GRADEVOLE

Quando Lord Steyne si sentiva disposto alla benevolenza, non faceva mai

le cose a mezzo, e la cortesia di cui dava prova nei confronti dei Crawley

attestava efficacemente questa sua generosa discriminazione. Sua Signoria

infatti aveva esteso la sua buona disposizione anche al piccolo Rawdon.

Discusse pertanto coi genitori del ragazzo circa l'opportunità di farlo accedere a

una scuola accreditata, dal momento che ormai aveva raggiunto un'età in cui

l'emulazione, le prime nozioni della lingua latina, il pugilato e la compagnia dei

suoi coetanei si sarebbero risolti per lui in un grande beneficio. Il padre obiettò

che non era abbastanza danaroso per concedersi il lusso di mandare il figlio in

una buona scuola; la madre a sua volta osservò che la Briggs era

un'insegnante efficientissima e che aveva portato avanti il ragazzo (circostanza

per la verità inoppugnabile) in inglese, in latino e in nozioni varie. Ma tutte

queste obiezioni caddero davanti alla generosa perseveranza del marchese di

Steyne. Sua Signoria figurava tra i governatori di un vecchio e rinomato

istituto scolastico, noto come il collegio dei Whitefriars. Antico convento

cisterciense, al tempo in cui l'adiacente Smithfield era un campo adibito a

tornei, in seguito era stato trasformato in prigione per gli eretici: soluzione

oltremodo vantaggiosa per disporre di un terreno nelle immediate vicinanze

atto a bruciarveli sul rogo. Enrico VIII, il Difensore della Fede, aveva confiscato

il convento con tutti i possedimenti annessi, né aveva esitato a far torturare e

impiccare i frati che non si erano piegati alla sua riforma. Alla fine un facoltoso

mercante aveva comprato gli edifici e i terreni annessi, e con l'ausilio di altre

donazioni in denaro e in beni immobili, aveva dato vita a una famosa

fondazione ospedaliera per vecchi e bambini. Intorno a questa istituzione a

carattere precipuamente monastico, che sopravvive ai nostri giorni non

disgiunta dalle sue usanze e dai suoi costumi medievali, venne più tardi a

costituirsi una scuola, e tutti i cisterciensi auspicano che possa prosperare per

lunghi anni.

Amministratori di questa celebrata fondazione sono alcuni fra i più illustri

aristocratici, prelati e dignitari d'Inghilterra; e dal momento che i ragazzi vi

sono alloggiati, nutriti e istruiti fruendo di ogni possibile comodità, per poi

essere avviati agli studi universitari muniti di borse di studio e intraprendere in

prosieguo di tempo la carriera ecclesiastica, è comprensibile che numerosi

rampolli della piccola nobiltà vengano avviati verso una siffatta carriera fin

dagli anni dell'infanzia, e non poche sono le famiglie che si fanno in quattro per

ottenere che i loro figli vengano aggregati a questa fondazione. In origine era

previsto che un simile privilegio fosse riservato ai figli di laici e di ecclesiastici

poveri particolarmente meritevoli, ma più tardi gli amministratori della

fondazione cominciarono a manifestare il loro buon cuore con una larghezza di

veduta alquanto estrosa e personale, facendo oggetto della loro generosità i

personaggi più disparati. Fruire gratuitamente dell'istruzione scolastica, con la

prospettiva altresì di poter fare assegnamento su una professione sicura,

rappresentava un vantaggio cui guardavano con avido compiacimento anche

gli esponenti dei ceti più elevati. E non erano soltanto i parenti dei Grandi ad

approfittare di un'occasione così proficua; i Grandi in persona facevano il

possibile perché se ne giovassero i loro figli, così come i prelati incoraggiavano

a fruirne i loro parenti o i figli dei loro subalterni, e i rappresentanti della più

alta nobiltà vi aggregavano i figli dei loro amici e protetti. Ecco perché,

mettendovi piede, un ragazzo era certo di trovarsi frammisto a una turba di

coetanei della più varia estrazione.

Rawdon Crawley, sebbene non praticasse altra lettura al di fuori del

Racing Calendar, e quantunque i suoi ricordi di scuola s'identificassero col

bruciore delle bacchettate che gli erano state assestate a Eton negli anni della

prima gioventù, pure provava per l'istruzione umanistica quell'austera

riverenza che è dovere di ogni gentiluomo inglese degno di questo nome. Di

conseguenza era ben lieto di preconizzare per suo figlio una carriera sicura e

fors'anche l'eventualità che potesse farsi una buona cultura. Pertanto, sebbene

il figlio fosse la gioia più grande della sua vita, il migliore dei suoi amici, a lui

unito da mille teneri legami dei quali non si curava certo di rendere edotta sua

moglie, sempre così indifferente nei confronti del loro figliolo, per il suo bene

acconsentì ad affrontare il distacco e a privarsi di quella sua grande

consolazione. Né d'altronde si rese conto di quanto fosse profondo il suo affetto

per il ragazzo sino al momento di affrontare il distacco. E quando il piccolo

Rawdon se ne fu andato si sentì ancor più melanconico e depresso del bimbo, il

quale dopo tutto non aveva sgradito la prospettiva di dare inizio a una vita

diversa e di trovare dei compagni della sua stessa età. Due o tre volte Becky

scoppiò a ridere allorché il colonnello, alla sua maniera goffa e incongrua, tentò

di esternare a parole la sofferenza che gli causava la separazione dal figlio. Il

poveretto sentiva di esser stato privato del suo amico più vero, della sua gioia

più profonda. Spesso indugiava a contemplare mestamente il lettino vuoto nel

suo spogliatoio, ove il piccolo era solito dormire. Soffriva acutamente della sua

mancanza, specie nelle ore del mattino, e andare a passeggio senza di lui in

Hyde Park non gli dava più alcun piacere. Mai gli era accaduto di provare un

sentimento di così straziante solitudine. Gli era accetta la compagnia delle

persone che mostravano di portare affetto al ragazzo, onde trascorreva lunghe

ore con la buona Lady Jane, e con lei poteva sfogarsi parlando della bellezza,

delle virtù, delle innumerevoli doti del bimbo.

Abbiamo già visto come la zia del piccolo Rawdon fosse oltremodo legata

al nipotino, e così pure la sua figlioletta, che pianse a profusione quando venne

il giorno della partenza del cuginetto. Per parte sua Rawdon senior era molto

grato alla madre e alla figlia della tenerezza che provavano per il ragazzo. I

suoi sentimenti più validi e più schietti erano quelli che palesava nel momento

in cui estrinsecava il suo incontenibile trasporto paterno, cui lo incoraggiava la

comprensione delle sue interlocutrici. Fu così che si conquistò non soltanto la

simpatia, ma altresì l'affettuosa solidarietà di Lady Jane, manifestandole

apertamente i suoi sentimenti più riposti e sinceri: gli stessi che aveva sempre

celato a sua moglie. Del resto le due cognate evitavano il più possibile

d'incontrarsi. Becky guardava con sarcasmo alla dolcezza e alla garbata

disponibilità di Jane, e questa, nonostante la sua natura dolce e gentile, non

poteva esimersi dal deplorare la cinica freddezza di sua cognata.

Siffatta natura valse ad allontanare Rawdon da sua moglie assai più di

quanto egli fosse in grado di comprendere e di confessare a se stesso. Ma a

Becky non importava: lei non aveva bisogno di suo marito né di chicchessia. Lo

considerava niente più che il suo fattorino, il suo umile schiavo. Del fatto che si

sentisse abbattuto e sconsolato, lei non si dava pensiero: addirittura ci rideva

sopra. La sua unica preoccupazione riguardava il mantenimento del proprio

ruolo. Ella badava a godersi la vita e a tutelare il proprio posto in società, certa

ormai del diritto a svolgervi un ruolo eminente.

Toccò alla buona Briggs preparare la valigetta per il ragazzo che andava

in collegio. Mentre Rawdy si allontanava; Molly, la cameriera, piangeva

sommessa in un cantuccio del corridoio. Da mesi non riceveva il salario, ma

non per questo Molly aveva cessato di essere garbata e servizievole. Becky

vietò al marito di utilizzare la carrozza per condurre il figlio in collegio. Portare i

cavalli nella City! Non si era mai sentita una cosa simile. Bastava noleggiare

una carrozza di piazza. Al momento del commiato non diede un solo bacio al

bambino, né questi fece l'atto di abbracciarla. Al contrario, baciò la vecchia

Briggs, con la quale, per solito, era assai parco di effusioni, e per consolarla la

informò che ogni sabato sarebbe tornato a casa, onde lei avrebbe avuto il

privilegio di vederlo. Poi, mentre la carrozza di piazza si dirigeva verso la City,

le ruote di quella di Becky rotolavano fragorosamente in direzione di Hyde

Park. Lei rideva e cianciava con un gruppo di bellimbusti sulle rive del

Serpentine nel momento stesso in cui padre e figlio varcavano il vecchio

cancello della scuola, ove Rawdon prese congedo dal ragazzo rientrando a casa

col cuore ricolmo del sentimento più triste e più vero che quell'uomo così

infelice e tormentato avesse mai provato, a dir poco dagli anni della sua

infanzia.

Tornò a casa percorrendo l'intero tragitto a piedi, e cenò tutto solo con la

Briggs mostrandosi oltremodo cortese con lei, grato delle affettuose attenzioni

che aveva sempre avuto per il piccolo. Gli rimordeva il cuore di essersi fatto

prestare del denaro da lei e di aver contribuito a imbrogliarla. Ebbero agio di

parlare a lungo del piccolo Rawdon perché Becky rientrò soltanto per cambiarsi

d'abito e uscire a cena. Poi lui se ne andò, in preda allo sconforto, a prendere il

tè da Lady Jane, le raccontò come fosse andata la giornata e come il ragazzo

avesse dato prova di grande coraggio nell'entrare in collegio. Disse che

avrebbe dovuto indossare l'uniforme della scuola, e cioè una giubba e un paio

di calzoncini lunghi sino al ginocchio, e che il figlio di John Blackball, un vecchio

commilitone del reggimento, aveva preso il ragazzo sotto la sua protezione

promettendo di esser gentile con lui.

Ma non era trascorsa una settimana, e il giovane Blackball aveva fatto di

Rawdon il suo tirapiedi, il suo lustrascarpe, il suo umile servitore. Gli faceva

tostare il pane per la prima colazione. Lo aveva iniziato ai misteri della

grammatica latina e due o tre volte gliele aveva suonate, senza peraltro

picchiarlo troppo forte. Quel ragazzino dalla faccia onesta e per bene non

aveva tardato a conquistarsi la simpatia generale, onde la punizione non

superò la misura entro la quale poteva considerarsi una lezione salutare. In

quanto poi a lustrare le scarpe, tostare il pane e prestarsi a ogni sorta di minuti

servigi, non si trattava forse di elementi determinanti nell'educazione di un

giovane gentiluomo inglese?

Il compito che ci siamo prefissi esula dal prendere in esame la seconda

generazione, e quindi anche la vita scolastica del giovane Rawdon, altrimenti

questo racconto potrebbe protrarsi all'infinito. Non trascorse molto tempo che il

colonnello andò a trovare il figlio, e lo trovò vestito dei suoi calzoncini e della

sua giubba, che rideva allegro e sereno. Il padre ebbe l'idea molto opportuna

di regalare a Blackball una ghinea, onde assicurarsi che l'anziano si mostrasse

ben disposto verso il piccolo subalterno. Dal momento che si trattava di un

protégé di Lord Steyne, nipote di un membro del consiglio della Contea nonché

figlio di un colonnello e C.B., il cui nome figurava nella cronaca dei ricevimenti

mondani più prestigiosi di cui dava notizia il «Morning Post», le autorità della

scuola erano disposte a considerare il ragazzo con una certa benevolenza. In

tasca aveva sempre qualche soldo, e lo spendeva senza esitazione per

comprare ai compagni dolcetti alle more. Non di rado il sabato otteneva il

permesso di andare a casa a trovare suo padre, e quel giorno per il colonnello

era una festa più solenne del giubileo della Corona. Quando era libero, Rawdon

lo portava a teatro, o ve lo faceva accompagnare dal domestico. La domenica

andava in chiesa assieme a Lady Jane, alla Briggs e ai cugini. Rawdon andava

in estasi ascoltando il figliolo che gli raccontava i suoi piccoli aneddoti sulla

scuola, le notizie spicciole sui suoi studi e i bisticci che scoppiavano tra i

ragazzi. In breve tempo imparò il nome di tutti gli anziani e di gran parte dei

compagni di suo figlio, né dimostrava .di conoscerli con minor sicurezza di

quanto li conoscesse il piccolo Rawdon. Non solo: invitò l'amico prediletto di

Rawdon e li portò a teatro, dopo di che li rimpinzò di ostriche, pasticcini e

porto, col rischio di fargli fare indigestione. Finse di capire alla perfezione

quando Rawdon gli mostrò dove fosse «arrivato» con la grammatica latina.

«Dacci dentro, figliolo!» gli disse. «Non c'è niente di meglio di una buona

istruzione classica. Proprio niente!»

Il disprezzo di Becky per suo marito aumentava di giorno in giorno, «Fa'

quello che vuoi,» gli diceva. «Cena dove ti pare e piace. Vattene a bere una

gingerbeer o a impiastricciarti di segatura da Astely o a cantar salmi assieme a

Lady Jane. Basta che non pretenda che sia io a occuparmi del ragazzo. Devo

badare anche ai tuoi interessi, dal momento che non sei in grado di cavartela

da te. Mi piacerebbe sapere dove diamine saresti ora, e quale sarebbe il tuo

posto in società, se ad occuparmene non ci fossi stata io.» D'altra parte,

nessuno anelava alla presenza del povero Rawdon ai ricevimenti ai quali

partecipava Becky. Ormai accadeva spesso che l'invito rivoltole escludesse il

marito. Parlava dell'alta società come se fosse stata la regina indiscussa di

Mayfair. E quando la Corte era in lutto, anch'essa vestiva di nero.

Risolto in tal modo il problema del piccolo Rawdon, Lord Steyne, che

manifestava premure così paterne per quella povera famigliola tanto amabile,

pensò che un ottimo metodo per tagliare le loro spese fosse quello di liberarsi

di Miss Briggs, dal momento che Becky era perfettamente in grado di occuparsi

dell'andamento domestico. Abbiamo già riferito in un precedente capitolo come

il generoso nobiluomo avesse regalato una somma di denaro alla sua protégée

per pagare il piccolo debito che aveva con Miss Briggs, la quale nondimeno

continuava a vivere coi suoi amici. Dal che Sua Signoria era portato a

concludere tristemente che Becky si era servita altrimenti di quei quattrini

accordateli con munifico gesto. Ma Lord Steyne era troppo compìto per

permettersi di palesare i suoi sospetti a Becky, sempre pronta a risentirsi per

una discussione a carattere finanziario, e che d'altronde poteva avere avuto

mille penosissime ragioni per disporre diversamente della generosa elargizione

di Sua Signoria. Nondimeno era deciso ad accertare come stessero realmente

le cose, e diede corso alle sue indagini procedendo con la massima cautela e

delicatezza possibili.

Innanzitutto approfittò della prima occasione opportuna per far cantare la

Briggs: operazione, in verità, tutt'altro che ardua. Bastava una spinta da nulla,

e la brava donna si disponeva a parlare con la più festevole prontezza. Un

giorno che Mrs. Crawley era uscita a fare una passeggiata in carrozza

(circostanza che Fiche, il galoppino di Sua Signoria, poté accertare con la

massima facilità presso la scuderia ove i Crawley tenevano carrozza e cavalli -

o per essere più esatti - dal vetturino che teneva una carrozza a disposizione

dei suddetti), Milord capitò in Curzon Street e chiese a Miss Briggs una tazza di

caffè. Dopo di che le disse che dalla scuola aveva avuto ottime notizie del

bambino e nel giro di cinque minuti seppe che Mrs. Rawdon Crawley non le

aveva dato altro che un vestito di seta nera, dono del quale la Briggs era stata

immensamente grata.

Egli rise fra sé nell'appurare come fossero andate realmente le cose.

Giacché occorre precisare che Becky gli aveva riferito nei minimi particolari la

gioia con la quale Miss Briggs aveva accolto la restituzione del denaro dovutole

(millecentoventicinque sterline), denaro ch'ella si era affrettata a investire in

azioni, né aveva lesinato i propri commenti sul dolore che le era costato il

dover rinunciare in proprio a una somma di denaro così elevata. «Chissà,»

aveva forse pensato tra sé la nostra cara amica, «che questo non lo induca a

sborsarne dell'altro?» Ma Sua Signoria non aveva minimamente ventilato una

simile ipotesi a quella piccola volpe, convinto probabilmente di esser stato fin

troppo generoso.

Poi ebbe la curiosità di chiedere a Miss Briggs in quali condizioni versasse

la sua situazione finanziaria personale, e lei rispose con candida sincerità: Miss

Crawley le aveva lasciato una piccola eredità, ma una parte le era stata carpita

dai suoi parenti. In compenso il colonnello Crawley aveva provveduto a

investire il rimanente nel modo più sicuro e redditizio. D'altro canto Mr.

