricevuto una

risposta. Jos non avrebbe negato il suo appoggio quando avesse saputo che i

suoi genitori versavano in condizioni tanto disagevoli.

Al che il padre non poté esimersi dal confessare la verità: il figlio non

aveva mai cessato di inoltrare il denaro, e a sperperarlo era stato lui, con la

sua incompetenza, esponendosi a un raggiro. Non aveva mai trovato il

coraggio di dirlo prima, e fu indotto a pensare che lo sguardo sgomento e

atterrito con il quale la figlia lo fissava mentre lui si rassegnava a quella

penosa ammissione riflettesse un muto rimprovero. «Ah,» esclamò con labbra

tremanti e distogliendo il capo, «tu adesso disprezzi il tuo vecchio padre.

«Ma no, ma no, papà!» proruppe Amelia, gettandogli le braccia al collo e

tempestandolo di baci, «non si tratta di questo. Tu sei stato sempre il migliore

degli uomini e hai creduto di agire per il meglio. Non si tratta del denaro,

credimi. Oh, mio Dio, mio Dio, abbi pietà di me! Dammi la forza di sopportare

quest'altra prova!» Gli diede un ultimo bacio e scappò via.

Il padre non aveva compreso il significato di quelle parole, né il perché

dell'angoscia che aveva assalito inopinatamente sua figlia, spingendola a

fuggire dalla stanza. Amelia, in realtà, si sentiva definitivamente sconfitta. La

sentenza era stata pronunciata. Il bambino doveva passare in altre mani.

Georgy, il suo tesoro, l'oggetto della sua adorazione e di ogni sua speranza,

l'avrebbe sicuramente dimenticata. E pensare ch'era tutta la sua gioia, quasi il

suo Dio! E poi? Poi se ne sarebbe andata per sempre... se ne sarebbe andata

con George, e insieme avrebbero vegliato sul figlio, in attesa ch'egli li

raggiungesse in paradiso.

Meccanicamente, quasi senza accorgersi dei suoi gesti, indossò la

cuffietta e uscì a passeggio lungo il viale che Georgy era solito percorrere

rientrando da scuola e dove lei gli andava incontro all'ora dell'uscita. Era

maggio, una giornata semifestiva. Il tempo era splendido e le foglie si

schiudevano sugli alberi. Il ragazzo le mosse incontro cantando, i libri

trattenuti da una cinghia. Splendeva di salute. Eccolo. Ella lo cinse con ambo le

braccia. No, non era vero. Era impossibile che fossero sul punto di separarsi.

«Che cos'hai mamma?» chiese il piccolo. «Sei molto pallida, sai?» «Non ho

niente, bambino mio,» rispose lei, chinandosi a baciarlo.

Quella sera Amelia invitò il piccolo a leggere l'episodio biblico di Samuele,

che Anna, sua madre, aveva recato appena svezzato al Gran Sacerdote Elia

onde servisse il Signore Iddio. Egli lesse il canto di gratitudine di Anna, nel

quale è detto chi sia Colui che ci umilia e ci esalta, che ci rende poveri e ricchi;

e dove si afferma altresì che il povero sarà sollevato dalla polvere in cui giace,

e che a nessuno è dato di pervenire a uno scopo purchessia con le sole sue

forze. E lesse ancora come ogni anno la madre, allorché si recava a compiere il

rito sacrificale, gli cucisse e portasse la tunica. Poi, col tratto semplice e

suadente che le era congeniale, la madre di George commentò al figlio

quell'episodio così commovente. Spiegò come Anna, sebbene amasse tanto suo

figlio, vi avesse rinunciato in adempimento al voto compiuto; e come non

avesse cessato di pensare a lui mentre se ne stava in casa, lontana dal figliolo,

impegnata a cucirgli la tunica, nell'intimo convincimento che a sua volta

Samuele non avesse mai dimenticato sua madre. E che dire della gioia che

sicuramente la madre aveva provato quando alfine era giunto il tempo di

rivederlo (gli anni erano passati molto in fretta) e lo aveva ritrovato ormai

adulto, fattosi buono e saggio? Amelia pronunciò il suo breve sermone a occhi

asciutti, in tono dolce e solenne; ma nel momento in cui prese ad evocare il

ritrovamento fra madre e figlio ella s'interruppe, incapace di tenere a freno la

commozione del suo tenero cuore, e stringendosi il figlio al seno lo cullò fra le

sue braccia versando sul suo capo tutte le lacrime di quella santa angoscia.

Una volta pervenuta alla decisione, la vedova prese le misure che le

sembravano più idonee al raggiungimento del suo scopo. Un giorno Miss

Osborne di Russell Square (da dieci anni Amelia non scriveva più

quell'indirizzo, e nel vergarlo le riaffiorò il ricordo di tutta la sua giovinezza, di

tutta quella fase della sua vita) ricevette una lettera da Amelia che la fece

vivamente arrossire, inducendola a portare istintivamente lo sguardo sul

padre, che sedeva con espressione corrucciata all'altro capo della tavola.

In termini molto piani Amelia le esponeva le ragioni che l'avevano indotta

a mutare la sua decisione in merito al ragazzo. Suo padre aveva patito altri

rovesci che lo avevano ridotto alla rovina. Quanto alla sua pensione, era così

esigua che a stento le sarebbe bastata a mantenere i genitori. Di conseguenza

sarebbe stata affatto inadeguata a dare a Georgy tutto ciò a cui il bimbo aveva

diritto. Per quanto atroci fossero le sofferenze che le avrebbe causato il

distacco dal figlio, pure con l'aiuto di Dio sarebbe riuscita a sopportarle per il

bene del figlio. Sapeva che coloro presso i quali sarebbe andato a vivere

avrebbero fatto tutto quanto era in loro potere per renderlo felice. Descriveva il

suo carattere così come lei lo interpretava: vivace, insofferente di ogni forma

di controllo soverchio, di dura disciplina, era tuttavia facile accattivarsi il

ragazzo col garbo e con l'affetto. In un post-scriptum sollecitava un accordo

scritto in base al quale le fosse consentito di vedere il bimbo ogni qual volta lo

desiderasse: al di fuori di questa condizione non sarebbe stata disposta a

separarsene.

«Come come? La signora Superbia ha chinato il capo?» commentò il

vecchio Osborne non appena la figlia ebbe terminato di leggere la lettera con

voce rotta e turbata. «Eh, già, stanno crepando di fame. Lo sapevo che

avrebbe ceduto, prima o poi.» Cercò di mantenere un atteggiamento

indifferente continuando a leggere come sempre il suo giornale, ma non

riusciva a seguire il senso di quanto vi era stampato. Ridacchiava e

bofonchiava tra sé, il volto nascosto dietro il foglio.

Alla fine lo lasciò cadere sul tavolo; lanciò un'occhiata bieca alla figlia

com'era solito fare, poi uscì dalla stanza, entrò nello studio attiguo e ne tornò

con una chiave che getto a Miss Osborne.

«Prepara la stanza sopra la mia camera da letto,» disse. «Sì, quella

ch'era la sua.»

«Certo, signore,» rispose sua figlia, tremebonda. Era la stanza di George.

Nessuno, da dieci anni, l'aveva più aperta. Ospitava ancora i suoi vestiti e

innumerevoli oggetti che gli erano appartenuti: carte, berretti, fazzoletti,

frustini, canne da pesca e altri arnesi sportivi; oltre a un bollettino di guerra

della campagna del 1814 nel quale si menzionava il suo nome, a un piccolo

dizionario del quale faceva uso quando scriveva, a un paio di speroni e a un

calamaio ancora sporco di un fondo d'inchiostro disseccato, rivestito della

polvere depositatasi in dieci anni. Ahimè, quanti giorni erano trascorsi, quante

persone se n'erano andate da quando quell'inchiostro s'era asciugato! Sul

tavolo posava ancora la cartella da scrivere, cosparsa delle macchie

d'inchiostro ch'egli vi aveva lasciato cadere.

Miss Osborne entrò in quella stanza seguita dalla cameriera, ma tosto fu

sopraffatta dalla commozione e si lasciò cadere sul letto, pallidissima.

«Che bella notizia, signora!» esclamò la governante. «Sarà come tornare

ai vecchi tempi. Il caro piccolo sarà contentissimo, siatene pur certa, signora!

Purtroppo certa gentaglia di Mayfair gli serberà rancore,» aggiunse, girando la

maniglia per sollevare l'anta della finestra a ghigliottina e lasciar entrare aria

nella stanza.

«Faresti bene a mandare un po' di denaro a quella donna,» disse Mr.

Osborne prima di uscire. «Non deve mancarle il necessario. Mandale cento

sterline.»

«E debbo andarla a trovare, domani?» chiese Miss Osborne.

«Questo è affar tuo. Ma bada: qui non ha da metter piede. Nemmeno per

tutto l'oro di Londra. L'unica cosa che mi preme, ora, è che non viva nelle

strettezze. Quindi provvedi tu per il meglio.» E con queste frasi lapidarie Mr.

Osborne si accomiatò dalla figlia per uscire e recarsi come al solito nella City.

«Papà, eccoti del denaro,» disse Amelia quella sera, baciando il suo

vecchio genitore e mettendogli tra le mani un assegno da cento sterline. «E in

quanto a te, mamma, non essere aspra con Georgy. Ormai si tratterrà ancora

poco con noi.» La giovane donna non poté aggiungere altro e uscì

silenziosamente dalla stanza. Lasciamo che chiuda la porta e si rifugi nel suo

dolore e nelle sue preghiere. Tanto amore e tanta sofferenza esortano a

parlarne il meno possibile.

