somma di denaro, aveva chiesto a costui quanto potesse costare una copia del
ritratto, perché intendeva farne dono a sua madre, e il pittore, lusingato,
aveva accettato di eseguirla per un compenso oltremodo ragionevole. Per parte
sua il vecchio Osborne, non appena lo seppe, proruppe in un'esclamazione
compiaciuta e donò al nipote il doppio delle sterline che aveva pagato per
quella miniatura.
Ma che cos'era la soddisfazione del nonno in confronto all'estasi di
Amelia? Quell'attestazione d'affetto del figlio la colmò di consolazione, la
convinse che nessun bimbo al mondo lo eguagliasse in bontà. Per molte
settimane quell'affetto che il figliolo nutriva per lei bastò a riempirla di felicità.
Quel ritratto sotto il guanciale le consentiva di dormire meglio, e mille volte lo
baciava e lo contemplava, recitando le sue preghiere. La più piccola cortesia
usatale dalle persone che amava colmava di gratitudine quel tenero cuore. Dal
giorno in cui le circostanze l'avevano costretta a separarsi da Georgy, non
aveva più provato una simile felicità, un sentimento così intenso d'intimo
conforto.
Nella sua nuova rasa Master Georgy comandava come un lord. A tavola
versava il vino alle signore con la più serafica disinvoltura e beveva lo
spumante da mandar suo nonno in visibilio. «Guardatelo, diceva, dando di
gomito al suo vicino, «avete mai visto un ragazzo come questo? Dio, Dio! Di
questo passo finirà con l'ordinare un servizio da toeletta e tanto di rasoio! Ci
scommetterei la testa!»
Ma non si può dire che le prodezze del giovane Osborne entusiasmassero
in pari misura gli amici del nonno. Il giudice Coffin non si divertiva affatto
quando Georgy s'inframmetteva nella conversazione e lo interrompeva mentre
raccontava le sue amene barzellette; e tanto meno il colonnello Fogey trovava
apprezzabile che il ragazzo si prendesse delle mezze sbornie; né la consorte
dell'avvocato Toffy ritenne di doversene sentir grata, quando Georgy con una
gomitata rovesciò un bicchiere di porto sul suo abito di satin giallo, per poi
ridere di quella catastrofe, né approvò che il giovanotto (ancorché il vecchio
Osborne plaudisse alla bravata) «le suonasse» al suo terzo genito: un ragazzo
di un anno maggiore di lui che, nel corso di un periodo di vacanza accordatogli
dalla scuola del dottor Tickleus di Ealing, era venuto anch'egli nella casa di
Russell Square. Per compensarlo di quell'impresa il nonno regalò a Georgy due
sterline, promettendogli nell'occasione che lo avrebbe ricompensato allo stesso
modo ogni qual volta le avesse «suonate» a un ragazzo più robusto e maggiore
d'anni di lui. Difficile è dire quali pregi vedesse il vecchio in siffatte tenzoni:
aveva una vaga idea che le risse rendessero i giovani più ardimentosi, e che un
atteggiamento bellicoso recasse un prezioso complemento alla loro formazione
educativa. Dalla notte dei tempi la gioventù inglese è stata educata sulla base
di questi principi, e i promotori di tutte le ingiustizie e di tutte le violenze
perpetrate tra i bambini si annoverano a centinaia di migliaia. Orgoglioso della
vittoria conseguita su Toffy figlio e degli elogi che ne aveva riscosso, Georgy fu
indotto a riscuotere altri successi. Fu così che un giorno, mentre passeggiava
nei pressi di St. Panoras, pavoneggiandosi in un elegantissimo vestito nuovo di
zecca, un garzone di panettiere fu indotto a fare qualche commento sarcastico
a proposito del suo abbigliamento. Al che il signorino non esitò un istante a dar
prova del suo ardimento, levandosi la giacca e affidandola all'amico che lo
accompagnava (ossia il giovane Todd, residente in Great Coram Street, nelle
immediate adiacenze di Russell Square, figlio del socio più giovane della
Osborne & Co.) e si dispose a «suonarle» anche al piccolo fornaio. Ma questa
volta la fortuna non lo assistette e il piccolo fornaio gliele diede di santa
ragione. Georgy rientrò a casa con un occhio pesto e la camicia imbrattata di
sangue colatogli dal naso. Al nonno riferì di aver affrontato un colosso, mentre
a Brompton non esitò a terrorizzare sua madre, poveretta, con un resoconto
dello scontro denso di particolari inventati di sana pianta.
Il giovane Todd di Coram Street era grande amico e ammiratore di
Georgy. Entrambi mostravano una spiccata capacità nell'interpretare
personaggi teatrali servendosi delle marionette; entrambi erano campioni nel
divorare croccante e torte ai lamponi, nell'approfittare di ogni giornata serena
per andare a pattinare o a schettinare a Regent's Park o sul Serpentine, e
nell'andare a teatro ove, per ordine di Mr. Osborne, quasi sempre venivano
accompagnati da Mr. Rowson, cameriere personale di Georgy, che .se ne stava
comodamente seduto in platea accanto a loro.
In compagnia di costui videro spettacoli nei principali teatri della capitale,
dal Drury Lane al Saldler's Wells, e al cospetto dei Todd e di vari giovani amici
invitati per l'occasione rappresentarono col loro teatrino di cartapesta molti
personaggi di West. Non di rado, poi, accadeva che Rowson, il domestico, non
esente da slanci di generosità quando le finanze glielo permettevano, la sera,
dopo lo spettacolo, invitasse il signorino a gustare qualche ostrica annaffiata da
un bicchierino di rum-shrub. Per altro verso, non è il caso di dubitare che a sua
volta Rowson approfittasse in proprio della prodigalità del suo giovane
padrone, il quale intendeva esprimergli in tal modo la propria riconoscenza per
i piaceri ai quali il domestico lo iniziava.
Per abbigliare congruamente la persona del piccolo Georgy veniva
convocato un celebre sarto del West End: infatti Mr. Osborne non reputava
all'altezza della situazione quei mestieranti della City o di Holborn, che invece
giudicava adeguati a se stesso. Pertanto Mr. Woolsey di Conduit Street poteva
dar libero sfogo al suo estro personale, e recapitare al ragazzo un numero di
calzoni, panciotti e casacche sufficiente a vestire un'intera scolaresca di giovani
bellimbusti. Georgy possedeva panciotti bianchi per i ricevimenti serali e
panciotti di velluto attillati per il pranzo, oltre a un'elegantissima vestaglia di
cashemire, non diversa da quelle che per solito indossano gli adulti. Tutte le
sere si vestiva per la cena «come se fosse un gentiluomo del West End»,
diceva suo nonno. Non solo: disponeva di un domestico addetto
esclusivamente alla sua persona, che lo aiutava a fare toiletta, correva ad ogni
squillo di campanello e gli recava la corrispondenza su un vassoio d'argento.
Dopo colazione Georgy indugiava in sala da pranzo a leggere il «Morning
Post» sprofondato in una poltrona, proprio come fosse stato un adulto, e al
pari di un adulto sapeva imprecare: anzi, «tirar moccoli», come diceva la
servitù, compiaciuta della precocità di cui dava prova il ragazzino. Chi di loro
era in grado di ricordare il capitano, dichiarava che Georgy era tale e quale il
suo papà. Il ragazzo aveva portato un'inedita animazione in quella casa, grazie
alla sua vivacità, al suo chiasso, alla sua esuberanza, al suo attivismo.
L'istruzione di Georgy era affidata a un pedagogo privato: un erudito che
abitava nel quartiere e «istruiva giovani della nobiltà e della buona società
avviandoli all'università, al Senato, alle professioni liberali, senza peraltro far
ricorso alle umilianti punizioni corporali, tuttora in uso in molte scuole ben
note; dando nel contempo agli allievi la possibilità di trovare compagni
appartenenti al ceto più raffinato ed elegante, nonché un'atmosfera calda e
affettuosa come quella che si respira in famiglia.» Era con simili
argomentazioni che il reverendo Lawrence Veal di Hart Street, a Bloomsbury,
cappellano privato del conte di Bareacres, cercava, con la collaborazione di
Mrs. Veal, di procacciarsi degli alunni.
Siffatto genere di pubblicità, sbandierato senza posa all'inedito pubblico,
aveva il pregio di elargire ai suddetti due o tre allievi che pagavano una retta
oltremodo esosa, e tale pertanto da consentire ai due coniugi (a quanto si
diceva) di condurre un'esistenza agiata. C'era un ragazzo grande e grosso,
originario delle Indie Occidentali, sempre vestito di tutto punto, con una testa
di capelli crespi e la pelle colora del mogano. C'era un altro giovanottone di
ventitré anni, che sino a quel momento non aveva fruito di un istruzione
adeguata, onde Mr. e Mrs. Veal ne avevano cura in vista del suo ingresso in
società. E c'erano due figli del colonnello Bangkes della Compagnia delle Indie
Orientali. Quando Georgy comparve per la prima volta a scuola, i quattro
personaggi in questione stavano pranzando al nobil desco di Mrs. Veal. Ma
George, al pari di un'altra dozzina di ragazzi, era un convittore esterno.
Arrivava la mattina, scortato dall'occhio attento del fido Rawson, e il
pomeriggio se ne andava, magari a cavallo del suo pony, se il tempo lo
permetteva, e vegliato in tal caso da un lacchè. A scuola correva voce che suo
nonno fosse di una ricchezza favolosa, onde il reverendo Veal non mancava
mai di sottolineare la circostanza con Georgy in termini di alto compiacimento.
Gli rammentava che lo attendeva un posto d'alto prestigio in società, e che
pertanto era doveroso da parte sua prepararsi con costanza e diligenza alle
altissime mansioni dell'età adulta. Né trascurava di fargli presente che
l'obbedienza da bambini era la più efficace preparazione a esercitare l'autorità
da grandi: di conseguenza lo esortava a non portare a scuola dolciumi, che
avrebbero potuto compromettere la salute dei ragazzi Bangles, tanto più che
costoro trovavano alla tavola di Mrs. Veal le cibarie più scelte e allettanti.
Quanto poi al programma di studio, il «curriculum», come Mr. Veal
amava definirlo, era oltremodo esteso, onde i giovani gentiluomini che
frequentavano la scuola di Hart Street avevano agio di apprendere le nozioni
essenziali di tutto lo scibile conosciuto. Il reverendo Veal possedeva un
planetario, una macchina per produrre elettricità, un tornio girevole, un
teatrino (allestito nella lavanderia), un laboratorio di chimica e quella ch'egli
non esitava a designare come una biblioteca selezionata di tutte le migliori
opere d'ogni epoca, e in ogni lingua. Portava in visita i suoi allievi al British
Museum, e disquisiva delle opere d'arte antica nonché degli esemplari di storia
naturale che vi trovavano ricetto. Quando si diffondeva sulle sue erudite
spiegazioni, un piccolo crocchio di persone si assembrava intorno a lui, e tutta
Bloomsbury lo gratificava della sua ammirazione, reputandolo una persona di
alta e raffinata cultura. Quando parlava - e faceva ampio uso del dono della
favella - sceglieva sempre le parole più lunghe e ricercate, convinto (e con
ragione) che l'uso di parole altisonanti non gli costasse più del ricorso a termini
miseri e banali. Ecco, per esempio, con quali espressioni accoglieva Georgy
quando arrivava a scuola: «Camminando alla volta di casa dopo aver indulto al
piacere di una serale disquisizione scientifica, avendo quale interlocutore il mio
pregiatissimo amico dottor Bulders (un esimio archeologo, signori miei, un
esimio archeologo), ho notato che le finestre del quasi principesco palazzo del
vostro venerato nonno in Russell Square erano illuminate, quasi che si
trattasse di una festosa circostanza. Sono forse in errore o, al contrario, la mia
congettura risponde al vero, se avanzo l'ipotesi che iersera Mr. Osborne abbia
radunato intorno alla sua tavola sontuosa un'eletta accolita di invitati?»
Georgy, che aveva un senso marcato dell'umorismo e non esitava a farsi
beffe di Mr. Veal anche sotto i suoi occhi, e dando prova di notevole prontezza
e vivacità, non esitava a replicare confermandogli che la sua «congettura» era
incontestabilmente esatta.
«In tal caso,» continuava il pedagogo, «i signori cui è spettato l'alto
onore di godere dell'ospitalità di Mr. Osborne, non avranno certo avuto motivo
mi si consenta di affermarlo di dolersi di tanto asciolvere. Io stesso più di una
volta ho goduto di un siffatto privilegio. (Tra parentesi, signor mio: stamane
eravate in ritardo, e non è la prima volta che offrite il destro di rimproverarvi di
codesta manchevolezza.) Io stesso, dicevo, nonostante sia un'umilissima
persona, sono stato ritenuto degno di accedere alla mensa ospitale di Mr.
Osborne. E sebbene io abbia avuto la ventura di sedermi alla tavola dei nobili e
dei potentati della terra, tra i quali si annovera infatti il mio illustre amico
George, conte di Bareacres, ebbene: posso darvi per certo che il desco del
commerciante britannico era copiosamente imbandito, non meno di quanto
nobile e cortese fosse l'accoglienza ch'egli e i suoi familiari avevano riservata
agli ospiti. Ed ora, Mr. Bluck, se non vi dispiace riprendiamo quel brano di
Eutropio che siamo stati costretti a interrompere a causa della tardiva
apparizione di Master Osborne.»
È questo dunque, l'autorevole personaggio cui per qualche tempo venne
affidata la formazione culturale di Georgy. Amelia era allibita, udendo
esprimersi il figlio in termini così astrusi e inconsueti, ma ciò non le impediva di
considerarlo un'arca di scienza. La povera vedova cercò di fare amicizia con
Mrs. Veal per ragioni affatto personali. Cercava di essere a scuola all'ora in cui
arrivava Georgy e gradiva di essere invitata alle conversazioni di Mrs. Veal (si
tenevano una volta al mese e se ne dava avviso per mezzo di cartoncini rosa
che recavano la dicitura AHHNH), durante le quali l'insegnante riceveva gli
allievi e i loro amici, offrendo loro un tè molto leggero e una dissertazione
d'alto livello scientifico). Amelia non perdeva mai uno solo di questi
trattenimenti, e li considerava deliziosi perché le consentivano di sedere
accanto a Georgy. Veniva a piedi da Brompton, incurante di che tempo
facesse, e dopo che tutti se n'erano andati, ivi incluso Georgy accompagnato
dal fido Rawson, prima d'indossare la mantella e lo scialle per rincasare,
parimenti a piedi, abbracciava Mrs. Veal con gli occhi pieni di lacrime
riconoscenti per la piacevolissima serata trascorsa.
Quanto all'erudizione che Georgy immagazzinava sotto le direttive di quel
poliedrico conoscitore d'ogni branca del sapere, è indubbio che il ragazzo
doveva fare progressi cospicui, stando almeno alle relazioni settimanali che il
giovane allievo portava in visione al nonno. Sulla pagella, ove il docente
forniva le indicazioni circa il profitto dell'alunno, erano menzionati oltre venti
voci dello scibile umano. In greco Georgy era aristos, in latino veniva definito
optimus, in francese tres bien, e così via. Alla fine dell'anno scolastico, poi,
ogni allievo riceveva un premio per ogni materia nella quale si fosse affermato.
Perfino Master Swartz, il giovincello dai capelli crespi, fratellastro di Mrs.
McMull, e Mr. Bluck, il trascurato ventitreenne di origine popolana, nonché
Master Todd, quello scanzonato pelandrone che già abbiamo avuto occasione di
citare, ricevevano in omaggio un libricino da quattro soldi che recava impressa
la dicitura «Athena» e una solenne dedicatoria latina di pugno del professore.
Per parte loro i Todd dovevano ogni cosa agli Osborne. Il vecchio signore
aveva promosso Todd da semplice impiegato a socio minore dell'azienda. Era
stato padrino di battesimo di Master Todd (che più tardi avrebbe aggiunto il
cognome Osborne accanto a quello di Todd sui biglietti da visita e sarebbe
diventato un ben noto dandy). A sua volta Miss Todd era stata madrina della
giovane Maria Todd, ed ogni anno regalava alla sua protégée un libro di
preghiere, una raccolta di opuscoli edificanti, un volumetto di inni attinenti al
culto della Low Church e altre attestazioni della sua speciale benevolenza. Ogni
tanto Miss Osborne invitava i Todd a fare una passeggiata nella sua carrozza.
Non solo: quando qualcuno di loro si ammalava, ecco che un maggiordomo in
livrea usciva dalla casa di Russell Square e si recava in Coram Street, latore di
gelatine e di altre prelibatezze. Coram Street alzava lo sguardo tremebonda
verso Russell Square, in atteggiamento di deferente ossequio. Mrs. Todd, che
aveva un certo estro nel ritagliare artisticamente tovaglioli di carta da disporre
sotto il montone arrosto, o nell'intagliare rape, carote ed altri legumi in forma
di fiori, anatroccoli e altre inezie del genere, correva sempre to the Square,
come usavano dire, ogni qual volta vi si dava un pranzo importante ed era
quindi in grado di offrire qualche servigio personale, senza con questo
reputarsi autorizzata a partecipare di persona al banchetto. Se poi all'ultimo
momento qualche invitato mancava di parola, Todd era pronto a sostituirlo,
salvando la situazione. Mrs. Todd e Maria arrivavano verso sera, bussavano
timidamente e attendevano compunte in salotto fino a quando giungevano Miss
Osborne e altre signore scortate da quest'ultima, pronte a sciorinare duetti e
romanze sino al momento in cui gli uomini sarebbero saliti a raggiungerle.
Povera Maria Todd! Quanta fatica le costava prepararsi a quelle esibizioni
canore in the Street prima di poterne fare sfoggio in the Square!