Crawley e signora avevano avuto la bontà di interessare al suo caso Sir Pitt, il

quale avrebbe provveduto a investire il denaro che ancora le restava non

appena avesse avuto il tempo di occuparsene. A questo punto Sua Signoria

chiese alla Briggs a quanto ammontasse la somma che a tutt'oggi il colonnello

aveva investito a suo nome, e quella gli rispose tosto, in tutta franchezza, che

la cifra in questione ammontava a cento sterline e rotti.

Tuttavia, non appena ebbe terminato di riferire ogni cosa, la volubile

Briggs si pentì di esser stata così esplicita, e supplicò Milord di non far parola al

colonnello Crawley di quanto gli aveva detto. «Il colonnello,» disse, «è stato

molto gentile. Mr. Crawley potrebbe risentirsi e magari restituirmi il denaro...

Dopo di che io non saprei come investirlo a un interesse tanto elevato.» Lord

Steyne rise promettendo di non farne parola ad anima viva, e quando si fu

congedato da Miss Briggs rise ancora di più.

«Quella donna è un demonio fatto e finito!» pensava. «Che attrice

perfetta! Che razza di intrigante! Con le sue svenevolezze c'è mancato poco

che l'altro giorno riuscisse a estorcermi degli altri quattrini. Ne ho conosciute,

di donne, nella vita, ma questa le batte tutte quante. In confronto a lei le altre

sono tutte delle principianti. Del resto, anch'io sono come un moccioso nelle

sue mani, un pupazzo. Un fantoccio, ecco cosa sono, nient'altro che un

fantoccio. Nessuno è più bravo di lei a raccontar fandonie.» E questa prova di

acume aumentò in misura considerevole l'ammirazione che Lord Steyne

nutriva per Becky. Esser riuscita a ottenere il denaro era ben poca cosa, ma

aver estorto il doppio della cifra necessaria e non aver restituito un soldo agli

interessati era un vero colpo da maestro. «E Crawley,» pensava Milord,

«Crawley a quanto pare è molto meno stupido di quel che sembra. Per parte

sua ha saputo manipolare la cosa con molta destrezza. A giudicare dalla sua

faccia e dal suo contegno, nessuno sospetterebbe che sappia destreggiarsi così

abilmente col denaro. Non c'è dubbio: è stato lui a convincerla a chiedere i

soldi, ed è altrettanto certo che sia stato lui a spenderlo.» Sappiamo

perfettamente che, a questo riguardo, Lord Steyne s'ingannava; ma la cosa

non mancò d'influire sensibilmente sul suo comportamento nei riguardi del

colonnello Crawley, ch'egli prese a trattare senza nemmeno quella parvenza di

rispetto che sino allora gli aveva tributato. Il protettore di Mrs. Crawley non si

sognò nemmeno di pensare che la piccola signora stesse rimediando un

gruzzoletto per conto proprio; e per esser sinceri sino in fondo, è altamente

probabile che il vecchio aristocratico giudicasse il colonnello Crawley in base al

modello offertogli dai tanti mariti che aveva conosciuto nell'arco della sua

esistenza così lunga e intensa, durante la quale si era trovato a contatto con

innumerevoli debolezze umane. In vita sua aveva comprato tanti uomini, Sua

Signoria, e se pertanto credeva di aver trovato il giusto prezzo anche per

costui, non possiamo esimerci dal perdonano. La prima volta che si trovò a tu

per tu con Becky, colse l'occasione per complimentarsi con lei in tono di

bonaria ironia per esser riuscita a farsi dare una somma doppia di quella che in

realtà le serviva. Becky peraltro non manifestò che un'ombra di stupore. Quella

cara creatura non aveva l'abitudine di mentire, e lo faceva soltanto quando vi

si vedeva costretta. Ma in tal caso la menzogna le veniva alla bocca con

estrema facilità, ed ecco che in un batter d'occhio sfornò una panzana

assolutamente credibile e corredata di plausibilissimi particolari, e la servì al

suo protettore. Quanto gli aveva raccontato in precedenza era una bugia,

un'ignobile bugia, non esitava a riconoscerlo. Ma chi l'aveva indotta a mentire?

«Ah, Milord,» esclamò. «Voi non avete idea di quanto io soffra, di quante

umiliazioni sia costretta a patire! Davanti a voi io sembro gaia e spensierata,

ma non sapete che cosa debbo sopportare quando sono lontana dal mio nume

tutelare! È stato mio marito a pretendere ch'io vi chiedessi quel prestito per il

quale vi ho tratto in inganno. È stato lui, maltrattandomi e minacciandomi. È

stato lui a suggerirmi di ricorrer alle motivazioni che sapete, prevedendo che

mi avreste chiesto quale uso avrei fatto del denaro. Dopo di che lui si è preso i

soldi e mi ha detto di aver saldato i debiti con Miss Briggs, ed io per parte mia

non ho voluto né osato dubitare della sua parola. Vi supplico, perdonate il male

che un uomo disperato si vede costretto a commettere, e compiangete una

povera donna oppressa dalla sventura.» E nel dir questo Becky scoppiò a

piangere. La virtù perseguitata non ebbe mai sembianze più credibili e

dolorose.

Poi, mentre insieme facevano una passeggiata in Hyde Park nella

carrozza di Mrs. Crawley, i due ebbero una lunga conversazione sulla quale non

fa conto indugiare. Sta di fatto, peraltro, che Becky rientrò a casa col volto

raggiante e annunciò alla Cara Briggs di avere una splendida notizia per lei.

Lord Steyne si era davvero comportato nel modo più nobile e generoso. Non

pensava che a far del bene al prossimo. Ora che il piccolo Rawdon era stato

sistemato in collegio, lei non aveva più bisogno di un'amica, di una dama di

compagnia. Era addolorata oltre ogni dire di doversi separare da lei, ma le loro

condizioni finanziarie imponevano ogni possibile economia, e il suo dispiacere

era attenuato dal pensiero che la cara Briggs si sarebbe trovata molto meglio

assieme a un così autorevole protettore che non nella sua umile casa. Mrs.

Pilkington, la governante di Gauntly Hall, era ormai vecchia, debole, afflitta dai

reumatismi; di conseguenza non era più in grado di dirigere una dimora così

imponente, di svolgere le mansioni cui era preposta, onde si stava cercando

una persona che potesse sostituirla degnamente. E poi, era un luogo stupendo.

Gli Steyne non mettevano piede a Gauntly Hall più di una volta ogni due anni,

per cui solitamente la governante poteva considerarsi la padrona di quel

meraviglioso castello. Le venivano servite quattro portate a pasto, riceveva la

visita del clero e delle persone più prestigiose della contea... insomma, era di

fatto la padrona di casa. Due governanti che avevano preceduto la Pilkington si

erano felicemente sposate con i curati di Gauntly, e se Mrs. Pilkington non

aveva potuto fruire di un simile privilegio lo si doveva al fatto che fosse la zia

del parroco attualmente in carica. Per il momento il posto non era ancora

disponibile, ma nel frattempo lei avrebbe potuto far visita alla Pilkington e

rendersi conto di persona se le tornasse accetta l'ipotesi di succederle.

Quali parole potrebbero mai descrivere il sentimento di estatica

gratitudine di Miss Briggs! L'unica condizione che lei pose fu che il piccolo

Rawdon venisse autorizzato ad andare a farle visita al castello! Becky, per

parte sua, glielo promise. Promise questa ed ogni altra cosa. Poi, quando il

marito tornò a casa, gli corse incontro dandogli la lieta novella, e lui se ne

mostrò felice, anzi entusiasta. Si levava dalla coscienza il peso dei quattrini che

doveva alla povera Briggs. Indubbiamente la poveraccia avrebbe avuto modo

di cavarsela, ma... Ma non si può dire che si sentisse rasserenato. Per qualche

motivo che non gli era del tutto chiaro aveva la sensazione che le cose non

filassero lisce. Raccontò al piccolo Lord Southdown ciò che Lord Steyne aveva

fatto, e quello lo guardò con un'espressione che lo lasciò interdetto.

Riferì a Lady Jane di questa nuova dimostrazione della munificenza di

Steyne, e anch'essa assunse un'aria stranamente allarmata. Altrettanto dicasi

di Sir Pitt. «Tua moglie è troppo vivace, troppo... be', troppo allegra per

andare a un ricevimento senza qualcuno che l'accompagni,» dissero entrambi.

«Occorrerà che tu le stia sempre alle calcagna, ovunque vada. È indispensabile

che qualcuno l'accompagni, magari una delle ragazze di Queen's Crawley;

anche se come dame di compagnia non sono certo un gran che.»

Insomma, Becky non poteva fare a meno di un'accompagnatrice. D'altro

canto era evidente che la buona Briggs non doveva assolutamente perdere

l'occasione di sistemarsi adeguatamente per il resto dei suoi giorni. Un'ottima

ragione perché facesse i bagagli e si mettesse in viaggio, ed ecco che due

sentinelle avanzate di Rawdon erano in mano al nemico.

Sir Pitt andò a confabulare con sua cognata sul licenziamento della Briggs

e su altri delicati problemi d'interesse familiare. Invano lei gli fece osservare

quanto fosse importante per suo marito l'alta protezione di Lord Steyne, e

quanto sarebbe stato ingiusto impedire alla povera Briggs di approfittare di un

posto vantaggioso come quello che le era stato offerto. Sorrisi, lacrime e moine

non valsero a far recedere Sir Pitt, che ebbe con Becky (da lui un tempo così

ammirata) qualcosa di molto simile a un litigio. Egli si diffuse a parlare

dell'onore della famiglia, dell'alta reputazione di cui godevano i Crawley;

deplorò ch'ella ricevesse in casa sua quei giovani francesi scapestrati, e lo

stesso Lord Steyne, la cui carrozza stazionava in permanenza davanti all'uscio.

Era deplorevole che ogni giorno trascorresse ore ed ore in sua compagnia, e la

sua continua presenza in casa sua alimentava le chiacchiere delle malelingue.

Nella sua qualità di capofamiglia aveva il dovere di esortarla a maggior

prudenza. La buona società si abbandonava a commenti malevoli sul suo

conto. Indubbiamente Lord Steyne era persona d'alto rango e di cospicue virtù,

ma ciò non impediva che si trattasse di un uomo le cui attenzioni non potevano

non compromettere qualsiasi donna. Pertanto egli supplicava, egli scongiurava,

egli implorava sua cognata che assumesse un contegno più prudente con quel

gentiluomo.

Becky non esitò a promettere tutto ciò che Sir Pitt sollecitava, ma ciò non

impedì a Lord Steyne di continuare a frequentare la sua casa tutte le volte che

voleva, col risultato di accrescere la collera di Pitt. Chissà se Lady Jane era

adirata o compiaciuta nel constatare che finalmente suo marito aveva aperto

gli occhi sulla vera natura della diletta Rebecca? Comunque, dal momento che

le visite di Lord Steyne non erano cessate affatto, egli interruppe le sue. Sua

moglie avrebbe voluto troncare ogni rapporto con Lord Steyne, e pertanto

declinare l'invito alla sciarada che la marchesa le aveva inviato, ma Sir Pitt

ritenne necessario accettarlo a causa della presenza di Sua Altezza.

Fu così che Sir Pitt fece atto di presenza al ricevimento, ritirandosi

peraltro quanto prima gli fu possibile, ed anche sua moglie fu ben contenta di

andarsene. Becky si limitò a rivolgergli poche parole, e quasi non si accorse

della cognata. Pitt Crawley dichiarò che il suo contegno era semplicemente

indecoroso e stigmatizzò in termini molto drastici l'imperversante malvezzo di

travestirsi o di recitare commedie, bollandoli come affatto disdicevoli da parte

di una signora inglese; e quando la sciarada fu terminata, rimproverò il fratello

per aver partecipato a una simile pagliacciata e aver permesso alla moglie di

prender parte a un'esibizione né più né meno deplorevole.

Rawdon aveva promesso che non avrebbe più preso parte a passatempi

del genere. Del resto occorre dire che, forse spronato dalle generiche

esortazioni del fratello e della cognata, era diventato un marito molto

servizievole e - cosa altamente lodevole - di gusti casalinghi. Smise di

frequentare il circolo e di giocare a biliardo. Non usciva mai da solo; scortava

Becky nelle sue passeggiate in carrozza e, sia pure con molto sforzo,

l'accompagnava a tutti i ricevimenti. Ovunque Lord Steyne arrivasse, era certo

di trovarvi anche il colonnello. Ogni qual volta Becky gli chiedeva di uscire sola,

in ossequio a inviti rivolti soltanto a lei, il marito le ingiungeva perentoriamente

di rifìutarli, e c'era nei suoi modi qualcosa che imponeva l'obbedienza.

D'altronde è innegabile che la galanteria di Rawdon lusingava la piccola Becky,

e se lui talvolta non riusciva a celare il suo malumore, al contrario la consorte

era sempre allegra. Che ci fossero amici oppure no, aveva sempre un sorriso

gentile per lui e cercava in ogni modo di compiacerlo. Si sarebbe detto che

fossero tornati ai primi tempi del loro matrimonio: lo stesso buonumore, le

stesse prévenances, la stessa allegria, la stessa fiduciosa confidenza. «Come

sono lieta,» gli diceva, «di sedere in carrozza accanto a te invece che a quella

vecchia tonta della Briggs! Continuiamo sempre così, mio caro Rawdon. Come

sarebbe bello se avessimo il denaro che ci serve! Saremmo felici. Sempre.»

Dopo cena lui si addormentava sulla sua sedia. Non vedeva il volto che gli

stava di fronte: un volto stanco, stravolto, terribile, e che si illuminava di un

fresco e candido sorriso non appena lui si svegliava. Allora Rawdon si chiedeva

come avesse potuto nutrire dei sospetti. Ma no, non aveva mai avuto sospetti:

quei dubbi, quelle perplessità che era andato accumulando nella sua mente,

altro non erano che stolide ubbìe. Lei lo amava, non aveva mai cessato di

amarlo. E se brillava in società, non glielo si poteva imputare. Era fatta per

brillare. C'era forse un'altra donna che sapesse ballare, conversare,

comportarsi come lei? Ah, se avesse amato il bambino!, pensava amaramente

Rawdon. Ma tra madre e figlio non ci fu mai buon sangue.

Fu proprio mentre la mente di Rawdon era turbata dal rovello di queste

perplessità, che si verificò l'incidente del quale si è riferito nel capitolo

precedente, onde lo sventurato colonnello si trovò lontano da casa, prigioniero.

LIII • SALVATAGGIO E CATASTROFE

Fu così che il nostro amico Rawdon raggiunse l'ostello di Mr. Moss in

Cursitor Street e, scortato come si conveniva, varcò la soglia di quella fosca

dimora. Il mattino ravvivava i tetti delle case di Chancery Lane quando la

carrozza arrivò, rotolando sul selciato e destandovi una serie di echi. Un

ragazzo ebreo, con gli occhi iniettati di sangue e i capelli rossi come il sole che

sorgeva in quel momento, aprì la porta e fece entrare il gruppo.

Rawdon venne accolto nelle stanze a pianterreno dallo stesso Mr. Moss,

suo ospite e compagno di viaggio, che tosto gli chiese se avrebbe gradito una

bevanda calda a conclusione di quella lunga scarrozzata.

Il colonnello non era depresso come lo sarebbero stati tanti comuni

mortali nell'atto di lasciare una casa confortevole e una placens uxor per finire

in un carcere per debitori. La verità, dobbiamo confessarlo, è che già un paio di

volte Rawdon era stato ospite di Mr. Moss. Non abbiamo reputato necessario

soffermarci in precedenza su questi minuti e banali incidenti, ma il lettore

senza dubbio non ignora che queste cose accadono di frequente alle persone

che tirano a campare senza avere un quattrino di rendita.

In occasione del primo soggiorno da Mr. Moss, il colonnello, allora

scapolo, era stato liberato grazie alla munificenza di sua zia. Quanto al secondo

incidente, la piccola Becky aveva fatto appello alla sua presenza di spirito, e

nel modo più cortese e insinuante si era fatta prestare il denaro necessario da

Lord Southdown, dopo di che con mille salamelecchi aveva convinto il creditore

del consorte (nient'altri che il negoziante che le aveva fornito uno scialle, un

abito di velluto, un fazzoletto da tasca adorno di pizzo e varie cianfrusaglie

assortite} ad accettare in pagamento la metà della somma dovutagli e una

cambiale sottoscritta da Rawdon pari al resto della cifra. Pertanto, nell'una

come nell'altra occasione, l'arresto e il rilascio si erano svolti all'insegna della

più cortese, reciproca correttezza, onde Rawdon e Mr. Moss potevano

considerarsi in eccellenti rapporti.

«Troverete il vostro letto consueto e ogni altra comodità,» disse il

brav'uomo al colonnello. «Vi posso garantire che gli do sempre aria. E poi è

usato solo da persone dabbene. Fino all'altra notte ci ha dormito l'Onorevole

Capitano Famish del Cinquantesimo Dragoni, e sua madre lo ha tirato fuori

dopo quindici giorni. Soltanto per punirlo, ha detto. Io però vi assicuro che è

stato lui a punire il mio champagne. Riceveva amici tutte le sere, gente dei

circoli dei West End, persone altolocate come il capitano Ragg e l'onorevole

Deuceace, che abita al Tempie, e altri personaggi che riconoscono fin troppo

bene cosa sia un bicchiere di vino. Di sopra c'è un laureato in teologia, e in

salotto ci sono cinque gentiluomini. Mrs. Moss serve la table d'hôte alle cinque

e mezzo, poi ci si raduna per una partita a carte e ascoltare un po' di musica.

