APPARIZIONE

Ogni lettore incline al sentimentalismo (e non ne desideriamo di altra

specie) non avrà mancato di apprezzare il tableau sul quale si è chiuso l'ultimo

atto del nostro piccolo dramma. Cosa può esservi, infatti, di più incantevole

dello spettacolo offerto dall'Amore in ginocchio davanti alla bellezza?

Ma quando l'Amore udì la Bellezza profferire quell'orribile confessione

ch'ella, cioè, era già sposata rinunciò all'umile atteggiamento che aveva

assunto prosternandosi sul tappeto, e proruppe in estrinsecazioni verbali che

suscitarono nella povera, piccola Bellezza un timore più grande di quello che

aveva provato nel confessare il suo segreto.

«Sposata? Voi scherzate,» esclamò il baronetto, dopo quella prima

esplosione di rabbia e di stupore. «Voi intendete burlarvi di me, Becky. E chi

mai potrebbe sposare una ragazza senza il becco d'un quattrino?»

«Sposata, sposata,» ripeté Rebecca stravolta e lacrimante, la voce rotta

dall'emozione, il fazzoletto premuto sugli occhi, mentre si appoggiava al

caminetto sentendosi prossima al deliquio: un'incarnazione del dolore che

avrebbe commosso il cuore più indurito. «Sir Pitt, caro Sir Pitt, voi non dovete

credere ch'io non vi porti gratitudine per tutto il bene che mi avete fatto! Anzi,

solo la vostra generosità poteva strapparmi un simile segreto!»

«Al diavolo la mia generosità!» strillò Sir Pitt. «E con chi siete sposata, di

grazia? Quando è successo?»

«Signore, concedetemi di tornare da voi in campagna! Lasciate che torni

a occuparmi di voi con la stessa dedizione di un tempo! Vi prego, non

allontanatemi da Queen's Crawley!»

«Dunque vi ha piantata, quel mascalzone, vero?» riprese a dire il

baronetto, che s'illudeva di aver capito come stessero le cose. «Allora tornate

pure, Becky, se vi fa piacere. Non si può avere la botte piena e la moglie

ubriaca. Ad ogni modo la mia proposta era onesta. Volete tornare come

istitutrice? Fate pure.»

Lei gli porse una mano. I singhiozzi sembravano doverle spezzare il

cuore. I riccioli le ricadevano sul volto e sulla mensola marmorea del caminetto

al quale si era appoggiata.

«E così quel lestofante vi ha abbandonata, eh?» disse Sir Pitt, in un

grossolano tentativo di recarle conforto. Non importa, Becky, sarò io a

occuparmi di voi!»

«Ah, signore, credetemi: sarei felice e orgogliosa di tornare a Queen's

Crawley per aver cura di voi e delle bimbe, come quando vi dichiaravate

soddisfatto dei servigi della vostra piccola Rebecca. Se penso alla vostra

offerta, sento il cuore traboccare di riconoscenza, ve ne do la mia parola. Non

posso essere vostra moglie, ma lasciate almeno che sia per voi una figlia!»

E nel dir questo fu Rebecca, questa volta, a lasciarsi cadere al suolo in

atteggiamento altamente melodrammatico. Poi afferrò la mano nera e callosa

di Sir Pitt fra le sue (quelle piccole mani candide e morbide come seta), e stava

per levare su di lui uno sguardo carico di dolore e di fiducia quando... quando

la porta si aprì e Miss Crawley piombò nella stanza.

La Firkin e la Briggs, le quali (guarda caso!) non appena il baronetto e

Rebecca erano entrati in salotto si erano trovate a transitare davanti alla porta,

dal buco della serratura avevano colto l'immagine del vecchio gentiluomo

prostrato davanti all'istitutrice e udito la generosa profferta che lui le aveva

rivolto. Tale proposta era appena uscita dalle labbra di Sir Pitt, che già le due

donne volavano su per le scale, si precipitavano nel salotto di Miss Crawley,

intenta a leggere il romanzo francese, e avevano comunicato alla vecchia dama

la sorprendente notizia che Sir Pitt, inginocchiato ai piedi di Miss Sharp, stava

chiedendo la sua mano. Ora, calcolando la durata della conversazione sopra

riferita, il tempo impiegato dalle due donne per correre di sopra nel salotto di

Miss Crawley, quello necessario a quest'ultima per esternare la sua

stupefazione, lasciar cadere il libro di Pigault-Lebrun e di scendere da basso, si

arriva alla conclusione che Miss Crawley dev'essere comparsa nel salotto

proprio nell'istante in cui Rebecca aveva assunto quell'atteggiamento.

«A quanto pare è la signorina ad essere in ginocchio, non il signore,»

commentò Miss Crawley in tono sprezzante. «Mi avevano riferito ch'eravate in

ginocchio, Sir Pitt. Ripetetelo, ve ne prego: voglio contemplare una così bella

coppia!»

«Ho ringraziato Sir Pitt, Miss Crawley,» disse Rebecca levandosi in piedi,

«e gli ho detto che non posso... che non posso diventare Lady Crawley.»

«Lo avete rifiutato!» esclamò la Crawley, sempre più esterrefatta. Dalla

soglia, la Briggs e la Firkin contemplavano la ragazza con gli occhi sgranati e la

bocca spalancata dalla meraviglia.

«Sì,» confermò Rebecca con voce mesta e lacrimosa.

«E devo veramente credere che voi l'abbiate chiesta in moglie, Sir Pitt?»

chiese la vecchia signorina.

«Sì,» rispose il baronetto, «è vero.»

«Ed essa vi ha rifiutata, né più né meno come asserisce?»

«Sì,» disse Sir Pitt, mentre sul suo volto affiorava un sogghigno.

«Tuttavia non ho l'impressione che la cosa vi abbia spezzato il cuore»

osservò Miss Crawley.

«Neanche un po',» rispose Sir Pitt. La sua voce denotava una tale

freddezza, un così perfetto buonumore, che Miss Crawley restò trasecolata.

Che un anziano gentiluomo potesse cadere ai piedi di un istitutrice

squattrinata, per scoppiare a ridere subito dopo perché lei declina la sua

profferta di matrimonio, erano misteri che Miss Crawley non riusciva

assolutamente a sondare: misteri molto più complessi di tutte le trame più

intricate ordite dal suo prediletto Pigault-Lebrun.

«Mi compiaccio che troviate divertente una simile situazione, fratello,»

disse alla fine, cercando di riaffiorare da quello stato di suprema stupefazione.

«Straordinario! Davvero!» esclamò Sir Pitt. «Chi avrebbe mai supposto

una cosa simile. Che diavolo! Che prodigio d'astuzia! Una piccola volpe, proprio

così.»

«Chi avrebbe mai immaginato?... Come sarebbe a dire?» chiese Miss

Crawley battendo il piede in terra. «Insomma, Miss Sharp, dal momento che

non ritenete la nostra famiglia all'altezza, aspettate che il Principe Reggente

ottenga il divorzio per risposarsi con voi?»

«Quando voi siete entrata, signora,» disse Rebecca, «il mio

atteggiamento non induceva a pensare ch'io spregiassi l'onore fattomi da

questo buon... da questo generoso gentiluomo. Dunque, voi tutti mi credereste

una donna senza cuore? Tutti avete dimostrato di volermi bene, siete stati

prodighi d'ogni gentilezza con questa povera orfana, con questa povera

ragazza priva d'ogni appoggio... Ed io non dovrei provare nulla in cambio? Cari

amici, miei cari benefattori: forse che il mio amore e la mia vita stessa non

debbono servirmi a ripagare la fiducia di cui mi avete dato prova? Non è forse

mio preciso dovere tentare di ricambiarvi come meglio posso? Vorreste perfino

impedirmi di esternare la mia gratitudine, Miss Crawley? È troppo, il cuore mi

scoppia!» E Rebecca si lasciò cadere su una sedia in modo così patetico, che la

maggior parte dell'uditorio non poté che unirsi senza riserve a tanto dolore.

«Che mi sposiate o no, Becky, siete una brava ragazza, e potete contare

sulla mia amicizia,» disse Sir Pitt. Dopo di che si rimise in capo il cappello

bordato di crespe e se ne andò, con grande sollievo di Rebecca. Ciò infatti

significava che il suo segreto non sarebbe stato rivelato a Miss Crawley, e che

quindi le restava il vantaggio di una pausa, di un breve respiro.

Si portò il fazzoletto agli occhi, dissuase con un cenno del capo la brava

Briggs che di buon grado l'avrebbe seguita di sopra e salì nella sua camera.

Poi, mentre la Briggs e Miss Crawley, oltremodo elettrizzate, indugiavano a

commentare lo strano caso, la Firkin, non meno turbata, s'inabissava nelle

regioni della cucina a diffondere la notizia fra quanti, maschi e femmine, vi si

trovavano. Anzi, il fatto la colpì a tal punto, che quella sera stessa si sentì in

dovere di scrivere «coi suoi devoti ossequi a Mrs. Bute Crawley e alla sua

famiglia al presbiterio», raccontando come Sir Pitt fosse venuto in visita e

avesse fatto una proposta di matrimonio a Miss Sharp: proposta che, fra lo

stupore generale, non era stata accolta.

Frattanto in sala da pranzo (dove Miss Briggs esultava per esser

nuovamente ammessa alle confidenze della padrona di casa) le due signore

continuarono a far congetture sulla proposta di Sir Pitt e sul rifiuto di Rebecca.

Miss Briggs, dando prova di singolare acume, avanzò l'ipotesi che sussistesse

un precedente legame affettivo, altrimenti nessuna ragazza sana di mente si

sarebbe lasciata sfuggire un'occasione tanto vantaggiosa.

«Voi senza dubbio avreste accettato, vero Briggs?» chiese Miss Crawley

gentilmente.

«Non sarebbe stato un privilegio diventar sorella di Miss Crawley?»

rispose l'altra, aggirando la domanda.

«Nondimeno occorre dire che Becky sarebbe stata un'eccellente Lady

Crawley,» convenne Miss Matilda, addolcita dal rifiuto della ragazza e, come

sempre, liberale e generosa (a patto che non le venisse richiesto alcunché).

«Non le manca certo il cervello, e in quanto a spirito ne ha più lei nel dito

mignolo di quanto ne abbiate voi nella testa, mia povera Briggs! Adesso poi

che io l'ho formata, le sue maniere sono irreprensibili. È una Montmorency, e

sebbene io non abbia alcuna considerazione per questo genere di cose, il

sangue indubbiamente ha il suo valore. Quindi Rebecca avrebbe saputo stare

al suo posto tra quegli idioti dello Hampshire molto meglio di quella sciagurata

figlia di fabbro ferraio.»

Miss Briggs, come di consueto, convenne pienamente col parere di Miss

Crawley, e riprese ad almanaccare sull'ipotetico «precedente legame affettivo».

«Voialtre, povere creature senza amici, avete sempre qualche sciocco

tendre,» osservò Miss Crawley. «Anche voi a suo tempo vi siete innamorata di

quel maestro di calligrafia. Suvvia, non piangete, Briggs, non fate che

piangere! Del resto, non serve a farlo tornare in vita. Io credo che anche quella

povera infelice di Becky sia a sua volta una scioccherellina sentimentale. Ci

sarà sotto un farmacista, che sa?, un maggiordomo, un pittore... oppure

qualche giovane curato o roba del genere.»

«Poverina... povera ragazza!» esclamò Miss Briggs, il cui pensiero era

ritornato a ventiquattr'anni innanzi, a quello sclerotico maestro di calligrafia

(del quale custodiva gelosamente nel cassetto della sua scrivania una ciocca di

capelli biondi e un fascio di lettere illeggibili, ma comunque bellissime).

«Poverina, poverina,» ripete la Briggs; e intanto si rivedeva allorché, col viso

fresco dei suoi diciott'anni, si recava al Vespro assieme con lo sclerotico

maestro di calligrafia, ed insieme leggevano tremanti i salmi dalle pagine dello

stesso libro di preghiere.

«Dopo simile condotta da parte di Rebecca,» disse Miss Crawley con

entusiasmo, «la nostra famiglia dovrebbe far qualcosa. Cercate di scoprire chi

è l' individuo in questione, Briggs, ed io gli aprirò un negozio, oppure mi farò

fare il ritratto, lo raccomanderò a mio cugino, il vescovo, e provvederò a dôter

Becky. Voglio un matrimonio coi fiocchi; voi preparerete la colazione e sarete

damigella d'onore.»

La Briggs manifestò la sua incondizionata compiacenza, giurò che la cara

Miss Crawley si dimostrava anche in questa circostanza profondamente buona

e generosa; dopo di che salì in camera di Rebecca per commentare la

proposta, il rifiuto, la motivazione di quest'ultimo, nonché accennare ai

propositi di Miss Crawley, nel tentativo di scoprire chi fosse l'uomo al quale

Miss Sharp aveva fatto dono del suo cuore.

Rebecca fu gentilissima e affettuosa, si mostrò commossa e rispose alle

profferte della Briggs con un fervore denso di gratitudine. Non esitò ad

ammettere che, sì, c'era un dolce mistero... c'era una segreta passione (ah, se

Miss Briggs avesse indugiato un solo minuto in più davanti al buco della

serratura! Forse avrebbe potuto apprendere ben altro...) Ma erano trascorsi

cinque minuti dall'ingresso di Miss Briggs nella camera di Rebecca, che vi fece

la sua comparsa Miss Crawley in persona, un onore - questo - assolutamente

imprevedibile. Vinta dall'impazienza, aveva rotto gli indugi, incapace di

attendere il resoconto della sua lenta ambasciatrice; pertanto era venuta per

sapere e ingiunse a Miss Briggs di uscire. Dopo aver manifestata la sua

approvazione per la condotta di Rebecca, chiese i particolari di quell'incontro, e

quali precedenti giustificassero una siffatta, inaudita proposta da parte di Sir

Pitt.

Rebecca spiegò come da tempo, ormai, si fosse accorta della stima e

della simpatia di cui l'onorava Sir Pitt (che d'altronde usava palesare i propri

sentimenti con assoluta franchezza), ma, sorvolando al momento sulle

motivazioni personali con le quali non voleva tediare Miss Crawley, l'età, la

posizione sociale e le abitudini del baronetto la dissuadevano da un siffatto

matrimonio, che si presentava in ogni senso inattuabile. E poi poteva una

donna che avesse un minimo senso del decoro e della propria dignità prestare

orecchio a discorsi del genere quando le esequie della moglie del pretendente

non avevano ancora avuto luogo ?

«Queste sono bazzecole, mia cara,» rispose Miss Crawley venendo subito

al sodo. «Se non ci fosse stato qualcun altro voi non avreste assolutamente

rifiutato. Se dunque avete dei motivi personali, ditemeli. Qualcuno c'è, ne sono

certa. Chi vi ha toccato il cuore?»

Rebecca chinò lo sguardo e ammise che sì, c'era qualcuno.

«Avete indovinato, cara signora,» disse in tono sommesso e con voce

tremante. «Forse vi stupisce che una donna povera e derelitta come me possa

coltivare un affetto, vero? D'altra parte la povertà non costituisce un usbergo a

difesa dagli strali amorosi. Magari lo fosse!»

«Piccola mia,» rispose Miss Crawley, sempre incline al sentimentalismo,

«forse il vostro amore non è corrisposto? Forse soffrite in silenzio. Dite,

confidatevi con me e lasciate che vi conforti.»

«Ah, volesse il cielo che poteste farlo, cara signora!» esclamò Rebecca

nel medesimo tono lacrimoso, «ne ho tanto bisogno, credete.» Posò il capo

sulla spalla di Miss Crawley e prese a piangere con tanta naturalezza che la

vecchia dama, colta di sorpresa, l'abbracciò con un impeto di tenerezza quasi

materno, le sussurrò parole di consolazione nelle quali erano trasfusi tutto il

suo affetto e la sua stima e giurò di volerle bene come a una figlia, di esser

pronta a fare tutto quanto era in suo dovere per aiutarla.

«Ed ora ditemi chi è, mia cara. È forse il fratello di quella graziosa

ragazza... di Miss Sedley? Mi avevate accennato a un flirt con lui. Sono

disposta ad invitarlo, se volete. Lo avrete qui, ve lo prometto.»

«Non chiedetemi nulla, ora,» rispose Rebecca. «Presto saprete ogni cosa;

ve lo assicuro. Cara, cara gentile Miss Crawley... cara amica, se mi è

consentito usare quest'espressione...»

«Ma certo che potete, bambina cara,» disse la vecchia signorina

abbracciandola.

«Ora non ve lo posso dire,» ripeté Rebecca fra i singhiozzi, «ma

promettete di conservarmi la vostra affezione.» E fra le lacrime delle due

donne (giacché l'emozione della giovane aveva contagiato la vecchia), Miss

Crawley promise solennemente; poi benedisse la sua piccola protégée, piena

com'era di ammirazione per colei che considerava una dolce, ingenua, tenera e

insondabile creatura.

Così Rebecca rimase sola a meditare sugli strabilianti e inopinati

avvenimenti di quella giornata, a ciò ch'era accaduto, a ciò che sarebbe potuto

accadere.

Quali sentimenti credete che potesse celare nel segreto dell'anima sua

Miss (oh, scusate, Mrs.) Rebecca? Se già una volta qualche pagina più indietro,

chi scrive si è accollato il diritto di spingere il proprio sguardo nella camera da

letto di Miss Amelia Sedley, e di comprendere, con l'onniscienza del

romanziere, tutte le dolci pene e le ansie che si agitavano su quel giaciglio

virginale, perché non dovrebbe asserire di essere parimenti il confidente di

Rebecca Sharp? Perché non dovrebbe essere il depositario dei suoi segreti, il

nume tutelare della coscienza della sunnominata fanciulla?