Sembrava dunque che un decreto del destino accordasse a Georgy il
privilegio di esercitare il suo dominio su tutte le persone che entravano in
contatto con lui, e che ognuno si trattasse di amici, di parenti, della servitù
fosse tenuto a prostrarsi davanti a quel giovincello. Né possiamo nasconderci
ch'egli si compiacesse di un simile andamento di cose, non altrimenti, del
resto, da molti altri individui. A Georgy piaceva la parte del padrone, né si può
escludere che quel ruolo gli si addicesse per vocazione naturale.
In Russell Square tutti temevano Mr. Osborne, mentre Mr. Osborne non
temeva nessuno ad eccezione del piccolo Georgy. L'indole impetuosa del
ragazzo, la saccente disinvoltura con la quale discorreva di libri e dei più
svariati argomenti, la somiglianza col padre morto laggiù a Bruxelles senza
essersi riconciliato con lui, erano altrettanti fattori atti ad accentuare il timore
reverenziale del nonno nei riguardi del nipote, che per parte sua era indotto ad
accentuare i suoi atteggiamenti tirannici. Il vecchio rabbrividiva, emozionato,
ogni qual volta coglieva nel fanciullo un gesto, un modo di esprimersi ereditati
dal padre, e aveva l'impressione di essere al cospetto di suo figlio. La gente si
stupiva dei modi garbati ch'egli usava con Georgy. Con la figlia non rinunciava
a brontolare e a sfogarsi in colleriche paternali, ma a Georgy sorrideva sempre,
anche quando scendeva a colazione in ritardo.
Miss Osborne, la zia di Georgy, era una zitella avvizzita da quarant'anni
di uggia e di sgarbi, e un ragazzo particolarmente estroverso non faticava certo
a tenerla a bada. Ogni qual volta Georgy desiderava qualcosa da lei - si
trattasse del barattolo di marmellata che teneva nella credenza, o dei colori
ormai secchi e screpolati conservati in una scatola dai tempi in cui ella, ancor
giovane e attraente, studiava pittura con Mr. Smee - non aveva che da
impossessarsene, senza curarsi di chiederne il permesso alla zia.
I suoi più intimi amici erano il suo maestro albagioso e adulatore, oppure
il compagno di studi disposto a lasciarsi prendere a botte. Mrs. Todd andava in
sollucchero quando lo vedeva in compagnia di Rosa Jemima, la più piccola delle
sue bambine, una graziosa bimbetta di Otto anni. I due formavano una coppia
così affiatata ch'ella andava dicendo al prossimo (esclusi, beninteso, quelli
della Square): «Non sono forse una bella coppia? Chissà quali sorprese
potrebbe tenere in serbo il futuro!» Tali, in effetti, erano le speranze coltivate
da quella buona madre.
Quanto al nonno materno, nello stato di abbattimento in cui versava era
un'altra vittima designata di quel piccolo tiranno. Come avrebbe potuto
esimersi dall'assumere un contegno riverente nei riguardi di un ragazzino
sempre vestito in modo inappuntabile e accompagnato da un domestico
personale? Si aggiunga che Georgy era assuefatto ad ascoltare le espressioni
sarcastiche e colleriche che Mr. Osborne, l'impietoso, l'implacabile nemico,
usava nei confronti di John Sedley, qualificandolo di vecchio cencioso, vecchio
carbonaio, vecchio bancarottiere e altre volgari contumelie del genere. Come si
poteva pretendere che il piccolo Georgy portasse rispetto a un uomo caduto
così in basso? Erano trascorsi pochi mesi da quando il ragazzo era andato ad
abitare nella casa del nonno paterno, quando Mrs. Sedley morì. I rapporti non
erano mai stati molto affettuosi tra lei e Georgy, che infatti non mostrò di
soffrire troppo per quella perdita. Andò in visita a sua madre indossando un
abito a lutto acquistato per l'occasione, ma era oltremodo contrariato per aver
dovuto rinunciare ad assistere a una commedia che da tempo anelava di
vedere.
D'altro canto la malattia dell'anziana signora aveva assorbito l'attenzione
di Amelia, e non si poteva escludere che fosse stata la sua salvezza. Che ne
sanno gli uomini delle pene segrete delle donne? Impazzirebbero, se dovessero
sopportare la centesima parte di quel martirio quotidiano cui esse per contro si
assoggettano con cieca rassegnazione. È uno stato di diuturna schiavitù senza
remunerazione alcuna. Siamo di fronte a un tesoro di costante dedizione e
bontà, che altrettanto costantemente viene ricambiata con la più crudele
indifferenza: affetto, faticose incombenze, tolleranza, attenzioni vengono
sistematicamente ignorati, non ottengono neppure il riconoscimento di una
parola buona. Quante donne sono costrette a sopportare tutto ciò in silenzio,
ed anzi sono tenute a mostrarsi sempre ilari e serene, come se non provassero
la minima sofferenza! Schiave inermi come sono, si vedono condannate
all'ipocrisia e alla sottomissione.
La madre di Amelia era passata dalla poltrona alletto, e non lo aveva più
abbandonato; e dal suo capezzale Amelia non si allontanava mai, se non per
andare a trovare suo figlio. Eppure la vecchia signora osava rimproverarle
quelle rare visite: colei che, al tempo del loro benessere, era stata una madre
serena, dolce, affettuosa, ora appariva completamente alterata dall'indigenza e
dalla malattia. Ma né l'infermità né la scontrosità della sventurata potevano
indurre Amelia ad allontanarsi da lei, e fors'anche le offrirono un appoggio,
aiutandola a meglio sopportare l'altro motivo delle sue angustie. Le continue
chiamate della malata la costringevano, in certo qual modo, a non pensare.
D'altronde Amelia opponeva all'asprezza della madre la più dolce
mansuetudine: le sprimacciava il guanciale perché fosse più soffice e sapeva
reagire con parole garbate ai continui rimbrotti della vecchia. Cercava di
placare l'inferma invitandola a coltivare pensieri di speranza, formulando le
parole che il suo cuore candido e devoto le suggeriva, e toccò a lei chiudere gli
occhi che un tempo l'avevano guardata con tenerezza sollecita.
Da quel momento in poi, tutta la sua tenera sollecitudine, tutto il tempo
di cui disponeva furono votati a consolare e a confortare il vecchio padre così
provato. La sventura lo aveva prostrato, ormai era solo al mondo. Tutto ciò che
aveva maggiormente amato nella vita - la moglie, il successo, il denaro - lo
avevano abbandonato. Era rimasta soltanto Amelia a sorreggere con mano
gentile il suo cuore dilaniato dall'angoscia. Ma non indulgeremo a narrare
questa storia. Sarebbe troppo monotona e insulsa. Vedo la Fiera della Vanità
sbadigliarne d'avance.
Un giorno, mentre i giovani gentiluomini erano raccolti nella sala di
studio del reverendo Veal, e come di consueto il cappellano privato dell'illustre
conte di Bareacres stava abbandonandosi a uno dei suoi solenni sproloqui, una
lussuosa carrozza si fermò davanti all'ingresso adorno di una statua di Atena e
ne scesero due signori. I due Bangles corsero alla finestra, colti dal vago
presagio che il padre fosse giunto da Bombay. Anche il giovanottone di ventitré
anni, che stava soffrendo in silenzio su un brano di Eutropio, premette il naso
negletto contro i vetri della finestra e anch'egli ristette a contemplare il veicolo
mentre il laquais de piace balzava giù da cassetta e aiutava a scendere le
persone che occupavano l'interno della carrozza.
«L'uno è grande e grosso, l'altro è lungo e secco,» commentò Mr. Pluck.
Ma in quell'istante già si bussava all uscio con perentorio vigore.
Tutti morivano di curiosità, dal cappellano privato, speranzoso di vedere
comparire il genitore di un futuro allievo, a Georgy, che approfittava
festosamente di qualsiasi pretesto per accantonare i libri.
Il domestico, vestito di una livrea smunta e striminzita, dai logori bottoni
di rame, che nondimeno gli era imposto di indossare prima di aprir la porta di
casa, entrò ad annunciare:
«Due signori chiedono di vedere Master Osborne.» Quel mattino il
pedagogo aveva avuto un alterco assai vivace col giovin signore in questione,
contestandogli il diritto di introdurre petardi in classe durante le ore di lezione.
Ciò peraltro non gli precluse la capacità di atteggiare il volto alla consueta
espressione di studiata compitezza, e di dirgli: «Master Osborne, avete il
permesso di assentarvi e di intrattenervi con codesti vostri amici giunti or ora
in carrozza, e ai quali vi prego di porgere gli ossequi miei e di Mrs. Veal.»
Georgy raggiunse il salotto e vide due sconosciuti che squadrò dall'alto in
basso, il volto atteggiato alla consueta espressione altezzosa. L'uno era grasso,
con due vistosi mustacchi, e l'altro alto e magro, il volto abbronzato e i capelli
sale e pepe, con una rendingote azzurro cupo.
«Mio Dio, come gli assomiglia!» esclamò il signore alto e magro, con un
sussulto. «Indovini chi siamo, Georgy?»
Il volto del ragazzo avvampo, come sempre gli accadeva quando si
sentiva turbato, e gli occhi gli si illuminarono. «L'altro non so chi sia,», rispose,
«ma credo che voi siate il maggiore Dobbin.»
Era proprio il nostro vecchio amico. La sua voce tremava di piacere,
mentre afferrava le mani del ragazzo attirandolo a se.
«Tua madre ti ha parlato di me... non è vero?» domandò.
«Oh, sì,» rispose Georgy. «Tante, tante volte!»
LVII • EOTHEN
Uno dei tanti motivi di soddisfazione personale del vecchio Osborne, ed
anzi di particolare gratificazione, risiedeva nel fatto che Sedley, l'ex rivale e
nemico, nonché benefattore, nei suoi tardi anni fosse ridotto a un tale grado di
umiliazione e totale sconfitta da non poter respingere i sussidi pecuniari
elargitigli dall'uomo che più di ogni altro lo aveva ferito e umiliato. L'uomo
ricco e fortunato imprecava contro il vecchio pezzente, ma di tanto in tanto gli
concedeva qualche aiuto. Nell'atto di consegnare a Georgy del denaro, faceva
intendere al ragazzo, usando sempre espressioni brutali e triviali, che il suo
nonno materno altri non era che uno straccione, un miserabile fallito, un relitto
costretto ad accettare l'elemosina altrui, e che John Sedley doveva esser grato
all'uomo cui doveva già tanto denaro, per l'aiuto ora concessogli con tanta
generosa munificenza. Georgy recava solennemente il suddetto aiuto a sua
madre e al povero, desolato vedovo ch'ella si era assunta il compito di
assistere e consolare. Il ragazzino non esitava a darsi del tono con quel
pover'uomo ormai distrutto.
Non si può escludere che Amelia, accettando quei sussidi dalle mani del
nemico di suo padre, rivelasse una certa carenza di «dignità»; ma tra questo
genere di «dignità» e la sventurata non poteva esistere molta dimestichezza. Il
suo carattere semplice per natura, portato a cercare protezione, le lunghe
privazioni, la povertà e l'inveterata assuefazione a ogni sorta di sgarbi, nonché
a una lunga serie di azioni e di cortesie mai ricambiate riflettevano un destino
che le si era dischiuso sin da quando era diventata donna, ossia dal giorno del
suo matrimonio con George Osborne. Lettori che ogni giorno vedete uomini
migliori di voi sopportare rassegnati i rovesci avvilenti della sorte con una
bontà che nessuno è disposto a riconoscere, voi che vedete dei poveri
disprezzati a causa della loro stessa miseria, vi accade mai di scendere dai
fastigi della vostra ricchezza per lavare i piedi di questi infelici sfiniti dalla
sofferenza? Il solo far mente locale all'esistenza di questi sventurati vi
infastidisce come un pensiero volgare. «Le classi sociali non possono non
esistere: debbono esserci ricchi e poveri,» sentenzia Dives assaporando il suo
bordeaux e schioccando la lingua (e già dobbiamo rallegrarci se concede gli
avanzi della sua lauta cena al povero Lazzaro che attende seduto sotto la sua
finestra). Verissimo, e come no? Ma si mediti su quanto sia strana e densa di
mistero questa lotteria della vita, che agli uni assegna la porpora e la
biancheria fine, e agli altri accorda solo gli stracci!
Debbo pertanto riconoscere che Amelia accettava senza troppe remore,
ed anzi con un sentimento che rasentava la gratitudine, le briciole che il
suocero lasciava cadere di tanto in tanto, e delle quali ella si serviva per nutrire
suo padre. Reputava che fosse un suo dovere, il che rifletteva l'indole di questa
giovane donna (abbiamo deciso di considerarla giovane, signore mie: dopo
tutto non ha che trent'anni): una natura che la induceva a immolare se stessa
e a posare ogni suo bene ai piedi della persona ch'ella faceva oggetto della sua
affezione. Per tutto il tempo che Georgy aveva trascorso nella sua casa aveva
vegliato per notti e notti a rovinarsi le dita lavorando per lui senza averne in
cambio una parola di riconoscenza. Eppure, nonostante quella silenziosa
rassegnazione e quei sacrifici occulti, non si può certo asserire che avesse di sé
un'opinione più alta di quella che altri nutrono per loro stessi. Anzi, sono
indotto a ritenere che in cuor suo si reputasse una persona da poco, indegna
della minima considerazione, e che la vita le aveva accordato né più né meno
ciò che le era lecito attendersi. Quante scortesie, quante male parole, quante
privazioni aveva subito per suo padre e sua madre! Povere donne! Povere
vittime! Povere martiri costrette a subire i più atroci supplizi tra le mura delle
loro stanze, a consumare l'esistenza in perpetua tortura. Quando ogni giorno vi
sedete al desco, è come se posaste il capo sul ceppo. Qualunque uomo
contempli il vostro strazio o spinga lo sguardo nei tetri recessi ove patite la
tortura, non può non provare per voi un moto di pietà e... e ringraziare Iddio di
avere la barba! Ricordo, anni addietro, di aver veduto un povero sventurato al
manicomio criminale di Bicêtre, vicino a Parigi. Uno della comitiva gli aveva
dato qualche presa di tabacco da fiuto dentro un «cornetto» di carta. Quel
tratto di cortesia era stato un evento straordinario per quel povero epilettico,
onde era scoppiato in lacrime, travolto da una crisi di gioia che rasentava
l'angoscia. Se qualcuno accordasse a me o a voi una rendita di mille sterline
annue o ci salvasse la vita, non sapremmo esprimergli altrettanta gratitudine.
Parimenti, se con una donna vi comportate da vero e proprio tiranno;
constaterete che basta usarle la minima cortesia per produrre in lei una
reazione straordinaria: capace di farle salire le lacrime agli occhi, quasi che un
angelo fosse disceso dal cielo a beneficarla.
Favori siffatti erano quanto di meglio la sorte avesse concesso ad Amelia.
La sua vita, iniziata sotto gli auspici di una solida agiatezza, era ormai
degradata a uno stato di squallida prigionia, di lungo e misero servaggio.
Talvolta il piccolo George veniva a trovarla nel suo carcere e le recava qualche
tenue luce di conforto. Russell Square rappresentava il confine estremo di
quella cattività. A volte poteva raggiungerlo, ma la sera era sempre costretta a
rientrare nella sua cella. Doveva tornare a svolgervi le sue miserande
mansioni, ad accudire a malati che non la ringraziavano delle sue attenzioni, a
subire l'iracondia e l'oppressione tirannica di due vecchi scontenti e lamentosi.
Quante sono le innumerevoli persone, donne soprattutto, che sopportano una
simile schiavitù, che fanno le infermiere gratuitamente o, se preferite, fanno le
suore di carità senza l'aureola romantica del sacrificio, che lottano, soffrono,
curano i malati e patiscono la fame senza suscitare alcun sentimento di pietà,
finché scompaiono ignorate, silenziose ed oscure, fuori da qualsivoglia
sentimento di pietà?
L'occulta e terrificante Saggezza che presiede al destino dell'uomo si
compiace di calpestare e umiliare i buoni, i saggi, i teneri di cuore. Fratello, sii
umile nella prosperità! Sii generoso con chi è meno fortunato di te, ancorché
non sia meno immeritevole! Quale diritto hai, tu, di spregiare gli afflitti,
quando la tua virtù risiede nella mancanza di tentazioni, il tuo successo è
puramente casuale, il ceto elevato cui appartieni è un privilegio il cui merito
spetta a un antenato e la cui ricchezza altro non è che una benefica celia del
destino?
La madre di Amelia venne sepolta nel cimitero di Brompton in una
giornata plumbea e piovosa come quella del suo matrimonio con George,
rammentava Amelia. In chiesa il figlioletto le sedeva accanto, con un lussuoso
pastrano nuovo adorno di pelliccia. Amelia ripensava al sacrestano, alla
vecchietta che affittava le seggiole. Mentre il celebrante leggeva le preci dei
defunti i suoi pensieri correvano a tempi lontani. Se tra le sue non avesse
stretta la piccola mano di George, forse in quel momento avrebbe desiderato
essere al posto di... Poi, come sempre, si rimproverò quel moto di egoismo e
pregò affinché le fosse concessa la forza di compiere il suo dovere.
Decise dunque che avrebbe dedicato ogni sua energia, ogni risorsa della
sua volontà a soccorrere moralmente il vecchio padre. Si mise a lavorare senza
risparmio di forze: sbrigava ogni sorta di faccende, rammendava, rattoppava
gli abiti del padre, giocava a carte con lui, gli leggeva il giornale, gli cucinava
qualcosa di buono. Riusciva persino a cantare e a condurlo a passeggio ai
Kensington Gardens o a Brompton Lanes. Ascoltava i suoi racconti sorridendo
con garbata compiacenza, o sedeva al suo fianco pensierosa, abbandonandosi
al fluire dei ricordi, mentre il vecchio querulo e indebolito godeva il sole sulle
panchine dei giardini parlando senza posa dei suoi dolori e dei torti patiti.
Com'erano mesti e affliggenti i pensieri della povera vedova! I bimbi che si
rincorrevano lungo i viali le ricordavano il suo George che le avevano tolto,
come le era stato tolto il primo George. Il suo egoistico, colpevole amore era
stato punito due volte, e crudelmente. Ma forse era giusto così, o quanto meno
tentava di convincersene. Era una perfida, ignobile peccatrice, e adesso era
sola al mondo.