Il giorno dopo, fedele a quanto aveva promesso nel suo biglietto, Miss

Osborne si recò in visita ad Amelia.

L'incontro tra le due donne fu corretto. Uno sguardo e poche parole

profferite da Miss Osborne valsero a convincere la povera vedova che, almeno

per quanto riguardava quella donna, non era il caso di temere che prendesse il

primo posto negli affetti di suo figlio. Era assennata e compassata, non più che

gentile. Forse la madre se ne compiacque più che se la rivale si fosse rivelata

più bella e più giovane di lei, più affettuosa, più cordiale. D'altro canto Miss

Osborne ripensava ai tempi andati, portava vivi in sé tanti ricordi, e non poteva

non provare un moto di pietà per la dolorosa situazione di quella povera madre

che, ormai sconfitta, era stata costretta a deporre le armi. Quel giorno le due

donne posero insieme le basi della capitolazione definitiva.

Il giorno dopo Georgy non andò a scuola e la zia lo venne a trovare.

Amelia li lasciò soli e se ne andò nella sua stanza. Stava preparandosi alla

separazione, come la sventurata Lady Jane Grey quando saggiava col dito il filo

della mannaia che avrebbe reciso il suo gracile collo. Seguirono altre visite,

altri preparativi, altri scambi di vedute. La vedova diede la notizia a Georgy con

tutte le cautele del caso, nel timore che quella novità lo sgomentasse; invece il

bimbo ne fu elettrizzato, onde all'infelice non rimase che richiudersi nel suo

isolamento melanconico. Quel giorno stesso, tutto soddisfatto, egli prese a

propagare la notizia tra i compagni di scuola. Annunciò che sarebbe andato ad

abitare con suo nonno: il nonno paterno, non quello che di tanto in tanto

andava a prenderlo a scuola; e che sarebbe stato molto ricco, avrebbe avuto

una carrozza e un pony, avrebbe frequentato una scuola molto migliore e, una

volta diventato ricco, si sarebbe comprato il portamatite di Leader e avrebbe

pagato la donna che faceva i dolci. Quel ragazzo era tale e quale suo padre,

pensava la madre al colmo della tenerezza.

Confesso di non avere il coraggio, per riguardo alla nostra cara Amelia, di

rifare la cronistoria degli ultimi giorni che Georgy trascorse a casa.

Finalmente giunse il giorno fatale. Arrivò la carrozza. Da tempo, ormai,

attendevano in anticamera i modesti involti che contenevano molteplici

espressioni d'affetto, attestazioni di tanti ricordi. Georgy indossava l'abito

nuovo per il quale, giorni addietro, il sarto era venuto a prendergli le misure. Si

era alzato al levar del sole e si era messo il vestito nuovo. La madre lo aveva

udito dalla camera attigua, dove aveva trascorso la notte in muta, straziante

attesa. Nei giorni precedenti aveva portato a termine gli ultimi preparativi:

aveva acquistato innumerevoli inezie ad uso del suo figliolo; aveva marcato i

libri e la biancheria; si era intrattenuta con lui nella presunzione di prepararlo

al cambiamento, e, ingannata dal suo affetto, illudendosi ch'egli necessitasse di

un siffatto rito propiziatorio.

E il cambiamento era avvenuto. Ma a lui cosa importava? Da tempo lo

aspettava. Dalle tante, avide domande su ciò che avrebbe fatto quando fosse

andato ad abitare con suo nonno, la povera vedova non aveva stentato a

comprendere che l'idea di separarsi da lei non lo aveva rattristato granché.

Insisteva a ripeterle che sarebbe venuto a trovarla molto spesso a cavallo del

suo pony. Sarebbe andato a trovarla in carrozza, avrebbero fatto una

passeggiata insieme al parco e la mamma, adesso, avrebbe avuto tutto ciò che

desiderava. La povera madre non poteva che rassegnarsi e accettare quelle

egoistiche dimostrazioni d'affetto e cercava di convincersi che il figlio l'amava

davvero. E invero non c'è dubbio che l'amasse, ma i bambini sono fatti così:

non sono egoisti, ma volubili e subito attratti da tutto ciò che ha sapore di

novità. Suo figlio doveva divertirsi. Era giusto. Com'era giusto che coltivasse le

sue ambizioni personali. Era stata lei, col suo egoismo, col suo improvvido e

soverchio amore, a impedirgli sino a quel momento di godere di ciò cui aveva

diritto.

Poche cose, a mio avviso, sono commoventi quanto l'umile, mortificante

confessione di una donna disposta a far proprie le colpe di un uomo. Se ne

assume i torti e in certo qual modo si direbbe ch'ella si compiaccia di

autocastigarsi senza colpa alcuna, pur di proteggere il vero responsabile. Non

solo, avviene che l'uomo maggiormente colpevole nei confronti di una donna

sia colui che si giova in maggior misura della sua buona disposizione. Gli

uomini per natura sono timidi e autoritari, e tiranneggiano chi è disposto a

umiliarsi davanti a loro.

Così la povera Amelia si era preparata alla partenza del figlio in tacita

angoscia e aveva trascorso ore e ore di Solitudine in attesa del distacco.

Quanto a Georgy, se ne stava accanto a sua madre osservando ciò che faceva

senza provare la minima emozione. Tante lacrime erano cadute nelle sue

valigie; tanti brani erano stati sottolineati nel libri preferiti del figlio; vecchi

giocattoli erano stati riposti per lui al pari di reliquie, di preziosi tesori, avvolti

con cura e precisione affatto singolari; ma tutto ciò era sfuggito all'attenzione

del ragazzo. Il figlio se ne andava col sorriso sulle labbra, mentre alla madre si

spezzava il cuore. Ahimè, quanta pena suscita l'inutile amore che le madri

portano ai figli, in questa Fiera della Vanità!

È passato qualche giorno, ormai. Il grande evento si è ormai compiuto,

nella vita di Amelia. Nessuno intervento celeste è sopravvenuto a impedirlo. Il

figlio è stato immolato in sacrificio al fato e la vedova è rimasta sola.

Per la verità il figlio viene a trovarla molto spesso. Cavalca in sella al suo

pony, scortato da un palafreniere, per la gioia del nonno Sedley che gli

cammina al fianco lungo il viale. Ella ha dunque frequenti occasioni di vederlo,

ma non è più il bambino di prima. Ostenta la sua ricchezza agli occhi dei suoi

antichi compagni di scuola, si compiace della sua opulenza. Gli sono bastati

due giorni per assumere un atteggiamento di degnazione, un tratto

leggermente imperioso. È nato per comandare, pensa sua madre, anche suo

padre era fatto così.

Ora il tempo si è messo al bello. Nei pomeriggi in cui il ragazzo non viene

a trovarla, lei affronta la lunga camminata da casa sua al centro di Londra.

Raggiunge a piedi Russell Square e siede sulla panchina di pietra nel giardino

di fronte alla casa di Mr. Osborne. È così fresco, si sta così bene! Alzando gli

occhi vede le finestre del soggiorno illuminate. Poi, verso le nove, le luci si

accendono nella camera di Georgy, al piano di sopra. Sì, la stanza è quella: è

stato lui a dirlo a sua madre. Amelia indugia su quella panchina a pregare, sino

a quando la luce si spegne. Prega in tutta umiltà poi ritorna a casa, chiusa nel

suo mesto e verecondo silenzio. tanto stanca quando rientra. Forse le riuscirà

di dormire meglio dopo quella lunga passeggiata così spossante; e chissà che

non le riesca di sognare Georgy.

Una domenica percorreva Russell Square a una certa distanza dalla casa

degli Osborne (ma non tanto da non poterla scorgere) proprio mentre

suonavano le campane annunciando la santa festività e Georgy usciva di casa

con sua zia per andare in chiesa. In quel momento un piccolo mendicante si

avvicinò per chiedere l'elemosina, e il domestico che reggeva i libri di preghiere

fece l'atto di scacciano; ma Georgy si fermò e gli diede qualche moneta. Possa

la benedizione di Dio scendere sul bambino! Emmy si affrettò a percorrere il

perimetro della piazza, si avvicinò al piccolo pezzente e anch'essa gli diede il

suo obolo. Le campane suonavano a distesa. Amelia li segui sino a quando

entrarono nella Foundling Church, poi a sua volta entrò in chiesa dietro di loro,

prendendo posto là ove aveva modo di scorgere la testa del bimbo, sotto il

monumento funebre del padre. Innumerevoli, fresche voci infantili si levarono

a intonare gli Inni di lode al Padre, benefattore di tutti noi, e la piccola anima

di Georgy fremeva di delizia udendo esplodere quel gioioso salmodiare. E per

un poco la madre non riuscì a vederlo, perché un velo di lacrime le annebbiava

la vista.