Saremmo ben lieti di avervi con noi.»

«Se avrò bisogno di qualcosa, suonerò il campanello,» disse Rawdon, e

se ne andò, pacifico, a dormire. Era un vecchio soldato, abbiamo detto, e non

si lasciava scoraggiare da questi piccoli accidenti di cui è sparsa la vita. Un

uomo psichicamente fragile avrebbe spedito una lettera alla moglie

immediatamente dopo la sua cattura. «Ma perché mai dovrei disturbare il suo

sonno?» pensava Rawdon. «Lei non si curerà nemmeno di sapere se sono nella

mia stanza oppure no. Posso benissimo scriverle più tardi, quando avremo

dormito tutti e due. Dopo tutto si tratta solo di centosettanta sterline, in un

modo o nell'altro riusciremo di certo a rimediarle.» Poi il suo pensiero corse ai

piccolo Rawdon (no, non avrebbe saputo in quale strano postosi trovasse suo

padre!), il colonnello s'infilò nel letto che in precedenza era stato occupato dal

capitano Famish e subito si addormentò. Si svegliò alle dieci e il ragazzo entrò

nella stanza recando tutto fiero un servizio per radersi in argento. In verità la

magione di Mr. Moss, sebbene fosse alquanto sporca, non mancava di una sua

magnificenza. Sulla credenza si vedevano, en permanence, vassoi sporchi e

secchielli per tenervi il vino in fresco. Dalle finestre, munite d'inferriate e

prospicienti su Cursitor Street, pendevano sudice tende gialle affisse a grandi

cornici dorate parimenti sporche. Altre cornici, parimenti sudice e dorate,

adornavano quadri a soggetto sacro o profano, tutte opere di illustri maestri

che avevano ormai raggiunto quotazioni astronomiche a furia di passare da un

venditore all'altro a titolo di garanzia di innumerevoli cambiali. La costante del

sudiciume e dello sfarzo caratterizzava del pari il vasellame nel quale venne

servito il pasto al colonnello. Miss Moss, una ragazza dagli occhi neri coi

bigodini in testa, avanzò tutta sorrisi reggendo una teiera chiese al colonnello

se avesse dormito bene e gli porse una copia del «Morning Post» sul quale

figurava l'elenco di tutte le persone che la sera avanti avevano preso parte al

trattenimento di Lord Steyne. Il resoconto della serata era vivace e oltremodo

dettagliato, e si parlava diffusamente delle eccezionali doti artistiche di cui

aveva dato prova la brillante e avvenente Mrs. Rawdon Crawley

nell'impersonare i diversi ruoli.

Dopo aver chiacchierato animatamente con la signorina in questione che

sedeva straordinariamente composta su uno spigolo della tavola mettendo in

bella mostra un paio di calze flosce e una pianella malridotta che ai suoi bei

tempi doveva esser stata di raso bianco, il colonnello Crawley chiese carta,

penna e inchiostro; ed essendogli stato domandato quanti fogli di carta

volesse, egli rispose che gliene bastava uno solo. Miss Moss glielo recò di

persona, stringendolo fra pollice e indice. Non era certo il primo foglio di carta

che le capitasse di portare, alla damigella dagli occhi neri! Quanti poveracci

avevano vergato e asciugato di fretta poche righe supplichevoli, per poi

camminare avanti e indietro per quello squallido locale, in attesa di un messo

latore dell'agognata risposta! I poveri si servono sempre di messaggeri,

anziché del servizio postale. A chi non è accaduto di ricevere lettere siffatte,

chiuse con un sigillo ancora umido, sentendosi dire che in anticamera una

persona attende una risposta?

Ad ogni modo, per quanto riguardava il suo caso personale, Rawdon non

aveva troppi timori.

Cara Becky (scriveva Rawdon),

spero che tu abbia dormito bene. Non ti devi spavintare se stamatina non

ti porto il cafè. Ma ieri sera, intratanto che tornavo a casa e che fumavo ci ho

avuto un acidente. Sono stato becato da Mr. Moss di Cursitor Street a adesso

sto scrivendo dal suo bel saloto dorato. E lo stesso dove che sono già stato due

anni fa di questo momento del anno. Miss Moss mi ha portato il tè. È diventata

molto grassa e come sempre a le calze giù per le gambe fino al talone.

È per la storia di Nathan: sono centocinquanta che con le spese fa

centosetanta. Per piacere, mandami il mio cofanetto e un vestito (sono in

calzoni corti e cravatta bianca come le calze di Miss Moss). Dentro ci sono

setanta sterline. E apena che ai ricevuto questa lettera va da Nathan e dagli le

setanta sterline e pregalo di rinovare perché tanto dovrò compare del vino. Ci

vuole lo xeres per le feste. Ma i cuadri no, perche sono tropo cari.

Se non acetta prendi il mio orologio e magari qualche tuo gioiello, di

quelli che non t'importa mica tanto, e va a impegnarli. Dobbiamo avere i soldi

per stasera perche domani è domenica. Il letto non è mica tanto pulito e poi

potrebbe venire fuori qualche cosa ancora contro di me. Sono contento che

non è il sabato che Rawdon viene a casa. Dio ti benedica.

Tuo, di fretta.

R. C.

PS. Fa in fretta a venire.

Questa lettera, sigillata con l'ostia, venne inoltrata prontamente alla

destinataria tramite uno dei messaggeri che stazionavano in permanenza

davanti alla casa di Mr. Moss. Rawdon, dopo averla vista partire, se ne andò in

cortile a fumarsi un sigaro. Tutto sommato era abbastanza su di corda,

nonostante le sbarre che aveva sopra il capo. Infatti il cortile di Mr. Moss era

chiuso come una gabbia, caso mai i suoi ospiti intendessero dimostrare coi fatti

di non gradire la sua ospitalità.

Fece il computo del tempo che sarebbe occorso prima che Becky

riuscisse a liberarlo e calcolò che ci volevano tre ore: tre ore che trascorse in

relativa serenità fumando, leggendo il giornale e intrattenendosi col capitano

Walker, un suo conoscente che per puro caso si trovava anche lui in casa Moss,

e col quale giocò a puntate di sei soldi l'una, con pari fortuna dall'una e

dall'altra parte. Ma la giornata passò, e non si videro né messi né Becky. Alle

cinque e mezzo, come di consueto, venne servita la table d'hôte di Mrs. Moss,

cui presero parte (nello splendido salone poc'anzi descritto attiguo al

provvisorio appartamento di Mr. Crawley) tutti gli ospiti che potevano

permettersi di pagare per quel banchetto luculliano. Miss M. (il padre la

chiamava Miss Emme) ricomparve senza i bigodini e Mrs. Emme fece gli onori

di casa presentando in tavola un cosciotto di montone bollito di prima scelta,

con contorno di rape; ma il colonnello non aveva appetito. Poi, quando gli

chiesero se ci sarebbe «stato» a offrire una bottiglia di champagne a tutta la

compagnia, lui acconsentì; onde le signore bevvero alla sua salute e Mr. Moss

gli augurò «ogni felicità» esprimendosi nella forma più compita.

Nondimeno, mentre era in corso questa cena, si udì squillare il

campanello e il giovane Moss, quello dai capelli rossi, si alzò di scatto

impugnando le chiavi per andare ad aprire. Poi fece ritorno e disse al

colonnello che il messaggero aveva portato una valigia e un cofanetto. Era

inoltre latore di una lettera che tosto gli consegnò. «Non fate complimenti,

colonnello,» disse Mrs. Moss con un cenno della mano, ed egli dissuggellò la

missiva, piuttosto tremebondo. Era una lettera di foggia elegantissima,

intensamente profumata, scritta su carta rosa con un grande sigillo di

ceralacca verde.

Mon pauvre cher petit (scriveva Mrs. Crawley),

non sono riuscita a chiudere occhio all'idea di ciò che poteva essere

accaduto al mio terribile vecchio mostro. Non ho potuto prender sonno che al

mattino dopo aver chiamato Mr. Blench (avevo la febbre) che mi ha prescritto

un decotto e ha ordinato a Finette di non disturbarmi per nessuna ragione.

Quindi il messaggero del mio povero caro, che aveva bien mauvaise mine, ha

detto Finette, e sentoit le genièvre, ha dovuto aspettare ore e ore in

anticamera, in attesa che io mi svegliassi e suonassi il campanello. Puoi

immaginarti il mio stato d'animo quando ho letto la tua povera, cara lettera

piena di strafalcioni.

Malata com'ero, ho mandato immediatamente a prendere la carrozza e,

non appena vestita (non ho potuto mandar giù nemmeno un sorso di

cioccolata, dal momento che il mio mostro non era qui a portarmela), sono

corsa ventre à terre da Nathan. Davanti a lui ho pianto, ho supplicato, mi sono

gettata a quei suoi piedi abominevoli. Ma niente è riuscito a commuovere

quell'odioso individuo. Ha detto che intendeva avere l'intera somma, altrimenti

non mi restava che lasciare il mio mostro in prigione. Sono rientrata col

proposito di fare una triste visite chez mon onde (dal momento che intendo

mettere a tua disposizione tutti i miei gioielli, non uno escluso, anche se non

potessi ricavarne più di cento sterline: tu sai) infatti, che alcuni sono già

impegnati e si trovano in giacenza chez mon onde) e ivi mi sono imbattuta in

Sua Signoria con quel mostro bulgaro dalla faccia di pecora. Erano venuti a

rallegrarsi con me per lo spettacolo di ieri sera. Poi è arrivato anche

Paddington, tutto dinoccolato, biascicando la esse e continuando a ravviarsi i

capelli. Poi è stata la volta di Champignac insieme con l'ambasciatore, e tutti

con una foison di elogi e felicitazioni e centomila smancerie. Ma io ero

oltremodo infastidita e non vedevo l'ora di liberarmi della loro presenza,

dominata com'ero dal pensiero de mon pauvre prisonnier.

Poi, quando finalmente se ne furono andati, mi sono prostrata ai piedi di

Milord. Gli ho detto che eravamo pronti a impegnare ogni cosa e l'ho

scongiurato di prestarmi duecento sterline. Ma lui è andato fuori dei gangheri,

dicendomi di non esser così sciocca da impegnare alcunché e ha aggiunto che

più tardi avrebbe visto se prestarmi il denaro oppure no. Ma alla fine, all'atto di

congedarsi, mi ha promesso che me lo avrebbe mandato domattina. E

domattina lo porterò io stessa al mio mostro adorato. Un bacio dalla sua

affezionata

Becky.

P.S. Ti scrivo dal letto. Ho una terribile emicrania e il cuore in pezzi!

Quand'ebbe scorsa la lettera, Rawdon si fece paonazzo e assunse

un'espressione oltremodo adirata, onde gli ospiti della table d'hôte compresero

all'istante che aveva ricevuto una pessima notizia. Tutti i sospetti sul conto

della moglie ch'egli era riuscito a fugare tornarono ad affiorargli alla mente.

Dunque, non era disposta a vendere i suoi gioielli per rimetterlo in libertà. Lui

era in carcere e lei aveva voglia di scherzare e di porger l'orecchio ai

complimenti che le venivano rivolti! Chi, del resto, era il responsabile?

Wenham lo accompagnava. Che fosse... no, si rifiutava di avallare una simile

ipotesi. Uscì dalla stanza e si precipitò nella sua. Aprì il cofanetto e scrisse di

furia una breve lettera che indirizzò a Lady Jane o a Sir Pitt, poi ingiunse al

messaggero di recarla senza indugio in Gaunt Street. Gli disse di prendere una

carrozza promettendogli una ghinea se fosse rientrato entro un'ora. Nel

biglietto supplicava il suo caro fratello e la sua cara sorella, per l'amor di Dio,

in nome del suo amato piccolo e del suo onore, di recarsi da lui e di sottrarlo a

quella situazione. Era in carcere e per liberarlo occorreva versare cento

sterline. Li scongiurava di venire da lui. Poi fece ritorno in sala da pranzo, e

dopo aver spedito il messaggero chiese dell'altro vino. Prese a ridere e a

ciarlare animatamente, in uno stato di eccitazione abnorme che non sfuggì agli

altri convitati. A volte scoppiava a ridere perdutamente dei suoi assurdi timori,

e per un'ora non cessò di bere, l'orecchio teso al rumore della carrozza che

avrebbe deciso del suo destino.

Trascorsa l'ora fatale, si udì lo stridere di una carrozza che si arrestava

davanti al cancello, e il giovane portiere andò ad aprire armato delle sue

chiavi. Una signora era entrata nello studio dell'ufficiale giudiziario.

«Il colonnello Crawley,» disse la dama con voce tremante. Il ragazzo

scambiò con la visitatrice un'occhiata d'intesa, poi chiuse la porta esterna, aprì

e richiuse quella interna e profferì a voce sonora: «Colonnello, siete

desiderato!» Frattanto guidava Lady Jane verso la stanza occupata da Rawdon.

Il colonnello lasciò la sala da pranzo, ove tuttora era radunata tutta

quella gente in baldoria, e varcò la soglia della sua camera. Quando apri la

porta una lama di luce accecante filtrò nel locale, ove la signora lo attendeva in

piedi, ancora palesemente nervosa.

«Sono io, Rawdon,» disse con voce timida, sforzandosi invano di

conferirle un tono più festoso. «Sono Jane.» Rawdon fu estremamente

commosso da quella presenza e dal suono di quella voce. Le mosse incontro, la

strinse fra le braccia e la ringraziò, ansante, profferendo parole confuse che si

conclusero in singhiozzi. Lady Jane non si spiegava il motivo di quell'emozione.

I conti di Mr. Moss vennero prontamente saldati, forse con qualche

disappunto da parte di quel signore, che aveva sperato di annoverare il

colonnello tra i suoi ospiti almeno sino a domenica: e Jane, con un sorriso

smagliante e una luce di felicità negli occhi, fece uscire Rawdon dalla dimora

dell'ufficiale giudiziario. Dopo di che si avviarono verso casa servendosi della

stessa carrozza con la quale si era precipitata da lui, decisa a farlo rilasciare.

Disse che Pitt era a un banchetto di parlamentari quando era giunto il suo

messaggio. «Quindi, mio caro Rawdon, ho deciso... ho deciso di venire io

stessa.» E nel dir questo, con gesto affettuoso gli posò una mano sulla sua.

Forse era stato un bene che Pitt fosse a quel banchetto. Rawdon ringraziò

tante e tante volte la cognata, e in tono di così fervida gratitudine che quella

donna così benevola ne fu quasi sgomenta. «Oh,» prese a dire in quel suo

modo goffo e tuttavia sincero, «voi non sapete quanto io sia cambiato dal

giorno in cui vi ho conosciuta.., e... e poi ho il piccolo Rawdon. Io vorrei

cambiare, in un modo o in un altro. Io non so, vorrei.., vorrei essere...» Non

poté terminare la frase, ma lei aveva capito egualmente. E quella sera, dopo

che lui ebbe preso congedo, Jane sedette accanto al letto del suo bambino

pregando in tutta umiltà per quel peccatore smarrito.

Dopo averla lasciata Rawdon si era affrettato a rientrare a casa. Erano le

nove di sera. Attraversò di corsa le strade e le grandi piazze della Fiera della

Vanità, e finalmente, ansante, raggiunse l'uscio di casa sua. Arretrò con un

soprassalto, appoggiandosi alla ringhiera, poi alzò lo sguardo. Le finestre del

salotto scintillavano di luci. Eppure lei aveva scritto di essere a letto,

ammalata. Indugiò qualche istante immobile, il volto pallido illuminato dalla

luce che fluiva dalle stanze.

Levò di tasca la chiave e aprì. Dal piano di sopra giungeva un'eco di

risate. Rawdon indossava ancora l'abito da ballo che portava la sera prima

quando lo avevano arrestato. Salì le scale a passo felpato, poi, giunto sul

pianerottolo, si appoggiò un istante alla balaustra. In casa non si udiva alcun

rumore ad eccezione... Evidentemente la servitù era stata messa in libertà.

Rawdon udì qualcuno che rideva.., che rideva e cantava. Becky cantava una

strofa della canzone della sera prima. Una voce tonante gridò: «Brava! Brava!»

Era la voce di Lord Steyne.

Rawdon spinse la porta ed entrò nel salotto. Sulla tavola era imbandita

una cena per due, con tanto di vini e argenteria. Steyne si protendeva sul

divano sul quale sedeva Becky. La sciagurata vestiva con suprema eleganza.

Aveva le dita e le braccia cariche di anelli e braccialetti, e sul seno portava i

diamanti donatile da Steyne. Poi, mentre il nobiluomo le prendeva la mano e si

chinava su di essa per baciarla, lei si lasciò sfuggire un grido soffocato: aveva

visto il volto pallido di Rawdon. Subito dopo tentò di piegare le labbra in un

sorriso, un sorriso orribile, quasi avesse voluto dare il benvenuto al marito.

Anche Steyne si alzò in piedi, pallido, digrignando i denti, gli occhi che

esprimevano un cupo furore.