So perfettamente che storie siffatte, imperniate sulla solitudine e sulla
prigionia individuale, diventano di una noia intollerabile se non si provvede ad
animarle con l'intervento di episodi umoristici, di personaggi rasserenanti quali,
poniamo, un carceriere di buon cuore, oppure un comandante della fortezza
tronfio e vanaglorioso, o un topo che balza fuori dal suo nascondiglio e prende
a giocare con la barba e i baffi di Latude o una galleria sotterranea sotto il
castello scavata da Trenck, servendosi delle unghie e degli stuzzicadenti. Ma,
ahimè, il cronista non dispone di avvenimenti del genere, atti ad allietare il
racconto della cattività di Amelia .Cercate pertanto di immaginarla come vi
riesce: sempre mesta nel corso di anni ed anni, e tuttavia sempre pronta al
sorriso quando qualcuno le rivolgeva la parola. Sebbene versasse in condizioni
di estrema indigenza riusciva a trovar la forza di sedere al piano e cantare per
il vecchio genitore, rammendava calze, cuoceva budini e giocava a carte. Non
importa di stabilire se ella fosse un'eroina o meno, che io e voi, vecchi o
giovani, si diventi irascibili o non si riesca nella vita. Ciò che importa è poter
contare, quando per noi sia giunta la vecchiaia, su una spalla disposta ad
accoglierci con tenerezza, una mano gentile che ci sorregga, piegati come
saremo dalla gotta.
Sta di fatto che, dopo la morte della moglie, il vecchio Sedley si affezionò
grandemente alla figlia, e questa, per Amelia, fu la ricompensa più ambita per
le cure che dedicava al padre.
E tuttavia non lasceremo a lungo quei due in una situazione così
squallida e degradante. Giorni migliori li attendevano, almeno sotto il profilo
del benessere materiale. Forse il lettore avveduto avrà indovinato chi fosse il
pingue personaggio ch'era andato a trovare George a scuola in compagnia del
maggiore Dobbin. Si tratta di una vecchia conoscenza, a sua volta rientrata in
Inghilterra nel momento in cui la sua presenza non poteva non essere di aiuto
determinante per i suoi familiari.
Il maggiore Dobbin, che non aveva faticato a ottenere una licenza per
recarsi a Madras, e di lì fors'anche in Inghilterra, richiamatovi da pressanti
motivazioni personali, viaggiò notte e giorno senza posa fino a raggiungere la
sua meta. Tale fu la smania di arrivare a destinazione, che a Madras lo colse
una febbre altissima. I servitori che avevano viaggiato con lui lo trasportarono,
delirante, in casa dell'amico ove aveva deliberato di trattenersi fino al giorno
della partenza per l'Europa, e per settimane tutti furono convinti che non
sarebbe mai andato oltre il cimitero che circondava la chiesa di St. George,
luogo di sepoltura per numerosi ufficiali inglesi morti lontano dalla terra natìa,
e dove un picchetto di soldati avrebbe sparato a salve davanti alla sua tomba.
Quivi a Madras il poveretto giacque, divorato dalla febbre; né si può
escludere che mentre era in preda al delirio, qualcuno lo abbia udito invocare il
nome di Amelia. Poi nei momenti di lucidità, lo affliggeva il timore di non
vederla mai più. Ormai dava per certo che fosse giunta la sua ultima ora, e
fece solenni preparativi in vista del suo trapasso. Riordinò i suoi affari terreni e
dispose che la sua piccola proprietà passasse a coloro ch'egli desiderava
vedere beneficiati. Testimoni per il testamento furono gli amici che gli davano
ospitalità. Espresse il desiderio di essere seppellito con una trecciolina di capelli
bruni ch'egli recava sempre al collo, e che era riuscito a farsi dare dalla
cameriera di Amelia a Bruxelles, quando era stato necessario tagliare i capelli
della giovane sposa durante l'attacco febbrile che l'aveva colpita dopo la morte
di George a Mont Saint-Jean.
Tuttavia Dobbin guarì completamente, nonostante una ricaduta
provocata dalla soverchia somministrazione di salassi e calomelano: il che
valse, quanto meno, a dimostrare che la sua fibra era robusta. Era ridotto
quasi a uno scheletro allorché lo trasportarono a bordo del Ramchunder, una
nave al comando del capitano Braggs che faceva servizio sulla linea delle Indie
Orientali, e che, proveniente da Calcutta faceva scalo a Madras. Ma versava in
condizioni ditale prostrazione, che l'amico il quale lo aveva curato durante la
degenza diede per certo che il nostro maggiore non sarebbe riuscito a
sopportare i disagi della traversata. Un giorno o l'altro avrebbero dovuto
avvolgerlo nella bandiera, posarlo nell'amaca e calarlo fuori bordo in mare,
trascinando con sé nel profondo dell'oceano la reliquia che portava sul petto.
Ma, fosse per il benefico effetto dell'aria di mare, o per la speranza ch'egli
portava in cuore e valeva a sorreggerlo, certo che dal giorno in cui la nave
salpò e fece vela verso casa, il nostro amico cominciò a migliorare
rapidamente, e sebbene fosse magro come un cavallo da corsa, prima che il
piroscafo raggiungesse il Capo di Buona Speranza, poteva dirsi completamente
guarito. «Per questa volta Kirk ha le pive nel sacco,» commentò con un sorriso.
«Non avrà i gradi di maggiore. Immagino che si aspettasse di leggere il suo
nome sulla «Gazette» prima del rientro in patria del reggimento.»
In effetti, occorre precisare che, nel momento stesso in cui il maggiore
giaceva delirante a Madras, quivi ammalatosi per aver raggiunto la città con
soverchia rapidità, il glorioso...° Reggimento, che aveva trascorso innumerevoli
anni all'estero e che, finalmente rientrato dalle Indie Occidentali, non aveva
potuto concedersi la meritata permanenza in Inghilterra a causa della
campagna di Waterloo, e poi dalle Fiandre era stato destinato in India, ora
aveva avuto ordine di far ritorno in patria. Pertanto, se il maggiore avesse
atteso che i suoi commilitoni giungessero a Madras, avrebbe potuto rientrare in
Inghilterra con loro.
D'altro canto, tenuto conto dello stato di estrema debolezza in cui
versava, può darsi che non se la sentisse di mettersi sotto l'ala autoritaria di
Glorvina. «Sono certo che Miss O'Dowd mi avrebbe ridotto allo stremo, se
fosse stata imbarcata con noi,» osservò ridendo il maggiore, rivolto al suo
compagno di viaggio. «Poi, caro Jos, non appena fossi stato seppellito nel
fondo del mare, non dubito che si sarebbe lanciata nuovamente
all'arrembaggio, e prima di entrare nel porto di Southampton sarebbe riuscita a
farvi suo.»
Infatti il compagno di viaggio del maggiore Dobbin a bordo del
Ramchunder altri non era che il nostro corpulento amico. Aveva trascorso dieci
anni nel Bengala. Pranzi, cene, banchetti, birra chiara e vino di Borgogna,
nonché le gravose incombenze legate alle sue mansioni amministrative,
mitigate da copiose libagioni a base di brandy.-pawnee, avevano messo a dura
prova il Sedley che ricordiamo a Waterloo, al quale pertanto fu consigliato un
viaggio in Europa. E dal momento che ormai aveva portato a compimento il
periodo di servizio in India, e fruiva di un ragguardevole stipendio che gli
aveva consentito di metter da parte una lauta somma, era in grado di scegliere
tra la permanenza in Inghilterra, ove avrebbe avuto agio di godersi una buona
rendita, oppure di far ritorno in India e proseguire il servizio col grado che gli
sarebbe stato accordato in virtù dei suoi meriti e della sua anzianità.
Era un po' meno obeso dell'ultima volta che ci siamo imbattuti nella sua
persona, ma in compenso aveva guadagnato in pompa e maestosità. Si era
lasciato crescere un paio di baffi vistosi, diritto che gli veniva dalle gesta
compiute a Waterloo, e passeggiava solenne sul ponte con un berretto di
velluto e una casacca carica di decorazioni e ornamenti preziosi. Consumava la.
prima colazione in cabina, poi si vestiva di tutto punto per fare la sua
comparsa sul ponte, come se avesse dovuto andare a passeggio per Bond
Street o lungo il Corso di Calcutta. Si era portato appresso un servitore
indiano, che gli serviva da lacchè, gli portava la pipa e recava lo stemma dei
Sedley sul turbante, ricamato in argento. Oppresso dalla tirannide di Jos, il
povero orientale conduceva una vita tutt'altro che piacevole. Jos era vanitoso,
e prendeva cura della sua persona come fosse stato una donna, onde dedicava
alla toeletta personale le attenzioni che vi avrebbe votato una bellezza
femminile al declino. A cena i passeggeri più giovani, Chaffers del 1500 e il
povero, piccolo Ricketts, che faceva ritorno a casa dopo aver avuto ben tre
attacchi di febbre malarica, avevano il vezzo di incitare Sedley a raccontare le
sue mirabolanti cacce alla tigre, nonché le sue imprese durante la campagna
contro Napoleone. Ma le fandonie più divertenti e sfacciate le raccontò durante
la visita alla tomba dell'imperatore a Longwood, approfittando del fatto che il
maggiore Dobbin era assente. Descrisse ai suddetti signori e agli ufficiali del
piroscafo tutta quanta la battaglia di Waterloo, e mancò poco che non
affermasse che Napoleone non sarebbe mai finito a Sant'Elena se non fosse
stato per merito suo, di Jos Sedley.
Dopo aver lasciato Sant'Elena prese a far sfoggio di generosità, perché
aveva imbarcato sulla nave ogni genere di provviste: vino di borgogna, carne
in scatola, e grandi casse piene di bottiglie di soda, che aveva portato per
consumarle in esclusiva. A bordo non c'erano signore, e poiché il maggiore
dava il passo al grosso borghese, questi a tavola occupava il primo posto ed
era trattato dal capitano Braggs e dagli altri ufficiali con la deferenza dovuta al
suo rango. Nel corso di una tempesta che si protrasse per due giorni e infranse
gli oblò della sua cabina, Jos fu colto da una crisi di terrore. Pertanto non si
fece più vedere e rimase rannicchiato nella sua cuccetta a leggere La lavandaia
di Finchley Common, un libro abbandonato a bordo dalla molto onorevole Lady
Emily Hornblower, consorte del molto onorevole Sir Hornblower, durante il suo
viaggio al Capo, ove il reverendo gentiluomo era stato inviato in qualità di
missionario. Peraltro, come lettura di evasione, Jos aveva portato con sé un
certo numero di romanzi e commedie, che di buon grado prestava agli altri
passeggeri, rendendosi molto accetto in virtù della sua gentilezza e amabile
condiscendenza.
Quante sere, mentre la nave solcava il mare cupo e mugghiante, e la
luna e le stelle lucevano sopra di loro, e la campanella ciangottava per
annunciare il susseguirsi dei turni di guardia, quante sere, dicevo, Mr. Sedley e
il maggiore sedettero sul ponte di comando a parlare del suolo natio, il
maggiore tirando boccate dal suo sigaro e Jos aspirando voluttuosamente dal
narghilè apprestatogli dal servitore! Era stupefacente osservare con quale
costanza e con quali ingegnosi espedienti il maggiore riusciva sempre a
spostare il tema di quelle conversazioni su Amelia e su suo figlio. Spesso s
ingegnava del pari di sedare la collera di Jos, ancora inviperito contro il padre,
sia a causa del fallimento, sia del modo poco leale col quale aveva
ripetutamente agito nei suoi confronti, e lo esortava a tener conto dell'età e
delle sventure che avevano colpito il suo malcapitato genitore. Forse,
semplicemente paventava la prospettiva di convivere con due persone anziane,
le cui abitudini e i cui orari giornalieri differivano con ogni probabilità da quelli
cui era assuefatto un uomo nel vigore degli anni, abituato a frequentare ben
altra compagnia (Jos s'inchinò, rispondendo così al complimento). Tuttavia il
maggiore gli fece osservare che per lui poteva essere più acconcio, anziché
affittare a Londra un appartamentino da scapolo come quelli nei quali era
abituato a vivere, disporre di una casa vera e propria affidandone la direzione a
una persona come sua sorella Amelia, così garbata, così elegante, così
raffinata; insomma, affatto idonea ad assolvere una simile mansione.
Indugiava a raccontargli il successo che Mrs. Osborne aveva riscosso a
Bruxelles ed anche a Londra, ove aveva riscosso il plauso di persone di
altissimo rango. Né taceva dell'opportunità che Jos facesse studiare Georgy in
una buona scuola, indispensabile per la corretta formazione del suo carattere,
dal momento che senza dubbio la madre e i nonni lo stavano viziando. In
poche parole, Dobbin riuscì a strappare a Jos la debita promessa di aver cura
della madre e del suo figliolo privo di protezione. Infatti non era ancora al
corrente degli ultimi avvenimenti occorsi nel piccolo alveo della famiglia
Sedley: e cioè che la morte si era presa la vecchia Mrs. Sedley e che la
ricchezza aveva strappato George ad Amelia. Sta di fatto che il non più giovane
maggiore, e nondimeno tuttora innamorato, non faceva che pensare a Mrs.
Osborne, e il suo cuore d'altro non si curava che del suo bene. In ciò risiedeva
il motivo per il quale adulava e lusingava Jos Sedley, intrattenendolo con una
costanza e un'amabilità delle quali, presumibilmente, non si accorgeva
nemmeno. Ma certuno, tra gli uomini che dispongono di figlie o sorelle da
marito, rammenterà come gli uomini manifestino una curiosa gentilezza nei
confronti dei parenti di sesso maschile delle donne fatte oggetto delle loro
attenzioni galanti. Pertanto è probabile che quel briccone di Dobbin indulgesse
a una siffatta forma d'ipocrisia!
Sta di fatto che il maggiore s'imbarcò sul Ramchunder gravemente
ammalato, non accennò a migliorare durante i tre giorni in cui il piroscafo
rimase alla fonda nel porto di Madras, e nemmeno si senti sollevato quando
vide comparire a bordo una sua vecchia conoscenza come Mr. Sedley. Valse
finalmente a rincuorarlo una conversazione con lui, mentre Dobbin se ne stava
fiaccamente adagiato su una sedia-sdraio sul ponte. Il maggiore dichiarò di
sentirsi spacciato e confidò che, per disposizione testamentaria, lasciava una
modesta somma al suo figlioccio. Sperava inoltre che Mrs. Osborne avrebbe
conservato di lui un buon ricordo, mentre nutriva fiducia che il secondo
matrimonio le avrebbe ridata la felicità.
«Matrimonio? Di che matrimonio parlate?» chiese Jos allarmato, dal
momento che le notizie avute recentemente da sua sorella non accennavano
affatto all'eventualità di nuove nozze. E aggiunse che la cosa gli sembrava
strana, posto che in quella stessa lettera lei gli annunciava gli ormai prossimi
sponsali del maggiore Dobbin, formulando voti per la sua felicità. Ma che data
aveva la lettera dei Sedley dall'Europa? Jos andò a prenderla. Era di due mesi
successiva a quella che aveva ricevuto Dobbin. Fu allora che il medico di bordo
cominciò a compiacersi per le cure adottate con quel paziente che il suo collega
di Madras aveva dato per spacciato: infatti, a partire da quel giorno - e quel
giorno gli aveva prescritto una nuova medicina - il maggiore cominciò à
riprendersi. Ecco perché la promozione attesa dall'ottimo capitano Kirk rimase
lettera morta.
Lasciata Sant'Elena, il maggiore recuperò rapidamente le forze e, tra lo
stupore generale, si mostrò di ottimo umore. Cantava coi guardiamarina,
giocava a single-stick con gli ufficiali, si inerpicava su per le sartie come un
mozzo, e una sera intonò una buffa canzoncina, suscitando la divertita ilarità
della compagnia che dopo cena indugiava a bersi un grog. Insomma, diede
prova di essere così espansivo e spiritoso che persino il capitano Bragg, il quale
lo aveva reputato un passeggero insignificante, dovette ricredersi e convenire
che si trattava di un uomo molto colto, di un ufficiale di grandi meriti, ancorché
tendenzialmente riservato. «Non si può dire che i suoi modi siano molto
distinti, maledizione!» osservò, Bragg rivolto al suo nostromo. «Se fosse
invitato dal governatore, non saprebbe comportarsi ammodo, caro Roper. E
pensare che Sua Signoria e Lady William sono stati così cordiali, con me. Mi
hanno stretto la mano in pubblico e mi hanno proposto di bere una birra
insieme con loro, davanti al comandante in capo. Proprio così... Sì, i suoi modi
lasciano a desiderare, il che non toglie che sia un uomo di vaglia...» E con
siffatti conversari il capitano Bragg dimostrava di essere un uomo acuto e
perspicace, oltre che un valente comandante.
Quando però, a dieci giorni di navigazione dall'Inghilterra, subentrò un
periodo di bonaccia, all'improvviso il maggiore Dobbin diventò irascibile e
insofferente, lasciando stupefatti coloro che in precedenza avevano ammirato il
suo brio e il suo buonumore. Né il suo stato d'animo cambiò sino a quando
tornò a levarsi il vento. E allorché finalmente salì a bordo il pilota, parve
prossimo a schiattare dall'impazienza. Mio Dio, come gli batteva il cuore
quando gli apparve la visione così familiare dei due campanili di Southampton!
LVIII • IL NOSTRO AMICO IL MAGGIORE
Il nostro maggiore aveva saputo circondarsi di tanta simpatia, a bordo
del Ramckunder, che quando scese a terra con Mr. Sedley servendosi della
tanto agognata scialuppa, l'intero equipaggio, dal capitano Bragg agli ufficiali e
ai marinai, proruppe in tre hurrah in omaggio al maggiore Dobbin, il quale
avvampò e fece un cenno del capo, a titolo di ringraziamento. Quanto a Jos,
che molto probabilmente interpretava quegli evviva come indirizzati a lui, si
levò il berretto gallonato e lo agitò solennemente in segno di saluto ai suoi
amici, sino a quando la scialuppa toccò terra. I due personaggi misero piede
sul molo con un certo sussiego, e di lì raggiunsero il Royal George Hotel.