LI • NEL QUALE VIENE PROPOSTA UNA SCIARADA, E NON SAPPIAMO

SE LASCERÀ INTERDETTI I LETTORI OPPURE NO

Dopo che Becky venne ammessa ai ricevimenti privati e selezionati di

Lord Steyne, le ambizioni di questa rispettabile signora in fatto di affermazioni

mondane poterono considerarsi appagate. Alcune porte fra le più maestose ed

esclusive della metropoli - porte che i nostri beneamati lettori e il qui presente

scrittore spererebbero invano di varcare - le furono spalancate senza ulteriori

indugi. Tremiamo, miei cari fratelli, davanti a quegli augusti portali. Io me li

immagino sorvegliati a vista da lacché che brandiscono luccicanti forconi

d'argento, pronti a trafiggere tutti coloro che osassero accostarsi e fruire del

diritto di entrée. Il bravo cronista che sedesse nell'atrio e annotasse i nomi

ammessi a quei festeggiamenti perirebbe in breve lasso di tempo. Non

sopravviverebbe a lungo alla luce abbacinante del gran mondo: una luce che lo

consumerebbe al pari della luce di Giove in tutta la sua maestà, quando

ridusse in cenere la sventurata, avventata Semele, povera farfalletta che andò

incontro alla sua rovina per aver voluto volare in un'atmosfera che non le

competeva. Eh, sì, chi abita a Belgravia e a Tyburnia avrebbe pieno motivo di

meditare sulla sorte di Semele! Sì, dovrebbero riflettere sulla sua vicenda, ed

anche, perché no?, sulla storia di Becky. Proprio così, care signore: chiedete al

reverendo Thurifer se Belgravia non è come rame risonante, e se Tyburnia non

è un cimbalo tintinnante! Vanità, queste. Nient'altro che vanità. Ma

passeranno, passeranno anch'esse. Verrà un giorno (ma grazie al cielo questo

accadrà quando noi non saremo più di questo mondo) che Hyde Park non sarà

più noto di quanto oggi godano fama i giardini pensili di Babilonia, e Belgrave

Square sarà desolata come Baker Street, o deserta come Tadmor.

Piuttosto, signore: sapete o non sapete che il grande Pitt abitava in

Baker Street? Le vostre nonne avrebbero fatto carta falsa, pur di essere

invitate ai ricevimenti offerti da Lady Hester in quel palazzo che oggi appare

semidiroccato e fatiscente. Io ho avuto la ventura di cenarvi, moi qui vous

parle. Ho popolato la sala con gli spettri dei defunti più illustri. Mentre

sedevamo a berci serenamente un bicchiere di borgogna, io e gli uomini

d'oggigiorno, gli spiriti dei trapassati entrarono nella stanza e occuparono i loro

posti, seduti intorno a quella tetra mensa. Il pilota che sfida l'uragano

tracannava mastodontici boccali pieni di porto spirituale. L'ombra di Dundas

non lasciava nemmeno un goccio di porto sul fondo del suo bicchiere.

Addington se ne stava seduto elargendo sorrisi e inchini spettrali, e badava a

non essere da meno agli altri mentre la bottiglia passava di commensale in

commensale. Da sotto le sue folte sopracciglia, Scott ammiccava ogni qual

volta i suoi occhi si posavano su un beeswing. Wilberforce levava gli occhi al

soffitto (quel soffitto che sino a ieri ci ha sovrastati e che tutti i grandi del

passato hanno avuto agio di contemplare) con l'aria di chi finge d'ignorare che

il suo bicchiere sale alle labbra pieno e ne discende vuoto. Oggi quel palazzo è

ridotto a un caseggiato di appartamenti ammobiliati d'affitto. Sì, un tempo

Lady Hester abitava in Baker Street, mentre ora dorme nel deserto. E quivi

Eothen l'ha veduta: l'ha veduta in questa solitudine anziché in quella di Baker

Street.

Tutto è vanità: e chi ne dubita? Ma non esiste chi non apprezzi una pur

minima parte di questa vanità. Vorrei proprio sapere se esista una mente

normalmente ragionante capace di spregiare l'arrosto solo perché si tratta di

un bene transitorio. Certo, certo, è una vanità; ma sarei lieto che i miei lettori

- fossero anche cinquecentomila - potessero gustarsene per tutta la vita una

porzione abbondante. Sedete, signori, accomodatevi pure. Buon appetito!

Mangiate il grasso e il magro, il sugo e la salsa piccante. A piacer vostro. Senza

lesinare. Beviti un altro bicchiere, caro Jones, e scegliti un buon boccone! Ma

certo, e come no? Rimpinziamoci di vanità, facciamone una scorpacciata e

rallegriamoci che ci venga elargita. E parimenti compiacciamoci degli

aristocratici trastulli di Becky, giacché anche questi furono transitori: non

altrimenti da tutti i piaceri offerti dalla vita terrena.

Il risultato della visita di Becky in casa di Lord Steyne fu che, quando

l'indomani s'incontrarono al circolo, Sua Altezza il Principe di Peterwaradin

rivolse la parola al colonnello Crawley e salutò calorosamente Mrs. Crawley nel

Ring di Hyde Park levandosi il cappello e profondendosi in; un inchino. Senza

por tempo in mezzo i coniugi Crawley ricevettero l'invito a partecipare a una

delle serate en petit comité che Sua Altezza offriva a Levant House, sua

residenza londinese quando il nobile proprietario del palazzo si trovava

momentaneamente all'estero. Becky cantò in onore di quella esigua ed eletta

schiera di invitati. Presenziava anche il marchese di Steyne, che vegliava con

sollecitudine paterna sui progressi della sua allieva.

A Levant House Becky conobbe uno dei più eletti gentiluomini e avveduti

diplomatici che l'Europa abbia mai partorito: il duca de la Jabotière, allora

ambasciatore del Re Cristianissimo, e più tardi ministro di quel monarca. Non

mento se vi dico che mi sento scoppiare d'orgoglio alla semplice idea che la

mia penna stia vergando quei nomi, e al pensiero che la mia cara Becky si

aggiri tra i componenti di quella brillante compagnia. Ella divenne ospite

abituale dell'ambasciata di Francia, ove un ricevimento era considerato affatto

indegno di questo nome se non vi prendeva parte l'incantevole Madame

Rawdon Crawley.

Messieurs de Truffigny (del ramo del Périgord) e de Champignac, due

attachés dell'ambasciata, furono immantinenti conquistati dalla maliarda

consorte del colonnello; e dichiararono entrambi, in conformità all'uso invalso

tra i loro connazionali (si è mai dato il caso di un francese che abbia lasciato il

suolo di Albione senza lasciarsi alle spalle una mezza dozzina di famiglie a

soqquadro, e che non si sia portato via, celato nel portafoglio, un egual

numero di cuori infranti?) di trovarsi an mieux in compagnia della seducente

Madame Rawdon.

Io peraltro dubito che siffatta asserzione risponda al vero. Champignac

andava pazzo per l' écarté e trascorreva serate intere a fare una partita dopo

l'altra col colonnello, mentre in salotto Becky dilettava Lord Steyne con il suo

canto. Quanto a Truffigny, era un fatto ben noto che non osava metter piede al

Circolo dei Cacciatori perché aveva debiti con tutti, perfino coi camerieri, e se

non avesse avuto modo di consumare i pasti all'ambasciata, sicuramente il

poveraccio sarebbe morto d'inedia. Insomma, mi sembra affatto improbabile

che Becky fosse incline a dedicare particolari attenzioni all'uno o all'altro di

questi giovanotti. Indubbiamente sbrigavano per lei tante piccole commissioni,

le compravano guanti e fiori, s'indebitavano per offrirle un palco all'Opera e si

rendevano servizievoli in mille modi. Si esprimevano in inglese con goffo

candore, con vivo spasso di Lord Steyne e di Becky, la quale non esitava a

rifargli il verso sulla faccia, ma al tempo stesso complimentandosi per i loro

progressi in quella lingua: il tutto con una gravità che provocava il costante

divertimento del marchese, il suo vecchio e sarcastico protettore. Truffigny

regalò uno scialle alla Briggs per ingraziarsi la confidente di Becky, e le chiese

di recapitare alla destinataria una lettera che l'ingenua zitella consegnò in

pubblico all'interessata: lettera il cui contenuto causò il massimo divertimento

a tutti coloro che ebbero agio di leggerla. La lesse Lord Steyne, la lessero tutti

ad eccezione del buon Rawdon al quale non era il caso di riferire tutto quello

che succedeva tra le pareti della piccola casa di Mayfair.

E di lì a poco, proprio in quella casa, Becky ricevette non solo «il meglio»

della società straniera (l'espressione è attinta al gergo della nostra

encomiabilissima ed aristocratica società), ma altresì alcuni esponenti della

crème d'Inghilterra. Con ciò non intendo riferirmi ai più virtuosi o ai meno

virtuosi; né alludo, che so?, ai più intelligenti, ai più stupidi, ai più facoltosi, ai

più aristocratici. No, no, intendo «il meglio» e basta: ossia le persone sulle

quali non è possibile obiettare alcunché. Tra questi si annoveravano la celebre

Lady Fitz-Willis, santa patronessa dell'Almanacco di Gotha; l'eccelsa Lady

Slowbore, l'esimia Lady Grizzel Macbeth, nata Glowry, figlia di Lord Grey di

Glowry, ed altre dame consimili. Quando la contessa di Fitz-Willis (Sua Signoria

appartiene al ramo di King Street, vedansi Debrett & Burke) accoglie qualcuno,

uomo o donna che sia, si può esser certi che si tratta di una persona in piena

regola. Su costui, o su costei, nessuno può avere ad obiettare. Ciò non

significa peraltro che questa Lady Fitz-Willis sia preferibile alle altre: anzi, è

una donna di cinquantasette anni, ormai sfiorita, e non è bella, né ricca, né

spiritosa; ma l'opinione generale la designa come appartenente al «meglio», e

le persone che riceve in casa sua appartengono parimenti al «meglio». Orbene,

se questa celebrata regina del gran mondo decise di aprire la sua casa a Mrs.