Dunque, per prima cosa Rebecca diede sfogo al suo sincero e

commovente rammarico per aver sfiorato una simile fortuna ed esser stata

costretta a rifiutarla. Chiunque sia dotato di normali capacità di raziocinio non

potrà non comprendere una reazione tanto naturale. Quale madre, poniamo,

non avrebbe compianto una fanciulla senza beni di sorta, che si fosse vista

sfuggire l'occasione di diventare la moglie di un baronetto e spartire con

quest'ultimo un patrimonio di quattromila sterline l'anno? Quale fanciulla

dabbene, in tutta la Fiera della Vanità, non proverebbe un sentimento di

solidarietà nei confronti di una ragazza laboriosa, intelligente, meritevole, che

si trovi di fronte ad una proposta così onorevole, vantaggiosa e allettante

proprio nel momento in cui essa non è più in condizione di accoglierla? Sono

certo che l'amara delusione della nostra amica Becky susciti con pieno motivo

la simpatia generale.

Ricordo che una sera ebbi a trovarmi di persona alla Fiera, durante un

ricevimento. Il mio occhio si posò su Miss Toady, anch'essa presente, che

dedicava speciali attenzioni e frasi adulatorie alla piccola Mrs. Briefless, la

moglie dell'avvocato, la quale indubbiamente proviene da un'ottima famiglia,

ma come tutti sanno è povera in canna.

Come mai, mi chiesi, tanti salamelecchi da parte di Miss Toady? Forse

Briefless ha ottenuto una promozione ed è assurto alla magistratura, oppure

sua moglie ha ereditato una fortuna? Ma poco dopo, con quella franca

semplicità che la distingue, fu la stessa Miss Toady a fornirmi la spiegazione.

Mi disse che Mrs. Briefless è nipote di Sir John Redhand, il quale si trova a

Cheltenham gravemente ammalato e non ha più di sei mesi di vita. Ebbene, a

succedergli sarà il padre di Mrs. Briefless, onde lei sarà figlia di un baronetto...

Capite? Di conseguenza la Toady invitò a cena i coniugi Briefless per la

settimana dopo.

Ora, se il semplice fatto di esser figlia di una baronetto può procacciare a

una signora il diritto a tanti riguardi in società, non c'è dubbio che si debba

guardare con rispetto al dispiacere di una fanciulla che perde l'occasione di

sposare un personaggio di pari grado.

Chi mai avrebbe potuto aspettarsi che Lady Crawley sarebbe morta tanto

presto? «Era una di quelle donne dalla salute perennemente malferma che

possono tirare avanti anche dieci anni,» si ripeteva Rebecca, sommersa dal

dolore e dal rimorso, «e io che avrei potuto prendere il suo posto! Avrei potuto

ottenere dal vecchio tutto ciò che avessi voluto! Avrei potuto ringraziare senza

tante storie Miss Crawley per la sua benevola protezione e Mr. Pitt per quella

sua insopportabile bonomia mista di sufficienza. Avrei fatto cambiare la mobilia

e riattare tutto il palazzo in città. Avrei avuto la più bella carrozza di tutta

Londra, un palco all'Opera... e la prossima stagione sarei stata presentata a

Corte. Sì, tutto ciò sarebbe potuto essere, e ora... ora invece il futuro è

incerto, il futuro è un mistero, per me.»

D'altro canto Rebecca era una ragazza troppo energetica e volitiva per

abbandonarsi al rimpianto di un passato inattuato e inattuabile; pertanto, dopo

aver meditato sulla cosa non più dello stretto necessario, saviamente rivolse il

suo pensiero all'avvenire, che per lei era di gran lunga più importante. Fece

dunque un rapido esame della situazione in cui versava, delle sue speranze,

delle sue perplessità, delle occasioni sulle quali poteva contare.

Innanzitutto era sposata, questo era un dato di fatto incontestabile, e Sir

Pitt lo sapeva. Quella confessione le era sfuggita non tanto per la sorpresa

quanto per un subitaneo calcolo. La cosa, prima o poi, si sarebbe risaputa;

dunque, perché non approfittare di quell'occasione anziché rinviare la

confessione a un momento successivo?

Colui che avrebbe desiderato sposarla, avrebbe quantomeno rispettato il

silenzio su quelle nozze. Il problema, semmai, era un altro: come avrebbe

reagito Miss Crawley? Rebecca nutriva in seno giustificati timori; d'altro canto

ricordava perfettamente tutto ciò che Miss Crawley aveva ripetuto più volte

circa il suo disprezzo per la nascita; conosceva le sue idee liberali, la sua

naturale inclinazione al romanticismo, il suo incondizionato affetto per il nipote

e quello che più di una volta aveva manifestato anche a lei. Al nipote vuol

tanto bene che sarebbe pronta a perdonargli qualsiasi cosa, pensava Rebecca.

E nello stesso tempo si è così abituata alla mia presenza, che le peserebbe

rinunciare a me. Quando verremo all' éclarcissement ci sarà una sfuriata, una

scena isterica, una litigata coi fiocchi; ma poi verrà la riconciliazione. E in ogni

caso, a che pro rimandare? Il dado era tratto e, oggi o domani, l'esito sarebbe

stato il medesimo. Quindi Rebecca decise che Miss Crawley doveva esser

messa al corrente, poi meditò sul modo migliore per confessarle la verità: era

meglio affrontare coraggiosamente la tempesta che si sarebbe scatenata,

oppure fuggire e mettersi il riparo fino a quando si fosse spenta la prima furia?

Assorta in queste riflessioni si accinse alla stesura della seguente lettera:

Mio caro,

la grande crisi della quale tante volte abbiamo discusso insieme è

venuta. Metà del mio segreto è ormai noto, e dopo aver riflettuto a lungo ho

concluso che il momento di rivelare il mistero sia maturo. Stamani è venuto a

farmi visita Sir Pitt, e mi ha fatto - lo crederesti? - una proposta di matrimonio.

Figurati! Proprio a me, poverina! Avrei potuto diventare Lady Crawley. Mrs.

Bute Crawley ne sarebbe stata felicissima! E ma tante , se avesse dovuto

cedermi il passo! Avrei potuto diventare la mamma di chi sai, invece di.. ah, io

tremo, tremo al pensiero che presto, molto presto bisognerà confessare tutto!

Sir Pitt sa che sono sposata, ma non sa con chi; quindi per il momento

non è molto in collera. Quanto a ma tante , è letteralmente furibonda perché ho

rifiutato la sua profferta, ma al tempo stesso è tutta gentilezza e bontà. E

arrivata al punto di dire che sarei stata una buona compagna per lui e giura

che si comporterà come una madre con la tua piccola Rebecca. Certo la notizia

la sconvolgerà, ma è il caso di temere il peggio, oltre il prorompere dell'ira che

accompagnerà la rivelazione? Non lo credo, anzi, sono certa di no . È così

affezionata a te (a quel cattivone, a quel buono a nulla che sei), che ti

perdonerebbe qualsiasi cosa. Poi credo che nel suo cuore il secondo posto

spetti a me, e che sarebbe molto infelice se io la lasciassi. Mio diletto, qualcosa

mi dice che vinceremo . Tu ti congederai da quel detestabile reggimento,

rinuncerai alle corse e al gioco per diventare un bravo ragazzo . Abiteremo tutti

in Park Lane e avremo in eredità tutto il denaro di ma tante .

«Domani farò il possibile per venire al solito posto alle tre. Se Miss B. mi

accompagnerà, vieni a cena e recami una risposta. Mettila nel terzo volume dei

sermoni di Porteous. Ma in ogni caso vieni dalla tua

R..

A Miss Eliza Styles

Presso Mr. Barnet, sellaio, Knightsbridge.

Immagino non vi sia un solo lettore di questa modesta storia il quale non

sia in grado di comprendere che Miss Eliza Styles (una vecchia compagna di

scuola, a quanto asseriva Rebecca, con la quale di recente aveva ristabilito una

fitta corrispondenza, e che riceveva le lettere presso un sellaio) portava

speroni d'ottone, lunghi baffi arricciati e in effetti altri non era se non il

capitano Rawdon Crawley.

XVI • LA LETTERA SUL PUNTASPILLI

Le circostanze nelle quali si erano sposati non rivestono per chicchessia

la minima importanza. Chi potrebbe impedire a una ragazza e a un capitano,

entrambi maggiorenni, di procurarsi un certificato di matrimonio e celebrare

regolari nozze in qualsivoglia chiesa della città? A chi torna utile farsi spiegare

che, se una donna vuole davvero qualcosa, trova il modo di ottenerla? Sono

convinto che, un giorno in cui Miss Sharp era andata a trascorrere la mattinata

in casa della sua amica Amelia Sedley, in Russell Square, una signora in tutto

simile a lei fu vista entrare in una chiesa della City, in compagnia di un signore

dai baffi tinti, il quale dopo un quarto d'ora l'aveva riaccompagnata ad una

carrozza a noleggio che sostava in attesa, e che il tutto altro non era se non un

pacifico, normalissimo matrimonio.

E chi mai sulla terra, dal momento che oggi ne vediamo d'ogni colore,

potrebbe stupirsi che un giovane di nobile casato sposi la prima venuta? Forse

che tanti uomini saggi e di profonda cultura non hanno sposato la loro cuoca?

Forse che Lord Eldon, uomo oltremodo oculato, non ha addirittura rapito la sua

sposa? Forse che Achille ed Aiace non erano innamorati delle loro ancelle? Era

dunque lecito attenderci che un corpulento dragone, ardente di desideri e

povero di cervello, dall'inveterata incapacità di tenere a freno le passioni, di

punto in bianco scoprisse la temperanza e si rifiutasse di pagare qualsiasi

prezzo pur di assicurarsi il piacere che desiderava? Se la gente celebrasse

soltanto matrimoni di convenienza, l'indice di natalità diminuirebbe in misura

notevole. Per quanto mi concerne, sono indotto a ritenere che nella parte della

biografia di questo nobiluomo, della quale dobbiamo riferire perché interessa la

nostra storia, il matrimonio sia stato proprio una delle azioni più oneste.

Nessuno può trovare a ridire sul fatto che un uomo s'innamori di una donna, o

che, essendosene innamorato, la sposi. Pertanto l'ammirazione, la gioia, la

passione, l'incantato stupore, l'incondizionata fiducia, la cieca adorazione che la

piccola Rebecca aveva suscitato in quel prode guerriero sono altrettanti

sentimenti che nessuna signora vorrà giudicare deplorevoli. Quando ella

cantava, ogni nota aveva un'eco in quell'anima opaca, e faceva correre brividi

in quel suo grosso corpo. Quando Rebecca parlava, Rawdon faceva ogni sforzo

possibile per captare il significato delle cose meravigliose che lei diceva; e se

per caso si trattava di una battuta di spirito, lui continuava a rimuginare nella

mente quelle parole scherzose, per poi scoppiare a ridere in piena strada, tra la

meraviglia del cocchiere che gli sedeva al fianco a cassetta, oppure del

compagno che gli cavalcava accanto nel Rotten Row. Ogni sua parola era per

lui oro colato, da ogni gesto di lei trasparivano ineffabili grazia e saggezza.

«Come canta! Come dipinge!» pensava. «E come cavalcava quella cavalla

capricciosa a Queen's Crawley!» Poi, nei momenti di dolce intimità, le diceva:

«Per Giove, Becky, tu sapresti fare anche il comandante d'Armata, o

l'arcivescovo di Canterbury! Eh, sì, per Giove!» Un caso eccezionale, forse? Per

carità! Se ne vedono ogni giorno di questi onesti Ercoli abbarbicati alle vesti di

Onfale, e dei grandi, baffuti Sansoni inginocchiati ai piedi di Dalila!

Becky gli aveva detto che il momento cruciale della crisi era ormai

prossimo, ch'era giunto il tempo di agire, e Rawdon si dichiarò pronto ad

eseguire i suoi ordini, proprio come, su comando del colonnello, avrebbe

mosso alla carica con i suoi soldati. Non gli fu necessario andare a infilare il

bigliettino nel terzo volume dei sermoni di Portecus. Rebecca non ebbe alcuna

difficoltà a sbarazzarsi della Briggs, la sua accompagnatrice, e s'incontrò col

fedele amico al «solito posto». Durante la notte non aveva cessato di pensare

e ripensare alla situazione, e comunicò a Rawdon le sue decisioni.

Naturalmente egli si dichiarò d'accordo su tutto: era certo che ogni cosa

sarebbe andata per il meglio, che la soluzione da lei proposta fosse senz'altro

la più opportuna. Che Miss Crawley si sarebbe rasserenata e «avrebbe ingoiato

il rospo», com'egli disse dopo una pausa. D'altra parte, se le decisioni di

Rebecca fossero state diametralmente opposte, egli le avrebbe approvate

senza fiatare, seguendole con la stessa cieca ubbidienza. «Tu hai cervello per

tutti e due, Becky,» diceva, «e sono certo che riuscirai a toglierci da questo

guaio. Non ho mai conosciuto una sola persona che ti possa stare alla pari,

sebbene anch'io ne abbia conosciuta di gente in gamba.» E sull'onda di questa

candida professione di fede, il dragone innamorato lasciò a Rebecca di decidere

quale sarebbe stato il ruolo di sua spettanza nell'esecuzione dei loro piani.

Si trattava, molto semplicemente, di prendere in affitto un piccolo

alloggio tranquillo nel quartiere di Brompton, o nelle vicinanze della caserma,

per Mr. e Mrs. Crawley. Infatti Rebecca aveva deciso di fuggire, dando prova di

molta prudenza. Rawdon ne fu felice: da settimane la scongiurava di prendere

questa decisione, e si mise in cerca dell'appartamento con tutto l'entusiasmo di

un innamorato. Anzi accettò senza discutere di pagare una pigione di due

ghinee la settimana, tanto che la padrona si rammaricò in cuor suo di non aver

chiesto di più.

Rawdon vi fece collocare un pianoforte, riempì di fiori una stanza e ordinò

un gran numero di suppellettili eleganti. Quanto poi a scialli, guanti di capretto,

calze di seta, orologi d'oro francesi, braccialetti e profumi, ne ordinò con la

profusione di chi è sorretto dall'amore cieco e da un'illimitata disponibilità

finanziaria. Poi, sollevato lo spirito grazie a questo munifico esercizio di

prodigalità, andò al Circolo e attese che giungesse la grande ora della sua vita.

Gli eventi del giorno innanzi, il mirabile comportamento di Rebecca nel

rifiutare una proposta per lei tanto vantaggiosa, il dolore segreto che le

opprimeva il cuore, la silenziosa dolcezza con la quale mostrava di sopportare

la sua angoscia accrebbero in Miss Crawley la tenerezza nei suoi riguardi. Un

episodio siffatto - vale a dire un matrimonio, oppure la proposta o il rifiuto del

medesimo - mette le donne di qualunque casa in uno stato di estrema

eccitazione e suscita in loro la smania quasi isterica di prodigarsi in attenzioni e

iniziative. Avido come sono di studiare la natura umana, frequento spesso la

chiesa di St. George, in Hannover Square, nella stagione in cui vi si celebrano i

matrimoni dell'aristocrazia. Ebbene, non mi è mai accaduto di cogliere

un'ombra di commozione negli amici dello sposo o negli officianti la cerimonia,

al contrario non di rado ho constatato come le donne, anche se si tratta di

estemporanee spettatrici (magari vecchie dame che da gran tempo hanno

superato l'età valida per gli sponsali, o donne mature ingrassate dalle

maternità, per non parlare delle giovinette in cuffia rosa che ormai hanno

raggiunto l'età idonea e a maggior ragione s'interessano a quello spettacolo),

non di rado ho constatato, dicevo, che le donne facilmente piangono,

singhiozzano celando il volto nei loro inutili fazzolettini, sconvolte

dall'emozione, senza distinzione alcuna fra vecchie e giovani. Quando un mio

amico, il ben noto John Pimlico, sposò Lady Belgravia Green Parker, tale e

tanta fu l'eccitazione che persino la vecchietta che distribuisce le sedie (ne

diede una anche a me) e mastica tabacco in continuazione aveva il viso

bagnato di lacrime. Come mai?, mi chiesi. Dopo tutto non è lei che si sposa.

Insomma, sta di fatto che, dopo la faccenda della proposta di nozze di Sir

Pitt, Miss Crawley e la Briggs si prodigarono in uno sfoggio di teneri sentimenti

e per loro Rebecca divenne l'oggetto del più affettuoso interessamento Quando

Becky era assente Miss Crawley cercava conforto nella lettura dei libri più

sentimentali che avesse in biblioteca. La piccola Miss Sharp, che celava in

cuore il suo muto dolore, era il personaggio del momento.

Quella sera Rebecca cantò più dolcemente e conversò nel modo più

piacevole di quanto le fosse mai accaduto prima di allora nella casa di Park

Lane. Il cuore di Miss Crawley era ormai completamente suo. E in quanto alla

profferta di Sir Pitt, trovò modo di parlarne in termini scherzosi, di ridicolizzarla

tacciandola d'esser stata l'insana fantasia di un povero vecchio. Nondimeno

aveva gli occhi pieni di lacrime, e il cuore della Briggs veniva trafitto dagli

acuminati strali della gelosia mentre Rebecca dichiarava di non coltivare altro

desiderio se non quello di restare per sempre al fianco della sua amata

benefattrice. «Mia cara,» rispose la vecchia signora, «non vi permetterò di

andarvene. Intendo trattenervi con me per anni, di questo siate pur certa.

Quanto poi a tornare nella residenza di quel mio insoffribile fratello, dopo

quanto è accaduto non è nemmeno il caso di parlarne. Voi ve ne starete qui

insieme con me e la Briggs. La Briggs esprime spesso il desiderio di recarsi a

trovare i suoi parenti. Ebbene, Briggs, potete andare a trovarli quando vi pare;

quanto a voi, mia cara, dovrete starvene qui e aver cura di questa povera

vecchia.»

Se in quel momento Rawdon Crawley fosse stato presente, invece di

oziare al Circolo bevendo nervosamente del borgogna, la coppia avrebbe

potuto inginocchiarsi senza por tempo in mezzo ai piedi della vecchia signorina

e ottenerne l'immediato perdono. Ma quell'occasione tanto favorevole andò in

fumo, senza dubbio perché la nostra storia potesse esser scritta, storia nella

quale vengono riferite alcune delle loro mirabolanti avventure. E tali avventure

non sarebbero mai accadute se Rebecca e Rawdon fossero stati accolti e

accettati nel confortevole ma poco interessante perdono di Miss Crawley.