Anch'egli tentò di ridere, e avanzò verso di lui con la mano tesa: «Come

mai, già di ritorno? Come va, Crawley?» disse mentre la bocca gli si contraeva

nel tentativo di elargire un sorriso al malaugurato intruso.

Ma nell'espressione di Rawdon si leggeva qualcosa che indusse Becky a

gettarglisi ai piedi. «Sono innocente, Rawdon,» strillò, «davanti a Dio giuro che

sono innocente!» E gli afferrò i lembi della giacca e le mani con le proprie,

cariche di bracciali, anelli e gingilli vari. «Sono innocente, ditegli che sono

innocente!» esclamò, rivolta a Lord Steyne.

Questi temette che gli avessero teso una trappola, ed era furibondo sia

contro Becky, sia contro il marito. «Voi innocente? Maledizione!» urlò. «Voi

innocente? Tutti i gioielli che avete addosso li ho pagati di tasca mia! Vi ho

dato migliaia di sterline che quest'uomo ha speso, e per le quali vi ha venduta!

Innocente, voi? Maledizione! Siete innocente come lo era quella ballerinetta di

vostra madre! Siete innocente come lo è quel ruffiano di vostro marito! Se

credete di poter spaventare me come avete spaventato altri, vi sbagliate di

grosso! Fate largo, signore, e lasciatemi passare!» Afferrò il cappello, e con gli

occhi sbarrati dalla collera avanzò verso il suo nemico, convinto che l'altro gli

avrebbe ceduto il passo. Ma Rawdon Crawley gli si avventò contro afferrandolo

per il bavero della giacca, finché Steyne, che si sentiva soffocare, prese a

divincolarsi e a piegarsi sotto il suo braccio. «Voi mentite, cane! Voi mentite,

vigliacco mascalzone!» E a mano aperta schiaffeggiò due volte il Pari,

scaraventandolo sul pavimento sanguinante. Tutto accadde prima che Rebecca

avesse il tempo di intromettersi. Rimase pertanto immota davanti a lui, in

ammirazione di quel marito forte, ardimentoso, coraggioso.

«Vieni qui,» le ordinò.

Lei gli si fece accosto senza replicare.

«Levati di dosso questa roba!» E Becky, guardandolo impaurita, prese a

sfilarsi i bracciali e gli anelli dalle dita tremanti, raccogliendoli poi in un

mucchio.

«Buttali per terra!» Lei ubbidì. Poi le strappò la spilla di diamanti che

recava appuntata al seno e la gettò in faccia a Lord Steyne colpendolo sulla

fronte calva. Sua Signoria ne portò la cicatrice sino alla fine dei suoi giorni.

«Vieni di sopra,» disse Rawdon a sua moglie.

«Non uccidermi!» lo scongiurò Rebecca. Lui scoppiò in una risata sinistra.

«Voglio scoprire se quel figuro ha mentito a proposito dei quattrini come

ha mentito sul mio conto. Ti ha dato dei soldi, dì?»

«No,» rispose Rebecca. «O meglio...»

«Dammi le tue chiavi,» aggiunse Rawdon, e uscirono dalla stanza

insieme.

Rebecca gli diede tutte le chiavi tranne una, speranzosa che Rawdon non

se ne sarebbe accorto. Era la chiave del cofanetto che Amelia a suo tempo le

aveva regalato, e che lei teneva gelosamente nascosto. Ma Rawdon spalancò

armadi e cassetti buttando all'aria tutto ciò che gli capitò per le mani, e alla

fine trovò il cofanetto. Rebecca fu costretta ad aprirlo. Conteneva documenti,

lettere d'amore di tanti anni prima e una congerie di ninnoli e ricordi femminili.

Ma non mancava un portafoglio con delle banconote, alcune risalenti a molti

anni prima, ma una recentissima: si trattava delle mille sterline che Lord

Steyne aveva dato a Becky.

«È stato lui a dartela?»

«Sì,» rispose Rebecca.

«Gliela restituirò oggi stesso,» disse Rawdon, giacché ormai albeggiava

(erano trascorse alcune ore, totalmente assorbite da quella ricerca.) «Pagherò

qualche debito e la cara Briggs, che è sempre stata così gentile col bambino. In

quanto al resto, mi farai sapere dove debbo mandartelo. Ad ogni modo, avresti

potuto spendere cento sterline per me, di tutto questo denaro. Io, con te, ho

sempre diviso tutto.

«Sono innocente,» fu la risposta di Becky. E lui se ne andò senza

aggiunger parola.

Quali furono i pensieri di Becky quando egli se ne fu andato? Per ore ed

ore indugiò immobile, seduta sul bordo del letto, mentre il sole filtrava dalle

finestre inondando la stanza. I cassetti erano tutti spalancati, il contenuto

sparpagliato in disordine per ogni dove. C'erano abiti e piume, scialli e monili,

un mucchio di vanità simili alle vestigia di un naufragio. I capelli le si erano

sciolti sulle spalle, l'abito le si era lacerato nel punto in cui Rawdon le aveva

strappato la spilla di diamanti. Rawdon aveva lasciato la stanza da pochi minuti

quando lei lo udì scendere le scale e uscire sbattendosi la porta d'ingresso alle

spalle. Sapeva che se ne andava per sempre. Non sarebbe tornato mai più. E

se avesse tentato di uccidersi? No, non prima di aver sfidato Lord Steyne a

duello. Ripercorse mentalmente la sua lunga vita, disseminata di meschine

avventure. E le sembrò così squallida, così miseranda, così solitaria, così vuota

di senso alcuno! E se avesse bevuto il laudano e l'avesse fatta finita anche lei?

Se l'avesse fatta finita con tutte le sue speranze, i suoi piccoli stratagemmi, i

suoi debiti, i suoi trionfi? La cameriera francese la trovò in quella posizione,

seduta con le mani intrecciate e gli occhi asciutti, in mezzo a quella farragine di

indumenti e suppellettili. Quella donna era la sua complice, e al soldo di

Steyne. «Mon Dieu, Madame, cos'è successo?» domandò.

Che cosa era successo? Era colpevole o innocente? Innocente, diceva lei.

Ma chi mai avrebbe potuto giurare che da quella bocca uscisse la verità? Chi

avrebbe potuto asserire che, in quel caso, il suo cuore corrotto fosse puro?

Tutte le sue menzogne e i suoi intrighi, tutto il suo egoismo e tutti i suoi

tradimenti, tutto il suo brio e tutto il suo genio si erano risolti in quel

fallimento. La cameriera tirò le tende, e dando prova di una certa gentilezza

d'animo esortò la sua padrona a sdraiarsi sul letto. Poi scese a pianterreno e

prese a raccattare i gioielli che giacevano sparsi sul pavimento dal momento in

cui Rebecca ve li aveva lasciati cadere per ingiunzione del marito e Lord Steyne

se n'era andato.

LIV • LA DOMENICA DOPO LA BATTAGLIA

Nella casa di Sir Pitt Crawley, in Great Gaunt Street, la vita cominciava a

organizzarsi in vista della giornata, quando Rawdon, che indossava ancora

l'abito da sera di due giorni prima, passò davanti alla donna allibita che stava

lavando le scale ed entrò nello studio del fratello. Lady Jane era nella camera

dei bambini, al piano di sopra, e presiedeva alla loro toeletta, al tempo stesso

porgendo l'orecchio alla loro preghiera mattutina che essi andavano ripetendo,

inginocchiati davanti a lei. Ogni mattina Lady Jane e i bimbi compivano quel

dovere in privato, prima della pubblica cerimonia cui presiedeva Sir Pitt, al

cospetto di tutta la casa. Rawdon sedette davanti alla scrivania del baronetto,

sulla quale posavano i libri azzurri delle relazioni parlamentari, le lettere, le

fatture debitamente registrate, gli opuscoli raccolti in bell'ordine, i libri di conti

chiusi con la fibbia, cofanetti e scatole per incartamenti vari, nonché la Bibbia,

la Quarterly Review e la Court Guide, tutti in fila come se avessero atteso di

esser passati in rassegna dal loro comandante.

Sullo scrittoio attendeva del pari, pronto per la sua attenta selezione, il

libro di sermoni dai quali Sir Pitt, la domenica, era solito espungere un brano

che poi appioppava alla famiglia. Accanto c'era l'«Observer», ancora piegato e

fresco di stampa, riservato alla lettura esclusiva di Sir Pitt. Solo il suo valletto

personale gli dava una scorsa furtiva prima di posarlo sulla scrivania del

padrone. Quella mattina vi aveva letto il vivace resoconto della «Festa a Gaunt

House», che riportava il nome di tutti gli esimi personaggi invitati da Lord

Steyne, la cui magione era stata parimenti onorata dalla presenza di Sua

Altezza Reale.

Dopo essere passato nelle stanze riservate alla governante, dove questa

e la di lei nipote prendevano il tè con pane tostato caldo e burro, e dopo aver

fatto i suoi commenti sulla festa, chiedendosi come facessero quei Crawley a

tirare avanti, il valletto aveva ripiegato accuratamente il giornale in modo che

apparisse assolutamente intatto quando il padrone di casa lo avesse preso in

mano.

Il povero Rawdon prese il giornale, e in attesa del fratello s'ingegnò di

leggere, ma i caratteri gli ballavano davanti agli occhi e invero non avrebbe

saputo dire cosa stesse leggendo. Le notizie concernenti il governo e le nuove

nomine (che Sir Pitt, nella sua qualità di uomo politico, aveva il dovere di

leggere, altrimenti non avrebbe mai permesso che un giornale della domenica

entrasse nella sua casa), le cronache teatrali, il match di pugilato per il quale

correvano scommesse da cento sterline l'una sul Macellaio Ruggente e sul

Beniamino di Tutbury, la stessa cronaca del ricevimento a Gaunt House con

relativo resoconto, lusinghiero ancorché contenuto, della sciarada che aveva

visto Becky in veste di protagonista, tutto gli scorreva davanti agli occhi come

offuscato da un velo di nebbia, mentre sedeva in attesa che arrivasse il capo

della casata.

Puntualmente, nel momento stesso in cui la stridula soneria della

pendola di marmo nero cominciava a battere le nove, Sir Pitt fece la sua

comparsa, fresco, lindo, accuratamente rasato, il volto cereo di un nitore

impeccabile, il colletto inamidato, i radi capelli ravviati e impomatati. Scendeva

pomposamente le scale in cravatta parimenti inamidata e in vestaglia di

flanella grigia, e mentre procedeva andava limandosi accuratamente le unghie.

In poche parole, era l'incarnazione di un perfetto gentiluomo inglese, un

modello di lindura e di decoro. Sussultò alla vista di Rawdon nel suo studio,

con l'abito tutto sgualcito, gli occhi iniettati di sangue e i capelli scomposti che

gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Credette che il fratello fosse

ubriaco e avesse trascorso la nottata in gozzoviglie. «Mio Dio, Rawdon,»

esclamò, stupefatto, «che cosa ti porta a quest'ora della mattina? Perché non

sei a casa tua?»

«A casa mia?» ribatté Rawdon prorompendo in una risata sarcastica.

«Non temere, Pitt, non sono ubriaco. Chiudi la porta, ti prego, voglio parlarti.»

Pitt chiuse l'uscio e si accostò alla scrivania. Rawdon sedeva sulla

poltrona che vi stava davanti: quella che solitamente accoglieva il fattore,

l'agente o qualche altro visitatore di fiducia che venisse a parlar di affari col

baronetto; dopo di che prese a limarsi le unghie con maggior slancio di

poc'anzi.

«Per me è finita, Pitt,» disse il colonnello dopo una pausa. «Per me è

proprio finita.»

«Te l'ho sempre detto che ti saresti ridotto in questo modo,» reagì l'altro

in tono adirato, tamburellando con le sue unghie ben limate sopra il ripiano

dello scrittoio. Ti ho ammonito migliaia di volte. Non posso più aiutarti. Ho

impegnato tutti i miei denari. Tutti. Fino all'ultimo scellino. Oggi avrei dovuto

dare al mio legale le cento sterline che Jane ti ha portato ieri sera. Di

conseguenza avrò delle grosse noie. Con ciò non intendo dire che prima o poi

non sia disposto a venirti incontro, ma saldare i tuoi debiti equivarrebbe a voler

pagare il Debito Pubblico. È un'ipotesi né più né meno assurda. Non ti resta

che chiedere il fallimento. Certo è umiliante per la famiglia, ma è quello che

fanno tutti. La settimana scorsa George Kitely, il figlio di Ragland, è finito

davanti alla Corte. Fallito. E ne è uscito pulito (mi pare che usino

quest'espressione). Lord Ragland non intendeva pagare neppure uno scellino,

per toglierlo dagli impicci.»

«Non voglio denari, Pitt,» lo interruppe Rawdon. «Non sono venuto per

parlarti dei miei problemi. Di me non m'importa nulla.»

«E allora di che si tratta?» chiese Pitt, un poco sollevato.

«Del bambino,» rispose Rawdon con voce soffocata. «Voglio che tu mi

prometta di occuparti di lui quando io me ne sarò andato. Tua moglie è una

persona così buona, così dolce... Si è sempre occupata premurosamente di lui,

e lui le vuole bene più che a sua madre. Maledizione! Ascoltami, Pitt: tu sai che

io avrei dovuto ereditare i denari di Miss Crawley, della zia Matilda. Non sono

stato allevato come solitamente si allevano i figli cadetti. Anzi, son sempre

stato incoraggiato a sperperare e a vivere nell'ozio. Se sono come sono, la

causa è proprio questa. Al reggimento mi sono sempre comportato bene e

nell'insieme ho fatto il mio dovere. Tu sai perfettamente chi ha carpito il mio

denaro...»

«Dopo tutti i sacrifici che ho fatto e il continuo aiuto che ti ho offerto,

questo mi sembra un rinfaccio inopportuno,» reagì Sir Pitt. «Quanto al

matrimonio, lo hai fatto tu, non io.»

«Ormai si tratta di un matrimonio finito,» esclamò Rawdon. «Finito.» E le

parole gli uscirono dalla bocca con un accento di così straziata disperazione,

che Sir Pitt non poté esimersi dal sobbalzare.

«Mio Dio, è forse morta?» domandò, in un tono che esprimeva un

sentimento di allarme e di sincero compianto.

«Vorrei essere morto io,» rispose Rawdon. «Se non fosse stato per il

piccolo, stamattina mi sarei tagliato la gola, o l'avrei tagliata a quel farabutto.»

Sir Pitt non stentò a intuire la verità e a comprendere che la persona che

Rawdon era pronto a uccidere fosse Lord Steyne. Con voce rotta il colonnello

raccontò brevemente a suo fratello gli avvenimenti. «Era un piano ordito fra lei

e quel lestofante. Mi ha messo gli ufficiali giudiziari alle calcagna. Mi hanno

beccato proprio mentre uscivo dalla sua casa. Quando le ho scritto

supplicandola di mandarmi il denaro per il riscatto mi ha risposto dicendomi di

aspettare un altro giorno perché era a letto ammalata. Invece, quando sono

arrivato a casa, l'ho trovata sola con quel figuro, elegante e ingioiellata.» Dopo

di che descrisse il suo scontro con Lord Steyne. In un caso del genere, disse,

non c'era che una via d'uscita; cosicché, dopo averne parlato al fratello, si

sarebbe preparato al duello.

«E dal momento,» concluse, «che il duello potrebbe avere esito negativo

per me, e il piccolo è praticamente senza madre, non mi rimane che affidarlo a

te e a Jane, Pitt, confortato dal pensiero che vorrai accordargli la tua amicizia.»

Il fratello maggiore era commosso, e strinse la mano a Rawdon con un

trasporto di cui raramente gli aveva dato prova. Rawdon si passò una mano

sulle folte sopracciglia. «Grazie, fratello,» disse, «so che posso fidarmi della

tua parola.»

«Te lo prometto sul mio onore,» disse il baronetto. E così, quasi in

silenzio, il loro patto venne suggellato.

Poi Rawdon levò di tasca un piccolo portafoglio che aveva scoperto nel

cofanetto di Becky e ne tolse un fascio di banconote. «Qui ci sono seicento

sterline,» disse. «Non t'immaginavi, nevvero, che fossi così ricco? Ti prego di

darle alla Briggs. È sempre stata così buona col ragazzo. Ho sempre avuto

rimorso di aver carpito il denaro di quella povera vecchia. E qui ci sono altri

soldi (io ho tenuto solo poche sterline...) che puoi mandare a Becky per tirare

a campare.» Parlando, estrasse altri biglietti di banca dal portafoglio per

porgerli al fratello, ma la mano gli tremava a tal punto che il portafoglio gli

cadde e ne uscì il biglietto da mille sterline, l'ultima somma che Becky era

riuscita a estorcere. «No, questo no,» disse Rawdon. «Spero di scaricargli

addosso una pallottola, al proprietario di questi quattrini.» Aveva pensato che

sarebbe stata una vendetta coi fiocchi avvolgere il proiettile in quella

banconota e servirsene per uccidere Steyne.

Al termine di quel colloquio i due fratelli tornarono a stringersi la mano,

poi presero congedo. Lady Jane aveva saputo della visita del colonnello, e

attendeva il marito nell'attigua sala da pranzo perché il suo istinto femminile la

induceva a prevedere il peggio. La porta della sala da pranzo era aperta ed ella

apparve sulla soglia nel momento in cui i due fratelli uscivano dallo studio.