Rawdon Crawley, è probabile che lo facesse per ripicca nei confronti di Lady

Steyne, ai cui blasone l'allora giovanissima Georgina Frederica, figlia del conte

di Portansherry, favorito del principe di Galles, aveva un tempo aspirato. Le

riservò speciali attenzioni accogliendola nell'alveo della ristretta e sceltissima

accolita cui sovrintendeva; e non solo esortò il figlio, Sir Pitts (Sua Grazia

doveva la propria posizione all'interessamento di Lord Steyne) a frequentare la

casa di Mrs. Crawley, ma la invitò a casa sua e durante la cena le rivolse per

ben due volte la parola con la più cortese e ostentata attenzione. Quella sera

stessa tutta Londra fu informata di siffatto, clamoroso avvenimento. Gente che

aveva detto peste e corna di Mrs. Crawley ammutolì riverente. Wenham,

l'arguto avvocato, braccio destro di Lord Steyne, ne tesseva le lodi a destra e

manca. Chi sino a quel momento aveva tentennato, indeciso se invitarla o no,

fece subito a gara per assicurarsi l'onore di averla a casa propria. Il piccolo

Tom Toady, che aveva esortato Lord Steyne a guardarsi dal frequentare quella

donna di dubbia estrazione, ora cercava ad ogni costo di esserle presentato. In

una parola, si dava ormai per scontato che ella appartenesse al «meglio».

Attenti, però, miei amatissimi lettori e fratelli: non fate della povera Becky

l'immediato oggetto della vostra invidia! È noto come le glorie di questa fatta

sono alquanto fugaci. Tutti sanno che le persone introdotte nei circoli più

esclusivi non sono più felici dei poveri derelitti costretti a starsene a guardare;

e Becky, ch'era riuscita a penetrare nei recessi più segreti del gran mondo e si

era trovata faccia a faccia con Giorgio IV, un giorno avrebbe confessato che

tutto ciò altro non era se non pura Vanità.

Ma ci vediamo costretti a non dilungarci oltre su questo particolare

risvolto della sua carriera. Allo stesso modo ch'io non sono in grado di

addentrarmi nei meandri della massoneria, ancorché personalmente sia

convinto che si tratta solo di corbellerie, così non essendo iniziato ai misteri

dell'alta società, non posso arrischiarmi a descriverla in ogni sua piega. Meglio

dunque ch'io tenga per me le mie. opinioni in proposito, quali ch'esse siano.

Negli anni che seguirono Becky avrebbe indugiato spesso a parlare del

periodo in cui ella splendeva nelle sfere superne del gran mondo londinese. Il

successo la elettrizzò e la portò al settimo cielo, poi le venne a noia. In un

primo tempo nulla era stato più divertente che inventare e procurarsi abiti e

ornamenti nuovi: un impegno che richiedeva una buona dose di fatica e di

fantasia, per una persona di scarsissime risorse finanziarie come Mrs. Crawley.

E parimenti se l'era spassata un mondo alle cene e ai ricevimenti ove veniva

benignamente accolta dal miglior patriziato d'Inghilterra: lo stesso col quale

s'intratteneva dopo i banchetti in amabili conversari, lo stesso con cui si era

trovata la sera prima e che sicuramente avrebbe visto là sera dopo: giovanotti

rileccati e vestiti all'ultima moda, in stivali lucidissimi e guanti immacolati;

arzilli ganimedi dal tratto irreprensibile, le giubbe dai bottoni d'ottone lucente,

tutti compitissimi gentiluomini quanto incalliti bevitori; bionde e timide

fanciulle tutte vestite di rosa; madri imponenti, avvenenti, ruscellanti di

gemme. E parlavano tutti in inglese, non in pessimo francese come accade nei

romanzi. Parlavano delle loro famiglie, dei loro blasoni, delle loro comuni

conoscenze: né più né meno come i Jones parlano degli Smith. I vecchi amici

di Becky la odiavano e invidiavano a un tempo, ma la povera donna si sentiva

soffocare, sopraffatta dall'inerzia dello spirito. «Ah, se potessi esser fuori da

questa mischia!» diceva tra sé. «Preferirei essere la moglie di un parroco e la

domenica insegnare il catechismo, piuttosto che fare una vita del genere.

Oppure esser la moglie di un sergente e viaggiare su una carretta militare. O

magari.., ah, come sarebbe divertente mettermi addosso brache e lustrini e

esibirmi in un baraccone da fiera!

«E sareste bravissima!» osservò Lord Steyne, ridendo. La naturale

disinvoltura con la quale ella gli raccontava i suoi ennuis e le sue perplessità

divertiva oltremodo l'illustre personaggio.

«Rawdon sarebbe un perfetto Ecuyer... o maestro delle cerimonie...

come lo chiamate quell'uomo in stivaloni alti e uniforme che fa il giro della

pista facendo schioccare la frusta? È alto, tarchiato, dal piglio militaresco.

Ricordo,» continuò Becky, pensierosa, «che una volta mio padre, quando ero

bambina, mi portò alla fiera di Brookgreen, e che una volta tornata mi rimediai

un paio di brache e presi a ballare nello studio, davanti agli occhi stupefatti

degli allievi di mio padre.»

«Mi sarebbe piaciuto vedervi,» disse Lord Steyne.

«Mi piacerebbe farlo adesso,» rispose Becky.

«Ve le immaginate Lady Blinkey e Lady Grizzel Macbeth? Vi

guarderebbero con tanto d'occhi! Sss... silenzio! Ecco che la Pasta comincia a

cantare!» Becky si sforzava sempre di essere estremamente obbligante nei

confronti degli artisti, uomini o donne che fossero, che presenziavano a quegli

aristocratici convegni. Andava a stanarli negli angolini ove solitamente si

ritiravano silenziosi durante gli intervalli, stringeva loro la mano e sorrideva

loro davanti a tutti. Dopo tutto anche lei era un'artista, diceva in tutta

sincerità; e nella schietta umiltà con la quale ella non misconosceva la sua

modesta origine c'era alcunché di disarmante o di irritante, a seconda delle

circostanze. «Che sfacciata!» sussurrava uno. «Invece di darsi tutte quelle arie

dovrebbe starsene zitta e buona, ed esser grata a chi per caso si degnasse di

rivolgerle la parola,» diceva un altro. «Che brava persona! E com'è buona!»

diceva un terzo. «Che furbacchiona!» era il commento di un quarto. Ed è molto

probabile che avessero tutti ragione. Ma Becky non se ne dava per intesa, e

affascinava quei professionisti dell'arte in modo siffatto che costoro, incuranti

dei loro mal di gola, accettavano di cantare ai suoi ricevimenti e le davano

lezione gratis.

Sì, nella sua piccola casa di Curzon Street non disdegnava di dare

ricevimenti. Innumerevoli carrozze coi fanali accesi affollavano la strada, con

gran fastidio del n. 100 che non riusciva a prender sonno a causa del picchiotto

ripetutamente percosso sui battenti, e del n. 102, che parimenti non riusciva a

dormire, ma nel suo caso per l'invidia. I giganteschi palafrenieri che scortavano

i veicoli erano troppo ingombranti per starsene nel piccolo atrio della casa di

Becky, cosicché si rifugiavano nelle vicine taverne, dove a tempo debito i

lacchè andavano a prelevarli, strappandoli alle loro birre. Frotte di bellimbusti

londinesi s 'incrociavano e si urtavano sulle anguste rampe di scale, divertiti di

trovarsi in quella casa. Austere e distintissime dame sedevano in salotto,

porgendo l'orecchio alle esibizioni canore degli artisti, che facevano appello a

tutte le risorse della loro ugola come se avessero voluto mandare i vetri in

frantumi. E il giorno dopo, nella colonna del «Morning Post» dedicata alle

réunions mondane, si leggeva un paragrafo del seguente tenore:

«Ieri il colonnello Crawley e Mrs. Crawley hanno intrattenuto a cena un

ristretto gruppo di amici nella loro casa di Mayfair. Tra i presenti figuravano le

Loro Eccellenze il principe e la principessa di Peterwaradin, Sua Eccellenza

Papush Pascià, ambasciatore di Turchia, accompagnato dal dragomanno

dell'ambasciata kibob Bey, il marchese di Steyne, il conte di Southdown, Sir

Pitt e Lady Jane Crawley, Mr. Wagg, eccetera. Dopo la cena Mrs. Crawley ha

dato un trattenimento al quale hanno preso parte la duchessa madre di Stilton,

il duca de la Gruyére, la marchesa di Cheshire, il marchese Alessandro

Stracchino, il conte di Brie, il barone Schapzuger, il cavalier Tosti, la duchessa

di Slingstone, Lady F. Macadam, il maggior generale e Lady G. Macbeth con le

loro due figliole, il visconte di Paddington, Sir Horace Fogey, il N.H. Sans

Bedwin, Bobbachy Bahawder», e un eccetera che il lettore può a sua

discrezione colmare con una dozzina di righe fitte fitte in corpo minore.

Nei suoi rapporti coi potenti della terra la nostra amica si comportava con

la stessa semplice franchezza che caratterizzava il suo contegno con la gente

di ceto modesto. Una volta, in una casa altolocata, Rebecca era impegnata

(forse non senza una punta di ostentazione) nella conversazione con un

celebrato tenore francese, e in quella lingua rivolgeva la parola al suo

interlocutore; quand'ecco sopraggiungere Lady Grizzel Macbeth e lanciare

un'occhiata di traverso alla coppia impegnata in quel colloquio. «Come parlate

bene in francese!» osservò la nobildonna, che per parte sua parlava in francese

con un marcatissimo accento di Edimburgo.

«Come farei a non sapere il francese?» rispose Becky in tono modesto,

abbassando gli occhi. «L'ho insegnato a scuola, e poi mia madre era francese.»