Alle dirette dipendenze di Miss Firkin c'era, nella casa di Park Lane, una

ragazza dello Hampshire la quale, fra altre mansioni, aveva anche quella di

bussare all'uscio di Miss Sharp recandole quella brocca d'acqua calda che la

Firkin sarebbe morta piuttosto che portarla di persona all'odiata intrusa. La

giovane, cresciuta nelle terre di proprietà dei Crawley, aveva un fratello che

prestava servizio fra le truppe al comando del capitano Crawley e, se fosse

lecito raccontare ogni minima cosa, forse salterebbe fuori che costei era edotta

su certi episodi intimamente connessi con la nostra storia. Ad ogni modo un

fatto è certo: costei si comperò uno scialle giallo, un paio di stivaletti verdi e

un cappello azzurro adorno di una penna rossa, pagando il tutto con tre ghinee

donatele da Rebecca; e siccome quest'ultima era tutt'altro che incline a

elargire prodigalmente il suo denaro, occorre dedurne che Betty Martin le

aveva reso qualche prezioso servigio ottenendo la suddetta ricompensa.

Il giorno successivo alla proposta rivolta da Sir Pitt a Miss Sherpa il sole

si levò come il solito, e come il solito Betty Martin, la cameriera, picchiò

all'uscio della camera da letto dell'istitutrice. Non avendo alcuna risposta, tornò

a picchiare. Silenzio. Allora Betty, reggendo la brocca in mano, spinse la porta

ed entrò nella stanza.

Il bianco lettino era liscio e rifatto con ogni cura, come il giorno innanzi

quando Betty aveva aiutato a rassettarlo con le proprie mani. In fondo al locale

c'erano due bauletti chiusi e legati, e sul tavolino di fronte alla finestra, su un

grosso e grasso puntaspilli foderato di rosa e adorno di un nastro arricciato

come quelli delle cuffie da notte delle signore, posava una lettera.

Probabilmente attendeva da tutta la notte.

Betty si avvicinò in punta di piedi, quasi avesse avuto timore di

svegliarla... La guardò, volse lo sguardo attorno con un'espressione mista di

stupore e soddisfazione; afferrò la lettera, se la rigirò tra le mani con un

sorrisetto compiaciuto e finalmente la portò da basso a Miss Briggs.

Come mai Betty intuì che la lettera era destinata a Miss Briggs? Mi

piacerebbe proprio saperlo. Infatti l'unica forma d'istruzione che Betty avesse

ricevuto in vita sua era quella della scuola di catechismo di Mrs. Bute Crawley,

e quindi non sapeva leggere più di quanto sapesse scrivere l'ebraico.

«Tenete, Miss Briggs,» disse Betty. «Dev'essere accaduto qualcosa. Nella

camera di Miss Sharp non c'è nessuno, nel letto non ci ha dormito. Dev'essere

scappata con uno e ha lasciato questa lettera per voi.»

« Cosa? » gridò Miss Briggs lasciandosi sfuggire il pettine di mano, mentre

il codino di capelli scoloriti le ricadeva sulle spalle. «Scappata con un uomo?

Miss Sharp è scappata? Cooosa? » Dopo di che ruppe con gesto ansioso il sigillo

di ceralacca e, come si suoi dire, «divorò» il testo della missiva a lei indirizzata.

Cara Miss Briggs, scriveva la fuggitiva, il vostro cuore, è il più tenero del

mondo, avrà compassione di me, saprà comprendermi e scusarmi. Tra le

lacrime, le preghiere, le benedizioni, lascio la casa dove una povera orfana

quale io sono altro non trovò che gentilezza d'animo e incondizionato affetto.

Diritti superiori perfino a quelli che competono alla mia benefattrice mi

sollecitano altrove. Vado da mio marito , spinta dal mio dovere. Sì, sono

sposata, e mio marito mi ingiunge di seguirlo nella sua casa. Siate voi, cara

Miss Briggs, a darne la notizia alla mia diletta amica e benefattrice col garbo e

la discrezione che il vostro tatto sapranno suggerirvi. Ditele che prima di

andarmene ho pianto sul suo guanciale, quel guanciale che ho sprimacciato

tante volte durante la sua malattia, e accanto al quale anelo tuttora di

ritornare. Ah, si bramo di far ritorno nella casa di Park Lane, e come tremo per

la risposta che sancirà il mio destino ! Quando Sir Pitt si degnò di chiedermi in

sposa, onore che secondo la mia beneamata Miss Crawley (la benedico per

aver giudicato questa povera orfana degna di diventare sua sorella) io

meritavo, confessai a Sir Pitt di essere già sposata. Anch'egli mi accordò il suo

perdono, ma in quel momento mi mancò il coraggio di dirgli tutto: e cioè che

non potevo essere sua moglie perché ero sua figlia ! Sono sposata al migliore e

al più generoso degli uomini. Il Rawdon di Miss Crawley è il mio Rawdon. Ora

egli mi ha ordinato di rivelare tutto, ed io lo seguo nella nostra modesta

casetta, come del resto lo seguirei in qualsiasi parte del mondo. Ottima,

gentilissima amica, ve ne supplico: intercedete presso l'amatissima zia del mio

Rawdon; intercedete per lui e per la povera fanciulla alla quale tutti i membri

della sua nobile famiglia hanno tributato ineguagliabili attenzioni d'affetto .

Scongiurate Miss Crawley di voler ricevere i suoi figli . Non posso aggiungere

altro, se non invocare infinite benedizioni sulla diletta dimora che lascio.

La vostra affezionata e riconoscente

Rebecca Crawley

Mezzanotte

Nel momento stesso in cui la Briggs terminava di leggere questo

commovente e memorabile documento che la reintegrava nel suo ruolo di

confidente di Miss Crawley, Mrs. Firkin entrò nella stanza. «Mrs. Bute Crawley

è arrivata or ora in diligenza e vorrebbe una tazza di tè. Volete scendere e

preparare la colazione? Miss Briggs?»

Stringendosi la veste da camera attorno al corpo, il codino di capelli

sfatto che le sventolava sulle spalle e i diavolini di carta che le incorniciavano

la fronte, la Briggs volò al piano di sotto seguita dallo sguardo stupefatto della

Firkin. La sua mano impugnava ancora la lettera che conteneva quella

strabiliante notizia.

«Che pasticcio, Mrs. Firkin!» esclamò Betty. «Miss Sharp è scappata col

capitano e sono a Gretney Green!»

Volentieri dedicheremmo un capitolo ai sentimenti di Mrs. Firkin, se la

nostra più nobile e gentile musa non fosse già impegnata nella descrizione dei

sentimenti della sua padrona.

Quando Mrs. Bute Crawley che, intirizzita dal viaggio notturno, si

scaldava davanti alla fiamma scoppiettante del caminetto acceso poc'anzi in

salotto, ebbe dalla Briggs la rivelazione di quel matrimonio clandestino,

dichiarò che il suo arrivo era veramente provvidenziale: avrebbe aiutato la

povera Miss Matilda a sopportare quel colpo terribile. Aggiunse che Rebecca

era una piccola intrigante che aveva sempre suscitato la sua diffidenza; quanto

poi a Rawdon, non era mai riuscita a spiegarsi come mai la vecchia zia ne fosse

a tal punto infatuata: quell'uomo (lei lo aveva sempre pensato) era un

libertino, un essere corrotto e senza timor di Dio. Quell'imperdonabile

malefatta, commentò Mrs. Bute Crawley, avrebbe avuto quantomeno l'effetto

benefico di squarciare il velo che offuscava gli occhi della povera, cara Matilda,

rivelandole la vera natura di quell'individuo perverso. Dopo di che Mrs. Bute

Crawley si riconfortò con una buona tazza di tè bollente accompagnata da pane

tostato, e dal momento che adesso nella casa c'era una camera a disposizione,

decise senz'altro che non valeva la pena alloggiare al Gloster Coffee-House,

dove aveva preso alloggio scendendo dalla diligenza di Portsmouth, e ordinò al

domestico, primo aiutante di Mr. Bowls, di andare a ritirare i suoi bagagli.

Occorre precisare che Miss Crawley non lasciava mai la propria camera

prima di mezzogiorno. La mattina sorbiva a letto la sua cioccolata, mentre

Becky le leggeva il «Morning Post», oppure indugiava in qualche passatempo,

o gironzolava per la stanza. Pertanto, al piano di sotto, le cospiratrici

deliberarono di risparmiare tanto strazio alla vecchia dama fino a quando

avesse fatto la sua comparsa in salotto. Nel frattempo le annunciarono che

Mrs. Bute Crawley era arrivata dallo Hampshire in diligenza, alloggiava al

Gloster, porgeva i suoi affettuosi omaggi a Miss Matilda e aveva chiesto di far

colazione con Miss Briggs. Questa visita, che in qualsiasi altro momento non

sarebbe stata certo salutata con gioia, nella presente circostanza fu invece

oggetto del più vivo piacere. Infatti Miss Crawley preconizzava il gusto di

conversare con la cognata della defunta Lady Crawley, dei preparativi per le

esequie imminenti e dell'inopinata proposta di matrimonio rivolta a Rebecca da

Sir Pitt.

Solo quando la vecchia dama si fu accomodata per bene nella abituale

poltrona e le due signore ebbero scambiato le effusioni di rito e le prime

domande di prammatica, le cospiratrici ritennero che fosse giunto il momento

di sottoporla all'operazione. Chi di voi non ha avuto occasione di ammirare i

«delicati» accorgimenti mediante i quali le donne «preparano» le loro amiche a

ricevere una brutta notizia? Le due amiche di Miss Crawley allestirono un tale

apparato di mistero prima di rivelarle l'accaduto, da portare la vecchia a un

grado indispensabile di dubbio e di allarmata ansietà.

«Vedete, ha rifiutato Sir Pitt, mia cara, cara Matilda, perché... perché...

dovete prepararvi, mia cara...» balbettava Mrs. Bute Crawley, «... perché non

poteva agire altrimenti.»

«Una ragione c'era, questo è evidente,» rispose Miss Crawley, «lo dicevo

proprio ieri alla Briggs. Ama un altro.»

« Ama un altro?» intervenne la Briggs, ansante. «Cara amica, è già

sposata.»

«Già sposata,» fece eco Mrs. Martha. Poi tacquero, le mani incrociate in

grembo, guardandosi a vicenda e spiando le reazioni della loro vittima.

«Mandatela da me non appena arriva. Quella piccola, indegna bugiarda!

Come ha osato sottacermelo?» esclamò Miss Crawley.

«Non verrà tanto presto. È, bene che ve ne rendiate conto, mia cara. Se

n'è andata per molto tempo... Se n'è andata per sempre.»

«Mio Dio, chi sarà d'ora in poi a prepararmi la cioccolata? Fatela

chiamare, presto. Esigo che torni subito!» strillò la vecchia signorina.

«È fuggita la scorsa notte...» disse Mrs. Bute Crawley.

«E ha lasciato una lettera per me...» aggiunse la Briggs.

«Ha sposato...»

«Preparatela, cara Miss Briggs... Non torturatela così, per amor del

cielo!»

«È sposata con chi?» urlò la zitella in un impeto di collera.

«Con un parente di... di...»

«Ha rifiutato Sir Pitt,» strillò la vittima, «coraggio, parlate se non volete

che impazzisca!»

«Mia cara... preparatela, Miss Briggs... Ha sposato Rawdon Crawley.»

«Rawdon sposato... Rebecca... l'istitutrice... nessuno... fuori dalla mia

casa, stupida, idiota, vecchia imbecille di una Briggs... Come vi permettete? E

anche voi li avete aiutati Martha! Siete voi che li avete fatti sposare, sperando

che non avrei lasciato a lui il mio denaro! Siete stata voi, Martha!» urlò la

povera donna a frasi mozze.

«Io, signora? Io esortare un membro della nostra famiglia a sposare la

figlia di un maestro di disegno?»

«Sua madre era una Montmorency!» gridò la vecchia tirando il cordone

del campanello con tutte le sue forze.

«Sua madre era una ballerina dell'Opera,» replicò Mrs. Bute Crawley, «e

anche lei ha battuto le scene, se non ha combinato anche di peggio.» Miss

Crawley diede in un altro urlo, poi ricadde svenuta nella poltrona. Fu giocoforza

riportarla in camera da letto donde era appena scesa. Fu un susseguirsi

incessante di crisi isteriche. Qualcuno andò in cerca del medico; poi venne

anche il farmacista. Mrs. Bute Crawley si pose al capezzale. «I parenti debbono

aver cura di lei,» disse la squisita signora.

Miss Crawley era appena stata trasferita nella sua camera, quando

giunse un altro visitatore al quale fu necessario dare la stessa notizia. Era Sir

Pitt.

«Dov'è Becky?» domandò, nell'atto stesso di entrare.

«Dove sono le sue valigie? Deve venire con me a Queen's Crawley.»

«Non vi è giunta la straordinaria notizia del suo matrimonio segreto?»

«Cosa me ne importa?» rispose Sir Pitt. «Lo so che è sposata, ma questo

non cambia niente. Ditele di scendere immediatamente. Non ho intenzione di

aspettare.»

«Ma non sapete,» continuò Miss Briggs, «che ha lasciato di nascosto la

casa, piombando nella disperazione Miss Crawley, la quale per poco non è

morta quando è venuta a sapere della sua unione con il capitano Crawley?»

Quando Sir Pitt apprese che Rebecca aveva sposato suo figlio, dalla sua

bocca uscì un tale diluvio di parole, che certo non possiamo riferire in questa

sede, se è vero che la povera Briggs dovette uscire rabbrividendo dalla stanza.

E insieme con lei chiudiamo la porta sulla figura di quel vecchio esagitato, reso

furente dall'odio e pazzo dal desiderio inappagato.

Il giorno dopo, non appena fu di ritorno a Queen's Crawley, piombò come

un folle nella camera che Rebecca aveva occupato durante la sua permanenza

nella dimora avita dei Crawley, fracassò a calci le valigie e le cappelliere, buttò

all'aria tutte le carte, gli abiti, gli oggetti che lei vi aveva lasciato. La figlia di

Horrocks, il maggiordomo, si prese qualche vestito, e le bambine

s'impadronirono degli altri per travestirsi e giocare al teatro. Pochi giorni erano

trascorsi da quando la loro madre giaceva nella sua solitaria sepoltura, dov'era

deposta, senza rimpianto e senza una parola di rispetto alla sua memoria, in

una cripta popolata da estranei.

«E se la vecchia non mollasse?» chiese Rawdon alla mogliettina, mentre

se ne stavano seduti l'uno accanto all'altra nell'intimità del loro appartamentino

di Brompton. Per tutta la mattina Rebecca aveva suonato il nuovo pianoforte. I

guanti nuovi le andavano a pennello, gli scialli nuovi le stavano a meraviglia,

gli anelli nuovi le scintillavano alle dita e il nuovo orologio le ticchettava alla

vita, appeso al collo con una catenella. «E se non mollasse, eh, Becky?»

«Allora ci penserò io a fare la tua fortuna,» rispose Rebecca. E Dalila

diede un buffetto alla guancia del suo Sansone

«Tu sai fare tutto,» disse lui baciandole la manina: «Per Giove se lo puoi!

Ed ora andiamo a cena allo Star and Garter, per Giove!»

XVII • COME IL CAPITANO DOBBIN ACQUISTÒ UN PIANOFORTE

Se alla Fiera della Vanità esiste uno spettacolo al quale la Satira e il

Sentimento si recano a braccetto; dove è dato d'imbatterci nei più curiosi

contrasti, nel riso o nel pianto; dove siete affatto liberi di mostrarvi gentili e

patetici, rozzi e cinici, si tratta certo di una di quelle pubbliche riunioni i cui

annunci riempiono quotidianamente l'ultima pagina del «Times», e alle quali il

compianto Mr. George Robins presiedeva con molta dignità. Credo che siano

ben pochi i londinesi che, almeno una volta in vita loro, non abbiano assistito

ad una di codeste riunioni, e tutti coloro che sono inclini a meditare sulle

molteplici congiunture della vita debbono aver pensato (con un subitaneo

brivido di sgomento) al giorno in cui sarebbe venuto il loro turno, e Mr.

Hammerdown avrebbe venduto per ordine dei commissari di Diogene - in

conformità alle istruzioni degli esecutori testamentari -, mettendo all'incanto la

mobilia, il vasellame, la biblioteca, il guardaroba e la selezionatissima cantina

del defunto Epicuro.

Anche il più cinico rappresentante della Fiera della Vanità non può

reprimere un moto di compassione e di rimpianto quando gli capiti di

presenziare a questa fase particolarmente squallida delle esequie di un amico.

I resti di Lord Dives giacciono ormai nella cappella di famiglia e gli scalpellini

stanno incidendo l'epigrafe nella quale sono esaltate le virtù del defunto e il

dolore dell'erede il quale, nello stesso momento, sta vendendo all'asta quelli

che furono i suoi averi. Quanti, fra coloro che in altri tempi conobbero l'abituale

ospitalità alla sua tavola, possono passare davanti alla sua casa un tempo così

familiare, senza un sospiro di pena? Quella casa tanto familiare ove le luci

brillavano allegramente a partire dalle sette di sera, ove le porte si aprivano

con assoluta prontezza, ove i domestici compiti e cortesi facevano echeggiare il

vostro nome dall'uno all'altro pianerottolo mentre voi salivate l'ampia scalea,

fino a giungere nella sala dove l'allegro Lord Dives dava il benvenuto agli

amici! Quanti ne aveva, e con quale cordiale, nobile munificenza sapeva

accoglierli. E come si mostravano spiritosi, in quella casa, gli stessi uomini che

altrove apparivano cupi e imbronciati! E com'erano vicendevolmente

amichevoli e cordiali le persone che, fuori da quelle mura, si detestavano e

sparlavano le une delle altre! Lui era fatuo e vanesio, ma aveva un cuoco coi

fiocchi; quindi c'era forse qualcosa che Tizio o Caio non fossero disposti a

tollerare Anzi, diciamo francamente che era piuttosto stupido, ma vini come i

suoi non avevano forse il potere di rendere gradevole qualsivoglia

conversazione? «Dobbiamo cercare di procurarci un po' del suo Borgogna, a

qualsiasi prezzo!» si dicevano al Circolo quanti ne compiangevano la sorte. «Ho

comperato questa scatola all'asta del vecchio Dives,» diceva Pincher

mostrandola all'uno e all'altra. «Bella, vero? In origine apparteneva ad una

delle amanti di Luigi XV. La miniatura è deliziosa.» Poi, eccoli cianciare di come

ora il giovane Dives stia sperperando i beni paterni.