Tese la mano al cognato e disse che sarebbe stata lieta di averlo a colazione,

sebbene il suo viso contratto e non rasato, al pari dell'espressione cupa di suo

marito, dimostrassero che non era il momento di fare inviti. Rawdon farfugliò

una scusa rimediata alla bell'e meglio, addusse un precedente impegno e

strinse forte la piccola mano che la cognata timidamente gli porgeva. I suoi

occhi supplici posati su quelli del cognato le dicevano ch'era accaduta una

disgrazia; ma egli se ne andò senza dire una sola parola, né Sir Pitt le diede

chiarimento alcuno. I bambini gli si fecero accosto per dargli il bacio del

buongiorno, che egli ricambiò con la solita, fredda compunzione. Al contrario la

madre li strinse a sé tenendoli per mano, mentre si ponevano in ginocchio per

recitare le preghiere che Sir Pitt leggeva a loro uso e a edificazione dei

servitori, che indossavano la livrea o gli abiti della domenica. Tutti se ne

stavano inginocchiati sulle sedie disposti in fila, sul lato opposto a quello ove

sibilava il bollitore del tè. Quel giorno, a causa di quanto era accaduto, fecero

colazione più tardi del consueto, onde le campane della chiesa fecero udire i

loro rintocchi mentre ancora sedevano a tavola. Lady Lane dichiarò di sentirsi

poco bene, cosicché non li avrebbe accompagnati in chiesa. Per giunta, mentre

venivano recitate le preghiere comuni, la sua mente era costantemente volta

altrove.

Nel frattempo Rawdon Crawley si era allontanato a passo spedito da

Gaunt Street, ed ora brandiva il battacchio di bronzo raffigurante una testa di

Medusa, picchiando alla porta e facendo accorrere una specie di sileno rubizzo,

in giustacuore rosso e argento, che fungeva da portiere del palazzo.

Spaventato dall'aspetto del colonnello, l'uomo sbarrò l'uscio, nel timore che

l'altro intendesse forzarlo. Ma Rawdon si limitò a mostrargli un biglietto da

visita e a ingiungergli di portarlo tosto al suo padrone, precisando che Lord

Steyne prendesse nota dell'indirizzo e del fatto che per tutto il giorno il

colonnello Crawley sarebbe stato reperibile al Regent Club, in St. James's

Street. Il grasso portiere rubicondo indugiò a fissarlo allibito, mentre Crawley si

allontanava a grandi passi, e parimenti lo osservava attonita la gente. vestita a

festa che già affollava le strade, in quelle prime ore del mattino domenicale: i

trovatelli dell'orfanotrofio coi loro visetti vispi, l'erbivendolo che ciondolava

sulla porta della bottega, l'oste che chiudeva i battenti del suo locale in pieno

giorno, per la durata del servizio religioso. Al posteggio delle carrozze, dove

egli salì su uno dei veicoli dicendo al cocchiere di condurlo alla caserma di

Kinghtsbridge, la gente scoppiò a ridere e prese a dileggiarlo a causa del suo

aspetto.

Quando arrivò alla caserma, le campane suonavano a distesa. Se si fosse

guardato attorno, avrebbe veduto una sua vecchia conoscenza, Amelia, che da

Brompton si avviava verso Russell Square. Lunghe file di collegiali si dirigevano

verso la chiesa. Il marciapiede lucido e spazzato e le diligenze dei sobborghi

brulicavano di folla che intendeva trascorrere la domenica fuori città; ma il

colonnello era troppo assorto per accorgersi di quanto accadeva intorno a lui.

Appena ebbe raggiunta la caserma si affrettò a salirne le scale e a raggiungere

la stanza occupata dal suo amico capitano MacMurdo. Fu lieto di trovarvelo.

Il capitano MacMurdo se ne stava a letto in santa pace. Era un veterano

di Waterloo, e sebbene fosse amato e apprezzato da tutto il reggimento non

riusciva a ottenere avanzamenti per un'unica ragione: non aveva denaro. La

sera innanzi aveva partecipato a una cena offerta dall'onorevole capitano

George Cinqbars nella sua abitazione di Brompton Square ad alcuni giovani

ufficiali e a uno stuolo di vezzose ballerine. Il vecchio Mac si trovava

perfettamente a suo agio con gente di ogni risma e di ogni età: pugili, cinofili,

danzatrici, persone insomma eterogenee e disparate. Si stava dunque

riprendendo dagli strapazzi della sera prima, e dal momento che non era di

servizio nulla gli impediva di riposarsi tra le coltri del suo letto.

Alle pareti della stanza pendevano quadri di vario soggetto artistico e

sportivo, dono dei suoi commilitoni congedatisi dall'esercito per convolare a

nozze e concedersi una vita più tranquilla; e dal momento che ormai aveva

compiuto cinquant'anni, metà dei quali spesi nel reggimento, la sua collezione

poteva dirsi cospicua. Era uno dei migliori tiratori d'Inghilterra, e sebbene fosse

un po' goffo era altresì un eccellente cavallerizzo. Anzi, era stato uno dei rivali

di Crawley, quando questi era ancora in servizio attivo. Insomma, MacMurdo

se ne stava coricato a letto intento a leggere sul «Bell's Life» il resoconto del

match di pugilato tra il Macellaio Ruggente e il Beniamino di Tutbury cui

abbiamo già fatto cenno, e aveva l'aspetto di un venerando guerriero dai

capelli corti e brizzolati, il berretto da notte in testa, faccia e naso di colore

acceso e baffi tinti.

Non appena Rawdon gli disse di aver bisogno di un amico, il capitano

comprese di quale prova d'amicizia fosse in cerca. Erano dozzine le faccende di

questo tipo ch'egli aveva curato con molta discrezione e sagacia. In casi siffatti

Sua Altezza Reale, il compianto comandante in capo, aveva esternato a

MacMurdo tutta la sua stima. Egli era dunque la persona alla quale si

rivolgevano tutti gli ufficiali che si trovassero in pasticci consimili.

«Di che si tratta, questa volta, caro Crawley?» chiese il vecchio

guerriero. «Spero che non si tratti di beghe di gioco, come quella volta che

abbiamo fatto fuori il capitano Marker!»

«No, si tratta.., si tratta di mia moglie,» rispose Rawdon, arrossendo e

chinando il volto.

L'altro emise un fischio. «L'ho sempre pensato che prima o poi ti avrebbe

piantato in asso,» prese a dire. E in verità sia al reggimento sia al club si

facevano scommesse sulla sorte che molto probabilmente sarebbe toccata al

capitano Crawley, tanto scarsa era la stima che sua moglie riscuoteva fra i

commilitoni e, in genere, tra la gente comune. Ma subito MacMurdo si accorse

dello sguardo adirato col quale Crawley aveva accolto quella sua

considerazione, onde ritenne prudente non insistere sull'argomento.

«Non c'è modo di venirne fuori altrimenti, mio caro?» riprese il capitano

in tono grave. «Hai prove o solo sospetti? Ci sono lettere, forse? Non si

potrebbe metter la faccenda a tacere? È sempre meglio evitar chiassate

intorno a cose di tal fatta, sempre ammesso che sia possibile, naturalmente.»

«Non è possibile che se ne sia accorto soltanto ora!» pensava il capitano,

memore di innumerevoli conversari a mensa nel corso dei quali la reputazione

di Mrs. Crawley era stata ridotta a brandelli.

«No, non c'è altro modo di venirne fuori,» rispose Crawley. «Ce n'è uno

solo e per uno solo... Capisci quel che intendo dire? Per liberarsi di me, mi

hanno fatto arrestare. Poi li ho trovati a tu per tu, da soli. Gli ho dato del

bugiardo e del vigliacco, l'ho scaraventato per terra e l'ho preso a schiaffi.»

«L'hai trattato coi fiocchi,» commentò MacMurdo. «E chi è costui?»

Rawdon rispose che era Lord Steyne.

«Maledizione! Un marchese! Dicevano che lui..: sì, insomma, che tu...»

«Che cosa diavolo intendi dire?» ruggì Rawdon. «Vorresti farmi credere

che qualcuno ha sparlato di mia moglie e che tu non me lo hai detto prima?»

«La gente, mio caro, è sempre pronta a criticare. Pretendevi che ti

venissi a raccontare tutti i pettegolezzi del prossimo?»

«Non sei stato un amico, Mac!» osservò Rawdon, accasciato. Poi si copri

il volto con le mani, manifestando una costernazione che suscitò nel vecchio

commilitone un impeto di subitanea comprensione. «Fatti coraggio, vecchio

mio,» disse MacMurdo. «Marchese o non marchese, gli schiafferemo una

pallottola in corpo. E poi le donne sono tutte eguali.»

«Ma io volevo molto bene a mia moglie!» riprese Rawdon, formulando a

stento le parole. «La seguivo ovunque come un fedele servitore, perdio! Le ho

dato tutti i miei averi. Se mi sono ridotto in miseria è stato per volerla sposare!

Credimi, Mac, sono arrivato al punto d'impegnare il mio orologio pur di

concederle tutto ciò di cui aveva bisogno. E lei, intanto.., lei accumulava

quattrini per proprio uso e consumo, rifiutandosi di tirar fuori cento sterline per

cavarmi d'impaccio!» Infine, profferendo frasi adirate e incongrue, raccontò a

MacMurdo come si erano svolti i fatti. Il suo consigliere riuscì a cogliere il senso

di una frase e vi si aggrappò prontamente.

«Ma lei, dopo tutto, si dichiara innocente,» disse, «e non era certo la

prima volta che Steyne si trovava solo in casa con lei.»

«Sì, non posso escluderlo,» rispose Rawdon con voce melanconica, «ma

questo non ha l'aria di esser molto innocente.» E nel dir ciò mostrava al

capitano la banconota da mille sterline che aveva trovato nel portafoglio di

Becky. «Questo denaro gliel'ha dato lui. Naturalmente Becky l'ha nascosto, e

con tutti questi soldi in casa si rifiutava di intervenire mentre io mi trovavo

sottochiave.» Il capitano dovette convenire che il fatto di aver nascosto una

siffatta somma di denaro appariva decisamente losco.

Mentre erano assorbiti dalla loro conversazione, Rawdon mandò in

Curzon Street l'attendente di MacMurdo a prelevare degli abiti di ricambio di

cui aveva oltremodo bisogno. Poi, con molta fatica e con l'ausilio del Dizionario

di Johnson, Rawdon e il suo secondo redassero una lettera per Lord Steyne. Il

capitano MacMurdo si onorava di partecipare a Lord Steyne, per incarico del

capitano Crawley, che si teneva a sua disposizione onde procedere alle

modalità del duello che senza dubbio Sua Signoria intendeva sollecitare, posto

che gli avvenimenti della mattina lo avevano reso inevitabile. Il capitano

MacMurdo invitava con la massima deferenza Sua Signoria a designare un

amico, col quale egli avrebbe potuto mettersi in debito contatto. Si augurava

altresì che il duello avesse luogo quanto prima possibile. Inoltre, in un

postscriptum, il capitano diceva di essere in possesso di una banconota di

grosso taglio che il colonnello Crawley aveva valido motivo di credere

appartenesse al marchese di Steyne, onde era ansioso di restituirla al legittimo

proprietario da parte del colonnello.

La lettera era stata appena vergata quando l'attendente fece ritorno, ma

senza il porte-manteau e gli altri indumenti richiesti dal colonnello. Aveva sul

volto un'espressione stranita. «Non hanno voluto darmeli,» raccontò. «La casa

è tutta sottosopra. Il padrone di casa è arrivato e ha preso possesso di ogni

cosa. La servitù sta bevendo in salotto. Dicono che lei... che lei ha portato via

l'argenteria. Simpson, un tizio ubriaco fradicio che faceva un chiasso

indemoniato, dice che non lascerà uscir niente di casa se prima non gli

pagheranno il salario.

Il racconto di quella piccola rivoluzione in Mayfair recò, dopo un primo

moto di sorpresa, una certa allegria ai due ufficiali, che risero di cuore insieme

della piccola disavventura toccata a Rawdon.

«Meno male che il bambino non è a casa,» disse Crawley

mordicchiandosi le unghie. «Ti ricordi come sedeva eretto in sella, alla scuola

di equitazione?»

«Eccome, vecchio mio,» rispose il buon capitano.

Nel frattempo il piccolo Rawdon sedeva con altri cinquanta ragazzini nella

cappella della scuola di Whitefriars, e non pensava affatto al sermone, ma al

sabato successivo, quando sarebbe andato a casa e suo padre gli avrebbe dato

qualche soldo, e forse, chissà, lo avrebbero condotto a teatro.

«È proprio un ragazzo in gamba,» continuò il padre, la mente tuttora

rivolta al figlioletto. «Senti Mac, se le cose per me andassero male, ti prego,

vallo a trovare e digli che suo padre gli voleva bene, e altre cose così...

Maledizione, dagli questi bottoni d'oro. Non ho altro, purtroppo...»

Poi si coperse il volto con le mani sudicie. Le lacrime presero a scorrergli

di tra le dita lasciandovi una traccia biancastra. Anche il capitano si levò il

berretto da notte per tergersi gli occhi umidi di pianto.

«Va' a ordinare la colazione,» disse poi all'attendente in tono

allegramente perentorio. «Che cosa ti andrebbe di mangiare, Crawley? Che ne

diresti di qualche aringa? Ti piace il rognone arrosto? Clay, prendi un abito per

il colonnello. Abbiamo press'a poco la stessa corporatura, nevvero, vecchio

mio? Né io né te cavalchiamo più con la baldanza di quando siamo entrati

nell'esercito!» Dopo di che MacMurdo si voltò verso la parete per consentire al

colonnello di cambiarsi, e tornò a immergersi nella lettura del «Bell's Life». Poi,

quando l'amico ebbe terminato di far toeletta, cominciò a provvedere alla

propria.

E dal momento che si apprestava ad incontrarsi con un Lord, il capitano

MacMurdo vi si dedicò con cura affatto particolare. Dopo essersi impomatato i

baffi con un unguento che li rese lucidi e tesi, indossò una cravatta molto

stretta e un panciotto molto attillato, riscuotendo l'ammirato elogio degli

ufficiali della mensa (dove Crawley lo aveva preceduto), i quali gli

domandarono se per caso quella domenica avesse deciso di sposarsi.

LV • SI CONTINUA SULLO STESSO ARGOMENTO

Solo i rintocchi delle campane della chiesa di Curzon Street, che

chiamavano i fedeli al servizio religioso pomeridiano, valsero a scuotere Becky

dallo stato di stupore e di confusione nel quale l'avevano gettata gli eventi

della sera prima. Si alzò e suonò il campanello, nella presunzione di veder

entrare la cameriera, che invece l'aveva piantata in asso da parecchie ore.

Mrs. Rawdon Crawley suonò ripetutamente, e l'ultima volta con tale

veemenza da rischiare di strappare il cordone. Ma di mademoiselle Fifine

nemmeno l'ombra, né si fece vedere quando la sua padrona, furente,

scarmigliata e col cordone del campanello in mano, si affacciò sul pianerottolo

e la chiamò a gran voce.

La verità è che l'ancella aveva abbandonata la casa da varie ore, nel

modo che noi siamo soliti definire "alla francese". Dopo aver raccattato i gioielli

sparpagliati sul pavimento del salotto, Mademoiselle era salita nella sua

stanza, aveva preparato il suo bagaglio, aveva chiamato una carrozza pubblica,

vi aveva caricato le sue masserizie senza sollecitare l'aiuto di qualche altro

servitore (dal momento che tutti la detestavano e con ogni probabilità si

sarebbero rifiutati di offrirle l'aiuto richiesto) e senza salutare nessuno si era

allontanata dalla casa di Curzon Street.

A suo giudizio, in quel piccolo alveo domestico il gioco era ormai fatto.

Fifine pertanto fuggì a bordo di una carrozza pubblica, non altrimenti da come

si comportano in analoghe circostanze molti altri suoi connazionali di

condizione sociale ben più elevata della sua; sennonché, più fortunata o più

avveduta, non aveva trascurato di portar con sé, oltre ai suoi effetti personali,

anche talune suppellettili di proprietà della sua padrona, sempre ammesso che

quest'ultima possedesse qualcosa di proprio. Non solo, pertanto, portò con sé i

gioielli poc'anzi menzionati e alcuni abiti sui quali aveva posato il cupido occhio

da gran tempo, ma insieme con lei scomparvero da Curzon Steeet anche

quattro sfarzosi candelabri di vermeil stile Luigi XIV, sei album ricordo dorati,

una tabacchiera in oro e smalto già appartenuta a Madame du Barry, un

delizioso servizio da scrittoio in madreperla, con relativo calamaio, che Becky

usava per scrivere i suoi vezzosi bigliettini, e infine l'argenteria ch'era servita

per apparecchiare la tavola in occasione del piccolo festin brutalmente

interrotto dal sopraggiungere di Rawdon. Se poi aveva rinunciato ad asportare

il resto dell'argenteria, ciò era dovuto semplicemente al fatto che gli altri

oggetti erano troppo ingombranti: ragione che, con ogni probabilità, la indusse

a rinunciare altresì alle molle e allo specchio del caminetto, nonché al piccolo

pianoforte in bois de rose.