Col risultato che Lady Grizzel si sentì conquistata da tanta umiltà e provò

un sentimento di tenerezza per quella piccola donna tanto fragile. Sebbene

deplorasse la fatale tendenza livellatrice del suo tempo, che permetteva a

persone appartenenti ad ogni ceto sociale di essere accolte nell'alveo di una

classe socialmente più elevata, nondimeno era costretta a riconoscere che

costei sapeva comportarsi a dovere, senza peraltro dimenticare quale fosse il

suo posto nella vita. Era una donna di buoni sentimenti, ben disposta verso i

poveri, stupida, senza difetti e senza malizia alcuna. Non era colpa di Sua

Signoria se si reputava superiore a voi e a me. Per secoli la gente aveva

baciato l'orlo della veste dei suoi antenati; mille anni sono trascorsi - così

almeno si dice - da quando Lord e consiglieri del defunto Duncan baciarono il

tartan del capostipite della famiglia, proclamato re di Scozia!

Quanto a Lady Steyne, dopo l'episodio del pianoforte si era arresa a

Becky, né si può escludere che provasse per lei un'oncia di simpatia. Per parte

loro, le signore più giovani di casa Gaunt si videro costrette a fare atto di

sottomissione. Due o tre volte tentarono di aizzarle contro qualcuno, ma senza

risultato. La brillante Lady Stunnington tentò di impegnare un duello con lei,

ma l'intrepida piccola Becky la sconfisse, non senza spargimento di sangue. A

volte, se veniva attaccata, Becky aveva l'arte sopraffina di assumere un'aria da

vulnerabile ingénue, dietro la quale, in realtà, era oltremodo pericolosa.

Quand'era di umore congeniale diceva le cose più brucianti nel tono più

semplice e naturale di questo mondo, dopo di che si affrettava a scusarsi di

quelle sue sortite, sempre in tono di disarmante candore, onde tutti lo

venivano a risapere.

Mr. Wagg, un tirapiedi di Lord Steyne che andava famoso per il suo

spirito, fu indotto dalle signore ad abbordarla. Il degno personaggio, strizzando

l'occhio alle sue istigatrici e lanciando occhiate fuggevoli con l'aria di chi dica

«Ora ve ne farò vedere delle belle», una sera decise di dar l'assalto a Becky,

che stava cenando aliena da qualsiasi sospetto. La piccola signora, attaccata

con proditoria sorpresa ma non per questo sprovvista di armi, reagì

prontamente parando il colpo con una risposta che fece avvampare Mr. Wagg,

poi riprese a sorbire la minestra con tutta tranquillità e col sorriso più serafico

di questo mondo. Lord Steyne, il protettore di Wagg, che lo invitava a cena, gli

prestava di tanto in tanto qualche soldo e si serviva di lui per i problemi

attinenti alle elezioni e addirittura per gli articoli sui giornali e per tante minute

faccenduole del genere, lanciò allo sventurato un'occhiata così collerica che

quello per poco non andò a cacciarsi sotto la tavola scoppiando in lacrime. Ma

si limitò a rivolgere uno sguardo sconsolato a Sua Signoria, che per tutta la

serata non gli rivolse più la parola, e alle signore dalle quali fu parimenti

snobbato. Alla fine fu proprio lei, Becky, ad avere compassione di Wagg, tanto

da avviare un minimo di conversazione con lui. Per due mesi tutti si rifiutarono

di invitarlo a cena. Non solo: Fiche, l'uomo di fiducia di Sua Signoria, col quale

naturalmente Wagg si mostrava oltremodo ossequioso, ebbe l'incarico di dirgli

che se si fosse riprovato a usare espressioni irriguardose nei confronti di Mrs.

Crawley, oppure l'avesse fatta oggetto dei suoi scherzi idioti, Sua Signoria

avrebbe messo nelle mani di un avvocato tutte le sue cambiali, autorizzandolo

a procedere senza misericordia. Wagg si mise a piagnucolare davanti a Fiche e

implorò il «caro amico» di intercedere a suo favore. Scrisse una poesia in

elogio di Mrs. Rawdon Crawley e la fece pubblicare sul nuovo numero

dell'«Harumscarum Magazine» una rivista che dirigeva di persona. Implorò la

di lei benevolenza a tutti i ricevimenti in cui gli accadde d'incontrarla, e al

circolo cercò di stabilire rapporti cordiali con Rawdon. Trascorso un certo lasso

di tempo, ebbe l'autorizzazione a farsi rivedere a Gaunt House; e nel frattempo

Becky era sempre stata estremamente cortese verso di lui: forse un tantino

ironica, ma risentita, no.

Al contrario, il gran visir di Sua Signoria, il primo in ordine gerarchico tra

i giannizzeri suoi confidenti, ossia Mr. Wenham, dava prova di ben altra

prudenza vuoi nella parola, vuoi nel contegno. Sebbene personalmente

provasse una sorda avversione per tutti i parvenus (Mr. Wenham era un

vecchio, pertinace e fedelissimo tory, figlio di un piccolo commerciante di

carbone del North of England) questo ex aide de camp del marchese si guardò

bene dall'esternare qualsivoglia sentimento ostile nei confronti della nuova

favorita. Ma ciò non gl'impediva di incalzarla con la sua gentilezza schiva e con

una sorta di deferenza filistea che in certo modo infastidiva Becky più

dell'aperta ostilità altrui.

Come facessero, i Crawley, a rimediare il denaro necessario per dare i

loro ricevimenti, e in tal modo accogliere in casa loro la miglior società, era un

mistero che a quel tempo alimentava i pettegolezzi, e forse rendeva più pepati

quei piccoli trattenimenti. Qualcuno asseriva che Sir Pitt Crawley passasse al

fratello una cospicua rendita; e se questa voce rispondeva a verità, bisognava

concludere che il fascino esercitato da Becky sul baronetto doveva essere

veramente straordinario, e che il carattere di costui aveva subìto nel corso

degli anni una calorosa trasformazione. Altri sostenevano che Becky ottenesse

pingui introiti dai vari amici del marito: si presentava in lacrime a Tizio dicendo

che la casa era stata messa sotto sequestro; si buttava ai piedi di Caio e gli

dava ad intendere che, se non avesse potuto pagare la tale o la talaltra

cambiale, sarebbero finiti tutti quanti in galera o avrebbero finito per uccidersi.

Si diceva che queste scene strazianti avessero indotto Lord Southdown a

sborsare parecchie centinaia di sterline. Il giovane Feltham del ...° Reggimento

dei Dragoni, erede della Tiler & Feltham, cappelli e forniture militari, che

doveva ai Crawley la propria immissione nell'alta società, veniva del pari citato

come una delle vittime pecuniarie di Becky. Né mancava chi fosse pronto a

giurare che riusciva a spremer quattrini da varie persone ingenuamente

disponibili, lusingandole con la promessa di incarichi governativi di fiducia. Ma

chi potrebbe affermare di conoscere tutto ciò che si andava vociferando sul

conto della nostra cara, innocente amica? Un fatto, peraltro, è certo: se Becky

avesse posseduto tutto il denaro che si diceva avesse mendicato, estorto o

chiesto in prestito, si sarebbe trovata in possesso di un capitale che,

opportunamente investito, le avrebbe consentito di campare tranquillamente

tutta la vita. E invece.., ma non anticipiamo gli eventi.

La verità è tutt'altra. Sta di fatto che, in virtù di continue economie e di

un'oculatissima amministrazione - ricorrendo il meno possibile al denaro

contante ed evitando il più possibile di pagare - c'è gente in grado (quanto

meno per un po' di tempo) di far bella figura pur disponendo di mezzi molto

esigui. Pertanto sono convinto che i ricevimenti di Becky, oggetto di tante

critiche ma in conclusione non molto numerosi, costavano alla padrona di casa

poco più delle candele che illuminavano le stanze. Stillbroke e Queen's Crawley

la foraggiavano di selvaggina e frutta, la cantina di Lord Steyne era a sua

disposizione e i cuochi ben noti di quell'illustre gentiluomo sovrintendevano alla

sua piccola cucina, oppure mandavano sceltissime leccornie preparate con le

loro mani per ordine di Sua Signoria. Io trovo che sia né più né meno

deplorevole biasimare una semplice creatura, così come la società del tempo

criticava Becky, ed esorto il pubblico a non credere nemmeno un decimo di

tutte le fandonie che si raccontavano sul suo conto. Se si dovessero

estromettere dalla società tutti coloro che fanno debiti e non pagano i conti, se

dovessimo intrometterci nella loro vita privata, fare un rapido computo del loro

reddito e rompere i ponti con tutti coloro di cui non approviamo il modo di

spendere il denaro, la nostra Fiera della Vanità sarebbe davvero una mischia

intollerabile! In questo caso, caro signore, ciascuno sarebbe pronto ad alzar la

mano contro il prossimo, e i vantaggi della civiltà andrebbero a farsi benedire.

Non si farebbe che insultarci, che contestare, che scansarsi a vicenda. Le

nostre case si tramuterebbero in caverne, e andremmo in giro vestiti di stracci

perché non c'importerebbe niente di nessuno. Gli affitti diminuirebbero a

precipizio, i ricevimenti cesserebbero di esistere e tutti i commercianti della

città farebbero bancarotta. Vini, candele, alimentari, cosmetici, sottovesti,

crinoline, diamanti, parrucche, gingilli Louis XIV, porcellane antiche, carrozze,

splendidi cavalli da traino, tutte le masserizie insomma nelle quali si

identificano le gioie della vita cesserebbero automaticamente di sussistere, se

la gente si mantenesse ciecamente ligia ai suoi stolidi principi e scansasse qual

morbo crudele tutte le persone che aborre odi cui sparla. Bastano invece un

poco di spirito di carità e di umana tolleranza per rendere ogni cosa più

sopportabile. In effetti, quand'anche noi si dica ogni sorta di male di un

individuo e lo si definisca il peggior soggetto che sia mai scampato alla forca,

non per questo saremmo lieti di vederlo appeso a un cappio. Al contrario,

quando ci avvenga di incontrarlo siamo lesti a stringergli la mano, e se per

caso ha un buon cuoco non esitiamo ad andare a cena da lui, né disdegnamo

ch'egli faccia altrettanto con noi. Ecco su quali basi poggiano l'incremento del

commercio e lo sviluppo della civiltà. La pace è salvaguardata, ogni settimana

occorre procurarsi qualche vestito nuovo per accedere a nuovi ricevimenti e la

vendemmia

di

Laffitte

dell'anno

precedente

elargirà

un'adeguata

remunerazione al bravo proprietario di quei vigneti.