Sebbene la vista di uno splendido arrosto di bue e del boccale d'argento
traboccante di ottima birra inglese (chiara o scura che sia) che in qualunque
stagione dell'anno riconfortano il viaggiatore testé giunto da lontane contrade
nella coffee-room del George Hotel, sia così gradevole e corroborante che
chiunque metta piede in quell'accogliente albergo prova il desiderio di
trattenervisi alcuni giorni, Dobbin prese tosto a informarsi sulla possibilità di
ottenere una carrozza di posta. Era appena arrivato a Southampton, ma
avrebbe già voluto essere in viaggio alla volta di Londra. a Jos era deciso a non
ripartire quella sera stessa. Perché mai avrebbe dovuto trascorrere la notte in
una carrozza da posta, anziché crogiolarsi nel morbido letto che lo attendeva,
dopo l'infame, angusta cuccetta nella quale l'illustre personaggio del Bengala
era stato confinato per tutto il tempo della traversata? Non aveva la minima
intenzione di ripartire fino a quando il suo bagaglio non fosse stato sdoganato,
non voleva assolutamente muoversi quando non avesse potuto disporre del
suo consueto chillum. Fu così che, per quella notte, il nostro maggiore si vide
costretto a mordere il freno, ma spedì una lettera ai familiari per farli partecipi
del suo arrivo in Inghilterra, ed esortò Jos a fare altrettanto. Jos lo rassicurò,
ma non mantenne la promessa. Quella sera il capitano, il medico di bordo e
qualcuno dei passeggeri si recarono a cena alla locanda, ospiti di Jos che, da
sontuoso anfitrione, qual era, ordinò un pasto pantagruelico, e promise a
Dobbin, che sarebbe partito per Londra con lui. L'albergatore dichiarò che
vedere Mr. Sedley nell'atto di tracannare la sua prima pinta di birra scura
costituiva una vera festa per gli occhi. Se ne avessi il tempo e ardissi
concedermi una siffatta digressione, a questo punto dovrei scrivere un intero
capitolo sulla prima birra scura bevuta sul suolo inglese. Non c'è niente di più
fantastico. Vale la pena di assentarsi un anno dalla patria per la soddisfazione
di concedersi, al ritorno, quella bevuta!
L'indomani mattina il maggiore Dobbin comparve accuratamente rasato e
vestito di tutto punto. Voleva, evidentemente, presentarsi nelle migliori
condizioni. Per vero dire, era così presto che in albergo dormivano ancora tutti
ad eccezione del lustrascarpe: un personaggio che, poveraccio, si direbbe
ignori il bisogno di dormire. Mentre i suoi passi percorrevano il pavimento
scricchiolante dei corridoi ancora immersi nell'oscurità, il maggiore poté udire il
russare degli altri clienti dell'esercizio. Nel frattempo l'infaticabile factotum
passava da un uscio all'altro, raccogliendo dinnanzi a ciascuno, scarpe e stivali
d'ogni foggia: alla Blücher, alla Wellington, alla Oxford. In quel momento si
svegliò il servitore di Jos, che tosto si accinse a preparare lo hookah e i
numerosi capi dell'elaborato abbigliamento del suo padrone. Poi si destarono le
cameriere, le quali incrociando nei corridoi quell'uomo dalla pelle scura,
presero a strillare scambiandolo per il diavolo in persona. Più volte costui e il
maggiore Dobbin inciamparono nei secchi d'acqua coi quali la servitù lavava il
piancito del Royal George. Poi, appena un cameriere non ancora sbarbato
venne ad aprire la porta d'ingresso dell'albergo, Dobbin credette che fosse
giunto il momento di partire, e subito ordinò la carrozza da posta onde
mettersi in viaggio senza por tempo in mezzo.
Dopo di che diresse i suoi passi verso la camera di Mr. Sedley e scostò le
cortine dell'enorme giaciglio nel quale Jos stava russando. «Coraggio, Sedley,»
disse il maggiore. «Bisogna sbrigarsi. La carrozza sarà qui tra mezz'ora.»
Jos grugnì da sotto le coperte e chiese che ora fosse. Poi, quando gli
riuscì di estorcere la verità al maggiore, incapace di mentire quand'anche la
menzogna potesse fruttargli dei vantaggi, si abbandonò a una profluvie di turpi
contumelie, che peraltro consentì a Dobbin di concludere che l'amico, qualora
si fosse alzato dal letto in quel momento, avrebbe compromesso la sua
salvezza eterna senza alcun rimedio. Jos urlò che Dobbin poteva andarsi a
impiccare, che in nessun caso era disposto a viaggiare con lui, che era
oltremodo scortese e indegno di un gentiluomo svegliare bruscamente un
povero disgraziato in pieno sonno. Al che il maggiore, sconfitto, si vide
costretto a ritirarsi, consentendo a Jos di ripiombare nel suo sonno
brutalmente interrotto.
Ma la carrozza giunse poco dopo e il maggiore non era disposto ad
aspettare oltre.
Neanche un gentiluomo inglese durante un viaggio di piacere, o il
corriere di un giornale incaricato di recapitare dei dispacci (quelli governativi
vengono solitamente inoltrati con solerzia infinitamente minore) avrebbe
viaggiato tanto celermente. I ragazzi del cambio di posta contemplavano
esterrefatti le mance che lui gli gettava. Com'era ridente e verdeggiante il
paesaggio che si scorgeva dalla carrozza che divorava un miglio sull'altro,
attraversando leggiadri paeselli ove simpatici locandieri si affacciavano dalla
soglia delle loro locande e lo salutavano inchinandosi al suo cospetto, cordiali e
sorridenti! Le insegne dondolavano, appese a un'asta, sopra l'entrata delle
locande che si aprivano lungo le strade, mentre cavalli e carrettieri si
dissetavano all'ombra chiazzata di sole che filtrava qua e là di tra il folto degli
alberi. E poi le antiche residenze gentilizie, i parchi, i minuscoli villaggi
assiepati intorno a una vecchia chiesa grigia... In poche parole, la carrozza
stava attraversando il caro, buon paesaggio inglese. Ne esiste forse uno eguale
al mondo? Al viaggiatore che ritorna in patria dopo aver vissuto in lontane
terre, sembra così familiare e invitante che, se potesse, vorrebbe stringergli la
mano. Tale, in effetti, era il paesaggio che Dobbin attraversava, ma il suo
occhio lo ignorava: vedeva soltanto le pietre miliari, tanta era la sua ansia di
riabbracciare i vecchi genitori a Camberwell.
Fu altamente contrariato di dover perdere tanto tempo per coprire la
distanza che separava Piccadilly dal suo vecchio rifugio dello Slaughter's. Molti
anni erano trascorsi dall'ultima volta in cui vi era stato: da quando lui e George
erano ancora giovani e vi avevano trascorso momenti di gaiezza e di baldoria.
Ormai era un uomo anziano. I capelli gli si erano ingrigiti, come appassiti erano
i sentimenti, le reazioni emotive della prima giovinezza. Eppure, qualcosa non
era mutato: per esempio il vecchio domestico dall'abito nero sparso di macchie
di sugna, la catena dell'orologio carica di ciondoli, che se ne stava col suo
doppio mento e la sua faccia dalle gote perdute a far tintinnare le monete in
tasca, in omaggio a un'inveterata abitudine. Costui salutò il maggiore come se
l'avesse visto una settimana prima.
«Porta il bagaglio del maggiore nella sua solita camera, la ventitré,»
disse al facchino, senza manifestare la minima sorpresa. «Per cena, il solito
fagiano arrosto? Correva voce che vi eravate sposato. È stato quel vostro
amico medico a raccontarlo, quel chirurgo scozzese... No, no, è stato il
capitano Humby, quello del 33mo di stanza in India. Vi serve dell'acqua calda?
Come mai siete arrivato con una carrozza di posta? Non vi andava a genio la
diligenza?» Queste, dunque, furono le parole con le quali lo accolse il vecchio
domestico, che conosceva a menadito tutti gli ufficiali abituali clienti
dell'albergo, e per il quale un giorno e dieci anni facevano né più né meno la
stessa cosa. Guidò Dobbin nella solita, vecchia stanza ove troneggiava il
vecchio letto dalla coperta di damasco e il tappeto era ancor più sdrucito
dell'ultima volta che vi aveva pernottato, e nonché i mobili neri erano gli stessi
di un tempo, ricoperti di cintz sbiadito, in tutto e per tutto fedeli al ricordo che
il maggiore ne conservava dagli anni della sua gioventù.
Rammentava George camminare su e giù per quella stanza, il giorno
prima del suo matrimonio, mordendosi le unghie e giurando che il vecchio
avrebbe ceduto, che doveva cedere, sì, e che se anche non avesse ceduto a lui
non gliene sarebbe importato un accidente. Si sarebbe detto che George
potesse piombare di punto in bianco in quella stanza, o in quella accanto, la
camera ch'egli occupava abitualmente.
«Non si può dire che siate ringiovanito,» osservò John, dopo aver
squadrato con pacata attenzione il suo vecchio amico.
Dobbin scoppiò a ridere. «È difficile che dieci anni ringiovaniscano, caro
John,» gli rispose. «Voi sì che siete eternamente giovane, O meglio, siete
eternamente vecchio.»
«Cosa ne è stato della vedova del capitano Osborne?» chiese John. «Un
bravo ragazzo, quell'Osborne. Mio Dio, quanti quattrini spendeva! Dal giorno in
cui è uscito di qui per andare a sposarsi non l'ho più rivisto. Ancora oggi sono
in credito di tre sterline. Guardate: l'ho annotato sul mio taccuino: "10 aprile
1815, capitano Osborne: 3 sterline." Chissà se suo padre sarebbe disposto a
pagane...» E nel dir questo John, il cameriere dello Slaughter, levò di tasca lo
stesso taccuino di marocchino sul quale aveva preso nota del debito contratto
da George su una pagina unta e ingiallita, fitta di annotazioni scarabocchiate
alla meno peggio: tutti promemoria riguardanti, i clienti di tanto tempo prima.
John condusse dunque il suo cliente fino alla camera, dopo di che si ritirò
con silenziosa discrezione. Al che il maggior Dobbin, non senza arrossire e
ridacchiare tra sé e sé della propria assurdità, trasse dalla valigia l'abito più
elegante che possedeva; poi, osservandosi nel piccolo specchio logoro della
toeletta, rise ancora contemplando il suo volto abbronzato e i suoi capelli
grigi...
«Sono lieto che il vecchio John non mi abbia dimenticato,» pensava.
«Chissà che anche lei non mi riconosca.» Dopo di che uscì dall'albergo e si
diresse verso Brompton.
Mentre camminava alla volta della casa di Amelia, ogni particolare
dell'ultimo incontro con lei riaffiorava alla mente di quell'uomo così costante
nei suoi affetti. Dall'ultima volta che aveva visto Piccadilly vi erano stati
innalzati l'arco e la statua di Achille; ma innumerevoli erano altri piccoli
cambiamenti che il suo occhio e il suo ricordo stentavano ad avvertire. Poi,
mentre percorreva il viale che portava a Brompton, quel viale che rammentava
così bene e conduceva alla strada ove ella abitava, improvvisamente fu colto
da un tremito. Era o non era vero che stava per risposarsi? E se l'avesse
incontrata in compagnia del figlio, mio Dio, quale atteggiamento avrebbe
dovuto assumere? Vide procedere nella sua direzione una donna che teneva
per mano un bambino di quattro o cinque anni. Che fosse lei? Quell'idea bastò
a farlo sussultare. Quando alla fine giunse a quella casetta, là dove Amelia
abitava, e si trovò davanti al cancello, non poté esimersi dall'afferrarsi alla
sbarra e indugiare un istante. Sentiva il cuore battere concitato. «Che Dio
Onnipotente la benedica,» pensò, «qualunque cosa stia per accadere.» E
aggiunse, ad alta voce: «Già, ma può darsi che se ne sia andata;» Poi spinse il
cancello ed entrò nel giardinetto.
La finestra del tinello ove lei per solito sedeva era aperta, ma all'interno
non si vedeva nessuno. Il maggiore credette peraltro di riconoscere il
pianoforte e il quadro che vi era appeso sopra, e senti crescere dentro di sé la
sua emozione. La porta recava ancora la targhetta d'ottone col nome di Mr.
Clapp. Dobbin afferrò il batacchio e batté un colpo.
Venne ad aprire una ragazza prosperosa sui sedici anni, con gli occhi
lucenti e le guance accese. Guardò il maggiore, che si teneva appoggiato allo
stipite della porta. Dobbin era pallido come uno spettro, e riuscì a stento a
pronunciare queste poche parole: «Abita qui Mrs. Osborne?»
La ragazza continuava a guardarlo. Poi anch'essa si fece pallida ed
esclamò: «Oh, signore benedetto... ma... voi siete il maggiore Dobbin!» E gli
porse le mani. «Non vi ricordate più di me? Vi chiamavo maggiore
zuccherofilato...» Allora il maggiore fece qualcosa che presumibilmente non
aveva mai fatto in vita sua: la prese tra le braccia e la baciò, mentre la ragazza
piangeva e rideva al tempo stesso, scossa da un singulto isterico. «Mamma!
Papà!» prese a gridare con quanta voce aveva in gola, facendo accorrere
quelle due brave persone che avevano già scrutato l'ignoto personaggio dalla
finestra della cucina e rimasero stupefatte nel vedere la loro figliola stretta fra
le braccia di un signore alto e austero, in giacca azzurro cupo e pantaloni di
panno bianco.
«Sono un vecchio amico,» spiegò il maggiore, arrossendo un poco. «Vi
siete forse dimenticata di me, Mrs. Clapp? Non ricordate quei dolci squisiti che
usavate cucinare per il tè? Nemmeno voi, Clapp, mi riconoscete? Sono il
padrino di Georgy e torno or ora dall'India.» Ci furono altre strette di mano.
Mrs. Clapp era felice e commossa, e insisteva a invocare il cielo a testimone
della sua gioia, lì, in quell'esiguo corridoio d'ingresso.
I padroni di casa fecero accomodare il maggiore nel salottino dei Sedley
(di cui egli rammentava ogni elemento dell'arredo, dal pianoforte onusto di
decorazioni in ottone, che a suo tempo era stato un leggiadro strumento uscito
dalle mani del famoso Stothard, ai paraventi e alle piccole lapidi d'alabastro in
mezzo alle quali ticchettava l'orologio dorato di Mr. Sedley). Poi, dopo averlo
invitato a sedere nella poltrona che solitamente occupava il loro pensionante,
padre, madre e figlia raccontarono al maggiore (tra innumerevoli interruzioni
ed esclamazioni) tutto ciò di cui siamo già informati, tutti i casi legati alla vita
di Amelia ch'egli tuttora ignorava, ossia la morte di Mrs. Sedley, la
riconciliazione di Georgy col nonno Osborne, i motivi per i quali la vedova si
era rassegnata a separarsi dal figlio e altri particolari inerenti la sua vita. Più di
una volta fu tentato di domandare se si fosse risposata, ma gliene mancò il
coraggio. Temeva che quelle semplici persone intuissero i suoi sentimenti. Alla
fine seppe che Mrs. Osborne era andata a passeggio ai Kensington Gardens,
dove, di pomeriggio, nelle giornate di sole, soleva accompagnare il padre.
Ormai Mr. Sedley era vecchio e debole, e così acrimonioso da renderle la vita
oltremodo ingrata, sebbene Amelia fosse un angelo con lui, su questo punto
non era lecito avere dubbi.
«Sono di fretta,» disse il maggiore, «e stasera ho affari importanti, sarei
lieto di salutare Mrs. Osborne. Immagino che Miss Polly sia disposta ad
accompagnarmi e a mettermi sulla strada.»
Miss Polly fu felicissima e stupita di quella proposta. Sapeva
perfettamente ove condurlo. In quel luogo era stata sovente con Mr. Sedley,
quando Mrs. Osborne doveva andare... doveva andare in Russell Square.
Conosceva addirittura la panchina prediletta dal vecchio. Pertanto si affrettò a
salire nella propria stanza e ne discese poco dopo con la cuffietta in testa e uno
scialle giallo fermato da una grossa spilla con una pietra, che si era fatta
prestare da sua madre per accompagnare il maggiore nell'abbigliamento più
decoroso che poteva permettersi.
Fu così che l'ufficiale, in guanti di vitello e redingote azzurra, diede il
braccio alla ragazza e si avviarono insieme allegramente. Il maggiore,
disponendosi a quell'incontro che in certo qual modo paventava, era lieto di
avere accanto a sé una persona amica. Le rivolse mille altre domande su
Amelia. Il suo cuore così tenero soffriva all'idea che avesse dovuto separarsi
dal figlio. Come sopportava la sua situazione? Lo vedeva sovente? Ed ora stava
meglio Mr. Sedley, sotto il profilo economico? E Polly rispondeva come meglio
poteva a quel fuoco di fila di domande.
Poi, quand'ebbero compiuto metà del percorso, si produsse un fatto che,
pur nella sua modesta portata, fu causa per il maggiore d'indicibile gioia.
Procedeva verso di loro un giovanotto smunto, in colletto bianco inamidato,
con un paio di baffetti. Camminava en sandwich, ossia stretto fra due signore:
l'una alta e maestosa, con la carnagione e i lineamenti simili a quelli
dell'ecclesiastico anglicano che le stava al fianco, e l'altra bassa e grassottella,
tendente al bruno, il capo coperto da un vezzoso cappellino nuovo adorno di
nastri bianchi e un elegante mantello sul quale pendeva un prezioso orologio
d'oro. A sua volta l'uomo reggeva un parasole, uno scialle e un paniere,
cosicché aveva le mani completamente impedite e non poté portarsi la destra
al cappello per rispondere al deferente saluto rivoltogli da Miss Clapp. Pertanto
dovette limitarsi a inchinare il capo, e altrettanto fecero, tutte sussiegose, le
due dame, non senza squadrare con espressione arcigna il gentiluomo in
casacca azzurra e bastone di bambù che camminava al fianco di Polly.