Non trascorse molto tempo, e una signora che le assomigliava in tutto e

per tutto aprì un negozio di mode in me du Helder, a Parigi, dove visse fruendo

di molto credito e giovandosi dell'alta protezione di Lord Steyne. Parlava

sempre dell'Inghilterra come del paese più ingrato e infido di questo mondo, e

sosteneva di esser stata affreusement volée dagli abitanti di quell'isola. Era,

non c e dubbio, la pietà che suscitavano le sventure da lei patite, a indurre

Lord Steyne a concedere il suo benigno appoggio a Madame de

Saint-Amaranthe. Auspichiamo ch'ella possa prosperare come si merita, dal

momento che non comparirà più nel nostro quartiere della Fiera della Vanità.

Sentendo un vocìo e un trapestìo al piano di sotto, indignata per

l'improntitudine con la quale la servitù disdegnava di rispondere ai suoi appelli,

Mrs. Crawley indossò la sua veste da camera e scese maestosamente le scale

diretta verso il salotto, donde giungeva il suddetto frastuono.

La cuoca, col viso sporco di fuliggine, sedeva sul sofà rivestito di prezioso

calicò indiano, a fianco di Mrs. Raggles cui stava offrendo un bicchiere di

maraschino. Il paggio coi bottoni a pan di zucchero, colui che soleva recapitare

i bigliettini di Becky e aprire la portiera della sua carrozza con encomiabile

zelo, era impegnato a cacciar le dita in una ciotola di panna, e nel frattempo

scambiava quattro chiacchiere con Raggles, sul cui volto si leggeva un misto di

ansia e perplessità.

Sebbene l'uscio fosse aperto e Becky avesse gridato a gran voce da pochi

passi di distanza, nessuno dei servitori era accorso alla sua chiamata.

«Coraggio, Mrs. Raggles, ancora un goccio,» diceva la cuoca nel momento

stesso in cui Becky varcava la soglia, con la vestaglia che le fluttuava intorno al

corpo.

«Simpson, Trotter!» strillò la padrona, esasperata. «Come osate starvene

qui mentre io chiamo? Come vi permettete di star seduti in mia presenza?

Dov'è la mia cameriera?» Sopraffatto da un moto di panico, il paggio levò le

dita dalla panna, ma la cuoca si servì con tutta calma del maraschino cui Mrs.

Raggles aveva già attinto copiosamente, e mentre lo vuotava fissò Becky al di

sopra del bordo dorato del bicchierino da liquore. Evidentemente quella

bevanda alcolica dava coraggio alla ribellione di quell'odiosa creatura.

«Il vostro sofà, proprio così,» prese a dire la cuoca. «Io sono seduta sul

sofà di Mrs. Raggles! Non vi scomodate, Mrs. Raggles. Certo, proprio così. Io

me ne sto seduta sul divano che Mr. e Mrs. Raggles si son comprati col sudore

della loro fronte, e pagandolo sin troppo caro. E d'altra parte, se devo

aspettare che mi paghino il mio salario dovrò starmene seduta Dio sa quanto

tempo, Mrs. Raggles. Ma ci starò, sicuro che ci starò, ah, ah, ah!» E nel dir

questo si versò un altro po' di liquore, tracannandolo con un'espressione di

sardonica sfida.

«Trotter, Simpson!» urlò Becky. «Sbattete fuori questa ignobile

ubriacona!»

«Non mi sogno nemmeno di farlo,» rispose Trotter, il valletto.

«Sbattetela fuori da voi, se ci tenete! Pagateci il salario, dopo di che buttateci

pure fuori. Vi assicuro che ce ne andremo senza farci pregare!»

«Avete forse deciso di riunirvi per insultarmi?» strillò Becky fuori di sé

per la collera. «Quando ritornerà il colonnello...»

A queste parole tutti i servitori proruppero in una risata sonora e

indecente. Solo Raggles non abbandono la sua espressione turbata e inquieta.

«Il colonnello non torna più,» rispose Trotter. «Ha mandato un tizio a

prendere i suoi abiti, ma io non glieli ho consegnati, anche se Raggles voleva.

E poi giurerei che quello è colonnello come lo sono io. Se n'è andato, e io

scommetto che lei gli andrà dietro. Siete d'accordo, voi due. Non siete altro

che due imbroglioni, tutti e due. E badate che non sopporto di esser trattato

male. Sbrigatevi invece a pagarci il nostro salario. Dateci i nostri soldi!

Il volto acceso e l'eloquio sconnesso dimostravano che anche Trotter era

ricorso all'alcool per farsi coraggio.

«Mr. Raggles,» proruppe Becky in un tono di estrema indignazione, «non

permetto a un ubriaco di insultarmi!»

«Suvvia, chiudi il becco, Trotter!» intervenne Simpson, il paggio. Era

turbato dalla situazione oltremodo imbarazzante nella quale si trovava la sua

padrona, e riuscì a impedire che Trotter profferisse le parole ingiuriose con le

quali intendeva reagire all'epiteto di ubriacone.

«Ahimè, signora,» esclamò Raggles, «non avrei mai creduto di vivere

tanto da vedere un giorno come questo. Conosco la famiglia Crawley da

quando sono al mondo. Sono stato maggiordomo di Miss Crawley per

trent'anni della mia vita, e non avrei mai supposto che un membro della

famiglia sarebbe stato la causa della mia rovina. Proprio così, della mia

rovina.» Tali furono le parole dello sventurato, che aveva le lacrime agli occhi.

«Mi pagherete, dunque, sì o no? Avete vissuto in questa casa per quattro anni.

Vi siete servita di tutto ciò che possedevo, dell'argenteria, della biancheria. Mi

dovete duecento sterline solo di latte e burro e uova fresche per le vostre

omelettes, e della panna che volevate per darla al vostro cagnolino.»

«E invece non si curava affatto di quello che doveva mangiare la creatura

che era nata dalla sua carne e dal suo sangue! Dio sa quante volte sarebbe

morto di fame, povero piccolo, se non ci fossi stata io!

«E adesso l'hanno cacciato in un orfanotrofio, cuoca!» incalzò Trotter

ridendo da ubriaco. Per parte sua Raggles riprese a elencare tristemente tutti i

guai causatigli dai Crawley. E tutto ciò che diceva era purtroppo vero. Becky e

suo marito lo avevano ridotto sul lastrico. Aveva delle cambiali che sarebbero

scadute di lì a una settimana, ma non disponeva del denaro per pagarle. Si

sarebbe visto costretto a vendere la casa e lo avrebbero cacciato dalla bottega,

e tutto questo per essersi fidato dei Crawley. Ma le sue proteste e i suoi

piagnistei non fecero che accentuare la collera parossistica di Becky.

«A quanto pare siete tutti schierati contro di me,» disse amaramente.

«Non potete pretendere che vi paghi di domenica. Ero convinta che il

colonnello Crawley avesse regolato tutte le vostre pendenze. Domani vi

pagherà senz'altro. Vi garantisco sul mio onore che è uscito di casa con mille e

cinquecento sterline nel portafoglio. Non mi ha lasciato un soldo. Rivolgetevi a

lui. Datemi uno scialle e un cappello, voglio andare a cercarlo. Stamattina fra

noi è scoppiato un litigio. Si direbbe che ne siate tutti informati. Vi do la mia

parola che sarete tutti pagati. Adesso mio marito ha un ottimo impiego. Ora

esco e vado a cercarlo.»

Quest'audace affermazione ebbe l'effetto di lasciar stupefatti Raggles e

tutti gli altri, che si scambiarono un'occhiata di attonita perplessità. In tale

stato Rebecca li lasciò. Salì in camera sua a vestirsi, senza valersi questa volta

dell'assistenza della domestica francese. Entrò nella camera di Rawdon e vide

una valigia e un baule pronti per esser portati via, con un biglietto scritto a

matita con l'ordine di consegnarli a chi si fosse presentato a prelevarli. Dopo di

che raggiunse la soffitta e penetrò nella stanza che occupava la cameriera

francese. I cassetti erano vuoti e spalancati. Allora le vennero in mente i

gioielli che erano rimasti abbandonati sul pavimento del salotto. Senza dubbio

la sciagurata era fuggita portandoseli appresso. «Buon Dio!» pensava.

«Nessuna è mai stata sventurata come me!» Era così vicina alla meta, e di

colpo tutto le sfuggiva! Ma era davvero troppo tardi? No, le restava ancora una

possibilità.

Si vestì e uscì di casa, sola e indisturbata. Erano le quattro del

pomeriggio. Si avviò a passo spedito a piedi, perché non aveva il denaro per

pagarsi una carrozza, e raggiunse la dimora di Sir Pitt Crawley, in Great Gaunt

Street. Chiese di Lady Jane Crawley e le fu risposto che era in chiesa. Ma a

Becky, di questo, importava poco. Sir Pitt, piuttosto. Era nel suo studio, ma

aveva dato ordine che non lo disturbassero per nessun motivo. Lei insistette,

dicendo che aveva impellente bisogno di vederlo. Con agile mossa passò

davanti al domestico in livrea e varcò la soglia dello studio prima ancora che il

baronetto, oltremodo stupito, avesse il tempo di posare il giornale sullo

scrittoio.

Lui si fece di bragia, e arretrò con un gesto di timore e ribrezzo.

«Non guardatemi così,» disse lei. «Non sono colpevole, Pitt, caro Pitt.

Una volta voi mi eravate amico. Non sono colpevole, lo giuro dinnanzi a Dio.

So che posso sembrare colpevole, ma non lo sono. Tutto congiura contro di

me, e proprio nel momento in cui ogni mia speranza sembrava destinata a

tradursi in realtà! Proprio quando la felicità stava per arriderci!»

«È dunque vero ciò che sta scritto sul giornale?» chiese Sir Pitt che aveva

letto un annuncio con supremo stupore.

«È vero. Lord Steyne me lo aveva comunicato proprio venerdì sera, la

sera di quel ballo fatale. Sei mesi prima gli avevano promesso un incarico per

Rawdon, che avrebbe potuto diventare disponibile da un momento all'altro. Mr.

Martyr, il sottosegretario alle colonie, gliene aveva appena dato annuncia. Poi

c'è stato quel malaugurato arresto e quella scena spaventosa. La sola cosa di

cui mi reputo colpevole è di essermi occupata troppo degli interessi di Rawdon.

Innumerevoli volte mi era accaduto di ricevere da solo a sola Lord Steyne,

prima di quella sera. Ammetto di aver accettato del denaro all'insaputa di

Rawdon, ma forse voi ignorate come mio marito non sappia fare buon uso dei

soldi, e come io non possa fidarmi a lasciarglieli in custodia.» E Becky continuò

in questo tono, sciorinando nelle orecchie del cognato una dovizia di fatti e di

circostanze che suonavano affatto logici.

Becky riconobbe con assoluta sincerità, ma altresì con profonda

contrizione, di essersi accorta che Lord Steyne nutriva per lei una spiccata

simpatia (confessione che fece arrossire Sir Pitt). D'altra parte, fidando nella

propria virtù, aveva pensato di sfruttare l'amicizia di cui il baronetto le dava

prova a vantaggio della propria famiglia. «Speravo perfino di ottenere un titolo

di Pari per voi, Pitt,» e di nuovo Pitt avvampò. «Se ne era parlato. Grazie alle

vostre doti e all'interessamento di Lord Steyne, l'ipotesi era tutt'altro che

improbabile, ma purtroppo questa sventura è venuta a cancellare ogni

speranza. Affermo nondimeno che il mio scopo primario era quello di salvare il

mio amato consorte, che amo tuttora nonostante i sospetti che nutre sul mio

conto e il trattamento indegno che mi ha riservato. Volevo sottrarlo alla

povertà e alla rovina che incombevano su di noi. Mi ero accorta della simpatia

che Lord Steyne aveva per me,» continuò, chinando pudicamente gli occhi, «e

non nego di aver fatto tutto il possibile per piacergli, per ottenere (entro i limiti

consentiti a una donna per bene) la sua, la sua... considerazione. Solo venerdì

mattina era giunta la notizia della morte del governatore di Coventry Island e

Lord Steyne aveva ottenuto quel posto per il mio diletto marito. Volevamo che

per lui fosse una sorpresa, che apprendesse la notizia dal giornale. Dopo

quell'episodio atroce dell'arresto, e con Lord Steyne disposto a pagare di tasca

propria affinché Rawdon venisse liberato, mi sono trovata nell'impossibilità di

recarmi di persona in aiuto di mio marito. Milord rideva con me e mi diceva che

Rawdon, leggendo la notizia della sua nomina, ne avrebbe tratto conforto

anche in quella... in quella sordida casa dell'ufficiale giudiziario. Dopo... dopo è

tornato a casa. Era già in sospetto. E così c'è stata quella scenata spaventosa

fra Lord Steyne e il mio Rawdon, il mio crudele Rawdon. Mio Dio... e ora che

accadrà? Ve ne supplico, caro Pitt, abbiate pietà di me e cercate di fare in

modo ch'io mi possa riconciliare con voi.» Poi, non appena ebbe profferite

queste parole, si lasciò cadere ai suoi piedi prorompendo in lacrime, e afferrata

la mano del cognato la baciò appassionatamente.

Fu in questo atteggiamento che Lady lane, rientrata in quel momento

dalla chiesa e subito accorsa nello studio del marito avendo saputo della

presenza di Mrs. Rawdon Crawley, sorprese il marito e la cognata.

«Mi sorprende che questa donna abbia l'ardire di varcare la soglia. di

questa casa,» disse Lady Jane, pallidissima e scossa da un tremito convulso.

Subito dopo colazione aveva mandato la cameriera in casa Crawley, dove

Raggles e i servitori avevano raccontato l'accaduto, quello che sapevano e

quello che non sapevano, decorandolo di aggiunte e varianti. «Come si

permette, Mrs. Crawley, di entrare nella casa di una famiglia dabbene?»

Sir Pitt sussultò, stupefatto che la moglie ostentasse una siffatta energia.

Becky non mutò posizione: rimase inginocchiata stringendo la mano di Sir Pitt.

«Ditele che non sa come stanno esattamente le cose. Ditele che sono

innocente, caro Pitt!» gemette Becky.

«Sulla mia parola, amore mio, credo che tu prenda un abbaglio nei

confronti di Mrs. Crawley.» E queste parole valsero a confortare subito

Rebecca. «Io credo proprio che lei...»

«Che lei cosa?» proruppe Lady Jane con voce ferma e sonora, il cuore

che le batteva furibondo in petto. «Che lei è una madre indegna e una moglie

ipocrita e bugiarda! Non ha mai provato affetto per quel tesoro del suo

bambino, che veniva a raccontarmi quanto fosse crudele verso di lui! Non è

mai entrata in una casa senza portarvi infelicità e guastare ogni più sincero

affetto con la sua perversità e le sue menzogne. Ha ingannato suo marito come

ha ingannato ogni altro. Sull'anima le grava ogni sorta di peccati. Io tremo alla

sola idea di toccarla, e non permetterò che i miei bambini posino gli occhi su di

lei... Io...»

«Lady Jane!» urlò Sir Pitt balzando in piedi, «questo linguaggio è

semplicemente...»

«Io sono stata per voi, Sir Pitt, una moglie sincera e devota,» continuò

Lady Jane imperturbabile. «Nell'atto di sposarci ho fatto delle promesse a Dio,

e tali promesse ho mantenuto. Sono stata sottomessa e obbediente, come a

una moglie si conviene. Ma anche il dovere dell'ubbidienza ha dei limiti, e io

affermo che non tollererò di vedere un'altra volta questa...questa donna nella

mia casa. Se vi dovesse entrare ancora, io e i miei bambini ce ne andremo

seduta stante. Costei non è degna di sedere a fianco di persone timorate di

Dio. Voi.., voi dovete scegliere, signor mio: o lei o me.»

Ciò detto, Lady Jane uscì dalla stanza, estremamente turbata dalla sua

stessa audacia, lasciando Becky e Pitt letteralmente allibiti.

Becky del resto non era offesa: anzi, si compiaceva di una siffatta

reazione. «per la spilla di diamanti che mi avete regalato,» disse, e strinse la

mano a Pitt. Prima che se ne andasse (cosa che, inutile dirlo, Lady Jane

attendeva con ansia dalla finestra della sua camera, al piano di sopra) era

riuscita a far promettere al baronetto che sarebbe andato in cerca del fratello

per convincerlo a tentare una riconciliazione.

Rawdon trovò un gruppo di giovani ufficiali del reggimento radunati a

mensa per la colazione, e cedette quasi subito all'invito di spartire il pasto con

loro, le cosce di pollo alla diavola e la soda con la quale questi gentiluomini si

stavano rifocillando. Poi s'immersero in una conversazione che rifletteva le

circostanze e l'acerba età dei commensali: discussero del tiro al piccione che si

sarebbe svolto a Battersea, e delle relative scommesse su Ross e Osbaldiston;

di Mademoiselle Ariane dell'Opera Francese e di chi l'aveva piantata, e del fatto

che lei, per parte sua, si era già consolata a fianco di Panther Carr; e del match

di pugilato tra il Macellaio e il Beniamino, e delle irregolarità che quasi

certamente si erano verificate. Il giovane Tandyman, un eroe di diciassette

anni che faceva sforzi sovrumani per farsi crescere un paio di mustacchi, aveva

presenziato all'incontro e ne descriveva in ogni particolare le fasi successive,

esternando le sue considerazioni sui grado di forma dei due contendenti. Era

stato lui ad accompagnare in carrozza il Macellaio sul luogo stabilito per

l'incontro, e per giunta aveva trascorso con lui l'intera serata della vigilia. Se

non ci fossero stati dei trucchi, il vincitore sarebbe stato lui, non c'era dubbio.