All'epoca di cui stiamo scrivendo, sebbene il Grande Giorgio fosse sul

trono e le signore portassero i gigots e nei capelli dei pettini che sembravano

zampe di tartaruga, invece delle maniche di semplicissima foggia e delle

eleganti coroncine che sono di moda oggigiorno, mi risulta che le maniere

invalse nel mondo dell'aristocrazia non differissero gran che da quelle attuali, e

che i divertimenti fossero suppergiù della stessa natura. A noi che stiamo a

spiare dall'esterno, spingendo lo sguardo sopra le spalle del poliziotto di

guardia, quelle meravigliose bellezze che passano, dirette a Corte o a un ballo,

sembrano creature circonfuse da uno splendore ultraterreno, esseri che

fruiscono di una gioia ineffabile, preclusa al comune mortale. Orbene, è per

consolare quanti non si sentono paghi del proprio stato che indugiamo a

narrare le lotte, i trionfi e la delusione della nostra cara Becky: tutte cose delle

quali ella ebbe la propria parte nella vita, come d'altronde spetta a qualsiasi

persona dabbene.

A quell'epoca risale l'importazione dalla Francia di un nuovo tipo di

divertimento, ossia la piacevole raffigurazione visiva di sciarade. Questo

passatempo non aveva tardato ad attecchire, in Inghilterra, giacché offriva il

destro 'alle innumerevoli avvenenti signore di mettere in mostra la loro

venustà, e alle persone (queste assai meno numerose) dotate di cervello di far

sfoggio della propria intelligenza. Becky, che si riteneva provvista dell'una

come dell'altra dote, riuscì a convincere Lord Steyne a organizzare una serata

a Gaunt House che prevedesse anche alcuni piccoli spettacoli del genere. E ora

ci sia concesso introdurre il lettore a questa allegra réunion, trattandosi

purtroppo di una sorta di melanconico saluto, giacché si tratterà di uno degli

ultimi trattenimenti mondani ai quali avremo il fortunato privilegio di

accompagnarlo.

Una parte della splendida galleria dei quadri di Gaunt House venne

allestita a mo' di teatro per rappresentarvi le sciarade. Era già stata adibita ad

un uso siffatto durante il regno di Giorgio in, ed esiste ancor oggi il ritratto di

non so quale marchese di Gaunt con le chiome incipriate e un nastro rosa,

avvolto in una toga da romano antico: effigiato, cioè, nell'abbigliamento col

quale aveva impersonato il ruolo di Catone nella tragedia di Addison, che era

stata rappresentata al cospetto delle loro Altezze Reali il principe di Galles, il

vescovo di Osnasburg, e il principe Guglielmo Enrico, allora bambini come il

piccolo attore. Vecchi addobbi usati in quell'occasione, che da allora in poi

erano rimasti a languire in soffitta, vennero riesumati e rimessi a nuovo per

l'occasione.

A dirigere l'azione scenica era stato chiamato Bedwin Sands, un elegante

giovinotto alla moda, noto per i suoi favolosi viaggi in Oriente. A quel tempo

chi viaggiasse in Oriente era considerato un individuo fuori dell'ordinario , e

l'ardimentoso Bedwin, che aveva pubblicato tanto di in quarto e aveva vissuto

per mesi e mesi sotto le tende nel cuore del deserto, veniva reputato un

personaggio di spiccato rilievo. Il suo libro si sfregiava di numerosi ritratti

dell'autore in svariati costumi orientali. Inoltre viaggiava scortato da un

servitore negro dall'aspetto a dir poco terrificante, quasi fosse stato un nuovo

Brian de Bois Guilbert. Bedwin, i suoi costumi e il suo negro vennero salutati a

Gaunt House come altrettante acquisizioni di raro pregio.

Spettò a lui pertanto dirigere la prima sciarada. Un dignitario ottomano, il

capo coronato da un mastodontico trofeo di piume (si dava per accettato che i

giannizzeri esistessero ancora, e che il tarbush non avesse ancora detronizzato

l'antico e solenne copricapo dei veri credenti) si mostrava mollemente seduto

su un divario e fingeva di fumare il narghilè, nel quale peraltro veniva bruciata

soltanto una compressa profumata, onde far cosa gradita alle signore. Il

dignitario turco sbadigliava e dava segni di noia e di insofferenza. Poi batteva

le mani e faceva la sua comparsa Mesrur il nubiano, a braccia nude, onusto di

anelli, di jatagan e di ogni sorta di orpelli orientali. Alto, ossuto, di orrido

aspetto, il moro si profondeva in salamelecchi davanti all'Aga.

Un brivido di allegro spavento percorse il pubblico. Le dame si

scambiarono parole sussurrate. Lo schiavo negro è un regalo del Pascià

d'Egitto a Bedwin Sands in cambio di tre dozzine di bottiglie di maraschino. E

sembra proprio che abbia l'abitudine di cucire le odalische in un sacco e

annegarle nel Nilo.

«Fa' entrare il mercante di schiavi,» disse a questo punto il voluttuoso

turco con un gesto indolente della mano. Al che Mesrur ammise alla presenza

del suo padrone il mercante, il quale si trascinava appresso una donna velata.

Poi le tolse il velo. Brividi e applausi nella sala. Costei era Mrs. Winkworth

(nata Absolom), dotata di occhi e capelli incomparabili. Indossava uno

stupendo, sfarzoso costume orientale; i riccioli neri erano sparsi di gemme;

l'abito appariva rivestito di lamine d'oro. L'odioso maomettano si dichiarò

conquistato da tanta venustà; poi ella si prostrò ai suoi piedi, scongiurandolo di

ridarle la libertà onde potesse far ritorno ai suoi monti natii, là dove il suo

amato circasso invocava la sua Zuleika. Ma le suppliche non valsero a

intenerire lo spietato Hassan; anzi, l'idea che la fanciulla fosse amata da un

giovane circasso lo fece prorompere in sonore risate, mentre Zuleika crollava al

suolo, in un atteggiamento disperato che riuscì oltremodo convincente. Si

sarebbe detto che per lei, non v'era più scampo quand'ecco apparire l'Aga

Kislar.

Costui era latore di una lettera da parte del sultano. Hassan l'afferrò e si

pose sul capo quel terribile firman. Un terrore agghiacciante s'impossessò di

lui, mentre sul volto del negro (si trattava sempre di Mesrur in altro

abbigliamento) si dipingeva una gioia altrettanto agghiacciante. «Pietà! Pietà!»

urlava il sultano, mentre l'Aga Kislar con un ghigno orrendo dava di piglio a un

laccio e si apprestava a strangolarlo.

Poi, mentre costui si accingeva a far uso di quell'arma micidiale, ecco

calare il sipario. «Prime due sillabe!» sbraitava Hassan dall'interno. Frattanto

Mrs. Rawdon Crawley, che a tempo debito avrà anch'essa una parte nella

sciarada, si faceva avanti e si complimentava con Mrs. Winkworfh per la

bellezza e il gusto squisito del suo abito.

Dopo di che aveva inizio la seconda parte della sciarada. Lo scenario era

sempre orientale. Hassan, che nel frattempo aveva mutato costume, se ne

stava chino su Zuleika che appariva pienamente riconciliata con lui. A sua volta

l'Aga Kislar si era tramutato in un mansueto schiavo negro. Nel deserto

albeggiava, e i turchi, prostrati nella sabbia, volgevano il capo verso oriente. E

dal momento che non c'erano dromedari a portata di mano, l'orchestra

scherzosamente prese a suonare Arrivano i cammelli. Poi faceva la sua

comparsa sulla scena anche una macroscopica testa egizia che, tra lo stupore

di quei viaggiatori orientali, intonava una canzone grottesca composta da Mr.

Wagg. I viaggiatori uscivano di scena intrecciando una danza come Papageno e

il Re Moro nel Flauto magico. «Ultime due sillabe!» ruggiva la testa egiziana.

Ed ora aveva inizio l'ultimo atto. La scena questa volta rappresentava

una tenda greca, dentro la quale, adagiato su un molle giaciglio, c'era un uomo

alto e corpulento. Sopra di lui pendevano un elmo e uno scudo. Ma ormai

quelle armi non avevano scopo alcuno: Ilio era caduta. Ifigenia era stata

immolata. Cassandra era tenuta prigioniera negli ambulacri del palazzo. Il

supremo monarca - ossia il colonnello Crawley, il quale peraltro non aveva la

minima idea di che cosa fossero Ilio, Cassandra e la sua prigionia - l'anax

andrén, dorme nella sua stanza in Argo. Una lampada rifletteva sulla parete la

grande ombra del re dormiente. La spada e lo scudo di Troia balenano in quella

luce. L'orchestra suonava la musica terrificante di Don Giovanni, quella che

accompagna l'ingresso in scena del Commendatore.