«Chi è?» domandò il maggiore, divertito dall'assetto singolare di quel
gruppo, dopo essersi fatto da parte per consentirgli un più agevole transito
lungo il viale. Polly lo guardò con aria furbesca.
«Quello è il nostro curato, il reverendo Binny. (Il maggiore Dobbin
rabbrividì.) E la signora accanto a lui è sua sorella, Miss Binny. Che il Signore
abbia pietà di noi! Come ci affliggeva, noialtre ragazze, alla scuola domenicale!
L'altra, quella col cappello calato sugli occhi e quel bell'orologio, è Mrs. Binny.
Prima di sposarsi si chiamava Miss Grits. Suo padre faceva il droghiere. Aveva
una bottega in Kensington Gravel Pits: la Piccola Teiera d'Oro. Si sono sposati
il mese scorso e sono appena rientrati da Margate. Lei ha portato in dote
cinquemila sterline. È stata Miss Binny a spingerlo al matrimonio, ma le due
donne hanno già litigato.
Se poc'anzi il maggiore era stato percorso da un brivido, ora fu scosso da
un vero e proprio sussulto. Percosse, anzi, il selciato col suo bastone, e quel
gesto fu così inopinato ed energico, che Miss Clapp si lasciò sfuggire
un'esclamazione di sorpresa e scoppiò in una risata.
Il maggiore, senza aggiungere parola, indugiò a osservare i tre
personaggi che si allontanavano, mentre Polly continuava a raccontargli altri
particolari sul loro conto. Ma Dobbin, avendo udito che il vicario si era sposato,
non ascoltava più le sue parole. La testa gli girava di felicità. E quando riprese
a camminare, accelerò il passo. E nondimeno, tale era l'ansietà e l'emozione
che suscitava in lui la prospettiva di quell'incontro ormai imminente, sospirato
per un arco di dieci anni, che quando ebbero percorso i viali di Brompton e
furono penetrati nei Kensington Gardens attraverso l'antico cancello d'ingresso,
ebbe l'impressione di esser giunto troppo presto.
«Eccoli!» esclamò Polly, e una volta ancora lo sentì sobbalzare al suo
braccio. Allora, di colpo, comprese come stavano le cose. Fu come se avesse
letto l'intera storia in uno dei suoi romanzi preferiti: Fatherless Fanny o The
Scottish Chiefs.
«Forse sarebbe meglio che voi mi precedeste per avvisarli,» propose il
maggiore. Al che Polly prese a correre con lo scialle giallo che svolazzava al
vento.
Il vecchio Sedley sedeva su una panca, il fazzoletto posato sulle
ginocchia, e per l'ennesima volta raccontava ad Amelia vecchi episodi che già
tante volte sua figlia aveva ascoltato con sorridente pazienza. Da gran tempo,
ormai, aveva imparato a seguire il corso dei suoi pensieri, a sorridere e a far
cenni di assenso al padre senza ascoltare una parola di ciò ch'egli diceva. Nel
vedere Polly che arrivava di corsa, Amelia balzò in piedi, e li per lì temette che
fosse accaduto qualcosa a Georgy, ma il volto animato e felice della ragazza
valse tosto a dissipare ogni timore dal suo trepido cuore di madre.
«Notizie! Notizie!» esclamò la messaggera del maggiore Dobbin. «È
arrivato! È arrivato!»
«Chi è arrivato?» chiese Emmy, che continuava a pensare al figlio.
«Guardate laggiù,» rispose Polly, volgendosi e protendendo il dito.
Amelia puntò lo sguardo in quella direzione e vide avanzare l'alta figura del
maggiore Dobbin, la sua lunga ombra che si protendeva sull'erba. Anche
Amelia ora sussultò. Il voltole si coperse di rossore, e naturalmente scoppiò in
lacrime. In tutte le fêtes di quell'anima semplice, le grandes eaux svolgevano
sempre un ruolo di primo piano.
Gli andò incontro tendendogli ambo le mani per afferrare le sue, mentre
lui la contemplava con indicibile tenerezza. Non era cambiata: era solo più
pallida e, forse, un poco meno snella. Gli occhi, così dolci e fiduciosi, erano gli
stessi. I capelli, soffici e bruni, mostravano solo qualche filo d'argento. Ella gli
diede ambo le mani e fissò, rossa in viso, attraverso le lacrime, quel suo volto
franco e familiare. Il maggiore afferrò le sue piccole mani e le tenne stretti fra
le sue. Per qualche istante non poté parlare. Perché non la prese tra le braccia
giurandole che non l'avrebbe lasciata mai più? Lei, suo malgrado, avrebbe
ceduto: non avrebbe potuto esimersi dall'obbedirgli.
«Io... io debbo annunciarvi anche l'arrivo di un'altra persona,» disse,
dopo un lungo indugio.
«Di Mrs. Dobbin?» chiese Amelia arretrando un poco. Ma perché lui
insistette a tacere?
«No,» rispose lui, lasciandole la mano. «Ma chi vi ha raccontato queste
menzogne? No, mi riferisco a vostro fratello Jos. È arrivato col mio stesso
piroscafo ed è tornato affinché foste tutti felici.»
«Papà, papà!» gridò Amelia, «Jos è in Inghilterra. È venuto per aver cura
di te. Ecco il maggiore Dobbin.»
Sedley si alzò in piedi, tremebondo, cercando di raccogliere le idee. Poi si
fece avanti e si piegò in una riverenza antiquata davanti al maggiore, cui
rivolse la parola chiamandolo Mr.. Dobbin. Sperava, disse, che il suo illustre
padre Sir William, fosse in buona salute, e formulò il proposito di andarlo a
trovare, per ricambiare una visita ch'egli gli aveva fatto di recente. In verità
erano almeno otto anni che Sir William non si curava di fargli visita, ma era
comunque questa la visita che il vecchio Sedley intendeva contraccambiare.
«È molto scosso,» bisbigliò Emmy a Dobbin, mentre quest'ultimo si
apprestava a stringere calorosamente la mano al vecchio.
Sebbene avesse affari molto importanti da sbrigare a Londra, Dobbin non
esitò ad accettare l'invito, rivoltogli da Sedley, di seguirli a casa per prendere il
tè insieme con loro. Amelia prese sotto braccio la sua giovane amica dello
scialle giallo, e si avviò insieme a lei verso casa, mentre Dobbin doveva
rassegnarsi alla compagnia di Mr. Sedley. Il vecchio signore procedeva adagio,
senza smettere di cianciare delle sue sventure e della sua povera Bessy,
rievocando gli anni della sua agiatezza e le circostanze del suo fallimento. Il
suo pensiero era sempre rivolto al passato, come avviene quasi sempre nei
vecchi. Del presente, e fatta eccezione per il lutto recente che lo aveva
duramente colpito, captava ben poco. D'altro canto il maggiore si compiaceva
che il suo interlocutore parlasse senza posa, poiché ciò gli consentiva di tenere
lo sguardo fisso sulla figuretta femminile che camminava davanti a lui: quella
soave immagine sempre presente nei suoi pensieri, nelle sue preghiere, nei
suoi sogni, nelle sue fantasticherie.
Amelia era felice, e per tutta la sera fu particolarmente ilare e attiva. Non
avrebbe potuto compiere i suoi doveri di padrona di casa con maggior grazia e
decoro, pensava Dobbin mentre sedevano nella penombra della stanza, i suoi
occhi seguivano ogni sua movenza. Quante volte aveva desiderato vivere quel
momento quando pensava a lei in quel paese lontano, nel caldo torrido,
durante le marce lunghe e spossanti! Quante volte l'aveva evocata, dolce,
garbata, serena, così come ora la osservava, impegnata a lenire le sofferenze
della vecchiaia, tanto da rendere accetta, con quella sua dolce sottomissione,
persino lo squallore della povertà! Con ciò non pretendo di affermare che i suoi
gusti fossero oltremodo raffinati, né che gli intelletti superiori debbano
necessariamente accontentarsi di pane e burro, come nel caso del nostro bravo
amico; ma tali erano le sue esigenze, né importa stabilire se fossero elette o
meno. E dal momento che era Amelia a servirgliele, era disposto a bere tante
tazze di tè quante ne beveva solitamente il dottor Johnson.
Amelia, cogliendo in lui una siffatta propensione, lo incoraggiava ridendo;
e in effetti aveva un'espressione quasi ironica mentre gli somministrava una
tazza dopo l'altra. Ciò che peraltro ignorava era che il maggiore non aveva
pranzato, sebbene allo Slaughter's lo attendesse una tavola imbandita, con
tanto di cartello che diceva «riservato». Era proprio la tavola alla quale Dobbin
e George solevano sedere a bersi un goccio, al tempo in cui Amelia era una
giovinetta appena uscita dalla scuola di Miss Pinkerton.
La prima cosa che Mrs. Osborne mostrò al maggiore fu il ritratto in
miniatura di George, che corse a prendere al piano di sopra non appena furono
rincasati. Certamente suo figlio era molto più bello, ma non era stato un tratto
oltremodo gentile, da parte sua, il pensiero di recare in dono quel suo ritratto
alla madre? Nondimeno, per tutto il tempo che il padre rimase sveglio Amelia
parlò ben poco di George. Udir parlare di Mr. Osborne e di Russell Square non
era accetto al vecchio Sedley, che presumibilmente ignorava di vivere da vari
mesi in virtù delle sovvenzioni accordate dal suo facoltoso nemico, e dava in
smanie non appena udiva parlare di lui.
Dobbin gli riferì, infiorando un poco la realtà, tutto ciò che era avvenuto
a bordo del Ramchunder. Accentuò del pari l'assenta, 'benevola disposizione di
Jos nei confronti del padre, nonché la sua volontà di garantirgli una vecchiaia
agiata e serena. In verità, per tutto il tempo del viaggio il maggiore aveva
premuto presso l'amico onde estorcergli la promessa di provvedere alle
necessità materiali della sorella e del nipote. Era riuscito a sedare la collera di
Jos motivata dalle tratte che il padre aveva emesso a suo nome,
raccontandogli l'episodio, alquanto spassoso, del vino che il vecchio era riuscito
a rifilargli. Insomma, dal momento che Jos aveva un fondo di buon cuore, che
emergeva ogni qual volta si tentava di molcerlo e di adularlo un poco, lo aveva
indotto a coltivare pensieri benevoli nei riguardi dei suoi parenti che lo
attendevano in Europa.
E per concludere, mi vergogno di dover confessare che il maggiore
Dobbin spinse la sua edulcorazione della verità sino ad affermare che Jos si era
deciso a tornare in Europa sotto la spinta preminente del desiderio di rivedere
il vecchio genitore.
All'ora consueta Mr. Sedley cominciò a sonnecchiare sulla sedia, e Amelia
ne approfittò per dar corso alla conversazione con subitaneo trasporto,
parlando peraltro esclusivamente di Georgy. Non accennò nemmeno alla
sofferenza causatale dalla separazione, ancorché la sventurata ne avesse avuto
il cuore straziato, perché riteneva iniquo lagnarsene sotto il profilo personale.
Illustrò invece in ogni particolare le doti del ragazzo, le sue qualità morali, le
fauste prospettive per il suo futuro. Ne descrisse l'incantevole avvenenza e
indugiò a riferire innumerevoli, minuti episodi attinenti agli anni in cui aveva
vissuto con lei, volti a illustrare la squisita nobiltà d'animo del suo figliolo.
Raccontò come un giorno una duchessa appartenente alla famiglia reale si
fosse fermata ad ammirarlo ai Kensington Gardens, che ora veniva trattato
come un principe, che aveva un pony e uno staffiere, che era vivace e
oltremodo intelligente e che il suo insegnante, il reverendo Lawrence Veal, era
una persona estremamente affabile e dotata di eccezionale cultura. « Sa tutto, »
dichiarò Amelia, «e organizza dei piacevolissimi trattenimenti. Voi che siete
così istruito e intelligente, e avete letto tanti libri (no, non negate, non
scrollate il capo, lui me lo ripeteva sempre), senza dubbio apprezzerete le
serate in casa Veal. Sono sempre l'ultimo martedì del mese. Il reverendo
sostiene che Georgy può aspirare a qualsiasi carica, vuoi al parlamento, vuoi
nella magistratura. Guardate,» aggiunse poi, e Amelia si avvicinò al cassetto
del pianoforte, levandone un componimento letterario del figlio. Quel parto
eccelso della mente di George, tuttora in possesso di sua madre, risulta del
seguente tenore:
« Dell'egoismo. - Di tutti i vizi che degradano la personalità umana,
l'egoismo è il più odioso e meritevole di disprezzo. Un inconsulto amore per noi
stessi provoca delitti mostruosi e determina spaventose catastrofi nelle nazioni
come nelle famiglie. Come un uomo egoista è in grado di impoverire la sua
famiglia e talvolta condurla alla rovina, così un monarca egoista può provocare
la rovina del suo popolo e persino coinvolgerlo in una guerra. «Esempio:
l'egoismo di Achille, come ebbe ad osservare il poeta Omero, causò migliaia di
lutti ai greci: $ìõñß EÁ÷áéïsò Tëãå hèçêå$ (Omero, Iliade, A 2.) L'egoismo del
defunto Napoleone Buonaparte provocò innumerevoli conflitti in Europa e
determinò la stessa sua fine in una terra sperduta: l'Isola di Sant'Elena
nell'Oceano Atlantico.
«Da questi esempi possiamo dedurre che non dobbiamo preoccuparci
soltanto di soddisfare le nostre ambizioni e di perseguire i nostri interessi, ma
che dobbiamo tener conto degli interessi altrui non meno che dei nostri.»
George 8. Osborne
Athene House, 24 aprile 1827. »
«Guardate come scrive bene, alla sua età! È in grado persino di fare
citazioni in greco!» osservò la madre, al settimo cielo. «Ah, William,» aggiunse
poi, porgendo la mano al maggiore, «quale tesoro mi ha concesso il Cielo,
accordandomi quel ragazzo! È la consolazione della mia vita, è il ritratto di
lui... di lui che se n'è andato.»
«Dovrei forse sentirmi offeso del fatto ch'ella si serbi fedele al suo
ricordo?» pensava frattanto William. «Dovrei essere geloso di un amico che
giace in una tomba e risentirmi di constatare che un cuore come quello di
Amelia può amare una sola volta nella vita? Ahimè, George, conoscevi ben
poco la portata del bene che possedevi!» Tali, in effetti, erano i sentimenti che
si succedevano rapidi nella mente di Dobbin, mentre teneva tra le sue la mano
di lei ed Amelia si portava il fazzoletto agli occhi.
«Caro amico,» disse quest'ultima, stringendo la mano che teneva la sua,
«siete sempre stato così buono, così gentile con me! Ecco, papà si sta
svegliando. Domani andrete a trovare Georgy, vero?»
«No, domani non mi è possibile,» rispose il povero Dobbin, «ho molti
impegni.» Non voleva confessare che aveva trascurato di andare a trovare i
suoi genitori e sua sorella Ann: un ritardo che, ne sono certo, ogni persona
dabbene non esiterà a rimproverare al maggiore.
Poco dopo prese congedo, lasciando il suo indirizzo per Jos, che sarebbe
arrivato più tardi. E in tal modo il giorno si concluse. Era riuscito a vederla.
Quando ebbe raggiunto lo Slaughters, il fagiano arrosto era freddo, né
poteva essere altrimenti, ma lo mangiò lo stesso. Poi, ben sapendo come i suoi
familiari usassero ritirarsi molto presto, e che sarebbe stato inopportuno
turbare a quell'ora il loro sonno, il maggiore Dobbin sembra si sia concesso un
biglietto a metà prezzo al teatro Haymarket, ove auspichiamo si sia divertito.
LIX • IL VECCHIO PIANOFORTE
La visita del maggiore lasciò il vecchio John Sedley in uno stato di
eccitazione e di estrema inquietudine. Quella sera sua figlia non riuscì a indurlo
a dedicarsi ai soliti passatempi, alle consuete occupazioni. Trascorse la serata
rovistando nei cassetti, annaspando nel contenuto di vecchie scatole, slegando
rotoli di vecchie scartoffie, scegliendoli con mani tremanti e preparandoli in
modo che fossero pronti in vista dell'arrivo di Jos. Dispose in bell'ordine
ricevute, schedari, corrispondenza coi legali e con altri destinatari, per tacere
degli incartamenti relativi alla Società vinicola (fallita a causa di un evento del
tutto inopinato, dopo un esordio decisamente brillante), di quelli riguardanti la
Società carbonifera (andata in fumo per mancanza di capitali, quando invece si
era prospettata come l'affare più proficuo che si potesse proporre al pubblico),
del progetto inerente il Consorzio Segherie, e così via. Indugiò fino a tarda
notte a riordinare quei documenti, e vagava da una stanza all'altra reggendo
una flebile bugia nella mano tremante.
«Ecco i documenti che riguardano il vino, ecco quelli delle segherie, ecco
quelli dell'affare del carbone. E qui ci sono le mie lettere a Calcutta e a Madras,
e le risposte del maggiore Dobbin e di Mr. Jos Sedley. Non troverà niente di
irregolare, per quanto mi concerne, Emmy,» disse il vecchio.
Emmy sorrise. «Non credo che a Jos prema di vedere questi documenti,
papà,» rispose.
«Tu non t'intendi di affari, mia cara,» continuò il vecchio in tono di
sufficienza, scuotendo il capo. E invero bisogna confessare che Amelia di affari
non s'intendeva punto, mentre, ahimè, c'è molta gente che se ne intende fin
troppo. Dopo aver disposto con somma cura quei documenti su un lato del
tavolo, il vecchio Sedley li copri amorosamente con un fazzoletto di seta pulito
(uno di quelli inviati dal maggiore Dobbin), poi in tono oltremodo solenne
ingiunse alla domestica e alla padrona di casa di non toccare per nessun
motivo quelle carte, da lui approntate in vista dell'imminente arrivo di Mr.