Ma c'erano di mezzo tutti i volponi del quadrato. Lui la scommessa non

l'avrebbe pagata, per Dio, no e poi no. Eppure il giovane alfiere che ora faceva

sfoggio della sua erudizione pugilistica succhiava ancora le chicche e si buscava

le bacchettate a Eton.

Continuarono a cianciare di ballerine, di sbronze, di sgualdrinelle, di

match di pugilato, fino a quando fece la sua comparsa MacMurdo e si uni alla

conversazione dei giovani. A quanto sembrava, non riteneva che la loro verde

età meritasse riguardi di sorta, dal momento che prese tosto a raccontare

barzellette molto spinte, non meno sporche di quelle che avrebbe potuto

sciorinare il più sfrontato di quei giovani signori, incurante vuoi dei suoi capelli

grigi, vuoi delle loro gote imberbi. Il vecchio Mac andava celebre per le sue

barzellette. Non era, questo no, un conversatore raffinato, e per tale motivo

era più facile che gli amici lo invitassero in casa delle loro amanti che in quella

delle loro madri. La sua esistenza era oltremodo monotona, ma lui se ne

sentiva pienamente appagato e la viveva con semplicità, naturalezza e

modestia di comportamento. Prima che MacMurdo avesse avuto il tempo di

consumare la sua copiosa colazione, gli altri avevano terminato la propria. Il

capitano Hugues accese un sigaro e il giovane Lord Varinas una pipa di

schiuma. Il veemente Tandyman, col suo piccolo bull-terrier tra le gambe,

prese a giocare a testa e croce col capitano Deuceace (Tandyman aveva

sempre voglia di giocare, e non aveva importanza quale fosse il gioco), mentre

MacMurdo e Rawdon si dirigevano al club, senza naturalmente aver lasciato

trapelare alcunché del problema che li angustiava. Anzi, si erano uniti alla

conversazione partecipandovi con una certa allegria. E perché mai, d'altronde,

avrebbero dovuto interromperla? Sbronze, baldorie, chiassate, risate

rientravano, al pari di tante altre manifestazioni, nel repertorio della Fiera della

Vanità.

La gente stava uscendo dalla chiesa nel momento stesso in cui Rawdon e

il suo amico varcavano la porta del circolo, in St. James's Street. I vecchi

bellimbusti e gli habitués che solitamente indugiavano a chiacchierare e a

spettegolare davanti al grande finestrone del pianterreno del circolo, non si

mostravano ancora al consueto posto di osservazione, cosicché la sala di

lettura era semivuota. C'era un tale che Rawdon non aveva mai visto prima

d'ora, un altro al quale doveva una modesta somma che aveva perso giocando

a carte e che quindi desiderava schivare, e un terzo assorto nella lettura del

«Royalist» (un giornale della domenica specializzato in notizie scandalistiche,

devotissimo alla Corte e al clero). Quest'ultimo alzò gli occhi su Crawley

squadrandolo con un certo interesse. «Congratulazioni, Crawley,» disse.

«Come sarebbe a dire?» chiese il colonnello.

«La notizia è riportata dall'Observer e anche dal «Royalist,» rispose Mr.

Smith.

«Come, come?» proruppe Rawdon, avvampando, convinto che la diatriba

con Lord Steyne fosse già di pubblico dominio, al punto da trovar spazio sui

giornali. Smith tornò ad alzare lo sguardo, stupito di constatare che il

colonnello fosse così turbato. Rawdon afferrò il giornale e prese a scorrerlo,

tremando in tutta la persona.

Mr. Smith e Mr. Brown (il personaggio al quale Rawdon doveva quella

piccola somma perduta al gioco) stavano parlando del colonnello proprio un

istante prima ch'egli facesse il suo ingresso.

«È capitato proprio al momento giusto,» disse Smith. «Sono convinto che

Crawley non abbia nemmeno uno scellino.»

«È una manna per tutti,» osservò Mr. Brown, «non se ne andrà di qui

prima di avermi pagato quel che mi deve.»

«Qual è lo stipendio?» chiese Smith.

«Sulle duemila, tremila sterline l'anno,» rispose l'altro. «Ma c'è un clima

terribile, e quindi nessuno può goderselo a lungo. Liverseege in un anno e

mezzo era bell'e spacciato, quello che c'era prima di lui è morto in sei

settimane, se non sbaglio.»

«Dicono che suo fratello sia un uomo di valore,» disse Mr. Smith. «Io l'ho

sempre giudicato di una noia mortale, ma indubbiamente deve contare delle

amicizie influenti. Probabilmente è stato lui a trovargli l'incarico.»

«Lui?» disse Brown, con un risolino ironico. «Volete scherzare? È stato

Lord Steyne.

«Lord Steyne? E come mai?»

«Una donna virtuosa è il maggior decoro, per il proprio marito,» rispose

l'altro in tono enigmatico. Poi tornò a immergersi nella lettura del giornale.

Frattanto Rawdon leggeva sul «Royalist» il seguente, stupefacente

trafiletto:

GOVERNATORATO DI COVENTRY ISLAND - La nave da guerra Yellowjack

(comandante Jaunders) ha recato lettere e documenti da Coventry Island. Sua

Eccellenza Sir Thomas Liverseege è rimasto vittima dell'epidemia che

imperversa a Swapton. La sua scomparsa ha suscitato un'ondata di viva

costernazione nella florida colonia. Apprendiamo che il posto di governatore è

stato offerto al colonnello Rawdon Crawley, C.B., un ufficiale di valore già

combattente a Waterloo. Abbisognamo non soltanto di uomini valorosi, ma

altresì di efficienti amministratori che guidino sagacemente le sorti delle nostre

colonie, e non dubitiamo che la persona prescelta dal ministero delle Colonie

per occupare il posto rimasto vacante in seguito all'incresciosa perdita subita

da Coventry Island sia la più idonea all'incarico che si appresta a rivestire.

Coventry Island? E dove diamine era? E chi, soprattutto, gli aveva

assegnato quell'incarico? «Dovresti portarmi con te in veste di segretario,»

disse ridendo MacMurdo. E mentre Crawley e il suo amico sedevano interdetti

davanti a quella notizia, meditando sulla sua origine, il cameriere del circolo

portò a Rawdon il biglietto da visita di Mr. Wenham, col quale quest'ultimo

chiedeva di avere un colloquio col colonnello Crawley.

Il colonnello e il suo aiutante di campo uscirono dal locale per avviarsi

incontro a costui, nella legittima presunzione che venisse per incarico di Lord

Steyne.

«Come va, Crawley?» esordi Mr. Wenham con un mezzo sorriso. «Sono

lieto di vedervi.» Poi strinse la mano a Rawdon con viva cordialità.

«Immagino che veniate da parte di...»

«Appunto,» disse Mr. Wenham.

«Vi presento il mio amico capitano MacMurdo delle Life Guards!»

«Sono molto lieto di conoscervi, capitano MacMurdo,» rispose Wenham,

elargendo al secondo lo stesso tipo di sorriso e la medesima stretta di mano.

Mac porse al suo interlocutore un dito rivestito della rigida pelle di un guanto e

gli fece un inchino compassato dall'alto del suo rigido cravattone,

probabilmente risentito di vedersi costretto a trattare con un pekin, laddove la

correttezza avrebbe dovuto suggerire a Lord Steyne di inviargli per lo meno un

colonnello.

«Dal momento che MacMurdo agisce a nome mio e conosce i miei

propositi, preferisco assentarmi e lasciare che parliate tra voi,» disse Rawdon.

«Ma certo,» disse MacMurdo.

«Per carità, caro colonnello,» obiettò Mr. Wenham. «Ho chiesto l'onore di

conferire con voi, ma la compagnia del capitano mi è, ve lo assicuro, più che

accetta. Invero, caro capitano, io mi auguro che dal nostro colloquio possano

sortire esiti soddisfacenti, affatto diversi da quelli che l'amico colonnello

Crawley sembra auspicare.»

«Uhm,» fece il capitano MacMurdo. «Questi dannati borghesi,» pensava,

«sono sempre convinti di poter sistemare tutto a forza di chiacchiere.» Mr.

Wenham prese una sedia che nessuno aveva pensato di offrirgli, sedette,

trasse un giornale di tasca e riprese a dire:

«Suppongo che abbiate già visto questo annuncio altamente gratificante,

nevvero colonnello? Il governo intende così assicurarsi la prestazione di un

funzionario affatto meritevole, mentre voi, accettando (e immagino che

accetterete), vi gioverete di un incarico d'alto prestigio. Lo stipendio è di

tremila sterline annue, il clima è eccellente, la residenza impagabile. Avrete

libera iniziativa in merito agli affari interni della colonia e potrete contare su

una rapida promozione. Presumo che già sappiate, signori, a chi il mio amico

sia debitore di questa singolare attestazione di benevolenza.»

«Che il diavolo mi porti se lo so,» esclamò MacMurdo mentre Rawdon si

faceva di bragia.

«Ad uno degli uomini più generosi e longanimi che esistano sulla faccia

della terra, e al tempo stesso uno... Si tratta del marchese di Steyne.»

«Voglio vederlo dannato prima di accettare un posto simile,» esplose

Rawdon.

«Voi siete irritato nei riguardi del mio nobile amico,» disse Wenham

senza .perdere la sua flemma. «Ma, in nome della giustizia e del senso

comune, volete rivelarmene la ragione?»

«La ragione?» proruppe Rawdon al colmo dello stupore.

«La ragione? Maledizione!» gli fece eco MacMurdo, battendo il suo

bastone per terra.

«Maledizione, d'accordo,» proseguì Mr. Wenham col più incoraggiante

sorriso. «Ma esaminiamo i fatti come li deve considerare un uomo di mondo (e

un uomo onesto) e cerchiamo di stabilire se per caso non abbiate torto.

Ordunque: voi rientrate a casa vostra dopo un viaggio e trovate.., cosa

trovate? Trovate Lord Steyne intento a cenare nella vostra casa di Curzon

Street insieme con Mrs. Crawley. Forse che questa circostanza presentava

alcunché d'inedito, di strano? Non era accaduto innumerevoli volte, prima di

allora, che s'incontrassero a tu per tu? Sul mio onore, e sulla mia parola di

gentiluomo», e nel dir questo si pose una mano sul panciotto, col gesto

solenne di un parlamentare, «io affermo che i vostri ignobili sospetti sono privi

di qualsivoglia fondamento. Essi disonorano un vecchio intemerato che in mille

occasioni vi ha dato prova della sua benevolenza, nonché una signora

innocente, monda da ogni colpa.»

«Come sarebbe a dire?» intervenne MacMurdo. «Vorreste insinuare che

Crawley è in errore?»

«Sono convinto che Mrs. Crawley non è meno innocente di mia moglie,»

proseguì Wenham in tono molto energico. «Stamane Lord Steyne mi ha

convocato, e l'ho trovato in uno stato deplorevole: lo stato in cui può versare

un uomo della sua età, malfermo in salute, dopo aver sostenuto uno scontro

fisico con un uomo che abbia la vostra forza. Sono convinto che, in stato di

collera esasperata, il nostro amico qui sia pronto a colpire non soltanto un

vecchio gentiluomo, nobile e generoso, che sempre gli ha dato prova di

amicizia e di benevola disposizione, ma altresì la propria moglie, la reputazione

propria e di suo figlio, addirittura il suo avvenire. Voi non avete saputo dosare

la vostra forza, colonnello Crawley, non esito a dirvelo chiaro e tondo. Non è

solo il corpo del mio illustre amico che sanguina, ma altresì il suo cuore

generoso. Egli è stato insultato da un uomo che ha colmato di benefici e al

quale ha elargito incessanti attestazioni di affetto. Del resto, come interpretare

la nomina di cui parla il giornale, se non come una prova ulteriore della sua

benigna disposizione nei vostri riguardi? Stamattina ho visto Sua Signoria in

condizioni né più né meno pietose, e ansiosa quanto voi di lavare l'onta subita.

Immagino, colonnello Crawley, che sappiate come egli abbia dato altre prove di

coraggio.»

«Oh sì, il fegato non gli manca,» rispose il colonnello, «nessuno ha mai

osato affermare che non ne abbia.»

«Sua Signoria mi ha affidato l'incarico di scrivere un cartello di sfida e di

recano al colonnello Crawley. "Uno di noi," mi ha detto, "non deve

sopravvivere all'affronto dell'altra sera."»

Crawley ebbe un cenno di assenso. «State venendo al punto, Wenham.

«Ho fatto tutto il possibile per placare la collera di Lord Steyne. "Mio

Dio", gli ho detto, "non riesco a perdonarmi di non aver accettato l'invito a

cena che Mrs. Crawley aveva rivolto anche a mia moglie e a me!"»

«Lei vi aveva invitati a cena?» chiese il capitano MacMurdo.

«Dopo l'opera. Ecco il suo biglietto d'invito.., cioè, no... questo è un altro

biglietto. Credevo di averlo con me, ma pazienza, del resto avete la mia

parola. Purtroppo, dicevo, non ci è stato possibile andare, a causa

dell'emicrania di mia moglie (ne va soggetta, soprattutto in primavera). Ma se

avessimo accettato, al vostro rientro a casa quel litigio non sarebbe scoppiato,

nulla avrebbe dato adito a sospetti né al motivo di scambiarvi improperi.

Quindi il mal di capo di mia moglie è l'unica ragione che vi spinge a mandare

alla morte due gentiluomini e screditare moralmente due tra le più antiche e

rispettabili famiglie del regno.»

MacMurdo posò lo sguardo su Rawdon, con l'aria di una persona

totalmente disorientata, mentre per parte sua il colonnello sentiva, con una

sorta di rabbia sorda e inespressa, che la sua preda stava per sfuggirgli. Non

credeva una parola di tutta quella storia; e d'altra parte quali mezzi aveva per

dimostrare che sì trattava di una fandonia?

Wenham continuò a parlare facendo appello alla foga oratoria di cui

aveva dato frequenti prove in Parlamento. «Per oltre un'ora sono rimasto al

capezzale di Lord Steyne, scongiurandolo di recedere dal proposito di esigere

una riparazione. Né ho trascurato di fargli rilevare che dopo tutto le circostanze

erano alquanto ambigue, e che lo fossero è incontestabile. Non posso negare

che chiunque, al posto vostro, sarebbe stato tratto in inganno. Gli ho detto che

un uomo accecato dalla collera e dalla gelosia è un pazzo, e dovrebbe essere

considerato tale; che un duello tra voi si sarebbe risolto nella catastrofe per

entrambi e che un uomo del suo rango non ha il diritto di provocare un

pubblico scandalo, specie in un periodo come quello in cui stiamo vivendo, nel

quale circolano atroci principi rivoluzionari e si predicano al popolino perniciose

idee di eguaglianza sociale. Né ho mancato di fargli osservare che, in ogni

caso, agli occhi del volgo egli sarebbe rimasto il colpevole. Da ultimo l'ho

implorato di non mandare la sfida.»

«Non credo una sola parola di tutta questa storia,» rispose Rawdon

digrignando i denti. «Sono certo che si tratta di una sporca menzogna

architettata da voi, Mr. Wenham. E se lui non intende sfidarmi, lo sfiderò io,

maledizione!

A questa furibonda interruzione del colonnello, Mr. Wenham si fece

pallido come un morto e volse il capo verso l'uscio.

Ma trovò un valido difensore nel capitano MacMurdo. Il gentiluomo in

questione si alzò di scatto con un'imprecazione e redarguì Rawdon per il

linguaggio che poc'anzi aveva tenuto. «Ti sei affidato a me,» prese a dire, «e

pertanto dovrai comportarti come intendo io, non come intendi tu, dannazione!

Non hai il diritto di insultare Mr. Wenham usando un simile linguaggio. Mr.

Wenham, lei ha diritto ad avere delle scuse. Perdio se ne ha diritto! In quanto

alla tua sfida a Lord Steyne trova qualcun altro che la porti per conto tuo,

perché io non sono disposto a prestarmi. Se Milord, dopo esser stato

schiaffeggiato, ha deciso di incassare e non reagire, benissimo: contento lui...

Per quanto poi riguarda la... sì, la storia con Mrs. Crawley, non c'è nulla di

provato ed io sostengo che tua moglie è innocente: proprio come asserisce Mr.

Wenham. Resta il fatto che, in ogni caso, saresti un maledetto imbecille se non

te ne stessi tranquillo e non ti decidessi a tenere la bocca chiusa.»

«Capitano MacMurdo, voi parlate da uomo sensato,» proruppe Mr.

Wenham profondamente sollevato. «Personalmente non ho difficoltà a

scordarmi delle parole profferite da un uomo in un momento di collera.»

«Ero sicuro che le avreste scordate,» rispose Rawdon con un sogghigno

sarcastico.

«Sta' zitto, idiota!» lo rimbrottò MacMurdo non senza un fondo di

bonomia. «Mr. Wenham non è un militare, e soprattutto ha ragione.»

«Secondo me,» riprese a dire l'inviato di Lord Steyne, «questa faccenda

deve sprofondare nell'oblio più totale. Nessuna parola in merito dovrà mai

sortire da questa porta. Io mi pronuncio nell'interesse di entrambi: sia del mio

amico Lord Steyne, sia del colonnello Crawley che invece insiste a considerarmi

un nemico.»

«Non credo che Lord Steyne abbia interesse a parlarne molto,» obiettò il

capitano MacMurdo, «onde non c'è motivo che noi si abbia a parlarne.

Indubbiamente si tratta di un episodio increscioso, e meno se ne parla tanto

meglio sarà. Gli offesi siete voi, non noi, e se voi siete paghi non c'è motivo

che non lo siamo noialtri.»

Mr. Wenham prese il cappello. Il capitano MacMurdo lo seguì sino alla

porta, la richiuse alle sue spalle e a quelle dell'emissario di Lord Steyne e lasciò

Rawdon a meditare furibondo, solo nella stanza.

Quando i due furono fuori del locale, il capitano MacMurdo guardò il suo

interlocutore con un'espressione tutt'altro che gioviale sul volto pacioso e

rotondo.

«Siete molto abile a voltare le carte in tavola,» disse MacMurdo a Mr.

Wenham.

«Vi ringrazio del complimento, capitano», rispose l'altro con un sorriso,

«ma vi ripeto sul mio onore che Mrs. Crawley ci aveva invitati a cena dopo

l'Opera.»

«Certo, certo, ma naturalmente Mrs. Wenham aveva pronta una delle

sue solite emicranie. Ora ascoltatemi: io ho qui una banconota da mille

sterline, che vi consegnerò affinché la restituiate a Lord Steyne. Vogliate

cortesemente rilasciarmi regolare ricevuta. Ora la metterò in una busta. Il

colonnello rinuncerà a battersi in duello, ma non per questo siamo disposti a

trattenere il denaro di Lord Steyne.»

«Si è trattato di un madornale errore, di nient'altro che di un grave

malinteso,» disse Wenham con l'aria più innocente di questo mondo. Il

capitano MacMurdo lo accompagno sino alla scala, ove lo salutò piegandosi in

un secco inchino. In quello stesso istante stava salendo Sir Pitt Crawley. Sir

Pitt e MacMurdo si conoscevano, e mentre si avviavano insieme verso il

salottino ove il colonnello era rimasto solo il capitano raccontò a Sir Pitt in

assoluta confidenza di aver sistemato la vertenza fra suo fratello e Lord

Steyne.

Inutile dire come Sir Pitt si compiacesse di quella lieta novella, onde

espresse a Rawdon le più vive felicitazioni per la pacifica soluzione della

diatriba. Ma naturalmente non si risparmiò le debite considerazioni morali sulle

nefaste conseguenze di un duello e sull'assurda presunzione di risolvere con un

mezzo simile le proprie controversie personali.

Sciorinato questo preambolo, fece appello a tutta la sua facondia per

indurre Rawdon a riconciliarsi con la moglie. Riferì del suo colloquio con Becky

dichiarando che, a suo giudizio, ella diceva il vero, e dichiarandosi convinto

della sua innocenza.

Ma Rawdon non volle sentir ragione. «Sono dieci anni che mi nasconde di

possedere del denaro,» disse. «Solo l'altra sera ha giurato e spergiurato di non

aver mai accettato un soldo da Lord Steyne. Quando poi sono riuscito a

scovare i quattrini, ho sentito subito che tra me e lei era tutto finito. Può darsi

che non sia colpevole nel senso che intendi tu, Pitt, ma è come se lo fosse. Non

voglio più saperne. Mai più.»

Profferì queste parole, poi lasciò ricadere la testa sul petto, in un

atteggiamento d'infinito sconforto.

«Povero ragazzo!» esclamò MacMurdo, scuotendo il capo.

Per qualche tempo Rawdon Crawley oppose resistenza all'idea di

accettare il posto che gli era stato procurato grazie all'intervento di un patrono

così odioso, ed era altresì tentato di togliere il figlio dalla scuola ove il ragazzo

era stato ammesso per interessamento di Lord Steyne. Nondimeno si lasciò

persuadere a giovarsi di questi vantaggi dalla preghiera di suo fratello e di

MacMurdo, ma soprattutto perché quest'ultimo gli fece notare come Sua

Signoria sarebbe andato in bestia all'idea che il suo nemico stava facendo

fortuna per mezzo suo.

Non appena il marchese di Steyne fu in grado di uscir di casa, dopo

l'incidente, il ministro delle Colonie gli espresse il compiacimento suo e del

ministero per aver designato una persona così valente. È facile immaginare con

quanta gratitudine Lord Steyne ricevesse quelle felicitazioni.

La rencontre tra lui e il colonnello Crawley sprofondò nell'oblio più totale,

come aveva detto Mr. Wenham: ovvero, gli interessati e i loro secondi non ne

fecero parola a chicchessia. Ciò non toglie che, prima di sera, alla Fiera della

Vanità se ne parlasse ormai in almeno cinquanta case diverse. Quella sera il

piccolo Crackleby si recò a sette diversi ricevimenti, e dovunque andò non fece

che raccontare l'episodio, apportandovi ogni volta qualche variante. Ah, come

si divertì Mrs. Washington White! Tutto l'opposto della moglie del vescovo di

Ealing, che invece ne fu scandalizzata. Quella sera stessa suo marito andò ad

apporre la propria firma sul libro delle visite di Gaunt House. Assai rattristato

ne fu il piccolo Southdown, e senz'ombra di dubbio lo fu anche Lady Jane, sua

sorella Lady Southdown ne scrisse a sua figlia, al Capo. Per almeno tre giorni

in città non si parlò d'altro, e se i giornali non riportarono la notizia fu solo

grazie all'intervento di Mr. Wagg, che agiva su istruzioni di Mr. Wenham.

Gli ufficiali giudiziari riuscirono ad acciuffare lo sventurato Raggles in

Curzon Street. Ma dove si trovava, in quel momento, colei ch'era stata la

leggiadra inquilina di quella casa? E chi se ne interessava? Chi, trascorso

qualche giorno, chiese di lei? Era colpevole o innocente? Sappiamo tutti quanto

sia benevolo il mondo, e quale sia il verdetto della Fiera della Vanità davanti a

un caso controverso. Qualcuno raccontò che aveva raggiunto Lord Steyne in

quel di Napoli, mentre altri asserivano che Lord Steyne non era più in quella

città, essendo partito per Palermo non appena aveva appreso dell'arrivo di

Rebecca. Né mancò chi disse che si era trasferita a Bierstadt, che era diventata

dama d'onore della regina di Bulgaria, che risiedeva a Boulogne, che campava

in una pensioncina di Cheltenham.

Rawdon le assegnò una discreta rendita, e possiamo esser certi che

Becky riusciva a far durare il più possibile anche una modesta somma di

denaro. Prima di lasciare il paese, il colonnello sarebbe stato ben lieto di

saldare tutti i debiti, qualora fosse riuscito a farsi prestare la cifra necessaria

da qualche compagnia d'assicurazione, ma il clima di Coventry Island era così

deleterio che nessuno accettò di accordargli anticipi sul suo stipendio a venire.

Ciò non toglie che scrivesse regolarmente al figlio e inoltrasse il denaro al

fratello. Spediva sigari a MacMurdo e a Lady Jane inviava conchiglie, pepe di

caienna, sottaceti, gelatina di guava e altri generi coloniali. Al fratello spedì del

pari un numero della «Swamp Town Gazette» nel quale il nuovo governatore

veniva esaltato senza riserve, a differenza della «Swamp Town Sentinel»,la

quale (in forza del fatto che la moglie del proprietario non veniva invitata alle

feste al palazzo del Governatore) asseriva che Sua Eccellenza era un tiranno,

al cui confronto Nerone era un illuminato filantropo. Il piccolo Rawdon riceveva

con piacere i giornali e amava leggere quel che vi si diceva di Sua Eccellenza.

La madre non fece mai alcun passo per rivedere suo figlio. Al sabato e in

occasione di altre festività Rawdy si recava in casa di sua zia. Ben presto

conobbe a memoria l'ubicazione di tutti i nidi esistenti nel parco di Queen's

Crawley. Non solo: prese ad andare a cavallo e a seguire le mute di cani di Sir

Huddlestone che aveva tanto ammirato in occasione della sua prima visita

nello Hampshire.

LVI • GEORGY DIVENTA UN GENTILUOMO

Georgy Osborne era ormai perfettamente inserito nella casa di suo nonno

in Russell Square. Qui vi occupava la stanza ch'era stata di suo padre, ed era il

presunto erede di tutti gli splendori che vi si trovavano. La sua avvenenza,

l'espressione energica e aperta, il tratto aristocratico gli avevano conquistato

l'affetto del nonno, fiero di lui come lo era stato a sub tempo di George senior,

il padre del ragazzo.

Georgy peraltro godeva di agi e di indulgenza superiori a quelle che,

molti anni addietro, erano state concesse al genitore. Negli ultimi anni gli affari

di Osborne erano andati a gonfie vele, e nella City la sua ricchezza e il suo

prestigio erano enormemente aumentati. In passato era stato ben lieto di poter

iscrivere il figlio in una buona scuola, così come il grado raggiunto da George

senior nell'esercito era stato, per lui, un piccolo motivo di orgoglio. Ma per il

piccolo George il vecchio aveva aspirazioni più elevate. «Voglio farne un

gentiluomo,» diceva sempre, parlando di lui. E già lo vedeva all'università, in

Parlamento, fors'anche - chissà - baronetto. Il vecchio signore pensava che se

solo avesse visto il nipote avviato su quella strada, sarebbe morto contento.

Alla sua istruzione dovevano presiedere solo professori valenti, docenti di

formazione universitaria; non voleva saperne di mestieranti e cialtroni. Solo

pochi anni addietro era solito lanciare fulmini contro i preti, gli eruditi e

personaggi consimili, sbraitando ch'erano tutti una congrega di imbecilli e di

perditempo, incapaci di sbarcare il lunario se non cianciando dilatino e di

greco, una muta di segugi arroganti che si permettevano di guardar con

spregio un bravo commerciante inglese che avrebbe potuto comprarsene una

cinquantina. Ora, invece, si doleva in tono grave e cerimonioso di aver ricevuto

un'educazione approssimativa, e intratteneva di continuo Georgy sulla

necessità e sul valore di un'istruzione classica.

Quando si vedevano all'ora di pranzo, l'austero signore era solito

chiedere al ragazzo che cosa avesse letto durante la giornata e con grande

interesse porgeva l'orecchio al resoconto che gli faceva dei suoi studi: il tutto

dandosi il tono di comprendere alla perfezione ciò che il piccolo Georgy gli

riferiva in merito, ma in realtà prendendo continue cantonate che rivelavano la

sua crassa ignoranza. Ciò naturalmente non accresceva il rispetto del nipote

verso il nonno. Il suo cervello pronto e il frutto dell'istruzione di cui era fatto

oggetto non tardarono a convincere il ragazzo che suo nonno non era altro che

uno sciocco. Assunse di conseguenza, nei suoi confronti, un tono di sufficienza

e di comando, giacché l'educazione ricevuta in precedenza, per quanto

modesta e incompleta, era già valsa a far di lui un gentiluomo più di quanto

potessero, in proposito, gli ambiziosi progetti di suo nonno. Lo aveva allevato

una donna umile, dolce, tenera, per la quale il figliolo era l'unico motivo di

orgoglio; ed era una donna così pura di cuore, dal contegno così semplice e

pacato da non poter che essere una vera signora. Era una donna che adempiva

serenamente ai suoi doveri e accudiva con tranquillo zelo ai propri uffici; che

non aveva una conversazione vivace, questo è vero, ma non diceva mai nulla

di sgradevole. Ingenua e schietta, amabile e pura, che altro sarebbe potuta

essere la nostra povera, piccola Amelia se non una perfetta, autentica

gentildonna?

Il piccolo Georgy era riuscito ad aver ragione di quell'indole soave e

mansueta, e il contrasto fra siffatta, garbata delicatezza e la rozza, stolida

presunzione del vecchio ottuso col quale ora abitava gli permise di esercitare il

suo dominio anche su quest'ultimo. Se fosse stato un principe del sangue, non

lo avrebbero certo educato a coltivare una più elevata concezione di sé.

Mentre a casa sua la madre, ad ogni ora del giorno e verosimilmente

anche durante molte ore delle sue notti meste e solitarie, si struggeva di

nostalgia pensando a lui, il nostro giovin signore fruiva di un discreto numero

di svaghi e di consolazioni che gli permettevano di tollerare con notevole

facilità la separazione da Amelia. I ragazzi che piangono perché vanno in

collegio, piangono perché vanno in un luogo spiacevole. È difficile che piangano

per pure ragioni d'affetto. Certo ricorderete come, da bimbi, i vostri occhi si

siano prontamente asciugati alla vista di una torta, e come una ciambella sia

valsa a consolarvi senza indugi del dolore provato al momento di separarvi

dalla mamma o dalle sorelle. Caro amico, caro fratello, non è il caso che

confidiate troppo nella soverchia qualità dei vostri sentimenti migliori!

Insomma, Georgy Osborne godeva di tutti i comfort, diciamo pure del

lusso che un nonno ricco e scialacquatore riteneva giusto elargirgli. Il cocchiere

ebbe le istruzioni del caso onde facesse acquisto del più bel cavallino che gli

riuscisse di trovare, e in sella all'animale in questione Georgy imparò a

cavalcare, frequentando all'uopo una scuola di equitazione. Quando ebbe

raggiunto la perizia sufficiente per cavalcare senza staffe e saltare la sbarra, lo

condussero lungo New Road fino a Regent's Park, e poi a Hyde Park, ove

cavalcava pomposamente sotto la giurisdizione del cocchiere Martin. Il vecchio

Osborne, che ora prendeva più alla leggera i suoi affari nella City, preferendo

affidarli almeno in parte ai suoi soci più giovani, non di rado si recava in

carrozza assieme alla figlia in quel luogo alla moda. Poi, quando Georgy

sopraggiungeva al trotto con la sua arietta supponente, i tacchi rivolti verso

terra, il vecchio dava di gomito a sua figlia e diceva: «Guarda, Miss Osborne,»

e rideva di cuore, il volto acceso, e dal finestrino faceva un cenno di saluto al

ragazzo, mentre il cocchiere a sua volta salutava rivolto alla carrozza, e il

lacchè ricambiava salutando dalla carrozza Master Georgy. A Hyde Park veniva

ogni giorno Mrs. Frederick Bullock, l'altra zia, a bordo di una carrozza

finemente istoriata, con gli sportelli fregiantisi di uno stemma con tre torelli,

sempre accompagnata dai tre piccoli Bullock tutti pavesati e infiocchettati, la

faccia pallida come fosse stata di cartapesta, che si sporgevano a guardare dal

finestrino già, Mrs. Frederick Bullock che lanciava occhiate cariche di odio su

quel piccolo guastafeste che passava a cavallo, altezzoso, la mano posata sul

fianco, il cappello di sbieco, fiero come un lord.

Sebbene non avesse ancora compiuto undici anni, Master Georgy

indossava i calzoni lunghi e un paio di stivaletti di qualità, come se fosse stato

ormai un adulto. Aveva speroni dorati, un bastoncino dal pomo d'oro,

un'elegante spilla appuntata sulla cravatta e il più bel paio di guanti di capretto

che si potessero acquistare da Lamb, in Conduit Street. Sua madre gli aveva

dato due cravatte e confezionato un paio di camicie, ma quando il suo Samuele

andò a trovarla erano state sostituite con biancheria molto più raffinata. I

piccoli doni di Amelia erano stati accantonati, e chissà che Miss Osborne non li

avesse regalati al figlio del cocchiere. Amelia si sforzò di pensare che la cosa le

facesse piacere, e in effetti non si può negare che traesse piacere dal vedere

suo figlio così elegante.

Per uno scellino si era fatta fare un profilo in nero del suo figliolo, e lo

aveva appeso sopra il letto, accanto a un altro ritratto. Un giorno il ragazzo

arrivò nella piccola strada di Brompton per compiervi la consueta visita.

Procedeva al galoppo, e come sempre suscitò la curiosità di tutti gli abitanti

della strada che si affacciarono alla finestra per guardarlo e ammirare la sua

perfetta tenuta. Il viso atteggiato a un'espressione di gioioso trionfo, trasse dal

soprabito di renna, bianco con collo e berretto di velluto, un astuccio di

marocchino rosso e lo porse a sua madre.

«L'ho comprato coi miei soldi, mamma,» le disse. «Ho pensato che ti

avrebbe fatto piacere.»

Amelia aprì l'astuccio e proruppe in un grido di gratitudine e di felicità.

Afferrò il suo bambino e lo abbracciò e baciò cento volte. Era una bella

miniatura che ritraeva Georgy, ma che però, a detta della madre, non lo

effigiava in tutta la sua bellezza. Il nonno aveva voluto che il nipote venisse

ritratto da un artista di cui gli era accaduto di ammirare le opere nella vetrina

di un negozio di Southampton Row. Georgy, che disponeva di una discreta