Egisto s'avanzò furtivo, in punta di piedi. Di chi era mai quel volto

terreno che ne seguiva attentamente le mosse, celato dietro una tenda? Egisto

levò alta la daga per colpire l'uomo addormentato, che si volse supino nel

letto, scoprendo l'ampio torace, quasi volesse farsi colpire da quell'arma. Ma

Egisto non osò trafiggere il suo sovrano dormiente. Fu a questo punto che

Clitennestra scivolò rapida nella stanza, simile a un'apparizione: aveva le

braccia ignude, i capelli color del rame che le fluttuavano sciolti sulle spalle, il

volto di un pallore cadaverico e la bocca piegata in un sorriso spettrale che

fece correre un brivido nella schiena di tutti gli astanti.

E invero la sala è come percorsa da un fremito. «Buon Dio,» esclama

qualcuno, «è Mrs. Crawley.»

Al colmo dell'indignazione, ella strappò la daga dalle mani di Egisto e si

accostò al giaciglio. La daga balenò sul suo capo, colpita dal riflesso della

lampada; poi... poi la lampada si spense. Si udì un gemito e la scena precipitò

nel buio più completo.

Quella visione, seguita alla repentina oscurità, seminò il terrore tra il

pubblico. Rebecca aveva recitato la sua parte con un realismo così intenso e

terrificante, che gli spettatori ammutolirono fino a quando le luci tornarono a

brillare tutte insieme nel salone e il pubblico, prorompendo in battimani

fragorosi, «Brava! Brava!» urlava la voce stridula di Lord Steyne, imponendosi

al di sopra delle altre grida di encomio. «Per..., sarebbe capacissima di farlo

davvero,» borbottava fra sé e sé. Gli attori vennero invocati alla ribalta

dall'uditorio al completo. Echeggiavano grida di «Fuori il regista! Vogliamo

Clitennestra!» AGAMENNONE rifiutò di mostrarsi con indosso la tunica succinta

del suo abbigliamento classico, ma preferì restarsene in fondo alla scena

assieme a Egisto e agli altri interpreti della sciarada. Mr. Bedwin Sands

presentò Zuleika e Clitennestra. Un personaggio oltremodo altolocato chiese di

essere presentato alla deliziosa Clitennestra. «Bene, bene. Dunque lo avete

passato da parte a parte. E adesso sposerete qualcun altro, eh?» fu

l'osservazione altamente opportuna di Sua Altezza Reale.

«Mrs. Rawdon Crawley è stata davvero insuperabile nella sua parte,»

osservò Lord Steyne. Becky rise in un impeto di garrula felicità e si piegò in

una impertinente, graziosa riverenza.

I camerieri recarono dei vassoi carichi di rinfreschi di vario genere, poi gli

attori si ritirarono per prepararsi a interpretare la seconda sciarada. Una

pantomima avrebbe consentito di leggerne figurativamente le tre sillabe. Ed

ecco come si svolse la rappresentazione.

Prima sillaba. Il colonnello Crawley, C.B., entrò in scena e l'attraversò

vociando come ad annunciar l'ora agli abitanti. Indossava un pastrano e un

cappello sulle ventitré, e in mano reggeva una lanterna da scuderia. Più in

basso, a una finestra, si vedevano due commessi viaggiatori impegnati in un

gioco che aveva tutta l'aria di essere una partita a cribbage, e interrompendosi

di tanto in tanto per sganasciarsi in sbadigli. Poi, nella stanza in cui si

trovavano, entrò un facchino d'albergo (ruolo interpretato con magistrale

bravura dall'onorevole G. Ringwood) e sfilò a entrambi gli stivali. Sopravvenne

poi una cameriera (i cui panni erano vestiti da Lord Southdown) recando due

candelieri e uno scaldaletto. Costei salì al piano di sopra a scaldare il letto. Ma

a questo punto si vide costretta a brandire lo scaldaletto e a servirsene come

di un'arma per difendersi dalle insidie dei due commessi viaggiatori. Uscita che

fu la donna, i due individui indossarono i berretti da notte e tirarono le tende.

Poi entrò in scena un servitore e chiuse le imposte della finestra nella stanza a

pianterreno. Lo si udì tirare il catenaccio all'uscio, e per finire tutte le luci si

spensero. La musica suonava Dormez, dormez, chers amours. Una voce da

dietro il sipario annunciava: «Prima sillaba».

Seconda sillaba. Le lampade si accesero di colpo. La musica suonava Ah,

quel plaisir d'être en voyage, la vecchia aria di Jean de Paris. La scena era la

stessa. Tra il primo e il secondo piano c'era una targa che recava dipinto lo

stemma degli Steyne. In tutta la casa risuonava uno squillo di campanelli.

Nella stanza al pianterreno si vedeva un uomo che reggeva una lunga striscia

di carta e la mostrava a un tale che stringeva il pugno, sbraitava minaccioso e

diceva ch'era una cosa ignobile. «Locandiere, la mia carrozza!» gridava un

altro, e intanto afferrava la cameriera per il mento (lui, l'onorevole Lord

Southdown). A quanto era dato di capire, lei si doleva della sua partenza, così

come Calipso lamentava la partenza di Ulisse. Il facchino (ossia l'onorevole

Ringwood) transitava reggendo una cassetta di legno colma d'anfore d'argento.

«Ecco i vasi!» gridava con assoluta naturalezza e squisito umorismo, tanto da

strappare gli applausi scroscianti del pubblico. Anzi, ci fu qualcuno che gli gettò

un mazzolino di fiori. Ciac, ciac, ciac! Si udì schioccare una frusta. Il facchino,

la cameriera e il locandiere accorsero verso la porta, ma proprio mentre stava

per arrivare un distinto e sconosciuto avventore, il sipario calò e la voce

dell'invisibile regista gridò: «Seconda sillaba!»

«Secondo me è "Hotel",» disse il capitano Grigg delle Guardie. L'acume

dell'ufficiale, che d'altronde non era andato troppo lontano dal vero, suscitò la

generale ilarità.

Mentre ci si apprestava alla raffigurazione della terza sillaba, la musica

prese a suonare delle canzoni marinare: All in the Downs, Cease, Rude Boreas,

Rule Britannia, in the Bay of Biscay, O! e così via. Si trattava, evidentemente,

di qualche avvenimento connesso al mare. Si alzò il sipario e

contemporaneamente echeggiò lo squillo di una campanella. «A terra, signori!»

gridò una voce. La gente si scambiò saluti di commiato, poi tutti presero a

guardare preoccupati certi nembi cupi (rappresentati da una tenda nera) e a

dare segni di paura. Lady Squeams (impersonata da Lord Southdown) sedeva

afferrandosi a delle funi, circondata dal marito, dal cagnolino, dalla borsetta,

dai bagagli. Eravamo, a quel che pareva, su una nave.

Il capitano (il colonnello Crawley, C.B.) entrava in scena. Con una mano

impediva che il cappello a tricorno gli volasse via, e con l'altra impugnava un

binocolo spingendo lo sguardo verso distanze remote. Le code dell'abito

apparivano scosse da un vento impetuoso. Poi, per servirsi del binocolo,

abbandonò al suo destino il cappello, che tosto volò lontano fra uno scroscio di

battimani. La musica si fa sempre più stentorea. I marinai attraversarono la

scena a passo barcollante, come se la nave fosse in balia di violenti marosi.

Ecco passare di fretta il cameriere di bordo (ossia l'onorevole Ringwood) e

distribuire delle bacinelle. Ne posò una accanto a Lord Squeams. Quanto a

Lady Squeams, diede un pizzicotto al cane che prese a profondersi in lamentosi

guaiti, poi, premendosi un fazzoletto contro la bocca, si mise a correre, diretta

verosimilmente verso la sua cabina. La musica si fece letteralmente

assordante, sino a raggiungere il fragore che può produrre un mare in

tempesta, e con ciò la terza sillaba poté considerarsi conclusa.

A quel tempo era in gran voga un balletto intitolato Le rossignol, nel

quale brillavano la Montessu e la Noblet. Mr. Wagg l'aveva importato sulle

scene inglesi trasformandolo in un'opera lirica, adattando ai motivi musicali

certi versi di suo conio. In quest'occasione l'opera venne rappresentata in

antichi costumi francesi, e il piccolo Lord Southdown vi appariva, in singolare

abbigliamento, nei panni di una vecchietta claudicante che arrancava

appoggiandosi a un bastone ricurvo. Dietro le quinte si levarono dei trilli

melodiosi, fuoruscenti da una graziosa casetta di cartone, tutta rivestita di rose

e di rampicanti. «Filomela! Filomela!» gridò la vecchietta, e Filomela comparve.

Altri applausi. Filomela altri non era che Mrs. Crawley in nèi e parrucca

incipriata; una piccola marchesa davvero ravissante.

Entrò ridendo e cantarellando, saltellando per il palcoscenico con

innocente e aggraziato candore. Poi si piegò in un vezzoso inchino.

«Piccola mia,» disse la madre, «tu non fai che ridere e cantare. E quella

attaccò:

Sul mio balcone una rosa olezza nel mattino,

spoglia nel verno or di nuovo risplende,

e se mi chiedi perché si colorano

i suoi petali, e tosto si dischiudono,

ti rispondo che il sole or si torna a mostrare

che gli uccelli di nuovo prendono a cinguettare.

Nel verno tace il canto dell'usignolo

tra i rami nudi e nel gelido vento

ma ora gorgheggia tra i rami del verde bosco

e se tu, mamma, mi chiedi perché canta

ti rispondo che il sole or si torna a mostrare

e l'albero di foglie prendesi ad ammantare.