Joseph Sedley, previsto per l'indomani mattina: «di Mr. Jos Sedley, della
Spettabile East India Company' Bengal Civil Service.»
Il mattino dopo Amelia lo trovò in piedi, levatosi più presto del consueto;
ed era più turbato, più ansioso, più inquieto che mai. «Ho stentato a prender
sonno, mia cara,» le disse. «Pensavo alla mia povera Bessy. Avrei voluto che
fosse ancora viva per poterla condurre una volta ancora sulla carrozza di Jos.
Un tempo anche lei aveva avuto una carrozza, che del resto le competeva di
diritto.» Gli occhi gli si colmarono di lacrime, che gli scorsero giù per le guance
rugose. Amelia gliele asciugò sorridendo, gli diede un bacio e gli fece un bel
nodo alla cravatta; poi gli appuntò una spilla sul davanti della camicia, e in
quella tenuta domenicale il vecchio si pose in attesa del figlio, ancorché fossero
le sei del mattino.
Ma quando giunse il postino, l'attesa della famigliola ebbe termine. Jos
aveva scritto una lettera alla sorella per avvisarla che, essendo assai provato
dal viaggio, aveva deciso di trattenersi a Southampton sino all'indomani, ma
che contava di arrivare egualmente entro la serata del giorno dopo, desideroso
com'era di riabbracciare i genitori. Amelia, che lesse ad alta voce la lettera a
suo padre, saltò queste ultime parole. Evidentemente il fratello ignorava
tuttora l'accaduto. E d'altronde, come avrebbe potuto esserne informato?
Infatti il maggiore, sospettando con pieno motivo che l'amico non si sarebbe
rimesso in viaggio entro ventiquattr'ore, e che avrebbe tirato in ballo qualche
scusa per rinviare la sua partenza, non gli aveva scritto per informarlo della
sventura che aveva colpito i Sedley. D'altronde aveva indugiato a conversare
con Amelia ben oltre l'ora della levata della posta.
Quella mattina stessa, allo Slaughter, Dobbin si vide consegnare una
lettera del suo amico, proveniente da Southampton. Jos si scusava col caro
Dobbin per essere andato in bestia quando lui lo aveva svegliato la mattina
innanzi (aveva un mal di capo da scoppiare e da poco era riuscito a prender
sonno).Nell'occasione lo pregava di fissare per sé e per la servitù delle comode
stanze allo Slaughter. Durante il viaggio il maggiore Dobbin era diventato
necessario a Jos, che ora non intendeva staccarsene. Quanto agli altri
passeggeri, erano tutti ripartiti alla volta di Londra. Quel giorno stesso il
giovane Ricketts e il piccolo Chaffers erano saliti sulla diligenza. Anzi, Ricketts
ne aveva assunto la guida, levando di mano le redini al postiglione. Il dottore
aveva raggiunto i familiari a Portsea. Bragg era andato in città a trovare i suoi
camerati, mentre il nostromo stava presiedendo alle operazioni di scarico delle
merci imbarcate sui Ramchunder. Pertanto Jos si trovò affatto privo di
compagnia, a Southampton, onde quel giorno si rassegnò a invitare il padrone
del George a bere un bicchier di vino con lui. In quello stesso momento il
maggiore sedeva a tavola con suo padre, Sir William, e sua sorella apprendeva
(posto che suo fratello non sapeva mentire) che era già stato in visita da Mrs.
Osborne.
Nella High Street di Southampton vi sono splendide sartorie, nonché
vetrine chiuse da cristalli lucenti nelle quali fan bella mostra di sé eleganti
panciotti d'ogni foggia, di seta o di velluto, d'oro e cremisi. E parimenti vi si
ammirano bellimbusti vestiti all'ultima moda, aitanti giovanotti in monocolo che
tengono per mano bimbi dagli occhi sgranati e dai riccioli fluenti e osservano
compiaciuti le signore che, abbigliate all'amazzone, cavalcano davanti alla
statua di Achille, ad Apsley House. Sebbene indossasse uno dei migliori
panciotti che potesse procurarsi a Calcutta, Jos ritenne di non potersi mettere
in viaggio per Londra senza essersi assicurato almeno due esemplari di quegli
stupendi capi di vestiario. La sua scelta cadde su di uno in raso cremisi
ricamato a farfalle d'oro, e su di un altro in velluto scozzese rosso e nero, con
righe bianche e collo rovesciato. Quest'ultimo, unitamente a una vistosa
cravatta in raso turchino e una spilla d'oro a foggia di cavaliere in smalto rosa
che saltava una staccionata, gli parve particolarmente idoneo ad essere
indossato per fare il suo ingresso nella capitale. In effetti l'antica timidezza di
Jos, la facilità con la quale arrossiva e la sua goffaggine avevano lasciato il
posto a una candida e serafica sicurezza di sé. «Non ho riluttanza a
riconoscerlo,» dichiarava Waterloo Sedley agli amici. «Sono un uomo che bada
al suo vestiario.» E sebbene non mancasse di provare un certo imbarazzo
quando, ai balli del governatore, si accorgeva di esser guardato dalle signore, e
avvampasse cercando di eclissarsi, il suo comportamento era dovuto
precipuamente al timore di esser fatto oggetto dei loro corteggiamenti, ch'egli
non intendeva incoraggiare perché drasticamente ostile al matrimonio. Eppure
mi è stato riferito che a Calcutta non c'era un damerino in grado di competere
con Waterloo Sedley. Egli faceva sfoggio di ogni sfarzo possibile, offriva pranzi
luculliani per soli scapoli, possedeva la più bella argenteria della città.
Confezionare i panciotti summenzionati a un uomo della sua taglia
richiedeva non meno di una giornata, e Jos impiegò parte di questo tempo
nella ricerca di un domestico per sé e per l'indigeno portato da Calcutta, nel
dare le disposizioni del caso all'agente incaricato di sdoganare il bagaglio più
ingombrante, le valigie, i libri che non leggeva affatto, le cassette di mango, di
chutney, di curry in polvere, gli scialli destinati a tramutarsi in regali a persone
che ancora non conosceva, e tutto il resto del suo Persicos apparatus.
Finalmente, il terzo giorno si decise a partire per Londra, sfoggiando il
suo panciotto nuovo di zecca. L'indiano se ne stava a cassetta, mezzo morto di
freddo, avvoltolato negli scialli. Accanto a lui sedeva il nuovo servitore
europeo, mentre Jos si fumava la pipa, e aveva un aspetto così solenne che i
monelli gridavano hurrah e molta gente fu indotta a ritenere che si trattasse
del Governatore Generale. Per parte mia posso assicurarvi che «lui» non
disdegnò di accogliere l'ossequioso invito a scendere dalla carrozza e a godersi
un rinfresco: invito che gli veniva rivolto dai locandieri dei leggiadri paeselli che
attraversavano lungo il percorso.
Giunto a Winchester, l'abbondante colazione che Jos aveva consumato a
Southampton, a base di riso, pesce e uova sode, era ormai del tutto digerita,
onde il nostro amico ritenne imprescindibile concedersi un bicchiere di sherry.
Ad Alton scese dal cocchio su richiesta del suo domestico e si bevve una birra,
specialità locale. A Farnham la sosta ebbe lo scopo di ammirare il Bishop's
Castle e di concedersi un parco asciolvere a base di cotolette di vitello e
fagiolini, annaffiati da una bottiglia di borgogna. A Bagshot Heath faceva un
freddo cane e l'indiano batteva i denti, cosicché parve ragionevole a Jos Sahib
mandar giù un bicchiere di brandy-and-water. A farla breve, quando arrivò a
Londra era pieno sino al collo di vino, birra, carne, sottaceti, cherry-brandy e
tabacco, come se fosse stato la stiva di una nave a vapore. Era ormai sera
quando la carrozza si fermò rumorosamente davanti alla porticina della casa di
Brompton, dove quel bravo ragazzo aveva deciso di far sosta prima ancora di
raggiungere lo Slaughter e la camera che il maggiore Dobbin aveva prenotato
per suo incarico.
Tutte le facce della strada erano alla finestra. La giovane cameriera si
affrettò al cancello, mentre le Mesdames Clapp spiavano dalle finestre dello
scantinato. Emmy, estremamente turbata, rimase in attesa nel piccolo
corridoio ingombro di cappotti e di cappelli, e il vecchio Sedley lo aspettò nel
salottino, scosso da un tremito in tutto il corpo. Jos, sorretto dal nuovo
domestico assunto a Southampton e dal povero indiano intirizzito il cui viso
bruno, reso livido dal freddo, si tinse ora del colore dei bargigli del tacchino,
scese solennemente dai due gradini traballanti della carrozza. La vista
dell'indiano nel corridoio d'ingresso produsse la più viva emozione nelle Clapp,
che erano risalite dallo scantinato, forse coll'intenzione di origliare all'uscio del
salotto. Videro infatti lo sventurato Loll Jewab seduto sulla cassapanca,
semisepolto dai cappotti, che gemeva da far pietà, roteando gli occhi giallastri
e mettendo in mostra la chiostra dei denti candidi.
Come potete constatare, ci è parso discreto chiuder la porta sull'incontro
tra Jos, il vecchio padre e la dolce, infelice sorella. Il vecchio era oltremodo
turbato, ma anche Emmy era commossa. Lo stesso Jos, del resto, non poté
reprimere una certa emozione. Dieci anni di lontananza da casa inducono
anche gli egoisti a ripensare con rimpianto agli affetti familiari e ai più antichi
legami, che la distanza rende sacri. Il ripensare senza posa alle gioie perdute
ne accentua il fascino e la dolcezza. Jos provava un sentimento di sincera
contentezza nel rivedere quel padre verso il quale a suo tempo si era sentito
alquanto tiepido, e parimenti fu lieto di ritrovare la sorella minore, che aveva
conosciuto serena e sorridente; ma al tempo stesso lo rattristò il contemplare i
mutamenti che il tempo, il dolore e la sventura avevano operato su quel
povero vecchio così provato. Emmy gli era mossa incontro sulla soglia di casa,
vestita a lutto, e gli aveva sussurrato all'orecchio la notizia della morte della
mamma, pregandolo al tempo stesso di non parlarne assolutamente al padre.
Ma quel monito era stato vano, perché subito il vecchio aveva preso a parlarne
senza indugio, piangendo da far pietà. Ciò valse a turbare non poco il nostro
amico anglo-indiano, inducendolo a pensare un po' meno a se stesso di quanto
non fosse solito fare.
È probabile che l'esito di quell'incontro sia stato abbastanza
soddisfacente, perché non appena Jos fu risalito sulla sua carrozza per
raggiungere l'albergo, Emmy gettò le braccia al collo del vecchio genitore e gli
chiese con aria di trionfo se non fosse vero che aveva sempre creduto nei
buoni sentimenti del fratello.
In effetti Joseph Sedley, profondamente commosso dalla condizione di
estrema indigenza in cui versavano i suoi familiari, e in preda all'esaltazione
emotiva suscitata in lui da quell'incontro, aveva dichiarato che non avrebbero
patito ulteriormente privazioni e disagi, e che, dato il suo proposito di
trattenersi in patria per un lasso di tempo abbastanza prolungato, durante quel
periodo si proponeva di convivere con loro, spartendo col padre e la sorella
ogni suo bene. Nella nuova casa Amelia avrebbe degnamente e
leggiadramente figurato a capotavola, sino al giorno in cui non avesse
posseduto una tavola e una casa tutta per sé.
Ella scosse mestamente il capo, e come sempre le accadeva si era sciolta
in lacrime. Sapeva perfettamente a quale ipotesi alludesse il fratello. La notte
successiva alla visita del maggiore aveva discusso a lungo di quel problema
insieme con la sua giovane confidente, Miss Mary. Il che, per l'esattezza, era
avvenuto quando Polly, incapace di celare la propria emozione, non aveva
saputo tenere occulta la sua scoperta, e si era diffusa a raccontare del sussulto
e del brivido gioioso col quale il maggiore Dobbin si era tradito quando Mr.
Binny era passato con la moglie, e di conseguenza aveva appreso che non
aveva motivo di temere un rivale. «Non vi siete accorta che ha avuto un
sussulto quando gli avete domandato se si fosse sposato e lui vi ha risposto:
«Chi vi ha raccontato queste menzogne? Ah, signora mia,» proseguì Polly,
«non vi ha mai levato gli occhi di dosso. Sono certa che gli sono venuti i capelli
grigi a forza di pensare a voi.»
Amelia, levando lo sguardo sopra il suo letto, ove erano appesi i ritratti
del marito e del figlio, ingiunse alla sua giovane protégée di non toccare mai
più quell'argomento. Mai più. Per nessuna ragione. Il maggiore Dobbin era
stato il miglior amico suo e di suo marito, e un ottimo tutore di suo figlio. Lei
gli era affezionata come a un fratello, ma quando una donna aveva avuto la
ventura di sposarsi con un angelo - e aveva additato la parete - non poteva in
alcun modo concepire l'ipotesi di una nuova unione coniugale. Polly sospirò.
Pensava a ciò che sarebbe stato di lei se mai fosse accaduto che morisse il
giovane Mr. Tomkins, che prestava la sua opera all'ambulatorio: quello che la
guardava sempre quando si recava in chiesa, e che, dardeggiandola con le sue
occhiate assassine, aveva turbato a tal punto il suo tenero cuore, da
predisporla a una resa subitanea. Sapeva che era tubercolotico: aveva le
guance, troppo accese e il torace eccessivamente scarno.
Non che Emmy, ormai informata della passione che per lei nutriva il
maggiore, gliene volesse o se ne sentisse offesa. Una siffatta fedeltà da parte
di un gentiluomo così probo e dabbene non avrebbe potuto indignare nessuna
donna. Desdemona non s'indignò mai contro Cassio, ancorché fosse
consapevole dell'inclinazione amorosa che il luogotenente provava per lei
(sebbene, a mio parere, quella funesta vicenda comportasse numerosi episodi
dei quali l'onesto condottiero moro non era minimamente informato). Anche
Muraanda si mostrava condiscendente con Calibano, e non v'ha dubbio che lo
fosse per lo stesso motivo. Ma ciò non significa ch'ella avesse mai incoraggiato
quel povero mostro primitivo. E per parte sua, nemmeno Emmy avrebbe mai
incoraggiato il suo spasimante. Gli accordava la stima e l'amicizia che la sua
devozione e fedeltà gli meritavano. Si proponeva di trattarlo con cordiale
schiettezza sino a quando lui non si fosse deciso a fare la sua proposta. Allora,
ma soltanto allora, lei avrebbe parlato, mettendo fine alle speranze ch'egli
coltivava in seno.
Pertanto quella sera, dopo la conversazione con Miss Polly, dormi
saporitamente, e nonostante il ritardo di Jos si sentì molto più serena del
consueto. «Sono contenta che non sposi quella Miss O'Dowd,» pensò. «È
impossibile che il colonnello O'Dowd abbia una sorella degna di unirsi a un
uomo colto come il maggiore William.» Quale persona appartenente alla
modesta cerchia delle sue conoscenze, poteva considerarsi degna di diventare
sua moglie? Miss Benny, forse? No, era troppo vecchia, e poi aveva un
carattere infame. Polly, per parte sua, era troppo giovane. Prima di
addormentarsi Mrs. Osborne non riuscì a trovare nessuna che si configurasse
come una moglie plausibile, per il maggiore Dobbin.
Jos si trovava perfettamente a suo agio a St. Martin's Lane, dove poteva
fumarsi tranquillamente il suo hookah, andarsene pomposamente a teatro ogni
qual volta gliene cogliesse il destro e senza nemmeno scomodarsi troppo:
tanto che probabilmente avrebbe deciso di non muoversi dallo Slaughter se il
suo amico il maggiore non avesse insistito incessantemente per indurlo a
mantenere la promessa di prendere una casa per Amelia e il padre. Jos non era
un uomo malleabile, ma Dobbin, quando agiva non nel proprio interesse ma in
quello altrui, manifestava un'energia insospettata. Pertanto il nostro
funzionario divenne facile preda delle arti ingenue poste in atto da questo
onesto diplomatico, onde Jos si mostrò subito disposto a fare, comprare,
affittare tutto ciò che l'amico gli diceva. Loll Jevab, che i ragazzi di St. Martin's
Lane facevano oggetto dei loro lazzi crudeli ogni qual volta osava mostrare per
la via la pelle scura del suo volto, venne imbarcato sul East Indiaman Lady
Kicklebury (del quale era comproprietario Sir William Dobbin) e rispedito a
Calcutta non appena ebbe insegnato al domestico inglese l'arte di cucinare il
curry e il pilaus, nonché di preparare le pipe. Poi Jos trovò motivo di
piacevolissimo svago nel sovrintendere alla fabbricazione di una carrozza che
lui e il maggiore avevano ordinato nelle immediate vicinanze, a Long Acre.
Dopo di che un paio di splendidi destrieri vennero attaccati al cocchio nuovo di
zecca, e Jos si compiaceva di guidarli pomposamente per i viali di Hyde Park,
oppure quando si recava in visita dai suoi amici della Compagnia delle Indie.
Non di rado Amelia era, ospite della carrozza in questione. In tali circostanze
prendeva posto accanto al fratello, mentre il maggiore Dobbin occupava il
sedile posteriore. Talvolta invece se ne servivano Amelia, Mr. Sedley e Miss
Clapp, che gradiva di accompagnare la sua amica avvolta nel suo scialle giallo,
ed era tanto più lieta di passare davanti all'ambulatorio esponendosi allo
sguardo ammirato del giovane assistente, del quale intravedeva il volto oltre il
vetro della finestra, al di sopra delle tendine.