E la casa! Com'è mutata! La facciata è costellata di manifesti che

descrivono a caratteri cubitali le caratteristiche dei singoli mobili. Uno straccio

di tappeto è stato appeso ad una delle finestre dei piani superiori, mentre sei o

sette facchini attendono sonnecchiando sui gradini sudici. L'atrio è invaso da

una turba di curiosi individui d'aspetto orientale che v'infilano tra le mani dei

bigliettini di presentazione e s'incaricano di fare le offerte. Vecchie signore e

una turba di amatori si aggirano per i locali dei piani superiori e tastano le

cortine del baldacchino del letto, infilano la mano tra i piumini, sollevano e

premono i materassi, aprono e richiudono i cassetti dei guardaroba. Giovani

signore intraprendenti misurano tendaggi e specchiere per vedere se possano

essere utilizzati nella casa che stanno allestendo (Mr. Snob menerà vanto per

un anno almeno di aver comperato questo o quell'oggetto all'asta del vecchio

Dives), mentre Mr. Hammerdown siede alla grande tavola di mogano in sala da

pranzo, agitando il martelletto d'avorio e facendo appello a tutte le arti

dell'eloquenza: entusiasmo, supplica, forza di persuasione, disperazione, e

spronando altresì i suoi aiutanti, dileggiando la lentezza di Mr. Davids,

incoraggiando Mrs. Moss a decidersi, invocando, ordinando, urlando. Finché,

alla fine, giù! Il martelletto si abbatte sulla tavola e si passa al lotto successivo.

Ahimè, Dives, come avremmo potuto immaginare, quando sedevamo attorno

alla grande tavola ricoperta di candidi lini e scintillante di bicchieri e caraffe di

cristallo, che a capo di quella stessa tavola avremmo visto ruggire

quell'esagitato banditore?

L'asta volgeva al termine. La splendida mobilia del salotto, opera di

provetti artigiani, i vini rari e di gran fama, scelti senza badare a spese e col

ben noto gusto di colui che li aveva comperati, il sontuoso servizio di piatti

erano già stati venduti il giorno innanzi. Alcuni dei vini migliori (tutti oggetto di

gran fama tra i buongustai del vicinato) erano già stati acquistati per conto del

suo padrone che li conosceva benissimo, dal maggiordomo del nostro amico

Mr. John Osborne, di Russell Square. Una modesta sezione del vasellame di più

immediata utilità era stata comperata da un gruppo di giovani agenti di cambio

della City. Ora, dato inizio alla vendita delle suppellettili di maggior pregio,

ecco che il banditore era più che mai impegnato ad esaltare le preclare virtù di

un quadro, caldeggiandone l'acquisto presso il pubblico, assai meno numeroso

e scelto che nei giorni precedenti.

«Numero 369!» gridò la voce tonante di Mr. Hammerdown. «Ritratto di

un gentiluomo su un elefante. Chi fa un'offerta per il gentiluomo in groppa

all'elefante. Sollevate il quadro, Blowman, così i signori avranno agio di

osservare meglio il dipinto.»

Un signore alto, magro, pallido, che sedeva alla tavola di mogano (lo si

sarebbe detto un ufficiale) non poté trattenere un sorrisetto alla vista di quel

pregevole dipinto che Mr. Blowman mostrava all'inclito pubblico. «Fate vedere

l'elefante al capitano Blowman,» disse Hammerdown. «Signore, qual è la

vostra offerta?» Ma il signore di colpo si fece rosso e distolse lo sguardo,

palesemente turbato, e il banditore ebbe rispetto per il suo turbamento.

«Diciamo venti ghinee per quest'opera d'arte? Quindici? Cinque? A voi il

prezzo. Il gentiluomo senza elefante vale cinque sterline.»

«Non si riesce a capire come mai non siano ruzzolati a terra tutti e due,»

disse un tale, facile alle battute di spirito. «Il gentiluomo è un carico tutt'altro

che irrilevante.» E questa uscita (dal momento che, in effetti, l'uomo issato

sull'elefante era piuttosto corpulento) corse per la sala un breve scoppio di

risa.

«Non cercate di sminuire questo pezzo agli occhi dello spettabile

pubblico, Mr. Moss,» intervenne Mr. Hammerdown, «spetta ai signori

apprezzare quest'opera d'arte. Osservino il naturale atteggiamento

dell'animale, il signore in giacca di camoscio che regge in mano il fucile, si

accinge a recarsi a una partita di caccia. Lontano, una pagoda e un albero di

banane, e tale sfondo riproduce fedelmente qualche angolo pittoresco di uno

fra i nostri splendidi possedimenti nelle Indie orientali. Quanto offrite per un

pezzo simile? Suvvia, signori, non fatemi star qui tutto il giorno!»

Qualcuno offrì sei scellini. Al che l'ufficiale guardò nella direzione donde

proveniva quella generosissima offerta e scorse un altro militare a braccetto

con una giovane signora: a quanto pareva, quella scena li divertiva moltissimo,

e il quadro alla fine venne assegnato per mezza ghinea. Il turbamento

dell'ufficiale seduto alla tavola aumentò notevolmente quando li riconobbe;

pertanto ritrasse il capo nell'ampio colletto dell'uniforme, volse loro le spalle e

con tale gesto mostrò in modo irrefutabile la sua precisa intenzione di voler

scansare la coppia.

Non abbiamo l'intenzione di elencare in questa sede tutti gli altri oggetti

che quel giorno Mr. Hammerdown ebbe l'onore di offrire all'incanto, fatta

eccezione per un piccolo pianoforte verticale (quello a coda era già stato

venduto) che scese dai piani superiori della casa. La giovane signora cui

abbiamo accennato lo provò brevemente facendovi scorrere le sue agili dita

(cosa che di nuovo fece arrossire e trasalire l'allampanato ufficiale) e il suo

agente, quando ebbe inizio la vendita, avanzò un offerta.

Ma la cosa non andò per le spicce, poiché l'ebreo che operava per conto

dell'ufficiale seduto alla tavola si mise in gara con l'altro ebreo che agiva per

conto di chi aveva acquistato l'elefante. Ne derivò una contesa piuttosto vivace

per il possesso del piccolo pianoforte, nella quale i due aspiranti alla proprietà

dell'oggetto in questione venivano stimolati da Mr. Hammerdown.

Alla fine, dopo che la contesa si fu prolungata per un certo lasso di

tempo, il capitano e la giovane signora dell'elefante rinunciarono. Il banditore

abbatté sulla tavola il martelletto e disse: «A voi, Mr. Lewis. Venticinque.»

Pertanto l'incaricato che operava per conto di Mr. Lewis divenne il proprietario

del piccolo pianoforte. Assicuratosi l'acquisto, sedette impettito con l'aria di chi

trae un gran sospiro di sollievo; fu in quel momento che i due contendenti

sconfitti lo notarono e la giovane signora disse al suo compagno:

«Rawdon, ma quello è il capitano Dobbin!»

Chissà, forse Becky era poco soddisfatta del piano che suo marito le

aveva preso in affitto, oppure il proprietario dello strumento era venuto a

riprenderselo rifiutando di concederne ulteriormente l'uso a credito, o forse ella

era affezionata all'oggetto che aveva tentato di comperare perché le ricordava i

giorni in cui era solita suonarlo nel salottino della nostra amica Amelia Sedley.

L'asta si svolgeva nella vecchia casa di Russell Square, ove abbiamo

trascorso qualche serata nei primi capitoli della nostra storia. Il vecchio John

Sedley era rovinato, pover'uomo. In Borsa era stato dichiarato insolvente, al

che erano seguiti la bancarotta e il totale fallimento. Il maggiordomo degli

Osborne si era recato ad acquistare qualche bottiglia di quel famoso vino di

porto, onde trasferirlo nelle cantine della casa di fronte. Una dozzina di

forchette e cucchiai d'argento d'ottima fattura venduti a peso, e una dozzina di

posate da frutta vendute alla stessa maniera, misero relitto di tanto naufragio,

furono inviati coi loro ossequi a Mrs. Sedley da tre giovani agenti di cambio

(per l'esattezza si trattava di Dale, Spiggot e Dale, di Threadneedle Street), i

quali erano stati in rapporti d'affari con John Sedley e da lui avevano avuto

cortesie all'epoca in cui il vecchio signore era cortese con tutte le persone con

le quali avesse a che fare. Quanto al pianoforte di Amelia (la quale quasi

certamente si doleva di esser costretta a privarsene, perché poteva averne

bisogno in futuro), è oltremodo probabile che il capitano Dobbin non lo avesse

comperato per sé, visto che non sapeva suonarlo più di quanto sapesse ballare

sulla corda.

In breve, quella sera stessa il pianoforte giunse in un minuscolo cottage

prospiciente una trasversale di Fulham Road, una di quelle viuzze che per lo

più hanno un nome romantico (e la stradina in questione si chiamava infatti St.

Adelaide Villas, Anna-Maria Road, West), dove le case sembrano case di

bambole e la gente affacciata al primo piano sembra sieda in salotto al

pianterreno; dove la siepe del piccolo giardino antistante la facciata è sempre

fiorita di grembiali di bimbi, di calzini rossi, di cuffiette eccetera (poliandria,

poliginia); dove echeggia il suono dei cembali e un canto di voci femminili, il

sole riscalda coi suoi raggi piccoli vasi appesi alle ringhiere; dove la sera

rincasano stanchi gli impiegati della City. Qui, appunto, si trovava l'abitazione

di Mr. Clapp, ex segretario di Mr. Sedley, ed era in questo rifugio ospitale che il

buon vecchio era venuto a nascondersi, insieme con la moglie e la figlia, dopo

la catastrofe.

Quando ebbe la notizia della calamità che aveva colpito la sua famiglia,

Jos Sedley si comportò esattamente come si sarebbe comportato un uomo

della sua indole. Non tornò a Londra, ma scrisse a sua madre autorizzandola a

rivolgersi ai funzionari della sua banca e a prelevare qualunque somma fosse

loro necessaria. Pertanto i suoi poveri, vecchi genitori non avevano, per il

momento, da temere la povertà. Preso questo provvedimento, Jos Sedley

aveva continuato la solita vita, alloggiando come sempre all'albergo di

Cheltenham. Continuò imperterrito a bere il suo vino preferito, a guidare il

calesse, a giocare a carte, a raccontare fino alla nausea le sue avventure in

India e a farsi consolare e lusingare dalla vedova irlandese. Quel regalo in

denaro, per quanto necessario, non valse a confortare i suoi genitori, e Amelia

ebbe a confidare che il primo giorno in cui vide il padre sollevare il capo dopo il

fallimento fu quello in cui arrivò l'involto con le posate, inviategli con un

biglietto affettuoso dai giovani agenti di cambio. A quella vista scoppiò in

lacrime come un bambino, ed era perfino più commosso di sua moglie alla

quale quel dono era personalmente indirizzato.

Il più giovane degli agenti di cambio che avevano comperato le posate,

Edward Dale, aveva una marcata simpatia per Amelia, e nonostante la

situazione chiese la sua mano. Ciò non toglie che nel 1820 finisse con lo

sposare Miss Louisa Cutts, figlia di Mr. Cutts della Higham & Cutts (cospicui

mercanti di granaglie), la quale gli portò una ingentissima dote, ed oggi costui

vive da rajà e con numerosa prole nella sua elegante villa, a Muswell Hill. Ma

non dobbiamo consentire a questo degno personaggio di distrarci dal vivo del

nostro racconto.

Voglio sperare che il lettore si sia fatto, del capitano e di Mrs. Crawley,

un'opinione sufficientemente positiva per rendersi conto che non si sarebbero

mai sognati di portarsi in un quartiere fuori mano come Bloomsbury, se

avessero immaginato che la famiglia che intendevano onorare di una loro visita

fosse non solo decaduta dal grado sociale di un tempo, ma addirittura spogliata

d'ogni avere e nell'impossibilità di tornare loro utile in qualsivoglia maniera.

Rebecca fu oltremodo sorpresa nel vedere la vecchia, confortevole dimora, ove

aveva ricevuto tante attenzioni, messa a sacco da agenti e rigattieri, mentre

innumerevoli, semplici cose, preziosi ricordi di famiglia, venivano abbandonati

alla profanazione e al saccheggio di estranei. Un mese dopo la sua fuga da

Park Lane aveva pensato ad Amelia, e Rawdon, con una risata cavallina, aveva

manifestato il suo soddisfatto compiacimento all'idea di rivedere il giovane

George Osborne. «È uno dei miei conoscenti più simpatici,» aveva commentato

tutto allegro, «mi piacerebbe vendergli un altro cavallo, Beck. Mi piacerebbe

anche farmi qualche partita a biliardo con lui. Capiterebbe a proposito, in un

momento simile, non ti pare, Mrs. C.? Ah! Ah! Ah!»

Da siffatti discorsi non si deve concludere che Rawdon Crawley si

proponesse di barare ai danni di George Osborne: nemmeno per sogno: voleva

solo sfruttare l'occasione propizia di quell'incontro per cavare un lecito profitto:

qualsiasi giovanotto della buona società non si aspetta altro dagli

abboccamenti col prossimo alla Fiera della Vanità.

Quanto alla vecchia zia, era lenta a cedere. Ormai era trascorso un mese,

ma Rawdon continuava ad esser messo alla porta da Mr. Bowls. I suoi

domestici non venivano ricevuti nella casa di Park Lane e le sue lettere gli

venivano rese senza nemmeno esser state dissuggellate. Miss Crawley,

indisposta, non usciva mai di casa, e Mrs. Bute Crawley, insediatasi in pianta

stabile in Park Lane, non la lasciava un solo istante.

Crawley e la moglie non vedevano nulla di buono nel perdurante

soggiorno di quest'ultima e covavano in seno sinistri presagi.

«Perdio, adesso capisco, finalmente, perché si dava un gran daffare a

favorire i nostri incontri a Queen's Crawley!» disse Rawdon.

«Che razza d'intrigante, quella donnaccola!» gli fece eco Rebecca.

«Se tu non hai rimpianti, io per conto mio non ne ho affatto,» continuò il

capitano, che continuava a vivere in uno stato di perenne ammirazione nel

confronti della consorte. Lei, anziché rispondergli, lo ricompensò con un bacio,

e in effetti nutriva la più viva soddisfazione per l'incondizionata fiducia che le

accordava il marito.

«Se solo avesse un po' più di cervello,» pensava, «potrei cavarne

qualcosa.» Ma evitò sempre col massimo scrupolo di fargli capire quale

opinione avesse di lui: ascoltava con instancabile, apparente divertimento le

sue storielle da caserma, rideva delle sue facezie, mostrava di interessarsi

moltissimo alla disavventura di Jack Spatterdash al quale s'era azzoppato un

cavallo, e a quella di Bob Martingale, colto in flagrante in una casa da gioco,

nonché a un certo Tom Cinqbars che avrebbe preso parte alla corsa ad

ostacoli. Quando il marito rincasava, e lei si faceva sempre trovare d'ottimo

umore, quando lui manifestava il desiderio di uscire non tentava di trattenerlo,

e quando rimaneva in casa suonava e cantava per lui, gli preparava qualcosa

di speciale da bere, gli cucinava la cena, gli scaldava le pantofole, era tutta

attenzioni. Anche le donne migliori, diceva sempre mia nonna, sanno essere

ipocrite. Non sappiamo mai quel che ci nascondono, quanto siano avvedute nei

momenti in cui ci sembrano tutte ingenuità e fiducioso abbandono, quali

trappole vengano tese dietro l'ingannevole apparenza di quei sorrisi aperti e

spontanei, che in realtà mirano a imbrogliarci, a disarmarci, a svicolare da

qualcuno o qualcosa. E non mi riferisco soltanto ai sorrisi delle donne inclini

alla civetteria, ma anche a quelli delle signore o signorine che sono altrettanti

modelli di saggezza e virtù domestiche. Chi non ha mai avuto l'occasione di

vedere una donna ignorare di proposito la stupidità del marito, o calmarne gli

eccessi di collera inconsulta? E noi approviamo senza riserve queste amabili

virtù e lodiamo la donna che dimostra di possederle; scambiamo per

autenticità questa forma di garbato tradimento. D'altro canto una buona

moglie non può non essere un'abile diplomatica: il marito di Cornelia si

lasciava ingannare come Putifarre... La differenza stava solo nel modo.

A furia di attenzioni di questo tipo, Rawdon Crawley subì una vera e

propria metamorfosi: dall'inveterato gaudente che era si trasformò in un

marito sottomesso e felice. Un paio di volte accadde che qualcuno lo cercasse

al suo Circolo, ma in pratica nessuno risentì della sua mancanza. Nei baracconi

della Fiera della Vanità accade di rado che la gente senta il vuoto lasciato dai

disertori. La sua mogliettina segreta sempre gaia e sorridente, il piccolo

appartamento così accogliente, le cenette consumate en tête-à-tête, le serate

casalinghe avevano il fascino della novità, della clandestinità. Il matrimonio

non era stato reso noto in società, né la notizia del medesimo era apparsa sul

«Morning Post»: se avessero scoperto che Rawdon aveva sposato una donna

senza dote, i creditori gli sarebbero piombati addosso come avvoltoi. «Io non

ho un solo parente che si dolga della mia sparizione,» diceva Rebecca con un

malinconico sorriso. Aspettava con pazienza che la vecchia zia accordasse il

suo perdono prima di reclamare il posto che le competeva in società. Pertanto

viveva tranquilla e riservata nel quartiere di Brompton, senza vedere anima

viva, fatta eccezione per qualche amico del marito ch'era stato ammesso in

casa loro ed era assolutamente affascinato dalla sua persona. Coloro che

partecipavano a quei piccoli parties apprezzavano le cenette, le risate, i

piacevoli conversari, la musica dopo il pasto. Il maggiore Martingale si

guardava bene dal chiedere il certificato di matrimonio, il capitano Cinqbras

lodava la perizia di Mrs. Crawley nel preparare il punch, e il giovane tenente

Spatterdash, che giocava volentieri una partita a piquet e che Crawley

incontrava con particolare frequenza, era stato immediatamente colpito dalle

grazie di Becky. Ma lei non veniva mai meno alla sua abituale modestia e

riservatezza, e d'altronde le serviva da usbergo la fama di geloso e abile

spadaccino di cui godeva suo marito.

Vi sono uomini d'ottima estrazione e appartenenti al bel mondo che non

mettono mai piede nei salotti delle signore. Pertanto, sebbene la notizia del

matrimonio di Rawdon Crawley, prontamente divulgata da Mrs. Bute Crawley,

fosse a tutti nota nello Hampshire, a Londra fluttuava vaga ed incerta e la

gente non ne parlava, o quantomeno non mostrava di interessarsene. Rawdon

continuava a vivere allegramente di crediti, avendo alle spalle uno di quei

capitali basati sul debito che, qualora vengano oculatamente amministrati,

permettono a un uomo di tirare avanti benone per anni e anni e grazie ai quali

non pochi londinesi riescono a vivere molto meglio di chi è provvisto di

quattrini sonanti. Sfido chiunque ad asserire di non conoscere a Londra una

mezza dozzina di persone che gli passano accanto in sella a magnifici cavalli

mentre lui se ne va a piedi, che sono oggetto della generale adulazione, alle

quali s'inchinano i commercianti quando passano in carrozza, che non si

privano di nulla, e che peraltro non si sa di cosa vivano? Ecco, per esempio,

Jack Thriftless che caracolla lungo i viali di Hyde Park in groppa al suo

destriero, o sfreccia per Pall Mall nella sua carrozza. Prendiamo parte alle sue

cene servite con gran sfoggio di argenteria. «Che origine ha tutto ciò?» siamo

indotti a chiederci. «Come andrà a finire?» «Caro mio, ho debiti in ogni capitale

d'Europa,» mi ha confidato Jack, una volta. Un giorno o l'altro la fine verrà, ma

nel frattempo Jack conduce vita da nababbo, la gente è onorata di stringergli la

mano, simula di ignorare le storielle imbarazzanti che circolano sul suo conto e

di lui va dicendo che è un uomo cordiale, infaticabile, di ottimo carattere.

Rendiamo onore alla verità, e riconosciamo senz'altro che Rebecca aveva

sposato un uomo di questa specie. In casa c'era di tutto, ma il denaro liquido

scarseggiava, e ben presto il giovane ménage ne sentì la necessità; e fu

leggendo sulla «Gazette» che «il tenente G. Osborne compera il grado di

capitano subentrando a Smith, trasferito», che Rawdon aveva espresso il

desiderio d'incontrarsi con l'innamorato di Amelia. Di qui la visita dei coniugi

Crawley in Russell Square.

Quando, nel corso dell'asta pubblica, Rawdon e la moglie cercarono di

abboccarsi con Dobbin per informarsi sui motivi di quel disastro, il capitano si

era già dileguato, ed essi poterono ottenere solo qualche notizia generica

interpellando i facchini o gli agenti.

«Guardali con quei loro nasi a becco,» commentò Becky divertita, mentre

risaliva sul calesse tenendo il quadro sottobraccio. «Sembrano avvoltoi dopo

una battaglia.»

«Davvero? Non saprei dirti, cara. Non ho mai preso parte a una battaglia.

Devi chiederlo a Martingale. Lui è stato in Spagna, era aiutante di campo del

generale Blazes.»

«Era proprio una brava persona, il vecchio Sedley,» disse Rebecca.

«Sono davvero spiacente che sia andato in malora.»

«Poh! Gli agenti di cambio sono abituati ai fallimenti...» rispose Rawdon,

mentre con la frusta scacciava una mosca dall'orecchio del cavallo.

«Mi sarebbe piaciuto aver denaro abbastanza per poter rilevare un po' di

quell'argenteria,» continuò la moglie in tono sentimentale. «Venticinque ghinee

per quel piccolo pianoforte sono un prezzo semplicemente pazzesco. L'avevano

scelto da Broadwood per Amelia quando ha lasciato il collegio. Costava soltanto

trentacinque ghinee.»

«Quel tale... sì, come si chiama?... quell'Osborne la pianterà certamente

in asso, ora che la famiglia è sul lastrico. Poverina! La tua piccola amica ne

soffrirà, vero, Becky?»

«Oh, credo proprio che finirà per consolarsi,» rispose Becky con un

sorriso. E il calesse si avviò, mentre i due occupanti si affrettavano a cambiare

argomento.

XVIII • CHI SUONÒ IL PIANOFORTE ACQUISTATO DAL CAPITANO

DOBBIN?

Stupefatto, il nostro racconto scopre d'essere momentaneamente

coinvolto fra personaggi e avvenimenti famosi, e sfiora addirittura eventi

storici. Mi domando se per caso le aquile dell'avventuriero corso Napoleone

Buonaparte, volando di campanile in campanile dalla Provenza (ove si erano

posate dopo la breve permanenza all'isola d'Elba) fino a Notre-Dame, abbiano

gettato uno sguardo su un angolino della parrocchia di Bloomsbury, in quel di

Londra, in apparenza così tranquilla che persino lo sbattere di quelle ali

possenti avrebbe potuto passare inosservato.

«Napoleone è sbarcato a Cannes.» Una notizia siffatta poteva seminare il

panico a Vienna, obbligare la Russia a mettere le carte in tavola, costringere la

Prussia in un vicolo cieco e indurre Talleyrand e Metternich a dar di piglio al

loro estro politico, mentre il principe di Hardenberg e perfino l'attuale

marchese di Londonderry, il nostro ambasciatore a Londra, potevano trovarsi

interdetti, nell'incapacità di giungere a una deliberazione. Ma come poteva una

notizia del genere colpire una fanciulla abitante in Russell Square, una fanciulla

davanti alla cui abitazione il guardiano notturno scandiva con voce cantilenante

le ore mentre lei dormiva, che, se si aggirava per la piazza, era protetta da

guardie e inferriate, che se si spingeva non più lontano di Southampton Row

per comperare un nastro era seguita dal nero Sambo, armato di un solido

bastone? Che era sempre stata oggetto di mille attenzioni, che tanti angeli

custodi, con o senza salario, avevano sempre vestito, svestito, messo a letto e

tenuto sotto la loro ala tutelare? Bon Dieu, mi vien fatto di dire, non è forse

una sorte crudele che l'impeto fatale della grande disputa imperiale non possa

svolgersi senza toccare una povera, innocente diciottenne che pensa soltanto

al suo amore e a ricamare colletti di mussola fra le mura della sua casa in

Russell Square? Dunque, tu pure, esile fiorellin di prato, sarai spazzato

dall'impeto fragoroso della tempesta, sebbene tu cerchi rifugio all'ombra

protettrice di Holborn? Eppure sì: Napoleone ha giocato l'ultima carta e in certa

misura la felicità della povera Emmy Sedley dipende dall'esito del suo gioco.

Per cominciare, quella notizia fatale ebbe il potere di vanificare il

patrimonio di suo padre. Nell'ultimo periodo tutte le speculazioni erano andate

a rotoli, per il pover'uomo perseguitato dalla malasorte. Addio buone occasioni,

i fallimenti si erano susseguiti, l'uno dopo l'altro. I titoli di stato erano saliti

proprio nel momento in cui egli credeva che sarebbero scesi. Ma a che serve

indugiare sui particolari. La fortuna è rara e lenta, mentre tutti sanno quanto

facile e rapida sia la disgrazia. Il vecchio Sedley, al colmo dello sconforto,

aveva nascosto la verità alla famiglia, tutto sembrava procedere come al solito

in quella casa ove regnava la più larga agiatezza. La brava moglie dell'agente

di cambio continuava a vivere nel suo ozio consueto, del tutto ignara,

impegnata soltanto nelle solite incombenze domestiche, nelle semplici

occupazioni quotidiane; mentre la figlia, tutta assorta com'era nell'unico tenero

pensiero che la dominava, non s'accorgeva nemmeno di quanto accadeva

intorno a lei, quando giunse il colpo spaventoso sotto il quale cadde quella

rispettabilissima famiglia.

Una sera Mrs. Sedley era intenta a compilare gli inviti per un

ricevimento. Gli Osborne ne avevano dato uno e lei non poteva certo essere da

meno. John Sedley, rientrato a tarda ora dalla City, sedeva silenzioso davanti

al caminetto, mentre sua moglie conversava animatamente. Emmy era salita in

camera, sofferente e di pessimo umore. «È depressa,» diceva sua madre.

«George Osborne la trascura. Comincio a esser stufa delle arie che si danno, in

quella casa. Sono tre settimane che le ragazze non si fanno vive. George è

venuto a Londra due volte, ma qui non ha messo piede. Edward Dale lo ha

incontrato all'Opera. Edward sposerebbe Emmy, ne sono certa. E poi c'è il

capitano Dobbin, certamente lui... Ma francamente i militari, io non li posso

soffrire. George è diventato un vero e proprio bellimbusto; crede d'essere un

generale, quello lì. Dobbiamo far vedere a questi signori che valiamo né più né

meno quanto loro. Se solo incoraggiassimo un poco Edward Dale, vedresti!

Dobbiamo dare un ricevimento, Sedley. Perché non mi rispondi, John? Dici che

andrebbe bene fra due settimane, l'altro martedì? Perché non parli? Santo Dio,

John, cos'è successo?»

John Sedley si alzò di scatto dalla sedia e si volse verso la moglie ch'era

accorsa verso di lui. La strinse fra le braccia e disse con voce spezzata: «Siamo

rovinati, Mary. Tanto vale che tu lo sappia subito.» Mentre parlava era scosso

in tutte le sue membra, sembrava che stesse per svenire da un momento

all'altro. Temeva che la notizia fosse troppo dura per sua moglie, quella moglie

alla quale non aveva mai rivolto una parola aspra. Ma sebbene quel colpo

giungesse alla donna del tutto inatteso, il più turbato era lui. E quando di

nuovo si lasciò ricadere sulla sedia, fu la moglie che subito si assunse il

compito di consolarlo. Gli afferrò la mano tremante e gliela baciò, poi

l'appoggiò sulla spalla, gli disse che era il suo John, il suo caro John, il suo

caro, vecchio marito, vi riversò su di lui fiumi di parole incoerenti, cariche

d'amore e di tenerezza; la sua voce affettuosa e quelle semplici carezze gli

colmarono l'animo, pervaso da una profonda tristezza, di un misto ineffabile di

diletto e di angoscia, lo rallegrarono e alleviarono un poco il senso di

oppressione che gli gravava sul cuore.

Una sola volta, durante la lunga notte ch'essi trascorsero alzati e il

povero Sedley aprì il suo animo straziato raccontando nei dettagli la storia

delle sue perdite e delle sue estreme difficoltà, il tradimento di alcuni amici di

vecchia data, la comprensione e la generosità di altre persone dalle quali non si

sarebbe mai aspettato nulla, abbandonandosi insomma a uno sfogo generale,

una sola volta quella moglie fedele si abbandonò alla commozione.

«Mio Dio, mio Dio!» esclamò, «Emmy ne avrà il cuore spezzato.»

Il padre aveva dimenticato la sventurata ragazza, che se ne stava al

piano di sopra, a letto, sveglia e infelice. A casa sua, circondata da tanti amici,

dall'affetto dei suoi genitori, ella si sentiva sola. Quante sono le persone alle

quali si può raccontare tutto di noi? Chi si sente incline alla confidenza quando

intorno a sé incontra soltanto incomprensione? E viceversa chi desidera parlare

con qualcuno che non riuscirebbe mai a capire? Ecco perché la nostra cara

Amelia soffriva in solitudine. Da quando aveva nutrito in sé qualcosa da

confidare non aveva mai avuto accanto quel genere di persone che, appunto,

noi siamo soliti definire «confidenti». Non poteva esternare alla sua vecchia

genitrice i suoi dubbi, le sue perplessità. Le future cognate le sembravano ogni

giorno più estranee. Rimuginava tra sé dubbi e timori che, per altro verso, non

osava confessare pienamente nemmeno a se stessa.

Il suo cuore si ostinava a credere che George Osborne fosse degno di lei

e le restasse fedele, ma al tempo stesso era sicura del contrario. Quante cose

ella gli aveva detto, senza destare in lui la minima eco! Quante volte era

insorto in lei il sospetto ch'egli fosse un uomo fatuo ed egoista, e quante volte

era riuscita a reprimere quella sua convinzione! A chi poteva parlare, povera

piccola martire, di questi suoi quotidiani tormenti e torture? Persino il suo eroe

la comprendeva soltanto a metà. Eppure Amelia non osava riconoscere una

volta per tutte che l'uomo da lei amato le era inferiore, che troppo presto ella

aveva fatto dono del suo cuore. Ed ora che lo aveva dato, era troppo timida,

troppo modesta, troppo fiduciosa, troppo debole per riprenderselo. Era troppo

donna, in una parola. Per quanto riguarda i sentimenti d'affetto che coltivano le

nostre donne, noi ci comportiamo da torelli, e per giunta le abbiamo costrette

a soggiacere alla nostra dottrina. Accettiamo di buon grado che le loro

sembianze esteriori siano ostentate con una certa libertà, nascoste sotto

riccioli, e cuffiette rosa, anziché sotto i veli delle orientali; ma pretendiamo che

la loro anima si riveli a un uomo soltanto, ed esse obbediscono senza

manifestare aperta riluttanza, ed anzi piegandosi a rimanere nelle nostre case

a guisa di schiave, a occuparsi di noi, a faticare per noi.

Così dunque soffriva quel cuore torturato e prigioniero, quando nel mese

di marzo dell'anno del Signore 1815 Napoleone sbarcò a Cannes, Luigi XVIII

fuggì, l'intera Europa fu di nuovo in allarme, i titoli di stato crollarono e il

vecchio John Sedley si trovò sul lastrico.

Non staremo a seguire le ansie, le agonie, lo strazio attraverso i quali il

vecchio agente di cambio dovette passare prima che il suo fallimento

commerciale venisse ufficialmente dichiarato. Per cominciare, fu dichiarato

insolvibile in Borsa, poi divenne irreperibile alla sede della sua agenzia, le sue

cambiali andarono in protesto e il fallimento divenne un dato di fatto. La casa e

la mobilia di Russell Square vennero sequestrati e messi all'asta, mentre lui e

la sua famiglia ne venivano scacciati ed erano costretti a nascondersi come

meglio potevano, nelle circostanze già riferite.

John Sedley non ebbe il cuore di rivedere quei suoi domestici affiorati di

tanto in tanto nelle pagine del nostro racconto, e dai quali ora l'indigenza lo

costringeva a separarsi. Pagò il salario di quelle degne persone con la

puntualità di cui in generale danno prova solo i debitori di grosse somme;

costoro si dichiararono spiacenti di dover rinunciare al buon posto di cui

fruivano, ma francamente non potremmo giurare che si sentissero spezzare il

cuore per doversi separare dagli «adorati» padroni. La cameriera di Amelia si

profuse in espressioni dolenti che manifestavano il suo rincrescimento, ma se

ne andò rassegnata a migliorare il proprio stipendio entrando a servizio presso

qualche famiglia residente in quartieri più signorili della città. Il negro Sambo,

infatuato com'era del suo mestiere, decise di aprire una bottiglieria; quanto

alla vecchia e onesta Mrs. Blenkinsop, che aveva visto nascere Jos e Amelia e

conosceva i coniugi Sedley sin dal tempo del loro fidanzamento, aveva messo

in disparte durante gli anni trascorsi al loro servizio una discreta somma.

Pertanto accondiscese a seguire la famiglia decaduta nel loro nuovo ed umile

rifugio e vi rimase per qualche tempo occupandosi di loro e brontolando in

continuazione.

Fra tutti gli avversari di Sedley, in quelle diatribe coi creditori così

mortificanti da farlo invecchiare in sei settimane più di quanto non fosse

invecchiato in quindici anni, il più accanito e implacabile si mostrò John

Osborne: proprio lui, il vicino di casa, l'uomo che a Sedley doveva la propria

posizione, che per innumerevoli ragioni gli doveva gratitudine e il cui figlio

avrebbe dovuto sposare la sua figliola. E probabilmente l'una o l'altra di queste

due circostanze erano la ragione in cui andava cercata la ragione di tanta

avversione.

Quando avviene che un individuo abbia contratto forti debiti con un altro

con il quale in seguito gli capita di litigare, si direbbe che una regola rigorosa

della buona creanza imponga al primo di diventare nemico del secondo, e più

spietato di quanto non sarebbe un estraneo. Poi, per motivare la propria

crudeltà e la propria ingratitudine, si è costretti a gettare ogni colpa sull'altro.

Nessuno è mai disposto a riconoscere il proprio cieco egoismo e ad ammettere

di essere furibondo perché una speculazione non è andata a buon fine. Manco

per sogno! Le cose sono andate come sono andate perché il socio ha provocato

una siffatta situazione a causa della trame più vili e mosso da perfide

intenzioni. La sua coerenza induce il persecutore a sostenere che il contrario è

vero: il perseguitato è un lestofante; altrimenti lui, il persecutore, non sarebbe

che un miserabile.

Per giunta, ciò che per solito vale a tranquillizzare ulteriormente la

coscienza dei creditori più implacabili, sta nel fatto che in genere chi si trova in

difficoltà finanziarie non è caratterizzato da una specchiata onestà. Nasconde

sempre qualcosa di non del tutto limpido: o ha esagerato magnificando la

consistenza di una fortuna in realtà più modesta, o ha celato l'effettivo

andamento dei suoi affari, o ancora asserisce che le sue faccende procedono a

gonfie vele quando invece stanno andando a catafascio, e continua a sorridere

(quale tragico sorriso!) mentre ormai è sull'orlo del fallimento; inoltre è

sempre pronto ad attaccarsi a qualsiasi pretesto pur di rinviare i pagamenti e

riuscire a dilazionare anche di pochi giorni la fatale catastrofe. «Basta, basta

con questa disonestà!», esclama trionfante il creditore dileggiando il povero

derelitto che affonda. «Ma tu, pazzo, perché non ti afferri alla pagliuzza?»

propone il signor Buon Senso all'uomo che sta annegando. «E tu, mascalzone,

perché non ti decidi ad affrontare la vergogna del Bollettino dei protesti alla

quale non ti è più possibile sottrarti?» dice chi s'impingua grazie all'ottimo

andamento dei suoi affari al povero diavolo che si dibatte in un pelago in

tempesta? Chi non ha avuto modo di osservare con quanta prontezza gli amici

più intimi e gli uomini più specchiati si accusano a vicenda di truffa quando

intervengono questioni d'interesse? Non c'è uno che sgarri, questa è la regola.

Tutti, forse, hanno ragione, e a questo mondo non ci sono che farabutti.

Osborne era pertanto assillato e istigato dal pensiero insopportabile dei

benefici ricevuti, pensieri che accentuano ulteriormente le cause effettive di

ostilità. Voleva ad ogni costo rompere il fidanzamento tra suo figlio e la figlia di

Sedley, e dal momento che la cosa era ormai giunta ad uno stadio avanzato, e

la felicità, nonché probabilmente la reputazione della povera fanciulla

avrebbero risentito delle circostanze in atto, bisognava dimostrare che c'erano

validissime ragioni per romperlo. Pertanto John Osborne doveva provare che

Sedley era realmente una persona deplorevole. Ecco perché alla riunione dei

creditori egli assunse nei confronti di Sedley un atteggiamento così duro e

sprezzante che quasi spezzò il cuore al povero fallito. Vietò che i rapporti fra

George e Amelia proseguissero ulteriormente, minacciando il figlio di maledirlo

se non avesse rispettato le sue ingiunzioni, e prendendosela con la povera

ragazza, del tutto estranea all'accaduto, come se fosse stata la più sfacciata e

ipocrita delle civette. Una delle peggiori necessità imposte dall'odio e dalla

collera consiste nel calunniare quanto più è possibile l'oggetto odiato; e questo

per pura e semplice coerenza.

Quando sopravvennero lo sfacelo, l'annuncio della loro situazione

rovinosa, il distacco da Russell Square e la dichiarazione che tutto era finito tra

lei e George, tutto era finito tra lei e l'amore, tra lei e la felicità, tra lei e la

fiducia nel prossimo e nella vita (una lettera brutale di poche righe,

indirizzatale da John Osborne, le aveva comunicato che la condotta di suo

padre era tale da rendere insostenibile la prosecuzione di qualsiasi rapporto tra

le due famiglie); quando venne l'ultimo colpo, insomma ella non ne fu

sconvolta come i suoi genitori temevano (e soprattutto sua madre, perché John

Sedley era interamente assorbito nella squallida contemplazione della sua

rovina finanziaria e del suo onore distrutto). Amelia accolse la notizia pallida e

calma: si trattava, in fondo, della conferma degli oscuri presentimenti che

covava da molto tempo. Non era che la lettura ufficiale della sentenza per una

colpa da lei commessa tanto tempo prima: la colpa di essersi abbandonata ad

un amore mal riposto, troppo impetuoso, in contrasto con la stessa logica. Non

si può dire che ora, perduta ogni speranza, fosse molto più infelice di prima,

quando sentiva che la speranza era svanita senza avere il coraggio di

ammetterlo apertamente con se stessa. Passò quindi dalla grande casa cui era

assuefatta a quella piccola con assoluta naturalezza, quasi il fatto le fosse

indifferente, e trascorreva gran parte del suo tempo nella sua stanzetta,

morendo poco per volta. Con ciò non oso affermare che tutte le donne siano

eguali. Sono convinto, cara Miss Bullock, che voi vi comportereste in modo del

tutto diverso. Voi siete forte e sorretta da sani principi, e d'altronde non mi

arrischierei ad affermare che il mio stesso cuore si spezzerebbe: è un cuore

che ha sofferto, ma nondimeno ha saputo sopravvivere, lo confesso. Ciò non

toglie che esistano creature delicate, fragili, vulnerabili, dotate di una tempra

meno solida e ferrata.

Quando accadeva al vecchio Sedley di ripensare alla liaison fra George e

Amelia, oppure vi alludeva, lo faceva con la medesima asprezza con la quale si

era comportato Mr. Osborne. Malediceva quell'uomo ingrato, perfido, senza

cuore, malediceva lui e tutta la sua famiglia. Nessuno al mondo, nemmeno

l'uomo più potente dell'orbe terracqueo, avrebbe potuto indurlo a concedere la

propria figliuola al rampollo di un simile miserabile; pertanto ingiunse ad

Amelia di cancellare l'immagine di George dalla sua mente e di restituirgli tutte

le lettere e i piccoli doni che aveva ricevuto da lui.

Amelia promise e si fece forza per ubbidire all'ordine paterno. Preparò i

due o tre ninnoli; ma in quanto alle lettere, dopo averle rilette ancora una volta

(come se non le avesse sapute a memoria), non ebbe cuore di separarsene.

Era un dolore troppo forte. Se le mise in seno, ed ivi le tenne, come certe

donne cullano il loro bimbo morto. La povera Amelia era convinta che sarebbe

morta o avrebbe perduto il bene dell'intelletto, se le avessero sottratto

quell'estremo conforto. Come arrossiva, come raggiava di felicità quando

arrivavano quelle lettere! Come si rifugiava in un angolo remoto per poterle

leggere indisturbata, il cuore martellante di gioia! E se le lettere erano fredde,

quell'anima appassionata sapeva rivestirle di calore. Se erano laconiche e

parlavano solo dello scrivente, ella mentalmente sapeva architettare mille

pretesti atti a giustificarne il tono distaccato ed egocentrico.

Ed era su quei pochi fogli così scarsi di valore ch'ella continuava ad

alimentare il suo tormento. Viveva del passato, e ciascuna di quelle lettere

sembrava rievocarne la memoria. Le ricordava così bene! Ricordava il suo

aspetto, il tono della sua voce, il suo modo di vestire, quello che aveva e non

aveva detto. Quelle vestigia, quei ricordi di un affetto estinto erano il suo unico

patrimonio a questo mondo. Nella vita, ormai, non le restava che vegliare il

cadavere del suo amore.

Pensava alla morte e la desiderava ardentemente. «Se morissi,»

pensava, «potrei seguirlo ovunque fosse.» Con ciò non voglio approvare il suo

atteggiamento o portarla ad esempio a Miss Bullock. Miss Bullock sa

amministrare i propri sentimenti con un'oculatezza del tutto ignota a quella

fragile fanciulla; Miss Bullock non si sarebbe mai lasciata andare come aveva

fatto Amelia, nella sua irresponsabilità: giurare eterno amore, concedere il

proprio amore senza nulla in cambio al di fuori di una vaga, inconsistente

promessa che in qualsiasi momento poteva esser spazzata via! I fidanzamenti

che si trascinano per troppo tempo sono società nelle quali uno dei soci ha

facoltà di rompere e di andarsene quando crede, mentre l'altro ci rimette le

penne sino in fondo.

Perciò siate caute, fanciulle, e state attente ai legami amorosi che

stringete. State attente a non palesare troppo il vostro amore; badate a non

dire tutto ciò che sentite, o, meglio ancora, cercate di sentire il meno possibile.

Vedete che cosa accade ad esser troppo oneste e fiduciose? Non fidatevi né di

voi né degli altri; e se vi sposate fate come in Francia, ove gli avvocati fungono

da confidenti e damigelle d'onore. Non lasciatevi andare a sentimenti che in un

rapido domani possano causarvi sofferenza, e comunque limitatevi alle

promesse alle quali siate in grado di venir meno quando vi torna comodo.

Questo e il modo di farsi strada, questa è la via da seguire se si vuoi essere

stimati, rispettati e virtuosi nella Fiera della Vanità.

Se Amelia avesse potuto udire i commenti che si facevano tra le persone

dalle quali adesso era esclusa a causa della rovina finanziaria di suo padre,

avrebbe avuto modo di apprendere quali erano le sue colpe e in quali acque

tempestose navigava la sua «reputazione». Mrs. Smith non aveva mai visto

tanta sprovvedutezza, Mrs. Brown aveva sempre stigmatizzato quella

soverchia familiarità, pessimo esempio per le sue figliole. Che il capitano

Osborne non possa sposare la figlia di un fallito è semplicemente ovvio,

osservavano le signorine Dobbin. Bastava esser stati imbrogliati dal padre!

Quanto alla piccola Amelia, la sua incoscienza aveva veramente superato...

«Superato cosa?» urlò il capitano Dobbin. «Non erano forse fidanzati sin

dall'infanzia? Non si trattava forse di un matrimonio combinato da tempo

immemorabile? È mai possibile che si osi sparlare di una persona così angelica,

della più dolce, della più pura, della più tenera fra le donne?»

«Suvvia, William, non assumere un tono così aggressivo con noi,» disse

Miss Jane. «Ricordati che stai parlando con delle donne, non con degli uomini;

non possiamo sfidarti a duello. Non abbiamo detto niente di male sul conto di

Miss Sedley; ci siamo limitate a osservare che il suo comportamento è sempre

stato molto imprudente, per non usare espressioni più drastiche. E in quanto ai

suoi genitori, non c'è dubbio: quello che gli è capitato se lo meritano.»

«Ora che Miss Sedley è libera, non sarebbe una buona idea che fossi tu a

chiedere la sua mano?» domandò Miss Ann, sarcastica. «Sarebbe un

matrimonio veramente splendido. Ah! Ah! Ah!»

«Io sposarla?» rispose Dobbin arrossendo di colpo e parlando con voce

sempre più concitata. «Se voi siete così pronte a cambiar bandiera, non è

detto che lei vi somigli. Sì, sì, ridete, schernite pure quell'angelo; tanto lei non

vi può sentire. È infelice, sfortunata, ma certo non merita il vostro dileggio.

Comunque ridi pure, Ann, se ti pare dignitoso; tu sei la spiritosa di famiglia e

gli altri si divertono un mondo ad ascoltarti.»

«Ti ricordo una volta ancora che non siamo in caserma, William,» disse

Ann.

«In caserma?» sbottò quel giovane leone britannico, impennandosi. «In

caserma, dici? Per Giove, vorrei che in caserma qualcuno si provasse a parlare

come parli tu. Davvero: mi piacerebbe proprio che un uomo pronunciasse una

sola parola contro di lei, per Giove! Ma gli uomini non fanno questo genere di

cose, Ann. Solo le donne sono capaci di far combutta per gracchiare, cianciare

o sibilare contro una delle loro simili. E adesso non metterti a piangere, mi

sono limitato a dire che siete due ochette,» disse Dobbin accorgendosi che gli

occhi sempre arrossati della sorella cominciavano a riempirsi di lacrime. «E va

bene, allora diciamo che non siete oche ma cigni. Come preferite. Solo vi prego

di lasciar in pace Miss Sedley,»

«William è veramente infatuato di quella piccola, sciocca civetta,»

pensavano sia la madre che le figlie. «Non si è mai visto niente di simile.»

Tremavano all'idea che, rotto il fidanzamento con Osborne, lei accettasse di

punto in bianco di sposarsi col capitano Dobbin, suo incondizionato

ammiratore. Siffatti timori erano senza dubbio dovuti alle esperienze coltivate

dalle degne fanciulle in questione; o, diciamo meglio, non avendo mai avuto

sino a quel momento l'opportunità di fidanzarsi né di essere abbandonate, da

una loro concezione affatto personale del bene e del male.

«È una grazia del Cielo, mamma,» dicevano le ragazze «che il suo

reggimento abbia avuto l'ordine di recarsi all'estero. Così nostro fratello sarà al

riparo da un rischio del genere!»

Era vero, infatti. E a questo punto è di scena l'imperatore dei francesi per

recitare il suo ruolo nella commedia familiare della Fiera della Vanità che al

presente stiamo recitando: una commedia che non sarebbe mai stata recitata

senza la partecipazione di questo augusto e muto personaggio. Fu lui a

rovinare i Borboni, e insieme con loro Mr. John Sedley. Fu lui che, giunto nella

sua capitale, chiamò alle armi tutta la Francia per potervi restare e, al tempo

stesso, tutta l'Europa che voleva sbarazzarsene. E mentre intorno alle aquile

popolo ed esercito di Francia giuravano fedeltà nel Campo di Maggio, i quattro

eserciti più potenti del continente si mettevano in marcia per la grande chasse

à l'aigle. Di questi, uno era costituito dall'armata britannica di cui facevano

parte due dei nostri eroi: i capitani Osborne e Dobbin.

La notizia della fuga e dello sbarco di Napoleone fu accolta dal prode ...°

Reggimento col giubilo guerresco e con l'entusiasmo che non stenta a

immaginarsi chiunque conosca questo famoso corpo. Dal colonnello fino al più

umile tamburino tutti erano pervasi di speranza di ambizione, di veemente

slancio patriottico. Atteso con tanta trepidazione, era alfine giunto, per gli

uomini del ...° Reggimento, il momento di dimostrare ai commilitoni ch'essi

sapevano battersi come i veterani della campagna d'Italia, e che il loro

coraggio, il loro valore, non era stato distrutto dalle Indie Occidentali e dalla

febbre gialla. Pertanto essi provavano la più viva riconoscenza per l'imperatore

dei francesi, come se avesse fatto loro un favore personale sconvolgendo la

pace d'Europa.

Stubble e Spooney speravano di ottenere un comando di compagnia

senza doverselo comperare, e prima che si chiudesse la campagna, alla quale

voleva assolutamente partecipare, la moglie del maggior O'Dowd nutriva

fiducia di potersi firmare colonnella O'Dowd, C.B. Da parte loro, Dobbin e

Osborne non erano meno elettrizzati degli altri, e ciascuno in conformità ai

rispettivi temperamenti (Dobbin in silenzio e con la consueta riservatezza,

Osborne, con rumorosa energia) erano decisi a fare il loro dovere per

conquistarsi la loro fetta di onori e di ricompense.

Queste notizie turbavano e sommuovevano l'esercito e la popolazione a

un punto tale, che nessuno volgeva il pensiero ai casi della vita privata. È

quindi probabile che George Osborne, al quale era appena stato affidato il

comando di una compagnia, tutto assorbito com'era dai preparativi della

partenza ormai inevitabile e smanioso di meritarsi una promozione sul campo,

non fosse troppo colpito da eventi che in un momento di maggior calma lo

avrebbero maggiormente interessato. Pertanto (confessiamolo apertamente)

non fu troppo turbato dalla sventura del vecchio Sedley. Il giorno in cui si

svolse la prima riunione fra i creditori di quest'ultimo, George andò a provarsi

una nuova uniforme e si compiacque di constatare che gli stava a pennello.

Suo padre gli illustrò l'abominevole comportamento dell'agente di cambio

fallito, gli ricordò quanto già gli aveva detto a proposito di Amelia (cioè che

doveva troncare definitivamente ogni rapporto con lei) e quella sera stessa gli

regalò un bel gruzzolo per comperarsi le nuove uniformi e le spalline che lo

rendevano così attraente ed elegante. E dal momento che quel giovane

scialacquatore aveva sempre bisogno di quattrini, non esitò un istante ad

accettare quell'elargizione paterna. Già erano stati affissi i manifesti che

annunciavano l'asta sulla casa dei Sedley, ove aveva trascorso tante ore

serene, ed egli li vide quella sera stessa, biancheggianti sotto la luna mentre

usciva per andare all'Old Slaughter, il ritrovo ov'era solito passare la serata

quando era a Londra. Dove si erano rifugiati Amelia e i suoi, dal momento che

la loro comoda dimora gli era ormai preclusa per sempre? George meditò sulla

loro disgrazia, non senza provarne una profonda commozione, sicché trascorse

all'Old Slaughter una triste serata e la malinconia - come notarono i suoi amici

- lo spinse a bere smodatamente. Dopo poco comparve anche Dobbin che lo

esortò a limitare quelle soverchie libagioni, ma George rispose che, se beveva,

era soltanto perché si sentiva terribilmente giù di morale. Quando però l'amico

prese a interrogarlo e a fargli domande più specifiche cercando di sondare i

suoi pensieri e i suoi propositi, Osborne rifiutò di essere più esplicito, pur

ammettendo senza riserve di essere maledettamente infelice e in preda a una

sorta di frustrante malessere.

Tre giorni dopo, in caserma, Dobbin entrò nella camera di Osborne e lo

trovò col capo appoggiato a un tavolo e un mucchio di fogli sparpagliati intorno

a lui. Il giovane capitano si trovava in modo palese in uno stato di grande

depressione. «Mi... mi... ha rimandato certe cose che io le avevo regalato,»

disse. «Delle sciocchezze, degli oggettini da nulla. Guarda.» E mostrò a Dobbin

un pacchetto indirizzato al capitano George Osborne con quella scrittura a lui

familiare, oltre ad alcuni oggetti... un anello, un coltellino d'argento che lui le

aveva comperato ad una fiera quando erano ancora due adolescenti, una

catenina d'oro appeso alla quale c'era un ciondolo con una ciocca di capelli. «È

tutto finito,» gemette Osborne, in preda al rimorso. «Guarda, Will, leggi pure

se vuoi.»

E gli indicò una lettera di poche righe che diceva:

Il mio papà esige assolutamente ch'io ti renda questi regali che mi facesti

in tempi per me più felici. E questa è anche l'ultima occasione di scriverti che

mi viene concessa. Credo, anni sono convinta che anche tu abbia a soffrire per

la disgrazia che si è abbattuta su di noi. Voglio essere io a renderti la tua

libertà, dato che, nell'attuale miseria in cui versiamo non è possibile che il

nostro fidanzamento prosegua oltre. Sono sicura che tu non sia in alcun modo

responsabile della nostra situazione e non condivida i crudeli sospetti che nutre

tuo padre, causa, per noi, del più cocente fra tutti i dolori che ci affliggono.

Addio. Addio. Prego il Signore che mi dia la forza di sopportare questa ed altre

sventure, e che ti conceda sempre la sua benedizione.

A.

Suonerò spesso il pianoforte... il tuo pianoforte. È stato un dono che ha

saputo dirmi tutto il tuo amore.

Dobbin era un uomo di cuor tenero. Non riusciva a sopportare la

sofferenza di donne e di bambini. Il pensiero che Amelia soffrisse in quella sua

desolata solitudine colmò d'angoscia quell'anima così umanamente disposta

verso il prossimo e suscitò in lui un'emozione che ciascuno è liberissimo di

giudicare poco virile. Giurò che Amelia era un angelo, e su questo punto

Osborne non poté non trovarsi concorde. Anche lui aveva ripercorso con la

mente tutta la loro vita, e rivedeva Amelia sino a quel momento, dolce, dolce,

semplice, incantevole nella sua affettuosa e tenera ingenuità.

Quale dolore aver perduto tutto questo! Averlo posseduto e non averlo

saputo apprezzare a tempo debito! Mille episodi e ricordi familiari gli si

affollarono nella mente, e in tutti lei gli appariva soltanto buona, soltanto bella.

Poi ripensava a se stesso e arrossiva di rimorso, di vergogna. Il suo egoismo e

la sua indifferenza creavano uno spiacevole contrasto con l'assoluta purezza di

lei. Per qualche istante ogni pensiero di guerra e di gloria venne messo in

disparte, e i due amici parlarono soltanto di Amelia.

Parlarono a lungo. Poi, dopo una pausa, Osborne disse: «Dove saranno

finiti?» rendendosi conto con rinnovato senso di colpa di non aver fatto il

minimo sforzo per rintracciarla. «Dove saranno? Sulla lettera non c'è nessun

indirizzo.»

Dobbin, quell'indirizzo lo conosceva. Non solo aveva mandato

personalmente il pianoforte a Mrs. Sedley, ma le aveva scritto un biglietto

chiedendo il permesso di farle una visita. Pertanto l'aveva incontrata, ed aveva

visto anche Amelia, il giorno prima di andare a Chatham; anzi, era stato lui a

portare in caserma quella lettera di addio e quel pacchetto che li aveva tanto

commossi.

Mrs. Sedley era parsa lietissima di ricevere la visita di quel bravo

giovane, e molto turbata per l'arrivo del pianoforte che, a suo parere doveva

riflettere un'iniziativa personale di George, e pertanto era un segno della sua

amicizia. Il capitano Dobbin si guardò bene dal rivelare la verità alla degna

signora; inoltre ascoltò con grande partecipazione il resoconto dei loro guai e

manifestò la sua costernazione per le privazioni alle quali avevano dovuto

sottoporsi, dichiarandosi pienamente d'accordo sul fatto che la condotta di Mr.

Osborne nei confronti del suo antico benefattore era altamente riprovevole.

Poi, quando Mrs. Sedley ebbe sfogato su di lui l'impeto delle sue recriminazioni

e un poco dei suoi dolori, Dobbin si arrischiò a domandarle se avrebbe potuto

vedere Miss Amelia che al solito se ne stava in camera sua al piano di sopra, e

che la madre condusse da basso, tutta tremante.

Aveva un aspetto così spettrale, un'espressione così patetica nella sua

disperazione, che al solo guardarla il buon William Dobbin ne fu sconvolto, e su

quel volto pallido e spiritato lesse i più cupi presentimenti. Rimase seduta

accanto a lui per qualche istante, poi gli mise fra le mani il pacchetto e gli

disse: «Vi sarò grata se vorrete consegnarlo al capitano Osborne, che... che mi

auguro stia bene... siete stato veramente gentile a venirci a trovare... ci

troviamo molto bene in questa casa. Forse è meglio che adesso torni di sopra,

mamma, perché mi sento poco bene.» Detto ciò, accennò a un sorriso, fece un

inchino e uscì dalla stanza. Mentre la riaccompagnava, Mrs. Sedley lanciò a

Dobbin un'occhiata carica d'angoscia; ma il bravo ragazzo non aveva bisogno

di quel cenno: l'amava troppo perché fosse necessario. Provò un dolore, un

sentimento di pietà e di terrore indicibili, e quando si allontanò ebbe la

sensazione di fuggire, quasi fosse stato un criminale.

Quando Osborne apprese che l'amico l'aveva vista, chiese ansiosamente

di Amelia. Come stava? Che aspetto aveva? Che cosa gli aveva detto? Dobbin

gli prese una mano e gli rispose:

«George, sta morendo.» E non seppe aggiungere altro.

Nella piccola casa ove i Sedley avevano trovato rifugio, una prosperosa

fantesca irlandese sbrigava tutte le faccende domestiche, e più volte negli

ultimi giorni si era sforzata invano di recare ad Amelia aiuto o conforto. Emmy

era troppo triste per replicare alle sue parole, o anche solo per accorgersi di

quanto la donna cercava di fare a suo beneficio.

Quattro ore dopo la conversazione fra Dobbin e Osborne, la servetta in

questione entrò nella camera di Amelia, ove quest'ultima, come sempre,

sedeva taciturna, sospirando davanti alle sue lettere. La ragazza appariva

allegra e sorridente, e si adoperò inutilmente per attirare l'attenzione della

fanciulla.

«Miss Emmy,» disse la ragazza.

«Vengo,» rispose Amelia, senza levare lo sguardo.

«È arrivata una lettera...» continuò la domestica, «c'è qualcosa...

qualcuno... Una lettera nuova per voi... Smettete di leggere quelle vecchie.»

E le porse una lettera. Emmy la prese e lesse:

«Debbo vederti. Emmy, mia diletta, debbo vederti. Amore mio, carissima

compagna della mia vita, vieni da me.»

George e sua madre attendevano fuori della porta ch'ella avesse letto

quel messaggio.

XIX • MISS CRAWLEY MALATA

Abbiamo già visto come Mrs. Firkin, la cameriera di Miss Crawley, ogni

qual volta si verificava qualche avvenimento di un certo rilievo per la famiglia

si sentisse in dovere di darne notizia a Mrs. Bute Crawley, al presbiterio. E del

pari abbiamo accennato al fatto che la buona signora in questione fosse

particolarmente gentile e affettuosa con questa domestica di Miss Crawley, la

quale fruiva delle confidenze della sua padrona. Inoltre si era procacciata la

simpatia di Miss Briggs usandole quel genere di attenzioni e promesse che

costano assai poco a chi le elargisce ma fanno molto piacere a chi le riceve. E

in effetti ogni brava donna di casa dovrebbe ricordarsi quanto siano

economiche, ma al tempo stesso preziosissime, queste promesse, e quale

sapore riescano a conferire anche al piatto più insipido. Chi è l'imbecille che ha

osato dire: «Le belle parole non servono a condire le rape?» La metà delle rape

che vengono servite in società sono rese appetitose proprio dal contributo

offerto da quella salsa. Come l'immortale Alexis Soyer riesce a rimediare con

quattro soldi una minestra più prelibata di quella che una cuoca inetta riesce a

preparare con chili di carne e verdura, così un abile artista riesce ad approdare

allo scopo, in contrasto con uno sciocco, per quanto provvisto di beni molto più

tangibili. Anzi, è noto che certi beni tangibili riescono talvolta a dar di stomaco.

Invece la maggior parte della gente è sempre disponibile quando si tratti di

ingurgitare un'iradiddio di paroloni inutili, ed è sempre pronta a cacciarne giù

una dose ancora maggiore. Mrs. Bute Crawley aveva ripetutamente esternato

alla Firkin e alla Briggs il grande affetto che nutriva per loro, e aveva loro

espresso in termini così eloquenti quanto sarebbe stata pronta a far per loro se

avesse avuto le disponibilità finanziarie di Miss Crawley, che le suddette

signore la trattavano con estrema deferenza, e provavano per lei una

gratitudine e una fiducia concrete, proprio come se fossero state colmate di

fatto dei più singolari favori.

Invece Rawdon Crawley, da quel dragone rozzo ed egoista che era, non

si era mai curato di attirarsi la simpatia delle giannizzere di sua zia, ed anzi

non celava il disprezzo che provava per entrambe. Una volta si era fatto sfilare

gli stivali dalla Firkin, un'altra volta l'aveva mandata a recapitare certe lettere

licenziose sotto una pioggia torrenziale, e se per caso si lasciava andare a darle

una ghinea di mancia lo faceva con la stessa buona grazia con la quale si

assesta un pugno in pieno viso. E dal momento che anche la zia si divertiva a

dileggiare la Briggs, il nipote trovava più che logico seguirne l'esempio, e la

prendeva di mira con certe burle delicate quanto può esserlo la pedata di un

cavallo.

Al contrario Mrs. Bute Crawley la consultava su questioni di gusto, o

quando aveva problemi di qualsiasi genere, mostrava di apprezzare le sue

poesie e con una varia gamma di attenzioni le dava prova della sua stima. Se

poi faceva alla Firkin un regalo da nulla, lo accompagnava con una tale

profluvio di complimenti, che quei due soldi si trasformavano per magia in

monete d'oro, nel cuore della cameriera ricolma di gratitudine, la quale inoltre

già preconizzava il piacere di fruire dei vantaggi di cui sarebbe stata

beneficiaria il giorno in cui Mrs. Bute Crawley avesse ereditato da Miss Matilda.

Mi permetto rispettosamente di attirare l'attenzione di coloro i quali

danno inizio al loro cammino nel mondo sui contrastanti stilemi che

caratterizzano i personaggi in questione. Vi consiglio di lodare tutti; non siate

mai avari di complimenti, e prodigateli sia in faccia agli interessati che dietro le

loro spalle, se sapete che vi è qualche probabilità che l'elogio venga comunque

recepito. Non lasciatevi sfuggire l'occasione di pronunciare una frase gentile.

Fate come l'ammiraglio Collingwood che, se scopriva uno spazio libero nei suoi

possedimenti, subito levava di tasca una ghianda e la piantava. Ebbene, fate

altrettanto nella vita quando avete modo di esser complimentosi: una ghianda

è cosa da nulla, ma può trasformarsi in una quercia enorme e regalarvi tanto

legname.

A farla breve, Rawdon Crawley, che quando era sulla cresta dell'onda si

era visto ubbidito a malincuore, una volta caduto in disgrazia non fu aiutato né

compatito da nessuno. Per contro, quando Mrs. Bute Crawley assunse la

direzione delle faccende domestiche, tutto il servitorame fu lietissimo di

mettersi ai suoi ordini, convinto com'era che tante gentilezze e accattivanti

promesse fossero il prologo di consistenti vantaggi.

D'altra parte Mrs. Bute Crawley si guardò bene dal pensare che Rawdon

si desse per vinto dopo una sola battaglia perduta, e che rinunciasse a fare

qualche tentativo di rivincita. Sapeva che Rebecca era una donna troppo abile,

troppo astuta, troppo disposta a qualsiasi passo per alzare bandiera bianca

senza prima dar combattimento, e sentiva di dover stare all'erta, onde

difendersi da eventuali attacchi inopinati e proditori.

Prima di tutto, è vero che la città era in sua mano ma... il primo

cittadino? Miss Crawley avrebbe perseverato nel suo attuale atteggiamento?

Chissà se nel suo intimo non desiderava riconciliarsi con l'avversario, dopo

averlo respinto da sé e dai suoi affetti? L'anziana signorina apprezzava

Rawdon, e in quanto a Rebecca la trovava divertente. Mrs. Bute non poteva

nasconderselo: nessuno dei suoi familiari era in grado di recare un simile e

adeguato contributo al divertimento della suddetta, prima cittadina. «Lo so, lo

so,» ammetteva fra sé con assoluto candore la moglie del vicario, «in

confronto a quell'abominevole istitutrice le mie figlie cantano di peste. Quando

Martha e Louisa cantavano e suonavano i loro duetti. Matilda si affrettava ad

andarsene a letto. Quanto alla goffaggine puerile di Jim e ai discorsi di Bute sui

cani e sui cavalli l'hanno sempre fatta sbadigliare di noia. Se la conducessi ai

presbiterio, se la prenderebbe con tutti noi, ne sono sicura, e si affretterebbe a

ripartirne, disgustata. Eh, sì, potrebbe ricadere vittima del fascino che

esercitano su di lei sia quel mostro di Rawdon, sia quella vipera della Sharp.

Adesso peraltro sta molto male e per qualche settimana non avrà la possibilità

di muoversi: bisogna approfittarne e tramare qualche piano per metterla al

riparo da quella coppia priva d'ogni scrupolo.»

Nei momenti migliori, se qualcuno diceva a Miss Crawley che era (o che

sembrava) malata, lei, terrorizzata, convocava immediatamente il medico.

Adesso, poi, dopo quei frangenti familiari che avrebbero scosso un sistema

nervoso molto più saldo del suo, le sue condizioni potevano, in effetti, esser

giudicate critiche. Ad ogni modo Mrs. Bute Crawley ritenne doveroso avvisare il

medico, il farmacista, la dame de compagnie e la servitù che lo stato di salute

di Miss Matilda era veramente precario, e che di conseguenza tutti dovevano

tenerne il massimo conto. Aveva fatto spargere uno strato di paglia sul

marciapiede antistante l'ingresso, fatto levare il batacchio dalla porta e proibito

a Mr. Bowls di usare il vasellame d'argento. Pretese ad ogni costo che il dottore

si recasse a visitare l'inferma due volte al giorno e ogni due ore le faceva

ingurgitare un orribile beverone. Quando qualcuno osava varcare la porta della

camera da letto, dalle sue labbra usciva un sssss così sibilante, severo e

minaccioso, che la povera vecchia obbligata a letto, provava un brivido di

terrore. Non poteva levare lo sguardo senza veder fissi su di sé gli occhietti

penetranti di Mrs. Bute Crawley, che sedeva immobile in una poltrona di fianco

al giaciglio padronale. Nell'oscurità brillavano, quasi fossero stati fosforescenti.

Teneva le tende perpetuamente tirate, e si aggirava per la stanza a passi

felpati come quelli di un gatto. Così Miss Crawley giacque per giorni e giorni,

cullata dal suono della voce di Mrs. Bute Crawley che le leggeva testi religiosi.

Per tante, tante notti, non udì altro che la nenia cadenzata del contaore e lo

sfrigolio del lumino da notte. Dopo la rapida visita del farmacista, verso la

mezzanotte, era costretta a restarsene in quel letto a guardare gli occhi

pungenti della cognata e le strisce gialle che il lume proiettava contro il tetro

soffitto. Costretta a un regime del genere, anche Igea si sarebbe ammalata.

Com'era possibile che quella povera vittima non diventasse suo malgrado

un'ipocondriaca? Abbiamo già avuto agio di constatare come quella veneranda

abitatrice della Fiera della Vanità, quando era sana ed arzilla nutriva, in fatto di

religione e di morale, idee non meno spregiudicate di quelle del Signor di

Voltaire. Ma quando si ammalò il terrore panico della morte e la sua indomabile

pusillanimità s'impadronirono, impietosi, della vecchia peccatrice, e ne

aggravarono ulteriormente i malanni.

Omelie e considerazioni edificanti ci sembrano fuori luogo in un libro

siffatto, che dopotutto è semplicemente un romanzo; e noi, a differenza di

quanto avviene nelle pagine di molti romanzi attuali, non vogliamo inchiodare i

lettori a un sermone, visto che il pubblico ha pagato per assistere solo e

soltanto ad una commedia. Ma, pur mettendo al bando le omelie, non

possiamo sottacere la verità: non sempre la vivacità, l'allegria, le tronfie

apparenze di cui si rivestono i nostri personaggi alla Fiera della Vanità, li

accompagnano anche nell'intimità. Al contrario, accade non di rado ch'essi

siano vittime di crisi depressive e rosi da cupi pentimenti. È raro che un

gaudente per natura, quando si ammala, ritrovi l'allegria al solo pensiero di un

prelibato banchetto. Una donna sfiorita, quand'anche rievocasse le sue più

sfarzose toilettes e il successo che riscuoteva alle feste, non riuscirebbe

egualmente a consolarsi della bellezza perduta. Forse, anche nella vita degli

uomini politici subentra una fase in cui non riescono più a compiacersi dei

successi elettorali a suo tempo riscossi; e i piaceri goduti ieri contano ben poco

quando all'orizzonte spunta quel certo (o incerto) giorno nel quale tutti,

indistintamente, ci vediamo costretti a meditare su noi stessi. O tu, fratello,

che al pari di me indossi la casacca del buffone: devi pur ammetterlo! Ci sono

momenti nei quali ci si stanca di lazzi e di risate, di far tintinnare i sonagli del

borsetto e del bastone! Ecco, cari amici: ciò che mi propongo è di attraversare

la Fiera della Vanità, sostando a contemplare baracche e baracconi, per poi

ritornare a casa lasciandomi alle spalle quel frastuono, quella baldoria, quella

luminaria e assaporare in totale solitudine la più profonda infelicità.

«Se quel pover'uomo di mio marito avesse la testa sulle spalle,» pensava

Mrs. Bute Crawley, «di quale utilità potrebbe essere alla povera vecchia in

simili frangenti! Potrebbe esortarla a pentirsi dei suoi trascorsi licenziosi,

potrebbe indurla a fare una volta per tutte il suo dovere, cacciando quel

libertino, quel repellente individuo, che ha disonorato se stesso e la sua

famiglia, e convincerla a ricordarsi delle mie figliuole, dei miei ragazzi,

comportandosi nei loro confronti come Giustizia esige. Essi hanno bisogno, anzi

si meritano, tutto l'aiuto che può venirgli dai loro parenti.»

E dal momento che l'odio per il vizio serve a instradare lungo la via della

virtù, Mrs. Bute Crawley faceva tutto il possibile per inculcare in Miss Matilda

l'avversione per Rawdon, per quel coacervo di peccati ch'ella sciorinava in un

elenco così lungo, che sarebbe bastato a provocare la condanna di un intero

reggimento di giovani ufficiali. Quando accade che un uomo commetta qualche

errore nella vita, i moralisti più smaniosi di richiamare l'attenzione del

prossimo sulle sue pecche sono sempre i parenti. Per questo Mrs. Bute Crawley

mostrava una così viva partecipazione familiare, una così cieca consapevolezza

dei torti di Rawdon. Era edotta in ogni minimo dettaglio circa la disputa di

Rawdon col capitano Mapker: lite nella quale quest'ultimo, pur essendo dalla

parte della ragione, aveva perso la vita per mano dell'abietto suo camerata. E

del pari sapeva come lo sventurato Lord Dovedale, la cui madre era arrivata al

punto di acquistare una casa ad Oxford perché egli potesse studiare in quella

università, e che non aveva mai toccato un foglio di carta in vita sua fino al

giorno in cui aveva messo piede a Londra, era stato traviato da quel corruttore

di minorenni di Rawdon, il quale lo aveva trascinato al Coca Tree, lo aveva

fatto ubriacare e finalmente gli aveva pelato al gioco nientemeno che

quattromila sterline. Descriveva con dovizia di minuti, scottanti particolari le

sciagure di tante ignare famiglie dello Hampshire, i cui figli erano stati corrotti

da quel pessimo soggetto che li aveva piombati nel disonore e nell'indigenza, le

cui figlie erano state da lui sedotte e sospinte sulla strada della perdizione.

Sapeva vita, morte e miracoli dei poveri commercianti ridotti a malpartito a

causa delle sue truffe, del suo scialacquio inconsulto, le imprese furfantesche

con le quali li aveva turlupinati, l'impostura e la sfrontata ipocrisia con la quale

aveva ingannato la più generosa delle zie, l'ingratitudine e la sconcia condotta

con la quale ne aveva ricompensato i sacrifici. Mrs. Bute propinava questa

sequela di episodi a Miss Matilda somministrandoglieli a piccole dosi, onde

sortissero più efficacemente il loro effetto. Questo (ne era assolutamente

convinta) era il suo cristiano dovere di moglie e di madre: un dovere

inderogabile che le impediva di provare il più piccolo rimorso per la vittima

immolata dalla sua lingua calunniatrice. Anzi, probabilmente giudicava il

proprio comportamento degno di ogni lode e in cuor suo si compiaceva di tanta

decisione. Eh, sì, pensatela pure come vi pare; ma nessuno sa rovinare la

reputazione di una persona quanto un parente. Per altro verso, occorre

ammettere che nel caso di quel poveraccio di Rawdon Crawley, la pura e

semplice verità sarebbe bastata a condannarlo, e quando i suoi amici si

affannavano ad attribuirgli la paternità di tante azioni disdicevoli, la loro fatica

era del tutto inutile.

Anche Rebecca, che ormai faceva parte della parentela, aveva diritto ad

una quota di sua stretta spettanza nelle benevole investigazioni condotte da

Mrs. Bute Crawley. Costei, impegnata con tanto accanimento a cavare la Verità

dal pozzo, dopo aver dato ordini perentori onde fosse respinto qualsiasi inviato,

rifiutata qualsiasi lettera di Rawdon Crawley, un giorno salì sulla carrozza di

Miss Crawley e si recò a far visita alla sua diletta amica Miss Pinkerton, Minerva

House, Chiswick Mall, per comunicarle la ferale notizia: il capitano Rawdon

Crawley era stato circuito e sedotto da Rebecca Sharp!

Quale migliore occasione per apprendere una miriade di particolari

stuzzicanti e affatto inediti sulla nascita e la primissima giovinezza

dell'istitutrice! L'amica del Lessicografo disponeva di un numero incredibile di

notizie, tutte pronte per l'uso. Miss Jemima ebbe l'incarico di andare a

prendere le lettere e le ricevute del maestro di disegno: una era stata spedita

da una prigione provvisoria per debitori, un'altra era piena di frasi supplichevoli

per ottenere un anticipo, un'altra ancora trasudava riconoscenza per avere le

degne signorine del Chiswick accolto Rebecca nel loro istituto. Per finire,

l'ultima missiva vergata dal disgraziato artista sul letto di morte scongiurava

Miss Pinkerton di aver cura della sua figliola. Ma la collezione includeva anche

lettere e richieste di Rebecca in persona, nelle quali ella esternava la propria

riconoscenza o avanzava suppliche a favore del padre. Forse, alla Fiera della

Vanità, le satire più mordaci s'identificano proprio con le lettere. Prendetene un

fascio, scritto dieci anni fa da un vostro amico che ora onorate del vostro odio

implacabile. Prendete quelle di vostra sorella! Come vi volevate bene! Se più

tardi non aveste litigato a sangue per quell'eredità di venti sterline!... Prendete

gli scarabocchi infantili di vostro figlio, che, fattosi adulto e mostruosamente

egoista, vi ha causato atroci dispiaceri! Oppure prendete le vostre lettere:

quelle che, traboccanti di attestazioni d'amore imperituro, avete indirizzato alla

vostra bella, e che la stessa vi restituì quando si sposò con un tizio ricco

sfondato: un'innamorata della quale oggi non v'importa più di quanto v'importi

della regina Elisabetta! Promesse, giuramenti, trepide confidenze, tenere

espressioni ricolme d'amore e di gratitudine! Che strano affetto produce queste

parole, se ci avviene di rileggerle dopo un certo lasso di tempo! Nella Fiera

della Vanità un'apposita legge dovrebbe imporre nel modo più categorico di

distruggere - trascorso un certo lasso di tempo - qualsiasi scritto che non sia

una fattura quietanzata. Quei cialtroni che esaltano le preclare virtù

dell'inchiostro di China indelebile sono dei nemici del genere umano, e

dovrebbero essere cancellati dalla terra insieme con le loro turpi invenzioni.

Alla Fiera della Vanità dovrebbe essere di rigore l'uso di un inchiostro che

sbiadisce nel giro di due o tre giorni, e lascia il foglio perfettamente pulito e

intatto, pronto per una nuova lettera.

Lasciata Miss Pinkerton, l'inesorabile Mrs. Bute Crawley seguì le tracce di

Rebecca Sharp e di suo padre fino al loro alloggio di Greek Street, dove il

defunto pittore era vissuto, e dove le pareti del salotto si ornavano tuttora dei

ritratti della padrona di casa in abito di raso bianco, e del padrone di casa in

giacca dai bottoni dorati, dipinti da Sharp a titolo di pagamento per un

trimestre d'affitto. Mrs. Stokes era una donna loquace e non si fece pregare;

pertanto raccontò tutto ciò che sapeva sul conto di Mr. Sharp: che era un

poveraccio tanto dissipato quanto simpatico e spiritoso; ch'era sempre

tallonato dagli ufficiali giudiziari; che (e lei ne era stata scandalizzata) aveva

sposato quella detestabile sua moglie poco prima ch'ella morisse, che la figlia

era una specie di strano animaletto selvatico, capace peraltro di farli ridere con

i suoi scherzi e le sue comiche mossette; che andava a comperare il gin in un

osteria e frequentava tutti gli ateliers del quartiere... In poche parole, Mrs.

Bute Crawley ebbe agio di farsi un'idea così compiuta circa la parentela e i

precedenti della nuova nipote, della sua condotta e della sua educazione, che

Rebecca non sarebbe stata niente affatto contenta di scoprire come qualcuno

stesse svolgendo questa sorta d'indagini sul suo conto.

Di queste zelanti ricerche, Miss Crawley ebbe poi l'onore di beneficiare

senza riserve. La moglie di Rawdon Crawley era la figlia di una ballerina

dell'Opera, e lei stessa aveva fatto la ballerina. Aveva fatto la modella, e in

quanto all'educazione ricevuta era né più né meno quella che ci si poteva

attendere da una madre del genere. Inoltre beveva gin come il padre, e via

discorrendo. Era una donna perduta, degna moglie di un uomo perduto. E la

conclusione alla quale era fatale arrivare, sull'onda del resoconto di Mrs. Bute

Crawley, era che la perfidia di una coppia siffatta non aveva limiti: qualunque

persona dabbene aveva lo stretto dovere d'ignorarla.

Era questo, dunque, il materiale che l'oculata Mrs. Bute Crawley andava

collezionando nella casa di Park Lane: raccoglieva, potremmo asserire, le

provviste e le munizioni con le quali si apprestava ad affrontare l'assedio di cui,

prima o poi, il capitano Rawdon e sua moglie avrebbero cinto la casa di Miss

Crawley.

Se peraltro questa ridda di procedimenti precauzionali presentava un

neo, dobbiamo convenire che Mrs. Bute Crawley peccava per eccesso di zelo,

per soverchio perfezionismo. Non c'è dubbio che riuscisse ad aggravare

artatamente la malattia di Miss Matilda; ma sebbene la vecchia cedesse di

fronte all'esercizio implacabile di tanta autorità, questo era così tormentoso e

severo che la vittima guatava la prima occasione per sfuggirgli. Le donne

autoritarie (onore del loro sesso), quelle che amano comandare tutto e tutti,

quelle che sanno sempre quale sia il bene dell'uno e dell'altra assai più dei

diretti interessati, talora non prevedono il pericolo di una ribellione domestica,

o altre perniciose conseguenze di tanto implacabile spirito dominatore.

Fu così che Mrs. Bute Crawley, animata dalle migliori intenzioni e mezzo

morta di stanchezza perché rinunciava al sonno, al cibo, alle passeggiate pur di

assistere la cognata, si convinse che Miss Crawley era davvero malatissima e i

suoi funerali erano ormai prossimi. Un giorno, conversando con Mr. Clump, lo

zelante farmacista, parlò dei sacrifici e si diffuse sui risultati ai quali era

pervenuta.

«Per esser sincera, caro Mr. Clump, non ho lesinato il minimo sforzo per

guarire la cara ammalata ridotta in un simile stato dall'ignobile contegno di suo

nipote. Sopporto i sacrifici, non mi tiro indietro, accetto serenamente qualsiasi

disagio.»

«La vostra devozione è veramente encomiabile» rispose il farmacista,

«tuttavia...»

«Si può dire che non abbia mai chiuso occhio da quando sono arrivata. Al

senso del dovere ho sacrificato il sonno, la salute, le comodità alle quali ero

assuefatta... Quando il povero James ha avuto il vaiolo non ho certo permesso

che persone estranee lo curassero... ,»

«Avete agito come solo può agire la più affettuosa, la migliore delle

madri, ma... ,»

«Nella mia qualità di madre di famiglia e di moglie di un ecclesiastico,

voglio credere che le mie azioni siano guidate da umili e sani principi,»

continuò imperterrita la Crawley, con un tono di pacata e solenne convinzione.

«Fino a quando ne avrò la forza non abbandonerò il posto al quale mi esorta il

senso del dovere. Mai vi rinuncerò, Mr. Clump. Altri abbandoneranno quella

povera testa grigia in un letto di dolore.» E nel dir questo accennò ad una delle

parrucche color caffè che usava indossare la vecchia dama ed era posata

sull'apposito sostegno del camerino da toeletta. «Per conto mio non la lascerò

mai. Ah, caro Mr. Clump, temo proprio che a questo punto la nostra malata

abbia bisogno di un soccorso spirituale, oltre che dell'ausilio della medicina.»

«Ciò che volevo dire, signora,» intervenne Mr. Clump con voce risoluta,

pur non rinunciando all'abituale tono di deferenza, «ciò che volevo dire

poc'anzi, quando avete espresso quei vostri lodevolissimi sentimenti, è che a

mio parere voi vi allarmate senza ragione circa la salute della nostra cara

amica, e vi sacrificate per lei con eccessiva prodigalità.»

«Darei la vita per compiere il mio dovere, o per qualunque membro della

famiglia di mio marito,» interruppe la Crawley.

«Certo, certo, se fosse necessario... Noi però non vogliamo fare di Mrs.

Bute Crawley una martire» proseguì Clump, galante. «Senza dubbio voi non

dubitate che il dottor Squills ed io abbiamo esaminato il caso di Miss Crawley

con la maggior cura ed ogni possibile zelo. Notiamo che è depressa, nervosa.

Gli eventi familiari l'hanno profondamente turbata...»

«Suo nipote è condannato alla perdizione!» esclamò Mrs. Bute Crawley.

«È turbata, non c'è dubbio, e il vostro arrivo qui è stato come l'arrivo di

un angelo custode, cara signora. L'avete confortata nel momento cruciale della

disgrazia. Nondimeno il dottor Squills ed io riteniamo che le condizioni della

nostra amica non siano così gravi da costringerla a letto. La permanenza a

letto non fa che accentuare il suo stato di depressione. Bisogna che cambi vita,

abbia modo di uscire, di distrarsi: queste, credete, sono le medicine più

straordinarie di tutta la farmacopea,» disse Mr. Clump con un sorriso che rivelò

la chiostra dei suoi denti smaglianti. «Convincetela ad alzarsi, signora.

Toglietela da quel letto, fatela uscire da quello stato di prostrazione. Insistete

perché faccia qualche breve passeggiata in carrozza. Ciò varrà altresì a ridare

un bell'incarnato alle vostre gote, se posso osare di parlare così a Mrs. Bute

Crawley.»

«Pare che quel suo odioso nipote si rechi spesso a cavalcare ad Hyde

Park con quella sua sfrontata compagna,» disse Mrs. Bute Crawley, lasciando

cadere la maschera che fino a quel momento aveva celato il volto dell'egoismo.

«Se Miss Matilda lo incontrasse, ne avrebbe un colpo tale che dovremmo

riportarla a letto. No, Mr. Clump, non può, non deve uscire. Fino a quando

resterò in questa casa non uscirà. Quanto alla mia salute, che importa? Me ne

privo con gioia, lieta di immolarla sull'altare del dovere compiuto.»

«Signora,» riprese il farmacista in tono un po' più brusco, «se continua a

restarsene in quella stanza buia, vi giuro che non rispondo della sua vita. Il suo

stato di estremo nervosismo potrebbe perderla da un momento all'altro, e se

voi desiderate che il capitano Crawley diventi l'erede di Miss Matilda, vi

avverto: state facendo del vostro meglio per servirlo, signora!»

«Bontà divina! Dunque la sua vita sarebbe in pericolo?» esclamò Mrs.

Bute Crawley. «Ma perché non mi avete avvertita prima, Mr. Clump?»

La sera precedente Mr. Clump e il dottor Squills, davanti a una bottiglia

di vino, si erano consultati sulle condizioni di Miss Crawley in casa di Lord Lapin

Warren, la cui moglie stava per regalargli il tredicesimo figlio.

«Che arpia è quella donna dello Hampshire che ha messo le mani sulla

vecchia Tilly Crawley, vero Clump?» aveva detto il dottor Squills. «Fantastico

questo madera, perdio!»

«Rawdon è stato proprio un imbecille a prendere in moglie un'istruttrice.

Però bisogna riconoscere che quella ragazza aveva un non so che...»

«Occhi verdi, carnagione bianca, fronte alta, una figuretta flessuosa...»

aveva commentato Squills. «Sì, è vero, quella ragazza ha un non so che;

tuttavia Rawdon è stato proprio sciocco, Clump.»

«Sciocco lo è sempre stato,» aveva ribattuto quest'ultimo.

«Inutile dire che la vecchia lo diserederà,» aveva proseguito il medico. E

dopo una pausa: «Lascerà un mucchio di quattrini, immagino.»

«Lasciamo perdere,» aveva risposto Clump, con un sogghigno, «visto che

per me la sua morte significherà perdere duecento sterline all'anno!»

«Se continua a restare con lei, quella strega dello Hampshire la spedirà

al Creatore nel giro di due mesi, caro mio. La vecchia mangia troppo, ha la

pressione alta, è molto nervosa: finirà per venirle un colpo e andrà all'altro

mondo. Bisogna farla alzare, farla uscir di casa, o non darei il mio guadagno di

due settimane per le vostre duecento sterline annue.»

Questo, dunque, era stato il colloquio che aveva indotto il farmacista a

parlare in termini tanto espliciti a Mrs. Bute Crawley. Costei, avendo in pugno

Miss Crawley, costretta a letto, e senza testimoni ingombranti, aveva già

messo in atto ripetuti tentativi per convincerla a modificare il testamento. Ma

questi discorsi funerei aumentavano con le loro implicazioni il terrore panico

che la vecchia aveva della morte, e la signora comprese che, se voleva

pervenire ai risultati edificanti che si era prefissa, doveva rinverdire il

buonumore della malata migliorandone lo stato di salute. Ciò premesso,

occorreva scegliere il posto ove condurla. L'unico luogo ove difficilmente si

sarebbero imbattuti nell'odiato Rawdon era la chiesa, ma Mrs. Bute Crawley si

rendeva conto (e non a torto) che una simile prospettiva non presentava nulla

di divertente per sua cognata. «Dobbiamo andare a vedere i bellissimi dintorni

di Londra,» pensò, «dicono tutti che siano fra i più pittoreschi del mondo.»

Pertanto manifestò di punto in bianco un subitaneo interesse per Hampstead,

per Hornsey, per Dulwich che - decise - esercitava su di lei un grande fascino.

Di conseguenza fece salire la sua vittima in carrozza e rallegrò quelle gite in

campagna con ripetuti discorsi sul conto di Rawdon e consorte, fregiandoli di

ogni sorta di particolari atti ad accrescere l'indignazione della vecchia dama nei

confronti di quella coppia fedifraga.

Forse Mrs. Bute Crawley aveva teso troppo la corda. Infatti, se da un lato

era riuscita a suscitare in Miss Crawley un'autentica avversione per quel suo

disobbediente nipote, dall'altro la malata sentiva altresì un vero e proprio odio

e un segreto terrore per la sua aguzzina, e desiderava ardentemente di