A ciascuno, mamma, spetta il suo destino,

onde la voce agli uccelli è tornata

e i bei colori allietan l'infiorata.

Nel mio cuore, mamma, si ridestano le parole

ed io m'allieto, canto e m'accendo di rossore.

Negli intervalli che intercorrevano fra una strofa e l'altra il benevolo

personaggio cui il cantante rivolgeva la parola con l'epiteto di mamma, e i cui

baffi vistosi facevano capolino di sotto al cappuccio, sembrava oltremodo

smanioso di ostentare il suo amor materno abbracciando teneramente

l'innocente creatura che impersonava la figlia. Ogni carezza veniva accolta dal

plauso e dalle risate di un pubblico caldamente partecipe. Alla fine, mentre la

musica eseguiva un brano che imitava il canto degli uccelli, il pubblico all

'unisono invocò il bis gridando a gran voce encore, mentre ovazioni e fiori

piovevano sull'e usignolo». La voce plaudente dì Lord Steyne si levava sonora

al disopra di tutte le altre. Becky, l'usignolo, raccoglieva i fiori che lui lanciava

e li stringeva al cuore, in un gesto da attrice consumata. Lord Steyne era al

colmo dell'entusiasmo, e al suo faceva eco quello degli altri spettatori. Ma

dov'era mai la bella Huri che al suo apparire nella scena che raffigurava la

prima sillaba della sciarada aveva suscitato l'ammirazione generale? Non c'è

dubbio che fosse molto più bella di Becky, ma il brio e la vivacità di

quest'ultima l'avevano eclissata. I complimenti erano rivolti esclusivamente a

lei. Veniva paragonata alla Stephens, alla Caradori, alla Ronzi de Begnis, e tutti

avevano perfettamente ragione di osservare che, se avesse fatto l'attrice di

professione, nessuna sulle scene sarebbe stata più grande di lei. Aveva

raggiunto la vetta più alta del magistero artistico. La sua voce gorgheggiava

argentina, e si levava alta e gioiosa come il suo trionfo. Allo spettacolo seguì

un ballo, e tutti fecero ressa intorno a Becky, vera regina della serata. Il Regal

personaggio affermò con un imprecazione che Mrs. Crawley era né più né

meno la perfezione, e ripetutamente indugiò a intrattenersi con lei. L'anima

della piccola Becky levitava di gioia e di orgoglio per tanto onore, e innanzi a

sé vedeva un avvenire di fortuna, di fama, di mondanità.

Lord Steyne era il suo schiavo, e si può dire che la seguisse ovunque,

senza rivolgere la parola ad alcuno e dedicandole ogni sorta di attenzioni.

Becky portava ancora il costume da marchesa, e così acconciata ballò un

minuetto con Monsieur de Truffigny, l' attaché di Monsieur le Duc de la

Jabotière. Il duca, che conosceva a fondo le tradizioni della Corte del suo

paese, non esitò a dichiarare che Madame Crawley poteva esser scambiata per

un'allieva della Vestris ed era degna di aver figurato a Versailles. Soltanto la

gotta, un certo senso di dignità, lo spirito di sacrificio e un alto concetto del

suo dovere trattennero Sua Eccellenza dal danzare a sua volta con lei; si

accontentò pertanto di affermare che una donna capace di ballare e di

conversare come Mrs. Rawdon Crawley sarebbe stata in grado di far

l'ambasciatrice in qualsiasi Corte d'Europa. Del resto si ringalluzzì tutto allorché

gli fu detto che per metà era di sangue francese. «Solo una mia compatriota,»

sentenziò, «avrebbe potuto esibirsi con tanta maestria in quella danza

solenne.»

Poi Becky ballò un valzer con Monsieur Klingenspohr, cugino del principe

di Peterwaradin, e anch'egli attaché. Il principe, al settimo cielo, ma sprovvisto

della marcata retenue del diplomatico francese suo collega, insistette per fare

un giro di ballo con quella giovane e incantevole signora; prese dunque a

roteare con lei per la sala facendo ondeggiare le gemme che adornavano le

nappe dei suoi stivali e la sua casacca da ussaro, corta e attillata, sinché alla

fine rimase senza fiato. Anche Papush pascià sarebbe stato felice di ballare con

lei, se quell'usanza fosse stata invalsa anche nel suo paese. La compagnia le si

affollò attorno, e l'applaudì con la foga entusiastica con la quale avrebbe

accolto un exploit della Noblet o della Taglioni. Tutti erano ammirati, entusiasti,

e lo era - potete immaginarvelo - anche Becky. Passò davanti a Lady

Stunnington e le scoccò un'occhiata carica di altezzosa alterigia. Al contrario

trattò Lady Gaunt e la cognata, mortificate e sgomente, con ostentata

condiscendenza. Insomma: elle écrasa tutte le sue rivali. Ma dov'era mai la

povera Mrs. Winkworth, che all'inizio della serata aveva fatto sensazione in

virtù dei suoi grandi occhi e delle sue lunghe chiome? Ormai aveva gettato la

spugna. Che piangesse fino a consumarsi gli occhi o si strappasse i capelli in

preda alla disperazione, non c'era nessuno che si occupasse di lei o la

compiangesse per la sconfitta patita.

Becky peraltro ottenne il maggior trionfo durante la cena. Le venne

assegnato un posto alla tavola d'onore, insieme con Sua Altezza Reale, l'illustre

Personaggio di cui abbiamo dinanzi parlato, e con altri eminenti invitati. Il cibo

le fu servito su piatti di vermeil. Se lo avesse desiderato, non avrebbero esitato

a scioglierle delle perle nello champagne, a guisa di novella Cleopatra, e il

principe di Peterwaradin sarebbe stato lieto di farle dono della metà dei brillanti

che fregiavano la sua casacca, pur di ottenere uno sguardo benevolo di quegli

occhi risplendenti. De La Jabotiere parlò di lei in una lettera indirizzata al suo

governo. Le signore che, sedute ad altri tavoli, si vedevano costrette a

consumare il pasto su volgarissimi piatti d'argento, convennero tra loro che si

trattava di un'infatuazione né più né meno impudente, di un atteggiamento

sguaiato e insultante nei riguardi delle dame d'alto bordo. Se il sarcasmo

avesse il potere di uccidere, non c e dubbio che Lady Stunnington l'avrebbe

fatta morir stecchita sul posto.

Quel trionfo sgomentava Rawdon Crawley. Provava l'oscura sensazione

che quel successo clamoroso non facesse che accentuare il distacco che lo

separava dalla moglie, e meditava sulla superiorità di Becky con un sentimento

di recriminazione che non si discostava di molto dal dolore.

Giunta l'ora del commiato, turbe di giovanotti la scortarono fino alla

carrozza, chiamata a gran voce da coloro che sostavano all'esterno. I servi,

muniti di torce, l'uno contro l'altro schierati fuori degli alti cancelli di Gaunt

House, si passavano il richiamo salutavano compitamente chiunque usciva di

palazzo, esprimendo altresì la speranza che quella serata così chic fosse stata

di loro pieno gradimento.

La carrozza di Mrs. Rawdon Crawley, chiamata con l'ausilio delle grida di

richiamo sopradescritte, entrò rotolando rumorosamente nel cortile illuminato e

sostò davanti alla pensilina coperta. Rawdon aiutò la moglie a salire e la

carrozza partì senza ulteriori indugi. Per parte sua Mr. Wanham aveva proposto

a Rawdon di rientrare a casa a piedi, e gli aveva offerto un sigaro.

Accesero i loro sigari alla fiamma di una delle tante lanterne che

reggevano i domestici fuori del palazzo, poi si misero in cammino. Due tizi si

staccarono dal folto del gruppo e presero a seguirli. Poi, quando Mr. Wenham e

Rawdon Crawley stavano attraversando Gaunt Square e ne avevano percorso

una ventina di metri, uno dei due batté Rawdon su una spalla e lo abbordò

dicendogli: «Vogliate scusare, signor mio, ma debbo parlarvi in privato.»

Mentre costui profferiva questa frase, il compare emetteva un fischio

sonoro. Al segnale convenuto una carrozza, fra le tante che stazionavano

davanti a Gaunt House, si staccò dal gruppo avvicinandosi con fragore.

L'«attendente» accorse verso di lui e si piantò di fronte al colonnello Crawley.

Il prode ufficiale non tardò a capire quello che stava succedendo. I due

individui erano ufficiali giudiziari, ed era in loro balia. Arretrò di un passo,

andando a urtare contro il primo che io aveva interpellato.

«Siamo in tre: non ha senso che cerchiate di tagliar la corda,» gli disse

quest'ultimo.

«Siete voi, Moss, non è vero?» chiese il colonnello, che a quanto pareva

sapeva perfettamente con chi avesse anche fare. «Quanto volete?»

«Oh, si tratta di una sciocchezzuola,» rispose Mr. Moss di Cursitor Street,

in Chancery Lane, braccio destro dello sceriffo del Middlesex.

«Centosessantasei sterline, sei scellini e otto pence, su richiesta di Mr.

Nathan.»

«Per carità, Wenham, ve ne supplico: prestatemi cento sterline,» chiese

implorante il povero Rawdon. «A casa ne ho una settantina.

«Io? Ma non ho nemmeno dieci sterline!» rispose Mr. Wenham. «Buona

notte, caro amico.»

«Buona notte,» replicò Rawdon come un automa, in preda al più

profondo sconforto. Wenham proseguì per la sua strada, e Rawdon finì di

fumarsi il sigaro mentre la carrozza si allontanava in direzione di Temple Bar.

LII • NEL QUALE LORD STEYNE SI MOSTRA IN UNA LUCE PIÙ