Poco dopo la prima visita di Jos a Brompton, nell'umile casa nella quale i
Sedley avevano abitato per dieci lunghi anni si era svolta una scena oltremodo
penosa. Un giorno la carrozza di Jos (una carrozza a noleggio, dal momento
che quella personale era ancora in fabbricazione) si era fermata davanti alla
porta di casa in attesa del vecchio Sedley e di sua figlia. Vi salivano per non far
ritorno. Quel giorno la padrona di casa e sua figlia versarono molte lacrime,
non meno sincere di tutte le lacrime che sono state versate nel corso di questa
storia. Durante il tempo in cui aveva preso corpo la loro conoscenza e la loro
amicizia, le due donne non rammentavano di aver udito una sola parola
collerica da parte di Amelia. Si era sempre mostrata gentile e remissiva anche
quando Mrs. Clapp aveva qualche scatto d'impazienza e insisteva per
riscuotere la pigione. Ora che quella persona così soave lasciava la casa per
sempre, la padrona di casa provava rimorso per aver usato qualche
espressione scortese nei suoi riguardi, e pianse nell'appendere alla finestra un
cartello col quale s'informava che quelle stanzette, dopo esser state occupate
per tanto tempo, erano nuovamente da affittare! Non avrebbero più avuto
affittuari simili, questo era poco ma sicuro. Nel tempo che seguì questa amara
profezia si confermò per vera, e Mrs. Clapp si vendicò del fatto che l'umanità si
presentasse ora in termini così poco lusinghieri esigendo un prezzo esorbitante
sul tè e sui cosciotti di montone che ammanniva ai suoi locataires. Molti si
lamentavano in continuazione, altri non pagavano, la maggioranza se ne
andava quasi subito. La padrona aveva pieno motivo di rimpiangere i suoi
vecchi, cari amici che se n'erano andati.
In quanto a Miss Mary, tale fu il dolore per la partenza di Amelia che non
tento nemmeno di descriverlo. Sin dalla sua infanzia si era abituata a
trascorrere giornalmente parte del suo tempo con lei, ed era legata a quella
cara, buona signora da un vincolo di affetto così tenace, che quando la
carrozza venne a prenderla svenne tra le braccia di lei, che non era meno
turbata. Amelia l'amava come fosse stata sua figlia. Per undici anni le era stata
amica e confidente, e la separazione le riuscì oltremodo dolorosa. Inutile dire
che furono presi gli accordi del caso, affinché Mary si recasse sovente nella
nuova, grande casa in cui Mrs. Osborne si accingeva a stabilirsi, dove Mary era
certa non sarebbe stata felice quanto lo era stata in quell'umilissimo ricetto,
com'ella diceva facendo proprio il linguaggio dei romanzi che costituivano la
sua lettura preferita.
Auguriamoci che non avesse ragione. In verità Emmy aveva trascorso
ben pochi giorni felici nell'«umilissimo ricetto». Un funesto destino l'aveva
afflitta, nel corso di quegli anni. Lo dimostra il fatto che non provò mai il
desiderio di far ritorno in quella casa, e parimenti di rivedere la padrona, che
l'aveva trattata sgarbatamente ogni qual volta il pagamento dell'affitto
tardava, o che per contro l'abbordava con offensiva confidenza allorché aveva
ottenuto il denaro che le spettava. Il servilismo e la smodata adulazione che le
tributava, ora che la famiglia aveva ritrovato il benessere economico,
riuscivano ad Emmy tutt'altro che graditi. Ogni nuova suppellettile che
entrasse nella casa era salutata da Mrs. Clapp con grida di giubilo ammirato;
magnificava la bellezza dei mobili, tastava il tessuto degli abiti nuovi di Mrs.
Osborne e s'ingegnava di indovinarne il prezzo. Giurava e protestava che
niente era abbastanza bello, per una signora così buona. Ma nella volgare
sicofante che ora si profondeva in smancerie Emmy non cessava di vedere la
rozza tiranna che tante volte aveva dovuto supplicare per ottenere una proroga
quando non era in grado di pagare l'affitto, che l'aveva tacciata di essere una
scialacquatrice quando comprava qualcosa per il padre o per la madre
ammalati, che l'aveva colpita senza misericordia quando lei era bisognosa e
inerme.
Tutti ignoravano le pene che la sorte aveva inflitto a quella sventurata.
Le aveva tenute nascoste al padre, che a causa della sua sventatezza le aveva
dato tanti motivi di infelicità. Aveva dovuto sopportare anche il biasimo altrui
per le sciocchezze ch'egli aveva commesso. Si sarebbe detto che il destino le
avesse assegnato il ruolo della vittima perpetua.
Spero che non debba più soffrire le conseguenze di siffatte angherie. E
dal momento che, a quanto si dice, ogni dolore ha diritto alla sua consolazione,
diremo tra parentesi come la povera Mary, colpita da un attacco isterico a
causa del distacco dall'amica, venisse trasportata all'ambulatorio ove ben
presto si riprese grazie alle cure prestatele dall'assistente.
Emmy, nell'atto di andarsene da Brompton, lasciò a Mary tutta la mobilia
di casa. Portò con sé solamente i ritratti che teneva appesi sopra il letto, e il
piccolo pianoforte che ormai emetteva solo un flebile lamento, e al quale era
affezionata per segrete ragioni. Era ancora una bambina quando lo aveva
suonato per l'ultima volta. Glielo avevano regalato i suoi genitori. Poi le era
stato donato una seconda volta (forse il lettore se ne ricorderà) quando la casa
di suo padre era andata in rovina e lo strumento era stato salvato dal
naufragio.
Il maggiore Dobbin, che presiedeva alla sistemazione della casa di Jos,
insistendo che fosse comoda ed elegante, fu oltremodo lieto di constatare che,
sul carro col quale giungevano i bauli e le valigie degli emigranti da Brompton,
ci fosse anche quel vecchio strumento musicale. Amelia manifestò il desiderio
di collocarlo nel suo salottino, una bella camera al secondo piano, che si apriva
di fianco alla stanza del padre, ove il vecchio per lo più trascorreva le sue
serate.
Quando comparvero gli uomini che trasportavano il pianoforte e Amelia
diede disposizione affinché venisse collocato nel suo salotto, Dobbin si sentì
traboccare di gioia. «Sono contento che abbiate voluto conservarlo,» disse.
«Credevo che non ve ne importasse nulla.»
«Mi è più caro di qualsiasi cosa al mondo,» rispose Amelia.
«Davvero, Amelia?» esclamò il maggiore. Il fatto è che lo aveva
acquistato di persona, sebbene non lo avesse mai detto a chicchessia, e non
aveva mai pensato che Emmy lo potesse ritenere acquistato da qualcun altro.
Era certo che ella sapesse da chi veniva quel dono. «Davvero, Amelia?» ripeté;
e già la domanda, la più importante di ogni altra, gli tremava sulle labbra,
quando Emmy rispose:
«E come potrebbe essere altrimenti? È stato lui a regalarmelo.»
Lì per lì Emmy non diede importanza alcuna alla cosa, né si accorse
dell'espressione desolata che aveva assunto il povero maggiore, ma più tardi
ebbe agio di ripensarvi. Allora comprese, e il pensiero che fosse stato William a
scegliere per lei quel dono, e non George com'ella aveva sempre creduto, le
colmò il cuore di un sentimento di pietà e di mortificazione. Dunque non era un
dono di George - l'unico dono che avesse ricevuto dal suo innamorato, o che
aveva creduto di aver ricevuto - quell'oggetto ch'ella aveva amato più d'ogni
altra cosa, quel prezioso ricordo, quell'amata e venerata reliquia. Quante volte
gli aveva parlato di George, quante volte aveva suonato su quella tastiera le
canzoni ch'egli prediligeva! Vi aveva trascorso ore ed ore, la sera, suonando
alla bell'e meglio melanconiche melodie e spargendo lacrime silenziose. Ed
ecco: il pianoforte aveva cessato di essere un ricordo di George. Ai suoi occhi
aveva cessato di rivestire qualsiasi valore. Quando il vecchio padre le chiese di
suonare, lei protestò di avere il mal di testa. Il piano era troppo scordato,
disse, e poi era troppo stanca, non se la sentiva proprio.
Poi, secondo la sua natura, si rimproverò la sua goffa ingratitudine, e
decise di scusarsi con William per esser stata scortese verso di lui: non
direttamente, ma spregiando il suo pianoforte. Qualche giorno dopo, mentre
sedevano nel salottino ove Jos a conclusione del pranzo si era placidamente
addormentato, Amelia si rivolse al maggiore e con voce tremante gli disse:
«Debbo rivolgervi le mie scuse...»
«E perché mai?» domandò il suo interlocutore.
«Per via.., per via del pianoforte. Tanti anni fa, quando me lo avete dato,
non avevo ritenuto di ringraziarvi. Credevo che il dono mi fosse inviato da... da
un'altra persona. Vi ringrazio, caro William.» E Amelia gli prese la mano, ma il
cuore le sanguinava, mentre dagli occhi, secondo il suo naturale, le lacrime
sgorgavano copiose.
Allora William non resse più. «Sì, Amelia,» disse. «Sì, sono io che l'ho
comprato. Vi amavo allora come vi amo ancor oggi. Ormai non posso tacervelo
oltre. Credo di avervi amata dal primo momento che vi ho vista, quando
George mi portò a casa vostra per farmi conoscere la sua fidanzata. Eravate
solo una ragazzina, una giovinetta in abito bianco coi capelli sciolti sulle spalle.
Vi ricordate? Siete scesa dalle scale cantando, e insieme siamo stati a
Vauxhall. Da quel giorno io non ho potuto pensare ad altra donna. Ogni mio
pensiero è stato solo per voi. Credo che in tutti questi anni non sia trascorsa
un'ora senza che il mio pensiero non sia corso a voi. Ero venuto per dirvelo
prima della mia partenza per l'India, ma a voi di me non importava nulla e a
me è mancato il coraggio di parlare. A voi non importava ch'io restassi o
partissi...»
«Sono stata un'ingrata,» disse Amelia.
«No, non ingrata. Solo indifferente,» rispose Dobbin con accento
disperato. «Io non ho nulla che possa suscitare sentimenti amorosi in un cuore
femminile. So cosa provate in questo istante. Vi ha ferito l'apprendere che il
pianoforte vi era stato donato da me e non da George. Io non ho riflettuto,
altrimenti non avrei osato parlarvene... Sono io che debbo chiedervi perdono:
perdono di aver pensato che dieci anni di amorosa devozione significassero
qualcosa, per voi!»
«Non siate crudele, ve ne prego,» lo interruppe Amelia con improvviso
vigore. «George è mio marito. Lo è stato in vita e lo è adesso, in cielo. Chi mai
potrei amare al difuori di lui? Sono sua, William: lo sono oggi come lo ero il
giorno in cui mi avete conosciuta. È stato lui a dirmi quanto foste buono e
generoso; è stato lui a insegnarmi a volervi bene come a un fratello. Siete
stato tutto, per me e per mio figlio. Siete stato il nostro protettore, il nostro
generoso amico. Se foste giunto qualche mese prima, forse avreste potuto
risparmiarmi quella... quella terribile separazione. Ho creduto di non
sopravvivere, caro William. Ma voi non c'eravate, e invano ho invocato dal
Cielo il vostro arrivo! E loro me lo hanno portato via. Non è un ragazzo
eccezionale, William? Continuate, ve ne prego, ad essergli amico, e siate anche
amico mio.» Qui le si spezzò la voce, ed ella nascose il volto nella sua spalla.
Il maggiore la cinse con un braccio, la strinse a sé come fosse stata una
bimba e le depose un bacio sui capelli. «I miei sentimenti non muteranno mai,
cara Amelia,» disse. «Non chiedo altro che il vostro affetto. Credo, anzi, di non
desiderare di più. Lasciate solo ch'io vi resti accanto e che abbia modo di
vedervi spesso.»
«Sì, spesso,» rispose Amelia. Fu così che William ebbe il permesso di
guardare e di struggersi senza speranza, come un povero scolaretto senza un
soldo che sospiri invano davanti a un vassoio carico di dolciumi.
LX • RITORNO NELL'ALTA SOCIETÀ
Ed ecco, dunque, che la fortuna riprende a sorridere ad Amelia. Siamo
ben lieti di sottrarla all'umile sfera sociale nella quale sino a questo momento è
stata forzatamente relegata, e di introdurla di bel nuovo in una cerchia di
persone con le carte in regola: un mondo meno elegante e selezionato di
quello al quale aveva avuto accesso un'altra nostra amica, Mrs. Becky, ma non
privo per questo di pretese di nobiltà e distinzione. Gli amici di Jos provenivano
tutti dai tre governatorati delle Indie, e la sua nuova casa era situata in un
piacevole quartiere anglo-indiano della capitale, il cui centro era costituito da
Moira Place. Minto Square, Great Clive Street, Warren Street, Hastings Street,
Ochterlony Place, Plassy Square, Assaye Terrace (nel 1827 la felice
denominazione di «Gardens» non era stata ancora adottata, per designare le
case rivestite di stucco con la facciata munita di una terrazza pavimentata ad
asfalto): chi non conosce le degne magioni dell'aristocrazia anglo-indiana in
pensione, in una parola un quartiere che Mr. Wenham chiama il Buco Nero? La
posizione sociale di Jos non era abbastanza eletta da consentirgli di abitare in
Moira Place, dove hanno il diritto di risiedere solo i membri del Consiglio in
pensione, oppure i soci di qualche società indiana che si sono ritirati a vita
privata dopo aver depositato in banca almeno centomila sterline al nome delle
loro consorti, per poi trascorrere il resto della loro vita in campagna fruendo di
una rendita di sole quattromila sterline annue. Pertanto prese in affitto una
casa in Gillespie Street, comoda ma di minor pretesa. Dopo di che comperò i
tappeti, le specchiere e la preziosa mobilia, disegnata da Seddons, dai curatori
del fallimento di Mr. Scape, che qualche tempo prima era stato associato alla
Fogle, Fake & Cracksman, un illustre istituto bancario di Calcutta, nella quale lo
sventurato aveva investito la somma di settantamila sterline (i risparmi di una
vita di lavoro) subentrando a Fake che si era ritirato in una sfarzosa residenza
nel Sussex (già da tempo i Fogle si erano staccati dalla banca, ed oggi Sir
Horace Fogle è prossimo a figurare nell'almanacco di Gotha della nobiltà
inglese col nome di barone Bandanna). Pertanto Scape era entrato a far parte
della banca Fogle & Fake due anni prima che la stessa andasse in bancarotta
per un milione di sterline, rovinando letteralmente almeno metà della sua
clientela indiana.
Il povero Scape, rovinato, all'età di sessantacinque anni andò a Calcutta
col cuore spezzato, onde assestare gli affari della banca. Walter Scape fu
costretto a lasciare Eton e a impiegarsi come commesso da un commerciante.
Quanto a Florence e a Fanny Scape, partirono alla volta di Boulogne assieme
alla madre, e di loro non si ebbe più notizia. Per farla breve, Jos affittò la casa
di Scape, ne comprò i mobili e i tappeti e si pavoneggiò negli specchi che in
passato avevano riflesso le leggiadre sembianze di Miss Florence e di Miss
Fanny. I fornitori degli Scape, tutti regolarmente tacitati, si presentarono e
lasciarono i loro biglietti da visita, speranzosi di annoverare tra la loro clientela
i nuovi occupanti della casa. Tutti, dagli erbivendoli, ai lattivendoli, ai fattorini
di banca, ai camerieri in panciotto bianco che prestavano servizio in casa
Scape in occasione di pranzi e ricevimenti, lasciarono il loro indirizzo e
cercarono d'ingraziarsi il maggiordomo. Mr. Chumny, lo spazzacamino, che
aveva spazzato i camini ad uso delle ultime tre famiglie che si erano succedute
in quella casa, tentò anch'egli di entrare nelle grazie del maggiordomo e del di
lui giannizzero, le cui mansioni consistevano nell'uscire, tutto bottoni e calzoni
a strisce, a proteggere Mrs. Amelia ogni qual volta costei voleva andare a
passeggio.
L'andamento di casa era sostanzialmente modesto. Il maggiordomo
fungeva anche da domestico personale di Jos, e comunque evitava di
ubriacarsi oltre i limiti tollerabili da parte di un maggiordomo al servizio di una
famiglia di contenute esigenze, un maggiordomo che rispetta doverosamente il
vino del suo padrone. Emmy per parte sua fruiva dei servigi offertile da una
cameriera nata e cresciuta nei possedimenti suburbani di Sir William Dobbin.
Questa brava ragazza soggiogò col suo garbo e la sua umiltà Mrs. Osborne,
che sul momento era rimasta sconcertata all'idea di disporre di una cameriera
personale. In effetti non sapeva assolutamente che farsene ed era solita
rivolgersi al personale di servizio nel tono più reverente e affabile. Tuttavia la
cameriera in questione si rivelò di preziosissimo aiuto, assistendo con molto
zelo il vecchio Sedley, sempre più incline a restar chiuso nella sua stanza e
ostile a prender parte alle allegre riunioni che si svolgevano negli altri locali
della casa.
Ora Mrs. Osborne riceveva moltissime visite. Lady Dobbin e le sue figlie
erano felicissime che le sue condizioni economiche avessero subito un tale
miglioramento, ed erano frequentemente sue ospiti. Anche Miss Osborne la
veniva a trovare da Russell Square, a bordo della vistosa carrozza adorna di
gualdrappe scarlatte che recavano ricamato lo stemma gentilizio dei Leeds.
Correva voce che Jos fosse immensamente ricco. Per parte sua il vecchio
Osborne non obiettava all'ipotesi che Georgy, oltre alla sua, ereditasse le
sostanze dello zio. «Dannazione, di quel ragazzo faremo un vero uomo,»
diceva. «Prima di morire lo voglio vedere in Parlamento. Va' pure a trovar sua
madre, Miss O. Io mi rifiuto di vederla, ma tu valla a trovare quando vuoi.»
Così Miss Osborne ci andò. Emmy, È facile immaginarlo, fu molto lieta di
vederla, e in tal modo di avvicinarsi a Georgy. Ora il ragazzo aveva il permesso
di vedere sua madre più sovente di prima. Due o tre volte la settimana si
recava a pranzo in Gillespie Street, ove esercitava la sua autorità sui familiari e
sulla servitù, né più né meno come faceva in Russell Square.
Tuttavia il suo atteggiamento nei confronti del maggiore Dobbin era
sempre improntato al massimo rispetto. Il suo comportamento, quand'egli era
presente, era sempre molto più controllato. Georgy non poteva non
riconoscere, ammirato, la semplicità del suo amico, il suo buon umore, il suo
modo semplice e franco d'impartirgli degli insegnamenti, il suo amore
incondizionato per la verità e la giustizia. Nel corso della sua breve esistenza
non aveva conosciuto uomini che gli somigliassero, e provava, per il nostro
amico, un sentimento di simpatia istintiva. Amava indugiare affettuosamente al
fianco del suo padrino, ed era lietissimo di passeggiare con lui ai parchi
pubblici, di ascoltare le sue parole. William gli parlava del padre, dell'India, di
Waterloo, di ogni sorta di argomenti: mai di se stesso. Se poi accadeva che
George si mostrasse più albagioso e impertinente del solito, il maggiore si
burlava benevolmente di lui, cosa che Mrs. Osborne reputava oltremodo
crudele. Un giorno lo aveva portato a teatro, e il ragazzo si era rifiutato di
andare in platea giudicandola una cosa disdicevole. Al che il maggiore gli aveva
comprato un ingresso ai palchi e lui se n'era stato tranquillamente in platea;
ma dopo poco aveva sentito un braccio passare sotto il suo e una piccola mano
guantata che glielo stringeva. George aveva compreso l'assurdità del suo
atteggiamento ed era disceso dall'olimpo. Al che un tenero sorriso aveva
illuminato gli occhi e il viso di Dobbin, mentre contemplava il piccolo figliuol
prodigo pentito. Amava il ragazzo, poiché amava tutto ciò che apparteneva alla
madre, la quale fu lietissima di apprendere quest'altra attestazione della bontà
del figlio. I suoi occhi si posarono su Dobbin con un sentimento di affetto più
intenso di quello che avessero mai saputo esprimere, ed egli ebbe la
sensazione che quella volta, guardandolo, lei arrossisse.
Georgy non si stancava mai di parlare del maggiore alla madre in termini
del più alto elogio. » Mi piace, mamma, perché sa tante cose. Non è come il
vecchio Veal che si dà tante arie e parla in quel modo così prolisso e
complicato! I ragazzi lo chiamano "Codalunga", sono stato io ad affibbiargli
quel soprannome, sai? Non ti sembra molto azzeccato? Ma Dob legge il latino
come l'inglese. E sa anche il francese e tutto il resto. E quando andiamo a
spasso insieme, mi parla sempre di mio padre. Di sé non parla mai. Io, però, in
casa del nonno, ho udito il colonnello Buckler dire che è un ufficiale molto
coraggioso, uno dei migliori dell'esercito, e che più volte ha avuto occasione di
distinguersi. Il nonno ha detto: Quel tipo là? Puah! Avrei giurato che non
sapesse far paura a una gallina! Io invece sono certo che saprebbe farle paura,
nevvero mamma?»
Emmy rise. Sì, era certa che il maggiore avrebbe saputo assolvere
degnamente a quell'impresa.
Se tra George e il maggiore si era concretato un sentimento di così viva
simpatia, occorre ammettere che tra lui e lo zio non correva buon sangue.
Georgy gonfiava le gote, s'infilava i pollici nel panciotto ed esclamava: «Perdio,
non direte mica sul serio!» In altre parole, imitava Jos in un modo così buffo e
parlante, che tutti scoppiavano a ridere. Durante i pasti i domestici non
riuscivano a trattenere le risate quand'egli sollecitava qualcosa che mancava
dalla tavola usando il tono e il frasario dello zio. Persino Dobbin non riusciva a
trattenersi davanti alla mimica del ragazzo, ed era solo in virtù dei moniti del
maggiore e delle supplici esortazioni della madre che George si tratteneva dal
rifare il verso allo zio anche in sua presenza. Per parte sua il degno funzionario
era così turbato all'idea che il ragazzo usasse dileggiano e lo reputasse un
perfetto imbecille, da nutrire nei confronti di Master Georgy una forma di
soggezione inconsulta, che lo induceva ad assumere in sua presenza un tono
ancor più pomposo e reboante. Quando apprendeva che il ragazzo era atteso
in Gillespie Street, per pranzare con la madre, Mr. Jos annunciava
regolarmente di avere un impegno al circolo. Forse nessuno rimpiangeva molto
la sua assenza. In quelle occasioni solitamente il vecchio Sedley veniva indotto
ad abbandonare il suo rifugio ai piani superiori. Dopo di che aveva luogo una
sorta di festicciola in famiglia, cui il maggiore Dobbin presenziava sempre. Egli
era l'ami de la maison: l'amico di Mr. Sedley, l'amico di Emmy, l'amico di
Georgy, il consigliere personale di Jos. «Lo vediamo così di rado,» commentava
Miss Ann Dobbin a Camberwell, «che tanto varrebbe saperlo a Madras.» Mio
Dio, Miss Ann! Come non vi veniva in mente che non eravate voi la donna che
il maggiore intendeva sposare?
Per parte sua, Joseph Sedley conduceva un'esistenza basata su una
dignitosa inerzia, come si addiceva a una persona del suo rango e del suo
censo. Al sommo delle sue ambizioni si collocava l'aspirazione a diventare socio
dell'«Oriental Club», ove egli trascorreva le mattinate in compagnia dei suoi
colleghi della Compagnia delle Indie. Quivi altresì cenava e trovava gli amici
che poi invitava a pranzo a casa sua.
Ad Amelia spettava il compito di ricevere e intrattenere questi amici,
nonché le loro consorti. Da loro apprendeva quanto tempo avrebbe dovuto
pazientare Smith prima di riuscire ad entrare nel Consiglio; quanti lacs di rupie
Jones aveva portato con sé lasciando le Indie, come la Thomson House di
Londra si fosse rifiutata di accettare certe tratte emesse dalla Thomson,
Kibobjie & C. di Bombay; quali motivi inducevano a sospettare che anche la
banca di Calcutta fosse candidata al fallimento; quanto fosse stato avventato,
a dir poco, il contegno di Mrs. Brown (la moglie di quel Brown delle
Ahmednuggur Irregulars) con il giovane Swankey della Body Guard, quando
era rimasta sul ponte assieme a lui fino ad ora avanzata, dopo di che si era
dileguata proprio mentre il piroscafo stava doppiando il Capo; come Mrs.
Hardyman avesse convocato in India le sue tredici sorelle, figlie di un curato di
campagna, il rev. Rabbitts, riuscendo a sposarne undici, sette delle quali in
modo particolarmente vantaggioso dal momento che i mariti in questione
erano tutti alti funzionari; e che Hornby era fuori di sé per la rabbia giacché la
moglie non voleva saperne di andarsene dall'Europa, e che Trotter era stato
nominato esattore delle imposte a Ummerapoora. Siffatti discorsi, o altri dello
stesso genere, animavano le cene allestite nella casa dell'uno o dell'altro.
Dicevano tutti le stesse cose, così come usavano le stesse posate d'argento e
mangiavano le stesse entrées, gli stessi cosciotti di montone, lo stesso
tacchino bollito. La politica saltava fuori al dessert, non appena le signore si
ritiravano al piano di sopra per parlare dei loro malesseri e dei loro bambini.
Mutato nomine, le cose son le stesse sempre ed ovunque. Di cosa
parlano le mogli degli avvocati se non della Corte di Giustizia? E le mogli degli
ufficiali di che parlano se non delle beghe del reggimento? E le mogli dei curati
non cianciano forse della scuola di catechismo e di chi svolge una mansione
che invece competerebbe a un altro? E le signore d'alto bordo non parlano
forse in esclusiva della ristretta cerchia di privilegiati cui di fatto appartengono?
Perché dunque i nostri amici anglo-indiani non avrebbero dovuto disporre di un
argomento di conversazione a loro uso e consumo? Ciò non toglie, peraltro,
che starsene seduti ad ascoltarli sia alquanto uggioso, per chi non appartenga
a quell'accolita.
Nel giro di poco tempo Emmy ebbe il suo carnet di visite, e si vide
costretta ad uscire regolarmente in carrozza per recarsi da Lady Bludyer
(moglie del maggiore generale Sir Roger Bludyer K.C.B. dell'Armata del
Bengala), da Lady Huff, moglie di Sir Huff, di Bombay (vedi sopra), da Mrs.
Pice, moglie del direttore Mr. Pice, e così via. Basta poco a cambiar lo stile di
vita di una persona. Ogni giorno la carrozza giungeva in Gillespie Street, il
ragazzo onusto di bottoni balzava su e giù dal veicolo ogni qual volta si
fermavano davanti all'abitazione di qualcuno e consegnava i biglietti da visita
di Amelia e di Jos. Nel pomeriggio Emmy passava a prendere il fratello al
circolo e insieme facevano un giro in carrozza, oppure portava il vecchio
genitore a Regent's Park. Ben presto la cameriera personale, il groom dai
bottoni lucenti, il carnet delle visite ed ogni altra cosa divennero un connotato
abituale della vita di Emmy, a lei familiari come lo era stata la sua misera vita
a Brompton. Si adattò a questa vita come aveva accettato l'altra. Se il fato
avesse voluto far di lei una duchessa, si sarebbe assoggettata anche a quel
compito. Nella cerchia femminile delle signore amiche di Jos veniva giudicata
una persona simpatica: non una cima d'intelligenza ma comunque gradevole, e
così via.
Agli uomini, per contro, non mancava mai di piacere, per la sua cortesia
semplice e spontanea e per il tratto naturalmente garbato. I giovani dandies di
stanza in India che trascorrevano una licenza a Londra - bellimbusti senza
confronti, in favoriti e mustacchi, del genere che guida le carrozze a pazza
velocità, bazzica per i teatri, alloggia negli alberghi del West End - la facevano
oggetto del loro ammirato ossequio e s'inchinavano a salutarla quand'ella
passava in carrozza per Hyde Park, oppure sollecitavano l'onore di poterle far
visita nella mattinata. Persino Swankey della Body Guard, quel giovane
perniciosamente maliardo, il più brillante fra gli ufficiali dell'Armata delle Indie
attualmente in licenza, venne un giorno scoperto en tête-à-tête con Amelia,
mentre le descriveva in termini oltremodo vivaci e spiritosi l'arte di dar la
caccia al cinghiale. Da quel giorno il nostro dandy prese a riferire di un dannato
ufficiale di Sua Maestà che ciondolava in permanenza per la casa di Amelia: un
tipo alto, secco, non troppo giovane ormai e anche abbastanza comico.
Comunque, decisamente poco socievole e molto parco nella conversazione.
Se il maggiore avesse avuto un briciolo di vanità personale, sarebbe
stato geloso di quel giovane capitano del Bengala, così affascinante e
ammaliatore. Ma Dobbin era troppo semplice e troppo schietto per alimentare
sospetti sulla lealtà di Amelia. Anzi, si compiaceva che uomini più giovani di lui
la facessero oggetto del loro ammirato omaggio. Non era forse vero che, da
quando era diventata donna, tutti l'avevano conculcata e screditata? Lo
rallegrava il constatare che la cortesia dalla quale era circondata valeva ad
esaltare le sue doti innate, e che il suo umore migliorava a mano a mano che
ella fruiva della ritrovata prosperità finanziaria. Ogni persona che mostrasse di
apprezzarla convalidava il giudizio positivo del maggiore, se si può parlare di»
giudizio» nel caso di un uomo che soffre di mal d'amore.
Dopo essersi presentato a Palazzo, un dovere al quale un leale suddito
della Corona come lui non poteva non sottostare (era andato al circolo in uno
sfarzoso abito da cerimonia indossato appunto per l'occasione, e quivi il
maggiore Dobbin, nella vecchia uniforme, era passato a prenderlo), Jos Sedley
divenne, da devoto lealista e ammiratore di Giorgio IV, un tory così fanatico,
un tale pilastro dello Stato, da esigere che anche Amelia andasse a Corte. Non
si sa per quali motivi, ma sta di fatto che si era ficcato in testa di essere
investito personalmente delle responsabilità attinenti il pubblico benessere, e
che il sovrano non avrebbe potuto aspirare alla felicità se Jos Sedley e i suoi
familiari non avessero fatto ressa festosa intorno alla sua persona nella reggia
di St. James.
Emmy rideva. «Debbo mettermi i gioielli di famiglia, Jos?» chiese al
fratello.
«Ah, vorrei proprio che voi mi permetteste di comprarvene,» pensava il
maggiore. «Dubito che ve ne siano di abbastanza belli per adornarvi.»
LXI • DUE LUCI SI ESTINGUONO
Poi venne il giorno in cui i decorosi piaceri che i Sedley si concedevano
subirono un'interruzione a causa di uno di quegli eventi che si verificano in
quasi tutte le famiglie. Può darsi che, salendo le scale per recarvi dal salotto
alle stanze da letto abbiate notato la presenza di un archetto che si apre nella
parete dinnanzi a voi e dà luce alla scala tra il secondo e il terzo piano (ove
solitamente sono situate le camere dei bambini e del personale di servizio). Ma
quel piccolo arco è destinato altresì a un altro uso, sul quale i becchini sono in
grado di rendervi edotti. Costoro infatti se ne servono per posarvi la bara o per
passarvi sotto senza importunare il gelido dormiente ch'essa accoglie.
Quell'arco al secondo piano di qualsiasi casa londinese, che guarda su e
giù nel pozzo delle scale e domina la via principale lungo la quale transitano gli
abitanti della magione; quell'arco giù dal quale, di prima mattina, scende
svogliata la cuoca per andarsene a lucidare pentole e vasellame in cucina;
sotto il quale passa, verso l'alba, il giovin padrone dopo avere abbandonato gli
stivali nell'atrio, reduce da una gaia bisboccia al circolo; dal quale discende la
giovine fanciulla, bellissima e splendente, tutto un fruscio di mussola e di nastri
nuovi, pronta a recarsi a un ballo ed a farvi le sue conquiste; quell'arco lungo il
quale scivola il piccolo Tommy che preferisce servirsi del corrimano, sprezzante
del pericolo e disdegnando le scale; dal quale incede, affettuosamente sorretta
per un braccio dal trepido consorte, la giovane madre scortata dalla nutrice, il
giorno in cui il medico ha finalmente decretato che la leggiadra puerpera e
ormai in grado di scendere in salotto; attraverso il quale John sale sbadigliando
per infilarsi finalmente a letto, reggendo in pugno la candela di sego
gocciolante, e donde all'alba ridiscenderà per raccogliere gli stivali che lo
attendono nel corridoio; quelle scale lungo le quali trasportiamo su e giù la
figliolanza o aiutiamo i vecchi a salire e a scendere e per le quali
accompagnammo gli ospiti verso la sala da ballo, oppure il curato transita in
direzione della camera di un malato o i becchini ascendono verso le stanze
superne: ah, quale memento sono quelle scale e quell'arco! Quale memento di
Vita, di Morte e di Vanità, se appena indugiate a meditare là, seduti sul
pianerottolo, spingendo lo sguardo nel vano delle scale! Mio folle amico, è
lassù che per l'ultima volta il medico salirà per dedicarci le sue attenzioni!
L'infermiera spierà di tra le cortine del letto, e voi non ve ne renderete conto,
poi spalancherà le finestre per qualche istante, onde rinnovare l'aria della
stanza. Poi le imposte di tutte le finestre verranno chiuse e i membri della
famiglia si porteranno nei locali che si affacciano sul retro della casa; dopo di
che convocheranno il notaio e altri figuri in tetro abbigliamento, e adempiranno
agli altri uffici del caso. In questo momento voi come io avremo terminato di
recitare la nostra commedia, e saremo ben lungi dagli squilli di tromba, dalle
pose sceniche e dai clamori del pubblico. Se in vita avremo appartenuto alla
casa aristocratica, ci verrà concesso l'onore di esporre sul portone d'ingresso lo
stemma di famiglia listato a lutto, coronato da un cherubino dorato e dalla
scritta «Possa riposare nei Cieli». Nel frattempo vostro figlio trasformerà
l'arredo della casa, o addirittura affitterà la magione avita e andrà ad abitare in
un quartiere più alla moda. L'anno dopo, nell'elenco dei membri del vostro
circolo, il vostro nome figurerà tra quelli dei «Soci defunti». Tutti vi
piangeranno, ma non per questo vostra moglie rinuncerà a strappar le male
erbe in giardino e a decidere il pranzo e la cena con la cuoca. Coloro che vi
sopravviveranno non tarderanno ad abituarsi alla presenza della vostra effigie
appesa .sopra il caminetto in salotto, ritratto eliminato ben presto dal posto
d'onore per far spazio a quello del figlio, subentrato nel governo della dimora.
Quali morti vengono pianti con dolore più appassionato e cocente? Quelli,
ritengo, che in vita hanno meno amato chi a loro è sopravvissuto. La morte di
un bambino provoca uno strazio indicibile e fa sgorgare lacrime incontenibili
che mai nessuno verserà per te, amico lettore. La morte di un bimbo che a
stento ti riconosceva, e che ti avrebbe tosto dimenticato qualora le circostanze
lo avessero portato ad esserti lontano per una settimana, ti farebbe soffrire più
della morte dell'amico più caro, o del tuo figlio primogenito che, fattosi ormai
adulto, ha generato come te dei figli. Solitamente siamo aspri e impietosi nei
confronti di Giuda o di Simeone, ma al piccolo Beniamino va il nostro
sentimento di affetto e di pietà. E se per caso sei vecchio - come qualche
lettore può darsi che sia, o come certamente diverrà - vecchio e ricco oppure
vecchio e povero, un giorno ti verrà fatto di indugiare in codesta riflessione: