ANSIA PER LA SUA SALUTE
Il cortese lettore è pregato di ricordare che - mentre l'esercito avanza
verso le Fiandre, e dopo aver compiuto le sue gesta eroiche procede per
metter mano sulle fortificazioni di frontiera e invadere il suolo della Francia -
esistono nondimeno altre persone coinvolte nel nostro racconto le quali
continuano a condurre una pacifica esistenza in Inghilterra, ed ora debbono
ripresentarsi alla ribalta per recitare la parte che gli compete.
In quei giorni di battaglia e di pericoli la vecchia Miss Crawley continuava
a starsene in quel di Brighton, poco o nulla turbata da simili eventi.
Naturalmente le vicende in questione rendevano più interessante la lettura dei
giornali. Non solo: Miss Briggs leggeva anche la «Gazette» nella quale si faceva
menzione del coraggio dimostrato da Rawdon Crawley e si dava ufficialmente
notizia della promozione ottenuta.
«Peccato che quel ragazzo abbia commesso un errore veramente
irrimediabile,» commentava la zia. «Col suo grado e il suo nome avrebbe
potuto impalmare la figlia di un birraio con duecentocinquantamila sterline di
dote come Miss Grains, oppure avrebbe potuto imparentarsi con una famiglia
dell'alta aristocrazia inglese. Prima o poi avrebbe disposto del mio denaro, o lo
avrebbero avuto i suoi figli, anche se per la verità io non ho la minima fretta di
andarmene, Miss Briggs, mentre voi non vedete l'ora di liberarvi di me. E
invece, Rawdon è condannato a restare un pezzente, sposato a una ballerina!»
«Perché mai la mia cara Miss Crawley non volge uno sguardo
compassionevole verso il prode soldato, il cui nome è iscritto negli annali delle
glorie patrie?» chiese Miss Briggs elettrizzata dagli eventi di Waterloo e ben
lieta di potersi abbandonare a quei toni enfatici ogni qual volta se ne
presentava l'occasione. «Non trovate che il capitano (anzi, il colonnello, dal
momento che ora posso chiamarlo così) ha compiuto gesta che conferiscono
lustro al casato dei Crawley?»
«Siete la solita idiota, Briggs!» protestò rabbiosamente Miss Crawley. «Il
colonnello Crawley ha trascinato il nomi della sua famiglia nel fango. Sposare
la figlia di un maestro d disegno. Sposare una dame de compagnie! È stata una
cosa indegna, Briggs! Già, perché lei non era niente di più di questo. Anzi, era
esattamente quello che siete voi, con la sola differenza di essere di gran lunga
più giovane, più graziosa ed anche più intelligente. Del resto, non escludo che
siate state complice di quella sciagurata, di quella miserabile per la quale
provavate una così viva ammirazione, e delle cui arti perverse egli è stato
vittima. Sì, non esito a credere che siate stata sua complice. Ma la lettura del
mio testamento vi riserverà delle brutte sorprese, siatene pur certa. Frattanto
siate così cortese da voler scrivere a Mr. Waxy che desidero vederlo senza
indugio.» Ormai Miss Crawley aveva preso l'abitudine di scrivere al suo legale,
Mr. Waxy, quasi ogni giorno: intatti aveva annullato tutte le precedenti
disposizioni riguardanti i suoi beni, ma ora non sapeva esattamente cosa farne.
Si aggiunga che la vecchia zitella si stava rimettendo in salute:
circostanza comprovata dalle ritrovate energie e dai ripetuti dileggi di cui
faceva oggetto Miss Briggs: dileggi che l'infelice sopportava con docilità, con
viltà e con una sorta di rassegnazione a mezza strada fra la generosità e
l'ipocrisia: in altri termini, con quella rassegnazione servile di cui le persone del
suo carattere e nella sua posizione sono costrette a dar prova. Chi non ha
assistito ai tormenti cui una donna sa sottoporre una sua consimile? Forse che
gli uomini sono costretti a soggiacere a torture paragonabili alle quotidiane,
crudeli e sprezzanti frecciate con cui le povere donne vengono di continuo
ferite dalle tiranne del loro sesso? Povere vittime! Ma ci stiamo scostando dai
nostri propositi: volevamo infatti dimostrare che, ogni qual volta Miss Crawley
si rimetteva da un malanno, si rivelava più cattiva e pungente del consueto:
proprio come le ferite, che prudono di più quando stanno rimarginandosi.
Mentre la convalescenza, auspicata da tutti, si stava ormai avvicinando,
Miss Briggs era l'unica vittima ammessa alla presenza dell'inferma. Ciò non
toglie che i parenti di Miss Crawley, sebbene si trovassero molto lontano, non
dimenticassero la loro beneamata congiunta; e facendo ricorso a doni, lettere
squisitamente cortesi e disparate attestazioni d'affetto, facevano di tutto per
mantenersi vivi nel suo ricordo.
Prima di tutto menzioniamo suo nipote, Rawdon Crawley. Qualche
settimana dopo la celebre battaglia di Waterloo, e dopo che la «Gazette» aveva
recato a Miss Crawley la notizia della promozione conseguita dal valoroso
ufficiale e del coraggio di cui aveva dato prova sul campo, il postale di Dieppe
le recò a Brighton una scatola contenente una doverosa lettera del nipote
colonnello. La scatola in questione conteneva alcune reliquie del campo di
battaglia, costituite da un paio di spalline francesi, dall'impugnatura di una
sciabola e da una croce della Legion d'Onore. La lettera riferiva in termini
decisamente comici come l'impugnatura della sciabola appartenesse a un
comandante delle Guardie il quale, subito dopo aver giurato che «la Guardia
muore ma non si arrende», era stato fatto prigioniero da un soldato semplice
che gli aveva spezzato la sciabola col calcio della carabina; dopo di che Rawdon
si era impossessato dei frammenti di quell'arma. Quanto alla croce e alle
spalline, erano appartenuto a un colonnello francese di cavalleria che era stato
ucciso dal nostro aiutante di campo in persona. E la lettera proseguiva dicendo
che il bottino in termini non poteva avere destinataria migliore della carissima,
amatissima amica del mittente. Poteva forse continuare a scriverle da Parigi,
ove l'esercito era diretto? Chissà che da quella capitale non avesse modo di
farle giungere interessanti notizie di certi vecchi amici di Miss Crawley, che
quest'ultima aveva conosciuto negli anni dell'emigrazione, e ai quali ella aveva
usato tante cortesie in quello sventurato periodo!
La zitella ordinò alla Briggs di rispondere al colonnello con una garbata
lettera nella quale si complimentava con lui e lo esortava a continuare quella
corrispondenza testé iniziata. La prima lettera era così spigliata e amena, che
avrebbe atteso le successive con sentimento di vivo piacere «Inutile dire,»
spiegò a Miss Briggs, «che lui non è assolutamente in grado di scrivere lettere
del genere, né più né meno come non sareste in grado voi. È quella dannata
volpe di Rebecca ad avergliela dettata, parola per parola. D'altra parte, se in
questo modo mio nipote riesce a divertirmi, non c'è motivo per impedirglielo.
Per questo desidero informarlo che sono di ottimo umore.»
Non saprei dire se Miss Crawley fosse informata che era stata Becky, non
solo a compilare quella lettera, ma a concepire l'idea di spedire in patria quei
trofei acquistati per pochi franchi da uno dei tanti venditori ambulanti che
subito dopo la battaglia si erano messi a vendere cimeli, e reliquie varie della
guerra testé conclusa. Il romanziere però sa tutto, e di conseguenza sa anche
questo. Comunque fossero andate le cose, è certo che la cortese lettera di Miss
Crawley spronò il nostro Rawdon e la consorte a riporre speranze nel
ripristinato buonumore della zietta; onde si premurarono di divertirla con varie,
spiritose lettere spedite da Parigi dove, come si esprimeva Rawdon, avevano
avuto la fortuna di arrivare al seguito dell'esercito vincitore.
Al contrario, i messaggi che Miss Crawley inviava alla moglie del vicario,
partita per assistere il marito che si era fratturata una scapola al presbiterio di
Queen's Crawley, non erano certo così obbliganti. La solerte, efficiente,
imperiosa Mrs. Bute Crawley aveva commesso, nei riguardi della cognata, il più
fatale degli errori. Non soltanto aveva oppresso lei e tutte le persone che
abitavano sotto il suo tetto, ma per giunta l'aveva annoiata. Pertanto, se la
povera Miss Briggs avesse avuto un briciolo di spirito, sarebbe stata felice per
aver ricevuto dalla sua padrona l'incarico di scrivere una lettera a Mrs. Bute
Crawley, nella quale si diceva come la salute di Miss Crawley fosse molto
migliorata dopo la sua partenza, e al contempo la si esortava a non disturbarla
e a non lasciare la famiglia per far ritorno da lei. Un simile trionfo conseguito ai
danni di una persona che l'aveva trattata in modo così altezzoso e crudele
avrebbe fatto la felicità di un nugolo di donne; ma Miss Briggs - lo dicevamo
poc'anzi - non era una donna di spirito, e nel momento stesso in cui ebbe
modo di contemplare la sconfitta della sua nemica, prese a compatirla.
«Sono stata una sciocca a lasciarmi sfuggire che intendevo tornare,
quando ho scritto a Matilda la lettera che accompagnava quelle faraone in
regalo» pensò Mrs. Bute Crawley E non si può dire che avesse torto. «Avrei
dovuto andarci senza dire nemmeno una parola a quella povera vecchia
rimbambita, togliendola dalle mani di quell'idiota della Briggs e di quell'arpia
della femme de chambre. Oh, Bute, Bute, perché ti sei spezzata la clavicola?»
Già, perché? Come abbiamo visto? fino a quando la fortuna l'aveva
assistita Mrs. Bute Crawley aveva giocato le sue carte con grande abilità,
esercitando un così cieco e implacabile dominio sulla casa di Miss Crawley da
esserne cacciata con la stessa determinazione non appena se n'era presentata
l'occasione propizia. Invece Mrs. Bute Crawley e la famiglia erano convinti che
alla base di tutto ci fosse una mostruosa congiura, e che i sacrifici affrontati
per il bene di Miss Crawley fossero stati ricompensati con la più sinistra
ingratitudine. Inoltre la promozione di Rawdon e la menzione del medesimo
sulla «Gazette» suscitarono la comprensibile preoccupazione della
religiosissima signora. Chissà' ora che Rawdon era stato promosso al grado di
tenente colonnello ed era diventato C.B., la vecchia signorina avrebbe ceduto...
Quell'odiosa Rebecca sarebbe rientrata nelle sue grazie? La moglie del vicario
si affrettò a scrivere per il marito un sermone che stigmatizzava la gloria
militare e deprecava il dilagare della malvagità sermone che il degno consorte
lesse facendo appello alla migliore intonazione di voce senza capire un'acca del
contenuto. Tra l'uditorio figurava anche Pitt Crawley, il quale si era recato in
compagnia delle sorellastre in quella chiesa che nessuno avrebbe potuto
convincere il baronetto a frequentare.
Dopo la partenza di Becky Sharp quel vecchio malandrino si era
abbandonato ai vizi più turpi, fra lo scandalo dell'intera contea e il muto orrore
del figlio. Nastri e guarnizioni sul cappello di Miss Horrocks diventavano ogni
giorno più vistosi. Inorridite, le famiglie dabbene disertavano il palazzo e
fuggivano la compagnia del suo proprietario. Sir Pitt non faceva che bere: dai
fittavoli, dai contadini a Mudbury e nei villaggi circostanti, quando era giorno di
mercato. Conduceva Miss Horrocks a Southampton nella carrozza padronale
guidando i cavalli di persona; pertanto, sia la popolazione della contea, sia il
figlio muto d'angoscia, si attendevano di settimana in settimana che i giornali
pubblicassero la notizia ufficiale dell'imminente matrimonio. Indubbiamente il
baronetto costituiva una vera piaga per Mr. Crawley. In occasione dei raduni
missionari e di altre riunioni religiose ch'egli soleva presiedere dando prova in
passato di straordinaria facondia e leggendo sproloqui interminabili, si sarebbe
detto che il flusso inesauribile della sua eloquenza si fosse arrestato. Quando si
alzava, aveva la sensazione che la gente mormorasse: «Ecco, costui è il figlio
di quel vecchio libertino di Sir Pitt. Probabilmente il padre in questo momento è
ubriaco fradicio in qualche osteria.» Un giorno, mentre stava commentando le
deprecabili condizioni in cui si trovava l'anima del re di Timbuctu e delle sue
numerose mogli le quali, al pari di lui, conducevano un'esistenza peccaminosa,
uno zotico miscredente mescolato alla folla lo apostrofò gridando: «Di' un po' e
a Queen's Crawley quante ce ne sono, brutto smorfioso?» Parole che
naturalmente seminarono il più vivo sconcerto fra l'uditorio e mandarono a
catafascio il discorsetto di Mr. Pitt. Da parte sua Sir Pitt aveva giurato che
nessuna istitutrice avrebbe più varcato la soglia di Queen's Crawley, e le sue
ragazze sarebbero cresciute analfabete se Mr. Crawley non lo avesse costretto
con le minacce a mandarle a scuola.
Nel frattempo, indipendentemente dalle contese personali che potevano
travagliare i diletti nipoti e le amate nipoti di Miss Crawley, tutti concordavano
nel volerle un bene dell'anima e nel testimoniarle il loro affetto con regali
d'ogni genere. Ed ecco che Mrs. Bute Crawley le inviava faraone, oppure certi
cavolfiori di una qualità veramente sopraffina, oppure una deliziosa borsettina,
per non dire di un puntaspilli ricamato dalle sue adorate figliole con le loro
manine industriose. E queste ultime pregavano la carissima zia di serbare nel
suo cuore un posticino per loro, mentre dal castello Mr. Pitt inviava pesche,
uva e selvaggina. Di solito era il postale di Southampton a recare a Miss
Crawley, in quel di Brighton, siffatte testimonianze dell'affetto parentale, ma
qualche volta il postale portava Mr. Pitt in persona, il quale, dati i grandi
rapporti che intratteneva col genitore, era indotto ad assentarsi con crescente
frequenza. Per di più Brighton gli offriva motivo di piacevole richiamo nella
persona di Lady Jane Sheepshanks, del cui fidanzamento con lui è già stata
fatta menzione in questa storia. Sua signoria viveva infatti a Brighton insieme
con le sue sorelle e con la madre, contessa Southdown: una donna molto
energica particolarmente apprezzata nella società delle persone ammodo.
Ma è opportuno spendere qualche parola sul conto di Sua Signoria e della
sua nobile famiglia, unita da legami presenti e futuri alla famiglia Crawley. Per
quanto concerne il capo dei Southdown, Clement William, quarto conte di
Southdown, basterà dire che era entrato in parlamento (al pari di Lord Wolsey)
grazie alla protezione di Mr. Wilberforce, e che per un certo tempo si comportò
in modo affatto degno del suo padrino politico dando prova indiscutibile di
assoluta serietà. Ma non ci sono parole atte a descrivere efficacemente i
sentimenti della sua degna genitrice allorché, poco dopo la morte del suo
nobile consorte, ebbe la sgradita ventura di scoprire che il figlio era membro di
numerosi circoli mondani, che aveva perso cospicue somme al gioco da Wattier
e al Cocoa-Tree, che si era fatto prestare denaro sull'eredità futura, che aveva
ipotecato i beni familiari, che guidava un tiro a quattro, che assisteva a incontri
di pugilato, e per concludere aveva un palco all'opera dov'era solito radunare
una ghenga di scapoli scapestrati. Nella cerchia della genitrice il suo nome
veniva sempre nominato con accompagnamento di sospiri.
Lady Emily era di parecchi anni maggiore del fratello, e tra le persone
come si deve godeva di ottima reputazione quale autrice di opuscoli edificanti
dei quali abbiamo già avuto occasione di parlare, nonché d'innumerevoli inni e
canti religiosi. Zitella ormai matura aveva praticamente accantonato l'idea di
potersi maritare, e quasi tutti i suoi sentimenti erano votati all'affetto per i
negri. E a lei, se non vado errato, che dobbiamo questi versi stupendi:
Guidaci a un'isola di sole fulgente
nei lontani mar d'occidente
dove sempre il cielo è ridente,
e i negri piangono chiedendo pietà, ecc.
Intratteneva una fitta corrispondenza con ecclesiastici sparsi in tutti i
territori delle Indie Occidentali e Orientali, ed era segretamente innamorata del
reverendo Silas Hornblower, che era stato tatuato nelle isole dei Mari del Sud.
Quanto a Lady Jane - colei che, come abbiamo visto, aveva suscitato
l'affetto di Mr. Pitt Crawley era una creatura timida, gentile, taciturna, facile al
rossore. A dispetto della sua vita dissipata piangeva per il fratello,
vergognandosi di continuare a volergli bene. Gli scriveva dei bigliettini
frettolosi che imbucava di nascosto. L'unico, spaventoso segreto della sua vita
consisteva nell'essersi recata in compagnia di una vecchia governante nella
stanza che il fratello abitava all'Albany, dove lo aveva sorpreso - ah, misero
scellerato! - in atto di fumare un sigaro davanti a una bottiglia di curaçao.
Ammirava sua sorella, adorava sua madre e considerava Mr. Crawley l'uomo
più piacevole e compito della terra, beninteso dopo il fratello, il suo angelo
precipitato agli inferi. La madre e la sorella, donne veramente di elevato
sentire, si occupavano di tutto ciò che la riguardava e la trattavano con quella
benevola considerazione che le nostre donne, quando sono veramente
superiori, possiedono con tale dovizia da poterla elargire a destra e a manca
senza risparmio. Spettava alla madre sceglierle i vestiti, i cappelli, i libri, le
idee. A seconda di ciò che passava per la testa a Lady Southdown, Jane era
tenuta ad andare a cavallo, a esercitarsi al pianoforte, ad andare a passeggio o
ad ingurgitare medicine. Sua Signoria non avrebbe esitato a tenere la figlia in
grembiulino fino all'attuale sua età di anni ventisei compiuti, se non fosse stata
costretta a toglierglielo per presentarla alla regina Charlotte.
Quando le signore in questione si erano trasferite nella loro casa di
Brighton, Mr. Crawley aveva riservato a loro e soltanto a loro l'onore di una
sua visita personale, mentre a casa della zia si era limitato a lasciare il suo
biglietto da visita e a chiedere con assoluta modestia notizia sulla salute della
malata a Mr. Bowls, il maggiordomo, e al suo aiutante. Ma il giorno in cui
incontrò Miss Briggs che ritornava dalla biblioteca con un fascio di romanzi
sotto braccio, arrossì vivamente (circostanza in lui affatto insolita), le si fece
incontro e le strinse la mano. Poi presentò la Briggs alla signora che si trovava
in sua compagnia dicendo: «Lady Jane, concedetemi di presentarvi a Miss
Briggs, alla migliore amica e alla più affezionata compagna di mia zia. Voi, del
resto, la conoscete già sotto altro nome, quale autrice delle Liriche del cuore
che suscitano in voi una così viva ammirazione.» Al che fu Lady Jane ad
arrossire mentre porgeva a Miss Briggs la sua vezzosa manina e farfugliava
parole garbate quanto sconnesse circa sua madre, nonché il desiderio di recarsi
in visita da Miss Crawley e di far conoscenza coi parenti e gli amici della stessa.
Poi, congedandosi, salutò Miss Briggs con occhioni dolci come quelli di una
colomba, mentre Mr. Crawley si piegava in un profondo inchino simile a quelli
che elargiva a Sua Altezza la duchessa di Pumpernickel quando fungeva da
attaché presso quella Corte.
Ed eccolo all'opera, l'astuto diplomatico e degno allievo del machiavellico
Binkie! Era stato lui a far dono a Lady Jane di una copia delle poesie giovanili
della Briggs, che aveva scovato a Queen's Crawley con una dedica dell'autrice
alla defunta seconda moglie di suo padre. E del pari era stato lui a portare il
volumetto a Brighton e a leggerlo durante il percorso in diligenza fino a
Southampton, e a farvi alcune preziose annotazioni a matita prima di affidarlo
alle gentili mani di Lady Jane. Ed era sempre lui che aveva illustrato a Lady
Southdown i cospicui vantaggi (sia morali sia materiali aveva detto lui) che
sarebbero scaturiti dall'avvio di amichevoli rapporti tra la sua famiglia e Miss
Crawley, specie ora che la zia versava nella più desolante solitudine, giacché
aveva negato il suo affetto a quel reprobo di Rawdon a causa del suo
deplorevole contegno e dell'ignobile matrimonio da lui contratto. D'altra parte
l'avidità, la tirannia e le smaniose mire di Mr. Bute Crawley avevano spinto la
vecchia zitella a ribellarsi, respingendo le sfrontate pretese di quel ramo della
famiglia. E sebbene fino a quel momento egli non avesse sollecitato in alcun
modo i favori e l'amicizia di Miss Crawley, fors'anche per una sorta di malinteso
orgoglio, riteneva che ormai fosse giunto il momento di appellarsi ad ogni
espediente plausibile per salvare l'anima della zia dall'eterna dannazione, e per
assicurarne il patrimonio a lui, nella sua qualità di capo della famiglia Crawley.
Da quella donna di chiare vedute che era, Lady Southdown si dichiarò
perfettamente d'accordo su entrambi i propositi del futuro genero, palesando
altresì la sua propensione a ottenere quanto prima possibile la piena
conversione di Miss Crawley. Quando era a casa, a Southdown oppure a
Trottermone Castel, quella terrificante e irriducibile divulgatrice della Verità
percorreva le campagne in calesse, seguita dai suoi staffieri, e lanciava fasci di
opuscoli ai contadini e ai fittavoli, ordinando al Tale di convertirsi né più né
meno come ingiungeva al Talaltro di prendere le pillole del dottor James. Il
tutto senza accordare libertà di appello, libertà di opposizione o beneficio
d'immunità ecclesiastica. Il defunto consorte, Lord Southdown, un nobile
epilettico e d'intelligenza men che mediocre, aveva l'abitudine di approvare
incondizionatamente qualunque cosa la sua Matilda dicesse o pensasse. Di
conseguenza Lady Southdown, quali che fossero le variazioni cui andava
soggetta la sua fede (la quale, per dire il vero, si adattava con sorprendente
facilita alle svariatissime opinioni esternate ora da questo ora da quel teologo
appartenenti a questa o a quella setta dissidente) non esitava minimamente
nell'ordinare ai suoi fittavoli o subalterni di abbracciare le sue nuove
convinzioni religiose. Perciò, sia che ricevesse il reverendo Saunders MacNitre,
l'apostolo della Chiesa di Scozia, oppure il reverendo Luke Waters, il buon
metodista Wesleyano, per non dire del reverendo Giles Jowls, l'illuminato
ciabattino che si era autopromosso reverendo esattamente come Napoleone si
era autoincoronato Imperatore, i figli, i fittavoli, il personale di Lady
Southdown erano rigorosamente tenuti a inginocchiarsi insieme con Sua
Signoria e a dire «Amen» a conclusione delle preghiere pronunciate dal tale o
dal talaltro ecclesiastico. Nel corso di questi edificanti rituali il vecchio
Southdown era peraltro autorizzato a starsene in camera sua a bersi un
bicchiere di vin caldo e a farsi leggere il giornale. Lady Jane era la figlia
prediletta del conte che ella amava sinceramente e al quale prodigava le sue
cure. Quanto a Lady Emily, l'autrice della Lavandaia di Finchley Common, le
sue descrizioni dei castighi che attendevano i malvagi nell'inferno (in quegli
anni, poiché successivamente le sue convinzioni in proposito subirono un
drastico mutamento) erano così terrificanti che il vecchio gentiluomo ne era
letteralmente sconvolto, e i medici dichiaravano che gli attacchi di cui soffriva
seguivano sempre alle prediche di Sua Signoria.
«Andrò subito a farle visita,» rispose Lady Southdown, accogliendo le
esortazioni del prétendu di sua figlia, Mr. Pitt Crawley. «Chi è il medico di Miss
Crawley?»
Mr. Crawley menzionò il nome di Mr. Creamer.
«Un praticone, un uomo ignorante e pericoloso, caro Pitt. La Provvidenza
si è degnata di servirsi più volte di me onde allontanarlo dal capezzale di molti
infermi, sebbene in un paio di casi non sia purtroppo arrivata in tempo. Non
sono riuscita a salvare il povero generale Glanders, che è morto per essersi
abbandonato nelle mani di un uomo simile. Morendo dico... Gli somministrai le
pillole Podger e potei riscontrare un certo miglioramento, ma purtroppo era
tardi. Ahimè, non c'era niente da fare, ormai! D'altra parte la sua morte è stata
meravigliosa; ed è stato un cambiamento in meglio! Caro Pitt bisogna
assolutamente sottrarre vostra zia a Mr. Creamer.»
Pitt manifestò il suo consenso. Anche lui era stato travolto dall'energia
della nobildonna e futura suocera. Anche lui era stato indotto ad accettare
Saunders McNitre, Luke Waters Giles Jowls, le pillole Podger, le pillole Rodger,
l'elisir Pokey: insomma, tutte le medicine di Sua Signoria, non importa se sacre
o profane. Non usciva mai da quella casa senza portar seco, con ossequiosa
docilità, enormi quantitativi di quelle cianfrusaglie teologiche e medicinali. Eh,
miei cari amici e fratelli che insieme a me percorrete questa Fiera della Vanità
chi di voi non conosce qualche benevola despota di tale specie, o non soffre,
oppresso sotto il suo giogo implacabile? E del tutto inutile dirle: «Cara signora,
l'anno scorso, in omaggio alle vostre esortazioni, ho preso le pillole Podger
avendone grande beneficio; perché ora dovrei cambiare parere e abbandonarle
per le pillole Rodger?» Fatica sprecata. La nostra missionaria non demorde, e
se non le riesce di convincervi col ragionamento ricorrerà alle lacrime. Onde
alla fine il riluttante finisce col trangugiare l'amaro calice e col dire:
«D'accordo, d'accordo... Vada per le pillole Rodger!»
«Per quanto riguarda la salute della sua anima,» continuò la signora,
«inutile dire che dobbiamo occuparcene immediatamente. Affidata a Creamer
potrebbe morire da un momento all'altro; e in quali condizioni, mio caro Pitt, in
quali spaventevoli condizioni! Le manderò subito il reverendo Irons. Jane, scrivi
a nome mio un biglietto al reverendo Bartholomew Irons e dirli che sollecito
l'onore della sua presenza per il tè, alle sei e mezzo. È un uomo che sa come
destare le coscienze. Bisogna assolutamente che s'incontri con Miss Crawley
prima che lei si addormenti stasera. E tu, Emily, tesoro, prepara per lei un
pacco di libri per Miss Crawley Mettici Una voce si leva tra le fiamme, Le
trombe di Gerico, Crogiuoli spezzati, ossia: il cannibale convertito.»
«E La lavandaia di Finchley Common, mamma. Mi sembra più opportuno
cominciare con qualcosa di più lieve.»
«Basta così, care signore,» intervenne il diplomatico Pitt. «Con tutto il
rispetto per le opinioni dell'amata e rispettata Lady Southdown, personalmente
ritengo controproducente affrontare di punto in bianco problemi così gravi con
Miss Crawley. Non dimenticate che la sua salute è alquanto cagionevole, e che
a tutt'oggi ha meditato assai poco sull'immortalità della sua anima.»
«E allora come potete affermare che è troppo presto per cominciare?»
chiese Lady Emily alzandosi in piedi con sei libri in mano.
«Se cominciate affrontando di petto la situazione, non farete che
sgomentarla. Conosco il carattere di mia zia e sono certo che qualunque
tentativo troppo solerte per indurla alla conversione porterebbe a conseguenze
deleterie per l'anima di quella sventurata. La spaventereste. Molto
probabilmente getterebbe i libri e si rifiuterebbe di ricevere coloro che glieli
avessero mandati.»
«Pitt, voi siete legato alle vanità di questo mondo come vostra zia,»
rispose Lady Emily, e uscì dalla stanza coi suoi libri.
«Inutile dirvi, poi, cara Lady Southdown,» continuò Pitt a bassa voce e
senza badare a quell'interruzione, «come qualsivoglia mancanza di tatto o
soverchia tempestività potrebbe frustrare le speranze che coltiviamo circa i
beni terreni di mia zia. Non dimenticate che possiede una fortuna di
settantamila sterline; pensate alla sua età e alle condizioni oltremodo precarie
del suo sistema nervoso. So che ha annullato il suo testamento a favore di mio
fratello, il colonnello Crawley. Solo placando quell'anima ferita riusciremo a
ricondurla sulla retta via. Per questo bisogna assolutamente evitare di
spaventarla. Penso quindi che sarete d'accordo con me che... che...»
«Certo, certo,» disse Lady Southdown. a Jane, tesoro, per ora è inutile
che tu scriva quel biglietto al reverendo Irons. Se le sue attuali condizioni di
salute sono tali che una discussione potrebbe affaticarla, è meglio attendere
che si senta meglio. Domani andrò a far visita a Miss Crawley.»
«E se posso permettermi un consiglio, mia dolce signora,» disse Pitt in
tono suadente, «eviterei di portare con voi la vostra preziosa Emily. È troppo
zelante. Mi sembra meglio che vi facciate accompagnare dalla nostra dolce e
cara Lady Jane.»
«Emily rovinerebbe tutto, non c'è dubbio.» rispose Lady Southdown E
questa volta si rassegnò a rinunciare alla tattica consueta, che consisteva -
come abbiamo visto - nello sparare una quantità di opuscoli contro l'individuo
minacciato prima di piombargli addosso per soggiogarlo, (proprio come i
francesi fanno precedere la carica da un furibondo cannoneggiamento). Sta di
fatto che Lady Southdown, per riguardo alla salute della malata, o alla salvezza
della sua anima, o alla sorte del suo denaro, accondiscese a temporeggiare.
L'indomani la grande carrozza padronale dei Southdown fregiata della
corona comitale e dello stemma (sul quale i tre agnelli d'argento in campo
verde dei Southdown erano incorniciati di nero e oro, e attraversati da tre
strisce marrone e rosse, emblema del casato dei Binkie) si arrestò
solennemente davanti alla porta della casa di Miss Crawley, dove un solenne
domestico porse a Mr. Bowls un biglietto da visita per Miss Crawley e uno per
Miss Briggs. D'altro canto, in seguito a una soluzione di compromesso, quella
sera stessa Lady Emily inviò alla Briggs un pacco contenente alcune copie della
Lavandaia e altri opuscoli d'intonazione alquanto moderata destinati a lei,
nonché altri improntati a fosche tinte (quali, ad esempio, Briciole della
dispensa, La padella e la brace e La livrea del peccato) per la servitù.
XXXIV • LA PIPA DI JAMES CRAWLEY VIENE SPENTA
L'amabile atteggiamento di Mr. Crawley e la gentile accoglienza
riservatale da Lady Jane lusingarono moltissimo Miss Briggs, inducendola a
dire una buona parola in loro favore allorché i biglietti dei Southdown vennero
consegnati a Miss Crawley. Il biglietto da visita di una contessa, consegnatole a
titolo strettamente personale, non era cosa da poco per la povera dama di
compagnia priva di amicizia e relazioni personali.
«Vorrei proprio sapere come mai Lady Southdown ha lasciato un biglietto
da visita anche per voi, Miss Briggs,» osservò con spirito altamente
democratico Miss Crawley. Al che l'altra rispose in tono mellifluo e sottomesso
come sperasse «non vi fosse nulla di sconveniente se una dama dell'alta
società usava un cenno di riguardo nei confronti di una povera dama di
compagnia come lei», e ripose il biglietto da visita nella sua scatola da lavoro,
accogliendolo così fra le cose a lei più care. Miss Briggs aggiunse di aver
incontrato il giorno prima Mr. Crawley in compagnia della cugina e ormai da
gran tempo fidanzata, e aggiunse che la signorina - la quale era vestita in
modo estremamente semplice, per non dire misero (e descrisse ogni dettaglio
dell'abbigliamento, dalle scarpe al cappello, calcolando il prezzo di ogni singolo
capo di vestiario con precisione tutta femminile) - le era sembrata quanto mai
garbata e graziosa.
Miss Crawley concesse alla Briggs l'onore di ciarlare e parlare senza
interromperla. Ora che si sentiva meglio, un po' di compagnia le riusciva
gradita. Mr. Creamer, il suo medico non voleva saperne di lasciarla tornare nel
suo consueto ambiente londinese, poco morigerato e per nulla confacente,
onde l'anziana zitella era ben lieta di trovare a Brighton chiunque fosse
disposto a intrattenerla in un modo purchessia. Pertanto, non solo il giorno
seguente fece rispondere ai biglietti, ma spinse la sua benevolenza fino a
invitare Mr. Crawley ad andarla a trovare. Egli vi si recò in compagnia di Lady
Jane e di Lady Southdown, la quale si guardò bene di intrattenere Miss Crawley
sulla salute della sua anima, ma avviò una normale e cautelosa conversazione
sul tempo, sulla guerra, sulla batosta subita da quel mostro di Buonaparte, e
soprattutto su dottori, ciarlatani, nonché sui meriti preclari che in quel
momento godeva della sua stima incondizionata.
Nel corso di quella visita Pitt Crawley mise a segno un colpo da maestro:
un colpo atto a dimostrare che, se non fosse stata compromessa all'inizio dalle
sue mosse troppo lente e svogliate, la sua carriera diplomatica avrebbe potuto
affermarsi in termini né più né meno clamorosi.
Allorché la contessa madre di Southdown prese a parlare di quel losco
avventuriero corso, in omaggio a un argomento alla moda che stava
diventando di prammatica in tutte le conversazioni, e a dimostrare come fosse
un essere abbietto macchiatosi di ogni crimine possibile e immaginabile, di un
codardo e di un tiranno indegno di vivere, la cui caduta era un segno
incontestabile della Volontà divina, Pitt di punto in bianco cominciò a
pronunciarsi in favore dell'Uomo del Destino. Descrisse il Primo Console così
come lo aveva visto a Parigi all'atto della stipulazione della Pace di Amiens;
quando lui, Pitt Crawley, aveva avuto l'onore di conoscere il grande e ottimo
Mr. Fox, lo statista del quale si poteva non condividere le opinioni, ma che
nondimeno meritava la generale ammirazione, lo statista che aveva sempre
nutrito sentimenti della più viva ammirazione nei confronti dell'Imperatore
Napoleone. E si diffuse commentando il vile contegno degli alleati nei riguardi
del monarca detronizzato; il quale era stato perfidamente e malvagiamente
bandito mentre lui si era fiduciosamente affidato alla loro mercé. Quanto alla
Francia, eccola soggetta alla tirannia di gentaglia bigotta e papista.
Questo ortodosso orrore per la superstiziosa Chiesa cattolico-romana
valse a salvare Crawley nell'opinione della contessa Southdown, mentre - per
altro verso - la conclamata ammirazione per Fox e Napoleone lo accrebbe in
misura notevolissima nella considerazione di Miss Crawley. Abbiamo già
accennato, all'inizio della nostra storia, all'antica amicizia fra la vecchia zitella e
il defunto uomo di stato. Da autentica Whig, Miss Crawley si era schierata
all'opposizione durante tutta la campagna bellica e, quantunque la caduta
dell'imperatore non l'avesse soverchiamente addolorata, e il modo in cui
Napoleone era stato trattato non fosse destinato a toglierle il sonno né ad
accorciarle la vita, Pitt, lodando i suoi due idoli, aveva parlato al suo cuore; con
quattro parole era riuscito a far passi da gigante verso la definitiva conquista
del suo affetto.
«E voi cosa ne pensate, mia cara?» chiese Miss Crawley a Lady Jane, che
aveva subito preso in simpatia, come sempre le accadeva con le giovani
graziose e modeste (simpatia che d'altronde si raffreddava con la stessa
rapidità con la quale si accendeva).
Lady Jane si fece di bragia e rispose che... che lei non s'intendeva di
politica, che affidava simili problemi a menti più profonde della sua. D'altra
parte riteneva che sua madre avesse ragione, anche se Mr. Crawley si era
espresso in termini degni della massima considerazione...
Quando, a conclusione della visita, le signore si congedarono, Miss
Crawley disse a Lady Southdown che sperava sarebbe stata così gentile da
mandarle qualche volta Lady Jane, se poteva privarsi talvolta della sua
presenza e spartirne la compagnia, onde potesse allietare la giornata di una
povera vecchia malata e solitaria. Il permesso venne graziosamente accordato
e si separarono in termini di viva amicizia.
«Non ho nessuna intenzione di rivedere Lady Southdown,» disse Miss
Crawley a Pitt. «È sciocca e vanesia come tutti quelli della tua famiglia, che mi
sono sempre stati antipatici. Invece puoi condurmi la tua buona e vezzosa Jane
ogni qual volta lo desideri.» Pitt promise che lo avrebbe fatto, e naturalmente
si guardò bene dal riferire alla contessa quale opinione la zia nutrisse sul suo
conto. Sua Signoria era convintissima di aver suscitato in Miss Crawley un
sentimento di immediata simpatia e un'impressione di altissima dignità.
Da parte sua Lady Jane, per nulla maldisposta a confortare una vecchia
signora malata, e forse ben lieta - in cuor suo - di potersi risparmiare i foschi
sproloqui del reverendo Bartholomew Irons e di tutti gli uggiosi parassiti che
sedevano in crocchio attorno al posapiedi della pomposa contessa sua madre,
prese a far visita quasi quotidianamente a Miss Crawley. L'accompagnava nelle
passeggiate in carrozza e con la sua presenza ne allietava molte serate. Era di
carattere così buono e remissivo, che persino la Firkin non si sentì di
alimentare nei suoi confronti il minimo sentimento di gelosia. Quanto alla
povera Briggs, si convinse che la sua padrona era molto meno crudele con lei
quando Lady Jane era presente. Con la fanciulla in questione, Miss Crawley era
di una dolcezza sorprendente. La vecchia signorina le raccontava una sfilza di
aneddoti sulla sua giovinezza, ma usava nei suoi riguardi un tono affatto
diverso da quello col quale era solita rivolgersi a quella piccola miscredente di
Rebecca. In effetti, Lady Jane dava prova di tanto innocente candore, che un
frasario troppo esplicito sarebbe riuscito inopportuno, e Miss Crawley - da
quell'autentica gentildonna che era - non avrebbe mai osato offendere simile
purezza. Peraltro, la giovane non aveva mai ricevuto gentilezze in vita sua se
non da suo padre, da suo fratello ed ora da Miss Crawley, onde ricambiava
l' engoûment di quest'ultima con l'attestazione di una dolce e ingenua amicizia.
Nella sere d'autunno (mentre Rebecca folleggiava a Parigi più spensierata
di qualsiasi spensierato vincitore, e Amelia ahimè, dov'era mai la nostra
povera, ferita Amelia?) Lady Jane sedeva nel salottino di Miss Crawley e nella
penombra le cantava dolcemente inni religiosi o semplici canzoni, mentre fuori
il sole tramontava e le onde si frangevano scrosciando lontano, sulla spiaggia.
La vecchia zitella si svegliava quando la canzone terminava e ne chiedeva
un'altra. Quanto a Miss Briggs, e alle innumerevoli lacrime di felicità che
spargeva mentre se ne stava seduta fingendo di lavorare a maglia e dalla
finestra contemplava la splendida distesa dei mare farsi sempre più cupa, sotto
le lampade del cielo che si facevano sempre più luminose e scintillanti; ebbene,
ditemi, chi avrebbe potuto misurare l'emozione e l'allegrezza di Miss Briggs?
Nel frattempo Pitt sedeva in sala da pranzo leggendo un opuscolo sulle
leggi agrarie, o con accanto il «Missionary Register», e si crogiolava in quel
piacevole ozio pomeridiano che riesce accetto a tutti gli uomini, non importa se
romantici e meno. Sorseggiava madera, costruiva castelli in aria e meditava su
se stesso per concludere che era una persona veramente dabbene. Si sentiva
molto più innamorato di quanto lo fosse stato nei sette anni trascorsi dall'inizio
della loro liaison senza che in quel lasso di tempo avesse mai palesato la
minima impazienza. Inoltre dormiva, e non poco. All'ora del caffè, Mr. Bowls
entrava rumorosamente nella stanza e chiamava il nobile Pitt, il quale si faceva
trovare al buio, immerso nella lettura dell'opuscolo di turno.
«Mia cara, sarei veramente lieta di poter trovare qualcuno disposto a fare
una partita di piquet con me.» disse una sera Miss Crawley, mentre il
domestico entrava recando il caffè e i candelabri accesi. «La povera Briggs non
è capace, perché è stupida come un'oca.» (La vecchia zitella non si lasciava
mai sfuggire l'occasione di svillaneggiarla di fronte alla servitù). «Sono certa
che riposerei meglio se potessi farmi una partitina prima di andare a letto.»
Lady Jane arrossì dalla punta delle orecchie fino alla punta delle sue
graziose ditina; poi, quando Mr. Bowls ebbe lasciato la stanza e la porta venne
accuratamente richiusa, disse:
«Io so giocare un pochino, Miss Crawley... Giocavo un po' col mio povero
papà...»
«Vieni a darmi un bacio. Vieni subito a darmi un bacio, tesoro mio,»
esclamò Miss Crawley, giubilante. E quando Mr. Pitt sali al piano di sopra col
suo opuscolo in mano, trovò la vecchia dama e la giovinetta impegnate in
quell'amichevole e pittoresca occupazione. Come arrossì quella sera, la nostra
povera Lady Jane!
Sarebbe errato supporre che le trame esercitate da Pitt Crawley
sfuggissero all'attenzione dei suoi beneamati parenti del presbiterio. Lo
Hampshire e il Sussex non sono poi tanto lontani, e Mrs. Bute Crawley
annoverava in quest'ultima contea amici fidati i quali si affrettarono ad
informarla di tutto ciò che accadeva, con particolare riferimento a ciò che
accadeva nella casa di Miss Crawley a Brighton. Pitt vi soggiornava con
crescente frequenza. Per mesi non si faceva vedere al Castello, dove suo padre
si abbandonava vieppiù alla crapula e all'indecorosa dimestichezza con la
famiglia Horrocks. Il successo che incontrava Pitt suscitava il motivato furore
della famiglia del vicario, e Mrs. Bute Crawley recriminava sempre più (anche
se si mostrava sempre meno disposta ad ammetterlo apertamente) di aver
commesso un madornale errore dileggiando acidamente Miss Briggs e
trattando con tanto sussiego e tanta avarizia Mrs. Firkin e Mr. Bowls, col
risultato che ora - in casa di Miss Crawley non c'era anima viva disposta ad
informarla su quanto vi accadeva. «È tutta colpa della tua clavicola, Bute,»
insisteva a ripetere. «Se non ti fossi rotta la scapola di là non mi sarei mossa a
nessun patto. Sono una vittima del dovere, una martire di quella tua odiosa
passione per la caccia, affatto indegna dell'abito che porti!»
«Cosa c'entra la caccia! Fandonie! Sei stata tu a disgustarla!» replicò
l'apostolo, reagendo alle reprimende della consorte. . Tu sei una donna
intelligente, chi non lo sa? Ma hai un pessimo carattere. E poi sei troppo
avara.»
«Se non avessi badato io al tuo denaro, a quest'ora saresti in galera,
caro mio!»
«Lo so, cara,» rispose il vicario in tono più benevolo. «Tu sei una donna
davvero intelligente. Ma sei... sei troppo economa, ecco.» E il brav'uomo cercò
consolazione in un bicchiere di porto.
«Ma cosa diamine può trovarci in quell'imbecille di Pitt?» continuò la
moglie. «È un tipo che si spaventerebbe anche davanti a un branco di oche e di
galline! Ricordo quando quell'accidente di Rawdon - che però, se non altro, è
un uomo - lo faceva correre per le scuderie frustandolo come fosse stato una
trottola. E Pitt che si rifugiava a piagnucolare in casa della mammina! Ah! Ah! I
miei ragazzi sarebbero in grado di scaraventarlo a terra con una sola manata!
Jim mi ha detto che a Oxford ancora adesso parlano di lui come di "Miss
Crawley!"»
«Senti, Barbara...» disse il vicario dopo una pausa.
«Cosa?» rispose la moglie, che si stava mangiando le unghie e
tamburellava una mano sul tavolo.
«Che ne diresti di mandare Jim a Brighton a vedere se riesce a
combinare qualcosa con quella vecchia befana? Ormai è prossimo alla laurea. È
stato respinto due volte come me, ma lui ha avuto il vantaggio di poter andare
a Oxford e frequentare l'università. Lì conosce tutti i giovani di maggior valore
e fa parte della squadra dei vogatori. E poi è un bel ragazzo, maledizione!
Perché non proviamo a mandarlo dalla vecchia? Non sei d'accordo? E se Pitt
avesse il coraggio di protestare, digli che gliele suoni di santa ragione!»
«Sì, sì,» rispose Mrs. Bute Crawley sospirando. «Mandarle Jim può essere
una buona idea. Certo, sarebbe meglio mandarle in visita una delle ragazze,
ma lei purtroppo non le ha mai potute soffrire perché non sono carine.» E
inoltre la madre parlava di loro, quelle squallide ragazzette rivelavano la loro
presenza nel vicino salotto, dove con mano goffa e pesante strimpellavano al
piano un brano piuttosto difficile. In omaggio alla verità, occorre ammettere
che studiavano il piano, o disegnavano, o studiavano storia e geografia tutto il
santo giorno. Ma a cosa servono queste eccelse virtù alla Fiera della Vanità, se
le titolari delle medesime sono ragazzucce piccole, insulse, povere e con una
bruttissima carnagione? Mrs. Bute Crawley non osava pensare che una persona
purchessia (salvo, magari, il curato) potesse manifestare il desiderio di
portargliele via di casa. Ma a questo punto Jim, che rientrava dalla scuderia
entrando in casa dalla porta-finestra del salotto con una pipa infilata nel
berretto di pelle, si rivolse al padre e prese a parlare con lui delle previsioni
circa l'esito delle corse di St. Leger, cosicché il colloquio tra il vicario e sua
moglie ebbe termine.
Mrs. Bute Crawley non riponeva alcuna speranza sui vantaggi che
l'ambasciata di James avrebbe potuto arrecare alla loro causa, e assistette alla
sua partenza con animo alquanto pessimista. Del resto, quando gli vennero
illustrate le motivazioni del suo viaggio, anche il giovanotto non parve
attendersi risultati molto soddisfacenti; tuttavia lo incoraggiava l'idea che la
vecchia potesse lasciargli qualche opimo ricordo della sua visita, bastante a
saldare, in occasione del primo trimestre, alcuni fra i debiti più impellenti che
aveva lasciato inevasi in quel di Oxford. Pertanto salì in diligenza, giunse quella
sera stessa sano e salvo a Brighton in compagnia del bagaglio, del suo bulldog
prediletto e di un enorme paniere ricolmo dei prodotti dell'orto e della fattoria
che i cari parenti del presbiterio inviavano in omaggio alla diletta Miss Crawley.
Data l'ora tarda ritenne non fosse il caso di disturbare la malata la sera stessa
dell'arrivo, onde James prese alloggio in una locanda e solo l'indomani, nella
tarda mattinata, si presentò a casa dell'anziana parente.
L'ultima volta che sua zia lo aveva visto, James Crawley era un goffo
giovincello nell'età ingrata, quando il timbro di voce varia dall'acuto
sovrannaturale al basso più cupo e tenebroso, e quando non di rado il volto
appare cosparso di quegli antiestetici foruncoli che si dice possano essere
efficacemente curati col «Kalidor» di Rowland. È, l'età in cui i ragazzi si
tagliano di nascosto la barba incipiente con le forbici delle sorelle, e alla sola
vista di sconosciute esponenti del gentil sesso si sentono invadere da un
indicibile sentimento di terrore; quando polsi e caviglie fuoriescono dalle
maniche e dai calzoni degli abiti, sempre troppo corti e troppo stretti; quando
dopo cena la loro presenza riesce importuna alle signore, desiderose di
scambiarsi confidenze a bassavoce nella penombra del salotto, e addirittura
intollerabile agli uomini che indugiano in sala da pranzo, perché la loro coffa
innocenza impedisce di dar corso a una conversazione troppo libera, o ad uno
scambio di salaci facezie; quando, dopo il secondo bicchiere papà dice: «Jack,
caro, va' a dare un'occhiata fuori e guarda se il tempo si mantiene sul bello»; e
il ragazzo in questione, soddisfatto di quella libertà, ma indispettito di non
essere ancora considerato un uomo, si vede costretto ad alzarsi da tavola
prima degli altri. James, che a quel tempo sembrava uno spaventapasseri,
adesso era diventato un giovanotto, grazie ai benefici che derivano
dall'educazione universitaria e più esattamente a quell'inestimabile vernice di
cui ci si riveste quando è possibile vivere nell'ambiente spigliato di un piccolo
collegio, contraendo debiti, facendosi bocciare nonché sospendere dalle lezioni.
Ad ogni modo, recandosi in visita da sua zia, fruiva del vantaggio di
presentarsi come un bel ragazzo: e la prestanza fisica era sempre, agli occhi
della vecchia dama, un titolo di merito. Né la goffaggine e il rossore
costituivano ai suoi occhi un motivo di minor apprezzamento, dal momento che
Miss Crawley ravvisava in quei sintomi i sani contrassegni rivelatori
dell'ingenuità del giovincello.
James dichiarò di esser venuto a Brighton per qualche giorno a trovare
un suo amico che frequentava lo stesso collegio universitario. «Ed anche,»
aggiunse, «per porgere... per porgere a voi, signora, i miei ossequi, non
disgiunti da quelli di mio padre e di mia madre, i quali si augurano che voi
stiate bene.»
Quando il ragazzo venne annunciato, Pitt, che si trovava in compagnia di
Miss Crawley, a quel nome impallidì. La vecchia, che aveva un acuto senso
dell'umorismo, trovò divertentissimo l'imbarazzo e il disappunto che il suo
impeccabile nipote non aveva saputo dissimulare. Chiese notizie di tutti i
parenti del presbiterio e precisò che stava pensando di recarsi da loro in visita.
In presenza di Pitt elogiò il giovanotto dicendogli come, crescendo, il suo
aspetto fosse migliorato in misura altamente lusinghiera. Peccato che le sorelle
non avessero proprio nulla della sua avvenenza! Quando poi, in risposta a una
sua domanda, seppe che James alloggiava in un alberghetto, non volle
assolutamente che vi si trattenesse oltre: invio tosto Mr. Bowls a prelevare il
bagaglio del ragazzo e aggiunse: «Mr. Bowls, abbiate la cortesia di pagare da
parte mia il conto di Mr. James.»
La vecchia zitella lanciò a Mr. Pitt una sarcastica occhiata di trionfo e il
nostro diplomatico rischiò letteralmente di crepare d'invidia. Infatti, per quanto
fosse riuscito ad entrare nelle grazie di sua zia, costei non si era mai sognata
d'invitarlo ad andare ad abitare in casa sua. E invece, ecco che quel giovane
fannullone vi veniva accolto al momento stesso del suo arrivo!
«Scusate, signore,» chiese Mr. Bowls facendosi avanti con un profondo
inchino, «a quale albergo Thomas deve andare a prelevare le vostre valigie?»
«Per carità!» esclamò il giovanotto, balzando in piedi come impaurito, «ci
vado io stesso.»
«Cosa?» disse Miss Crawley.
«Al Tom Cribb's Arms,» dichiarò James facendosi di porpora.
Nell'udire quel nome Miss Crawley scoppiò a ridere; ed anche Mr. Bowls
uscì in una risata quale poteva permettersela un fidato domestico di famiglia,
ma subito la represse. Quanto al diplomatico, si limitò ad abbozzare un
sorrisetto.
«Non sapevo dove andare,» si giustificò James, lo sguardo chino al
pavimento. Me lo ha consigliato il cocchiere. Non sono mai stato a Brighton
prima d'ora.»
Frottole! La verità era tutt'altra: il giorno prima, sulla diligenza di
Southampton, James aveva fatto conoscenza col Campione di Tutbury che si
stava recando a Brighton per un incontro di pugilato con l'Asso di Rottingdean;
e affascinato dalle chiacchiere del suddetto individuo aveva passato la sera
nella locanda in questione, conversando con quell'arca di scienza e col suoi
compari.
«Mi sembra... mi sembra più giusto che vada io a pagare il conto,
signora,» proseguì James, «non posso permettere che ve lo assumiate voi,»
concluse generosamente. E questa delicatezza suscitò un'altra esplosione di
risò nella vecchia zia.
«Bowls, andate a pagare il conto,» disse Miss Crawley, «e poi
portatemelo.»
Povera donna, non sapeva quel che stava facendo! «Veramente...
veramente c'è anche un cagnolino,» disse James in tono spaventato e con
espressione colpevole.
Al che tutti scoppiarono a ridere, ivi incluse Miss Briggs e Lady Jane, che
nel corso di tutta la visita non aveva aperto bocca ed era rimasta seduta fra
Miss Crawley e suo nipote. Bowls non aggiunse altro e uscì dalla stanza.
Miss Crawley, con l'evidente proposito di mortificare il nipote più anziano,
continuò a mostrarsi estremamente affabile col giovane studente di Oxford.
Una volta preso l'aìre, i suoi complimenti e le sue gentilezze non avevano
limiti. Nondimeno disse a Pitt che poteva trattenersi a cena, ma al contempo
insistette perché James l'accompagnasse durante la sua passeggiata in
carrozza, e lo spupazzò solennemente su e giù per il lungomare, seduto sul
sedile posteriore del calesse. Ebbe la benevolenza d'intrattenerlo per tutto il
tempo con espressioni oltremodo affabili; recito poesie in francese e in italiano
al giovanotto allibito e continuò a ripetere che era uno studente encomiabile,
che senza dubbio si sarebbe meritata una medaglia d'oro e sarebbe diventato
un senior Wrangler.
«Un Senior Wrangler? Ah! Ah!» rise James, incoraggiato da tutte quelle
espressioni complimentose. «Questa è roba dell'altra parrocchia!»
«Dell'altra parrocchia? Come sarebbe a dire?»
«I Senior Wranglers sono di Cambridge, non di Oxford,» rispose quello
straordinario erudito con aria saccente. E con ogni probabilità avrebbe
continuato sullo stesso tono se lungo la passeggiata non avessero fatto la loro
comparsa, in una carrozza pubblica trainata da un pony vistosamente bardato,
e vestiti di un appariscente abito di flanella bianca con bottoni di madreperla, i
suoi due amici, vale a dire il Campione di Tutbury e l'Asso di Rottingdean, in
compagnia di altri tre individui di loro conoscenza. E tutti salutarono il povero
James, seduto in quel calesse. Questo incidente ebbe l'effetto di smorzare a tal
punto il buonumore del nostro giovanotto, che per il resto della passeggiata
non fu possibile cavargli una sillaba di bocca.
Al ritorno trovò la sua stanza pronta, i suoi indumenti disposti
nell'armadio, e forse avrebbe potuto cogliere sul volto di Mr. Bowls - mentre
costui lo accompagnava in camera - un'espressione mista di gravità, di stupore
e di compatimento. Ma a dire il vero i pensieri di James non erano nemmeno
lontanamente rivolti a Mr. Bowls. Stava invece meditando sulla stravagante
posizione nella quale si trovava, in quella casa piena di vecchie signore che
cianciavano in francese e in italiano e gli citavano versi ad ogni piè sospinto.
«Guarda un po' in che maledetto covo sono andato a sbattere, accidenti!»
pensava il ragazzo, il quale non trovava l'ardire di rispondere a una donna
purchessia che gli rivolgesse la parola, anche se costei era la creatura più
affabile del mondo, anche se si trattava della Briggs! Se per contro lo aveste
portato a Iffley-Lock, sarebbe stato in grado di rispondere in termini adeguati
al più volgare e sboccato degli scaricatori.
All'ora di cena James si presentò semistrozzato da un enorme
cravattone, ed ebbe l'onore di condurre a tavola Lady Jane, mentre Miss Briggs
e Mr. Pitt seguivano Miss Crawley con un carico imponente di scialli, scialletti e
cuscini. La Briggs consumò metà del tempo dedicato al pasto occupandosi della
posizione e del comfort della sua padrona, e l'altra metà tagliando a minuti
pezzettini il pollo per cibarne il cagnolino. La conversazione di James non fu
particolarmente fitta e vivace, si prodigò nell'incoraggiare le signore a bere
vino e, accettando la sfida di Mr. Crawley, scolò buona parte della bottiglia di
champagne che Bowls aveva avuto l'ordine di servire in suo onore. Più tardi,
quando le signore si ritirarono e i due cugini rimasero a tu per tu, Pitt, l'ex
diplomatico, assunse un tono molto amichevole e disinvolto. Manifestò il più
vivo interesse per gli studi di James all'università e per la carriera che
intendeva seguire in futuro, augurandogli con molto calore di riuscire nei suoi
propositi. Insomma, si mostrò molto schietto e cortese. Così, insieme col
porto, la lingua di James si sciolse: raccontò al cugino la sua vita, gli esternò i
suoi progetti, gli confessò di avere dei debiti, si sfogò parlandogli dei suoi
fiaschi coi primi esami, dei suoi attriti coi prefetti. Frattanto andava
incessantemente colmando il suo bicchiere, versandovi il contenuto della
bottiglia che posava dinanzi a lui e passando con assoluta indifferenza dal
porto al madera.
«Se c'è cosa che faccia veramente piacere a nostra zia,» disse Mr.
Crawley riempiendosi a sua volta il bicchiere, «è che in casa sua la gente viva
come meglio le aggrada. Questo è il regno della Libertà, mio caro James, e il
modo migliore per far felice la zia sta nel fare ciò che più si desidera e nel
chiedere ciò che si vuole. So perfettamente che vi siete tutti burlati di me
perché sono un Tory. Ma Miss Crawley è troppo liberale per non rispettare le
opinioni di chicchessia. Da vera diplomatica qual è, ha in spregio i titoli nobiliari
e ogni sorta di discriminazioni.
«Come mai, allora, vi accingete a sposare la figlia di un conte?»
domandò James.
«Mio caro, sappiate che non è colpa di Lady Jane se appartiene a un
nobile casato,» rispose Pitt con sussiego. «Non è colpa sua se è una dama
dell'alta società; senza contare che io sono un Tory, come ben sapete.»
«Oh, in quanto a questo,» rispose Jim, «so perfettamente che niente è
importante quanto il sangue blu, maledizione! Eh, sì, è proprio vero. D'altronde
io non sono un radicale, su questo punto potete star tranquillo, maledizione!
So cosa significhi essere un gentiluomo. Basta dare un'occhiata a chi partecipa
alle gare di canottaggio, o agli incontri di pugilato... e persino ai cani che
danno la caccia ai topi. Chi sono i vincitori? Quelli di razza! Portaci dell'altro
porto, Bowls, vecchio mio mentre io vuoto questa bottiglia. Voglio scolarmela
fino all'ultima goccia. Dunque.. cosa stavo dicendo?»
«Se non sbaglio stavate parlando della caccia ai topi,» rispose Pitt con
voce suadente, porgendo al cugino la bottiglia da «scolare».
«Ah, sì? Stavo parlando della caccia ai topi? Ditemi un poco, Pitt, siete
uno sportivo, voi? Vi piacerebbe vedere un cane veramente in gamba nel dar la
caccia ai topi? Se ci tenete, venite insieme a me da Corduroy, in Castle Street
Mews: vi mostrerò un bull terrier che... Ah, ma sto dicendo un mucchio di
stupidaggini!» esclamò James interrompendosi e scoppiando a ridere delle
assurdità che stava raccontando. «Cosa diamine può importare a voi di cani o
di topi? Queste sono pure idiozie. Che mi prenda un accidente se voi siete il
tipo capace di distinguere un cane da un'oca!»
«Infatti,» replicò Pitt con voce sempre più suadente. «Ma stavate
parlando anche della nobiltà del sangue e dei vantaggi che l'appartenenza al
ceto elevato conferisce al prossimo. Tenete, ecco un'altra bottiglia.»
«C'erto, certo, il sangue ha molta importanza,» confermò James
tracannando la bevanda color rubino, «nei cani, nei cavalli e anche negli
uomini. Ma proprio l'anno scorso (è stato prima che mi sospendessero... cioè,
volevo dire... prima che mi ammalassi di rosolia, ah, ah, ah...) io e Ringwood
del Christchurch College, sapete, Bob Ringwood, il figlio di Lord Cinqbar,
stavamo bevendo una birra al "Bell" di Blenheim, quando il barcaiolo di
Bambury ci ha sfidati a fare a pugni con tutti e due per una tazza di punch. Io
però non potevo accettare perché avevo un braccio al collo: non riuscivo a fare
il minimo sforzo. Due giorni prima quella canaglia della mia cavalla mi era
franata addosso e temevo di essermi rotto il braccio. Dunque, come stavo
dicendo, io non ero in grado di accettare la sfida, ma Bob non esitò un istante:
si tolse la giacca, per tre minuti tenne a bada quel tizio di Bambury e in quattro
riprese lo fece fuori. Per Dio, se lo fece fuori! E sapete perché riuscì a
stenderlo? Per il sangue! Nient'altro che per il sangue!»
«Ma voi non bevete, James,» disse l' attaché, «ai miei tempi i ragazzi di
Oxford vuotavano le bottiglie un po' più alla svelta di quel che sapete fare
voialtri, a quanto pare!»
«Adagio, adagio, vecchio mio,» disse James battendosi un dito sul lato
del naso in un gesto significativo e fissando il cugino con gli occhi resi lucidi
dalle abbondanti libagioni «niente scherzi, mi raccomando. Con me non è
nemmeno il caso di tentare. Voi cercate di farmi parlare, ma non c'è niente da
fare. Già, già, in vino veritas, vecchio mio. Mars Bacchus Apollo virorum, vero?
Vorrei proprio che la zia mandasse un po' di questo nettare al mio vecchio. È
veramente squisito.»
«Basta chiederglielo,» rispose il nostro Machiavelli, «oppure cercate di
berne quanto più potete mentre siete qui. Ricordate cosa dice il poeta? " Nunc
vino pellite curas, Cras ingens iterabimus aequor". E il seguace di Bacco, dopo
aver citato solennemente quei versi come se stesse pronunciando un discorso
alla Camera dei Comuni, alzò con un gesto vistoso il bicchiere e sorbì non più
di un dito del suo contenuto.
Al presbiterio, quando a conclusione della cena veniva aperta la bottiglia
del porto, le ragazze prendevano un'altra bottiglia, di vino comune, e ne
bevevano un bicchiere. Mrs. Bute Crawley beveva un bicchiere di porto, James
ne beveva due, e siccome il padre andava in bestia ogni qual volta lui cercava
di metter le mani sulla bottiglia, il giovanotto si adattava al vino comune,
oppure, nel segreto della scuderia, tracannava del gin-and-water fumando la
pipa in compagnia del cocchiere. A Oxford, di vino ce n'era a volontà, ma la
qualità lasciava molto a desiderare, mentre ora che in casa di sua zia la qualità
e la quantità procedevano di comune accordo, James mostrava di saperle
apprezzare entrambe quanto meritavano. E occorre aggiungere che
l'incoraggiamento del cugino era del tutto superfluo: James vuotò senza la
minima difficoltà anche la seconda bottiglia portata da Bowls.
Quando però fu la volta di bere il caffè e di far ritorno dalle signore, al
cospetto delle quali provava sempre una certa soggezione quella piacevole
disinvoltura d'eloquio lo abbandonò di colpo per lasciar posto alla consueta,
goffa timidezza. In conclusione si limitò ad esprimersi a monosillabi, guardando
Lady Jane con la coda dell'occhio e rovesciando una tazzina di caffè.
A peggiorare le cose va detto che, se James non parlava, in compenso
sbadigliava di continuo (visione in verità poco edificante), e la sua presenza
suscitò un certo malumore tra quel gruppo di persone impegnate a trascorrere
una tranquilla serata, poiché sia Miss Crawley e Lady Jane intente a giocare a
piquet, sia Miss Briggs che lavorava a maglia, sentivano i suoi occhi lucidi fissi
su di loro, e quello sguardo alterato dall'ubriachezza le metteva a disagio.
«Sembra un ragazzo molto taciturno, molto impacciato, molto timido,»
disse Miss Crawley a Mr. Pitt.
«Con gli uomini chiacchiera più volentieri che con le donne,» rispose
Machiavelli in tono asciutto, forse un po' deluso che il porto non avesse
alimentato la scarsa loquacità del ragazzo.
James aveva trascorso la mattinata scrivendo alla madre una minuziosa
e pittoresca relazione circa l'accoglienza riservatagli dalla zia. Poverino! Ancora
ignorava quale fosca tempesta si stesse addensando sul suo capo, e come il
favore di cui godeva fosse destinato a dissolversi in brevissimo volger di
tempo. La sera precedente, prima di recarsi dalla zia, al Tom Cribb's Arms era
accaduto qualcosa di assolutamente irrilevante, ma destinato ad avere
conseguenze fatali. Jim, che era per natura incline alla generosità, e dopo aver
bevuto diventava addirittura prodigo, nel corso della serata aveva
ripetutamente offerto da bere ai suoi amici, il Campione di Tutbury e l'Asso di
Rottingdean. Il beveraggio offerto era gin-and-water, onde sul conto di Mr.
James Crawley figuravano a suo carico non meno di diciotto bicchieri di tale
bevanda, al prezzo di otto pence ciascuno. Quando Mr. Bowls si recò a pagare
il conto di James per ordine della zia, non fu tanto l'ammontare della somma,
quanto il numero di quei bicchieri, a svolgere un'azione nefasta a danno del
povero giovincello. Infatti l'oste, forse temendo che tutto quel gin non gli
venisse pagato, giurò e spergiurò che era stato il giovanotto - lui e soltanto lui
- a consumare i diciotto bicchieri. Bowls pagò senza fiatare, ma non appena
tornato a casa si affrettò a mostrare il conto a Mrs. Firkin, la quale, sgomenta
di fronte a quell'inaudita consumazione del summenzionato liquore, portò la
nota a Miss Briggs nella sua qualità di capo-contabile; e quest'ultima, infine,
ritenne doveroso parlare della cosa alla sua padrona.
Se James si fosse scolato sei bottiglie di chiaretto, forse la vecchia zitella
avrebbe chiuso un occhio. Mr. Fox e Mr. Sheridan bevevano chiaretto. Era la
bevanda della nobiltà. Ma diciotto bicchieri di gin consumati in compagnia di
pugili in una lurida bettola costituivano un crimine né più né meno odioso, per
nulla facile da perdonare. Tutto congiurava ai danni del giovanotto. Stava
rincasando portandosi appresso una scia di lezzo di stalla, ove era andato a
prelevare Towzer, il suo cane, per fargli fare una passeggiata, quando
s'imbatté in Miss Crawley, accompagnata dal suo asmatico spaniel Blenheim.
Towzer l'avrebbe sbranato facendone un solo boccone, se Blenheim tra mille
guaiti non fosse corso a rifugiarsi da Miss Briggs, in cerca di protezione,
mentre il perfido padrone del boxer mostrava di divertirsi di fronte a
quell'agghiacciante spettacolo di persecuzione.
Per di più quel giorno il povero giovane sembrava aver messo da canto la
consueta timidezza. A pranzo avviò una conversazione allegra e spiritosa; ebbe
due o tre battute di spirito all'indirizzo di Pitt, bevve lo stesso quantitativo di
vino della sera innanzi e, raggiunto un adeguato grado di sicurezza, quando
passò in salotto prese a intrattenere le signore raccontando loro alcuni episodi
ameni della sua vita universitaria. Si diffuse nel commentare le diverse virtù di
Molineux e di Sam l'Olandese nello sport pugilistico, propose scherzosamente a
Lady Jane di scommettere contro di lui sul Campione di Tutbury o sull'Asso di
Rottingdean, lasciando a lei di scegliere il pugile che le ispirasse maggior
fiducia, e per completare questa trovata scherzosa propose al cugino Pitt
Crawley di battersi con lui, con o senza guantoni. «È una proposta molto
sportiva, caro mio,» disse battendogli una manata sulla spalla e scoppiando in
una risata sonora. «Anche mio padre lo ha detto. Anzi, ha aggiunto che era
disposto a pagare metà della scommessa. Ah! Ah! Ah!» E nel dir questo il
socievole giovanotto ammiccò furbescamente alla povera Miss Briggs,
indicando Pitt Crawley, che gli stava alle spalle, con un divertito e ironico gesto
del pollice.
È probabile che la cosa non riuscisse troppo gradita a Pitt, il quale
peraltro non ne fu risentito. Quanto al povero Jim, scoppiò in un'altra risata.
Allorché Miss Crawley si alzò per andare a coricarsi, il ragazzo con passo
malcerto attraversò la stanza, fece luce alla vecchia zia reggendo la candela e
la salutò col più dolciastro sorriso che possa rimediare un ubriaco. Poi a sua
volta si ritirò nella sua stanza, soddisfattissimo di sé e crogiolandosi
dolcemente all'idea che i quattrini della zitella con ogni probabilità sarebbero
finiti nelle tasche di suo padre e dei suoi familiari.
Era lecito presumere che, una volta in camera da letto, non facesse
nient'altro atto ad aggravare la situazione. E invece lo sciagurato giovanotto ci
riuscì. La luna splendeva lucente sul mare, e Jim, affascinato dalla romantica
visione del mare e del cielo - e di conseguenza attratto al davanzale della
finestra - pensò che avrebbe potuto gustarsi maggiormente lo spettacolo
facendosi una fumatina con la pipa. Nessuno, pensò avrebbe potuto percepire
l'odore del tabacco se avesse avuto la precauzione di tenere la pipa e la testa
fuori della finestra, all'aria libera. Così fece, infatti; ma dato il suo stato di
eccitazione Jim aveva dimenticato aperta la porta della camera, cosicché la
brezza che entrava dalla finestra stabiliva una corrente perfetta portando
nuvole di fragrante tabacco al piano di sotto, ove si trovavano Miss Crawley e
Miss Briggs.
Questa pipa e questo tabacco furono la goccia che fece traboccare il
vaso, e la famiglia di Bute Crawley non seppe mai quante migliaia di sterline gli
siano costati. La Firkin si precipitò da Mr. Bowls, che in quel momento era
impegnato a leggere con voce possente e cavernosa al suo aiutante di campo
qualche pagina de La padella e la brace. L'orrendo segreto gli venne rivelato
dalla Firkin con uno sguardo talmente sconvolto dallo sgomento, che a tutta
prima Bowls e il suo giannizzero pensarono a un'incursione ladresca e che la
Firkin avesse scorto le gambe del malfattore sotto il letto di Miss Crawley. Ad
ogni modo Bowls, una volta informato dell'avvenimento, senza por tempo in
mezzo corse di sopra salendo i gradini a quattro a quattro ed entrò nella
stanza dell'ignaro James gridando con voce soffocata dall'indignazione: «Mr.
James, per l'amor del cielo, smettete subito di fumare quella pipa! Oh, Mr.
James, che cos'avete fatto!» Poi con voce patetica e profondamente
addolorato, mentre gettava l'abominevole oggetto dalla finestra aggiunse:
«Miss Crawley non sopporta assolutamente il fumo!»
«Chi obbliga Miss Crawley a fumare la pipa?» rispose James scoppiando
in una risata clamorosa e del tutto inadatta alla circostanza, convinto com'era
che si trattasse di uno scherzo bello e buono. Ma fu costretto a cambiare
bruscamente idea quando l'indomani mattina l'aiutante di Mr. Bowls, il quale gli
puliva gli stivali e gli portava l'acqua calda per radersi quei quattro peli che
ambiva tanto a togliersi dalle guance, gli consegnò mentre ancora giaceva fra
le coltri un bigliettino pugno di Miss Briggs.
Egregio signore, diceva il biglietto in questione , Miss Crawley ha
trascorso una pessima notte a causa del disgustoso odore di tabacco che si è
sparso per tutta la casa. La signorina m'incarica di dirvi che non si sente bene;
pertanto è spiacentissima di non potervi salutare prima della vostra partenza, e
rimpiange di avervi indotto a lasciare quella bettola dove è sicura che potrete
trascorrere in modo più piacevole e adeguato il periodo del vostro soggiorno a
Brighton.
Così crollò la candidatura del buon James quale nipote prediletto della
zia. Forse, senza rendersene conto, aveva combattuto quell'incontro di pugilato
«sportivo» che aveva proposto al cugino Pitt.
Dove si trovava, nel frattempo, l'ex gran favorito nella corsa all eredità?
Come abbiamo visto, dopo la battaglia di Waterloo Becky e Rawdon si erano
riuniti e trascorrevano a Parigi l'inverno 1815 in un'atmosfera di festosa
spensieratezza. Rebecca era un'oculata amministratrice, e il prezzo che il
povero Jos Sedley aveva pagato per i due cavalli bastava di per sé a garantire
per almeno un anno la sussistenza della famigliola. Di conseguenza non si rese
necessario convertire in denaro «le mie pistole, quelle con cui ho ucciso in
duello il capitano Marker», né il servizio da toeletta d'oro o il mantello foderato
di zibellino. Becky l'aveva trasformato in una pelliccia per se e l'indossava per
andare a cavallo nei viali del Bois de Boulogne suscitando la generale
ammirazione. E avreste dovuto assistere all'incontro tra Rebecca e suo marito
a Cambrai, ove la consorte lo aveva raggiunto dopo l'ingresso dell'esercito: nel
momento in cui lei scucì la fodera del vestito e ne cavò orologi, gioielli,
assegni, banconote e altri oggetti di valore che vi aveva nascosto quando
aveva meditato di fuggire da Bruxelles! Tufto era affascinato e sbalordito a un
tempo, mentre Rawdon scoppiava in una fragorosa risata e continuava a
ripetere che, per Giove!, quella scena era più divertente di qualsiasi commedia
a teatro. Quando poi lei descrisse in termini di strepitosa comicità in che modo
fosse riuscita a turlupinare Jos, Rawdon si divertì moltissimo e credette
d'impazzire a furia di risate. La sua fiducia nella moglie era cieca, proprio come
i soldati francesi confidavano ciecamente in Napoleone.
A Parigi Rebecca riportò il più vivo successo. Tutte le signore della
capitale concordarono nel giudicarla affascinante. Parlava la loro lingua alla
perfezione e in brevissimo tempo acquisì la loro grazia, la loro spigliatezza, il
loro tratto. Il marito era uno sciocco (come tutti gli uomini inglesi, del resto),
ma in fondo, a Parigi, un marito stupido faceva maggiormente risaltare le
qualità della moglie. E poi era l'erede della ricca e spirituelle Miss Crawley, la
cui dimora, durante la Rivoluzione, aveva accolto tanti esponenti della nobiltà
francese. Tutti l'accolsero nei loro salotti. Una dama dell'alta aristocrazia
scrisse una lettera a Miss Crawley, che in tempi ormai lontani aveva acquistato
i suoi pizzi e i suoi gioielli senza discutere sul prezzo, e innumerevoli volte
l'aveva accolta a cena nei momenti peggiori della Rivoluzione. « Perché la
nostra cara Miss,» scrisse dunque , «non viene a Parigi a trovare i suoi nipoti e i
suoi affezionati amici di Francia.? Tutti raffolent di quell'affascinante signora e
della sua bellezza espiègle. Credete, noi ravvisiamo in lei lo stesso spirito, la
stessa grazia, lo stesso charme della nostra diletta Miss Crawley. Ieri alle
Tuileries è stata notata persino da Sua Maestà, e siamo tutte gelose delle
attenzioni che le riserva Monsieur. Avreste dovuto vedere il dispetto di una
certa Lady Bareacres (una cretina della quale spiccano, in qualsiasi riunione o
ricevimento, il naso a becco e il cappello adorno di piume) quando la duchessa
d'Angouléme, augusta figlia e parente di monarchi chiese che le venisse
presentata Mrs. Crawley in qualità di vostra figlia e protégée , e le espresse i
suoi ringraziamenti in nome della Francia per la benevola solidarietà di cui
avete dato prova ai nostri sventurati amici durante il crudele periodo dell'esilio!
Non c'è salotto nel quale non sia invitata, partecipa a tutti i balli. Ai balli
notate: non alle danze. Sì, perché questa bella e intelligente creatura, sempre
circondata dall'ammirazione del sesso mascolino sarà presto madre! A udirla
parlare di voi, sua protettrice, oserei dire sui madre, farebbe piangere un orco!
Vi è davvero affezionata come noi siamo affezionati alla nostra mirabile e
rispettabile Miss Crawley!»
Temo fortemente che questa lettera della gran dama parigina non sia
stata l'espediente migliore per far tornare Becky nelle grazie della sua mirabile
e rispettabile parente. Anzi, la vecchia zitella fu assalita da un accesso di
collera senza precedenti, quando seppe come viveva Rebecca e con quale
improntitudine avesse sfruttato il suo nome per ottenere un'entrée nell'alta
società di Parigi. Troppo sconvolta qual era sia nel fisico, sia nella psiche, per
redigere di suo pugno una risposta in francese, dettò a Miss Briggs una
furibonda lettera nella propria lingua, nella quale ripudiava formalmente Mrs.
Crawley e diffidava chiunque dal cadere nella pania di quell'astuta e perniciosa
filistea. Ma siccome la duchessa di... era vissuta solo vent'anni in Inghilterra e
non capiva un'acca d'inglese, si limitò a informare Mrs. Crawley, alla prima
occasione, che la suddetta missiva trasudava di espressioni oltremodo
benevole nei suoi confronti, cosicché Becky cominciò a nutrire serie speranze
che finalmente l'anziana zitella avesse ceduto.
Frattanto era la più brillante e ammirata fra le signore inglesi residenti a
Parigi, e la sera in cui diede un ricevimento si può dire che in casa sua ci fosse
un piccolo congresso europeo. Del resto, tutto il mondo era radunato a Parigi,
in quel memorabile inverno: vi s'incontravano cosacchi e prussiani, spagnoli e
inglesi. Quella profusione di fusciacche e decorazioni, nel modesto salotto di
Becky, avrebbe fatto crepare d'invidia tutta Baker Street. Generali dal nome
famoso cavalcavano accanto alla sua carrozza al Bois, o si mostravano nel suo
piccolo palco all'Opera. Dal canto suo Rawdon non avrebbe potuto essere di un
umore migliore: per ora, almeno a Parigi non si facevano vedere ufficiali
giudiziari. Ogni giorno c'erano feste in casa di Véry o di Beauvilliers. Ovunque
si giocava e la fortuna continuava ad assisterlo. Tufto invece appariva piuttosto
imbronciato. Mrs. Tufto, dopo essersi autoinvitata, era piombata a Parigi; ma
indipendentemente da questo inopinato contretemps, attorno alla poltrona di
Becky ormai facevano ressa una buona dozzina di generali, onde lei aveva agio
di scegliere tra una dozzina di mazzi di fiori quello che maggiormente gradiva
portare a teatro la sera. Dal canto loro, Lady Bareacres e le signore più in vista
della buona società inglese, donne tanto imbecilli quanto irreprensibili, si
torcevano di rabbia, insofferenti del successo che riscuoteva quella piccola
avventuriera, i cui scherzi velenosi raggiungevano sempre come strali i loro
castissimi petti. Gli uomini erano tutti schierati con lei, e Rebecca combatteva
facilmente contro le donne, dato che potevano sparlare di lei solo nella loro
lingua.
Così, tra fêtes, piacevoli trattenimenti e agi d'ogni genere, Mrs. Crawley
trascorse l'inverno 1815-16, ed entrò a far parte della vita del bel mondo quasi
la sua famiglia vi avesse appartenuto per secoli prima di lei. Del resto, in fatto
di arguzia, talento, energia, nessuno, alla Fiera della Vanità, si meritava quel
posto più di lei. All'inizio della primavera del 1816 il «Galignani's Journal»
pubblicava con particolare risalto la seguente notizia: «Il 26 marzo u.s. la
consorte del tenente colonnello Rawdon Crawley delle Life Guards Green ha
dato alla luce il suo primogenito.»
Questo annuncio venne ripreso dai giornali inglesi. Miss Briggs lo lesse e
ne informò Miss Crawley all'ora di colazione. L'evento mandò la zitella su tutte
le furie. Immediatamente fece convocare il nipote Pitt Crawley e Lady
Southdown a Brunswick Square, e impose che venisse celebrato senza
ulteriore indugio il matrimonio che da tanto tempo era stato deciso fra le due
famiglie. Contemporaneamente dichiarò che vita natural durante avrebbe
versato la somma di mille sterline annue a Pitt e alla cara Lady Jane Crawley,
ai quali, dopo la sua morte, sarebbe andata la quasi totalità del suo
patrimonio. Waxy venne appositamente da Londra per ratificare il contratto.
Lord Southdown condusse la sorella all'altare e le nozze vennero celebrate dal
vescovo anziché dal reverendo Bartholomew Irons, con grave disappunto del
poco ortodosso ecclesiastico.
Pitt avrebbe desiderato fare un viaggio di nozze in tutto degno delle
persone appartenenti al suo rango sociale, ma l'attaccamento della vecchia zia
a Lady Jane si era a tal punto cementato, ch'ella dichiarò di non potersi
assolutamente separare dalla sua beniamina. Di conseguenza Pitt e sua moglie
andarono ad abitare in casa di Miss Crawley, fra l'irritazione del povero Pitt che
si reputava il più disgraziato degli uomini. Infatti era costretto a sopportare sia
i capricci della zia che le fisime della suocera, perché dalla sua non distante
abitazione Lady Southdown cominciò ad esercitare il suo implacabile dominio
su tutta la famiglia: Pitt, Lady Jane, Miss Crawley, Miss Briggs, Mr. Bowls, Mrs.
Firkin e tutti gli altri. Senza un'oncia di misericordia li obbligò a leggere i suoi
opuscoli e a trangugiare le sue pozioni; inoltre congedò Creamer, installò
Rodgers in qualità di medico di famiglia e non tardò a sottrarre a Miss Crawley
le ultime parvenze di autorità. La povera vecchia divenne così timorosa, che
smise di seviziare la povera Briggs e si abbarbicò alla nuova nipote con un
misto di terrore e di affetto che andavano accentuandosi di giorno in giorno.
Pace a te, vecchia pagana amabile ed egoista, generosa e vanagloriosa! Non ti
vedremo più. Auguriamoci che Lady Jane ti abbia aiutata amorevolmente e
guidata con mano affabile a uscire dalla farraginosa lotta della Fiera della
Vanità.
XXXV • VEDOVA E MADRE
Le notizie delle grandi battaglie di Quatre Brase e di Waterloo giunsero in
Inghilterra contemporaneamente. La «Gazette» pubblicò innanzitutto l'esito dei
due combattimenti, e a questa nuova gloriosa tutto il paese fu scosso da un
sentimento di trionfo e di timore. Poi si seppero i particolari, e all'annuncio
della Vittoria seguì l'elenco dei morti e dei feriti. Chi potrebbe descrivere il
sentimento di terrore e di panico col quale si apriva e si leggeva quell'elenco!
Pensate che in ogni villaggio, praticamente in ogni singola abitazione o fattoria
dei tre regni pervenivano le notizie delle grandi battaglie svoltesi nelle Fiandre;
e provate a immaginarvi quali fossero le reazioni di giubilo e di gratitudine,
oppure di sconforto e di disperazione quando, dopo la lettura delle perdite
subite nel corso degli eventi bellici, si sapeva che un parente o un caro amico
era incolume o era caduto. Chiunque si provi, oggi, a sfogliare i giornali
dell'epoca, non può fare a meno di provare - sia pure con minor spasimo -
l'ansia attanagliante di quell'attesa. Ogni giorno il giornale riportava l'elenco
dei caduti, e si sapeva che il giorno successivo sarebbe continuato come se si
fosse trattato di un romanzo a puntate. Pensate a ciò che debbono aver
provato coloro che quotidianamente scorrevano i giornali freschi di stampa. E
se un siffatto interesse animava i nostri concittadini dopo una battaglia che
aveva impegnato ventimila uomini, pensate a quali debbono essere state le
condizioni dell'Europa nei vent'anni precedenti, quando gli uomini si trovarono
a combattere non a migliaia ma a milioni. Ognuno di quegli uomini, quando
colpiva il proprio nemico, colpiva nel modo più orrendo un cuore innocente che
pulsava a miglia e miglia di distanza.
La notizia che la famosa «Gazette» recò agli Osborne fu un colpo terribile
per tutta la famiglia e per il suo capo. Le ragazze si abbandonarono al loro
dolore senza ritegno. Il vecchio padre, già cupo e afflitto, parve addirittura
sopraffatto dal suo doloroso destino e si ostinò a coltivare la convinzione che il
figlio fosse stato punito da Dio a causa della sua disubbidienza. Non osava
ammettere che quella punizione, così severa, lo colmava di spavento, e che era
giunta troppo presto, come causata dalle sue maledizioni. A volte rabbrividiva
di terrore, come se fosse stato lui a firmare quella condanna, invocandola sul
capo del proprio figliolo. Prima la possibilità di una riconciliazione era aperta: la
moglie del figlio sarebbe potuta morire, oppure George avrebbe potuto far
ritorno da lui e dire: «Padre mio, ho sbagliato.» Adesso invece non c'era più
speranza. Ormai George aveva raggiunto la riva opposta del fiume: di quel
fiume che non si può attraversare, e i suoi occhi tristi continuavano a fissare il
genitore Tristi, sì: così ricordava gli occhi di George. Li aveva veduti tristi una
volta, tanto tempo fa, quando si era ammalato e tutti avevano temuto per la
sua vita. Era ancora un fanciullo e giaceva nel suo letto con espressione cupa e
desolata. Ah, come il padre si era aggrappato alla parola dei medici, allora!
Con quale ansia terribile aveva seguito il decorso della malattia Da quale peso
spaventoso era stato liberato il suo cuore quando, superata la fase cruciale del
morbo, il giovinetto era guarito e di nuovo i suoi occhi avevano riconosciuto il
volto paterno! Ora invece tutto era vano: cure, assistenza, speranze di
riconciliazione. Ma soprattutto nessuna parola che esprimesse sottomissione
avrebbe placato la vanità offesa di Mr. Osborne o addolcito il suo sangue
avvelenato dall'ira. È difficile determinare quale angoscia recasse maggior
tormento al cuore del padre indignato: che il figlio non avesse più alcuna
possibilità di accogliere il suo perdono, o che non potesse più rivolgergli quelle
parole di scusa che l'orgoglio paterno esigeva.
Ad ogni modo, quali che fossero in realtà i suoi sentimenti quel vecchio
implacabile non volle palesarli a nessuno. Non profferì mai il nome di George
davanti alle figlie, ma impose alla maggiore che in casa tutte le donne
vestissero a lutto, e pretese altresì che la servitù portasse il lutto stretto.
Inutile dire che feste e ricevimenti vennero disdetti. Nessuna comunicazione in
proposito venne data al futuro genero circa il matrimonio del quale era già
stata fissata la data, d'altra parte l'espressione di Mr. Osborne bastava di per
se a dissuadere Mr. Bullock dal fargli qualsiasi domanda o dal tentare di
accelerare le nozze. Pertanto si accontentava d'intrattenersi nel salottino
parlando a bassa voce con le signorine, perché in quella stanza il vecchio non
metteva mai piede. Mr. Osborne non si allontanava mai dal suo studio. Inoltre,
per un lungo periodo dopo la fine del lutto, le finestre della facciata rimasero
ermeticamente chiuse.
Erano trascorse circa tre settimane dal 18 giugno, quando un conoscente
di Mr. Osborne, Sir William Dobbin, si presentò alla casa di Russell Square e,
turbato, pallido in volto, chiese con insistenza un abboccamento col padrone di
casa. Venne pertanto introdotto nella sua stanza, e dopo qualche parola
preliminare che riuscì inintelligibile, vuoi al padrone di casa, vuoi al suo ospite,
quest'ultimo trasse da una busta una lettera chiusa da un vistoso sigillo di
ceralacca scarlatta.
«Mio figlio, il maggiore Dobbin,» prese a dire in tono alquanto esitante,
«mi ha inviato una lettera per il tramite di un ufficiale del ...° Reggimento che
è giunto oggi. La lettera di mio figlio ne contiene una anche per voi, Osborne.»
Il consigliere posò la lettera sul tavolo e Osborne indugiò qualche istante
a guardarla senza dir parola. Quello sguardo colmò di sgomento il latore della
missiva che, dopo esser rimasto a sua volta a osservare per un momento
l'anziano signore sopraffatto dal dolore, quasi si sentisse colpevole di qualcosa,
si affrettò a lasciare silenziosamente quella stanza.
La lettera recava i caratteri fermi e ben noti della scrittura di George, ed
era la stessa che aveva scritto all'alba del 16 giugno, prima di accomiatarsi da
Amelia. Il grosso sigillo rosso portava impresso lo stemma che George aveva
tratto dal Peerage, col motto « Pax in bello»: lo stemma ducale del casato col
quale il vecchio presuntuoso lasciava credere di essere imparentato. La mano
che aveva vergato quelle parole non avrebbe più retto né la penna né la spada.
Persino il sigillo era stato depredato sul campo di battaglia, dalla salma di
George appena spirato. Questo particolare era ignoto al padre, che peraltro
rimaneva seduto, fissando la lettera con occhi pervasi di angoscia e di
smarrimento. Alla fine l'aprì e per poco non venne meno.
Vi è mai accaduto di litigare con un intimo amico? Come vi fanno soffrire,
quale rimorso suscitano in voi le lettere che costui vi ha scritto quando tra Voi
regnavano solo affetto e confidenza! Quale malinconia indugiare sopra quelle
impetuose attestazioni di un affetto ormai estinto! Quali epitaffi menzogneri
recano, sulla tomba di quell'affetto! Quale squallido e crudele commento alla
vanità delle cose terrene! Chi di noi non ne possiede (o non ne ha scritte) da
colmarne cassetti interi? Sono cadaveri che teniamo celati, sforzandoci di
scordarne l'esistenza. A lungo Osborne fu scosso da tremiti nel guardare la
lettera del figlio morto.
La lettera del povero giovane non diceva gran che. Era stato troppo
orgoglioso, in vita, per affidare alla parola scritta la commozione che aveva
provato in quel momento. Si limitava a dire come, alla vigilia della battaglia,
desiderasse dire addio al padre e implorare solennemente il suo aiuto per la
moglie e forse, per il figlio nascituro. Confessava il suo pentimento nei
riconoscere senza riserve come la sua vita disordinata e scialacquatrice avesse
già dilapidato gran parte dell'eredità materna. Infine ringraziava il padre per la
generosità sempre dimostrata nei suoi riguardi e gli prometteva di comportarsi
in modo degno del nome di George Osborne, sia che cadesse sul campo, sia
che sopravvivesse al combattimento.
Il suo orgoglio, la sua educazione prettamente britannica fors'anche una
certa dose di goffaggine, gli avevano impedito di dire di più. Il padre non vide
la crocetta che George aveva apposto in alto, prima del testo della lettera; il
segno di un bacio. Mr. Osborne lasciò cadere il foglio in preda al dolore cocente
e mortale dell'affetto respinto, della vendetta frustrata. Quel figlio era ancora
adorato, non ancora perdonato.
Tuttavia, trascorsi un paio di mesi, una volta che le sorelle Osborne si
erano recate in chiesa insieme col padre, constatarono che quest'ultimo aveva
scelto una panca diversa da quella ov'era solito sedere quando presenziava al
servizio divino; e che dal suo posto fissava con insistenza la parete sopra le
loro teste. Pertanto anche le signorine guardarono nella direzione ov'era fisso
lo sguardo tetro del genitore, e sulla parete videro un complicato monumento
ove Britannia era raffigurata nell'atto di piangere sopra un'urna, mentre una
spada spezzata e un leone prostrato indicavano come quell'opera scultorea
fosse stata eretta in onore di un guerriero caduto. A quell'epoca gli scultori si
sbizzarrivano in siffatti simboli funerari, come si può osservare dando
un'occhiata alle pareti della cattedrale di St. Paul, letteralmente rivestite di
centinaia di siffatte, retoriche allegorie pagane delle quali vi fu continua
richiesta nei primi tre lustri del nostro secolo.
Sotto il monumento celebrativo in questione era scolpito il ben noto e
pomposo stemma degli Osborne, mentre un'epigrafe dicava. «Dedicato alla
memoria di George Osborne junior, capitano del ...° Reggimento di fanteria di
Sua Maestà, caduto il 18 giugno 1815 all'età di 28 anni combattendo per il re e
per la patria nella gloriosa battaglia di Waterloo. Dulce et decorum est pro
patria mori.»
La vista di quel monumento funebre sconvolse a tal punto le due sorelle,
che Miss Maria si vide costretta a uscir di chiesa. I fedeli aprirono
rispettosamente un varco per lasciar passare le due donne scosse dai
singhiozzi, vestite a lutto, e guardarono con occhio compassionevole il povero
vecchio padre, seduto di fronte alla pietra funeraria che ricordava l'eroe
deceduto in combattimento. «Riuscirà mai a perdonare la moglie di George?»
si chiesero le sorelle non appena ebbero superato il primo accesso di dolore.
Anche gli amici degli Osborne, informati della rottura tra padre e figlio causata
dalle nozze di quest'ultimo, si scambiavano innumerevoli congetture circa
l'eventualità di una riconciliazione con la giovane vedova. Più d'uno, sia nella
City che in Russell Square, arrischiava addirittura delle scommesse in
proposito.
Se le due sorelle nutrivano qualche ansietà circa l'ipotesi che Amelia
venisse accettata in seno alla famiglia, le loro apprensioni si accentuarono
quando in autunno il padre esternò il suo proposito di recarsi all'estero. Non
precisò dove intendesse andare, ma le figlie compresero all'istante che la sua
meta era il Belgio, così come sapevano che la vedova di George si trovava
tuttora a Bruxelles. In effetti, esse erano abbastanza informate sulla sorte di
Amelia tramite Lady Dobbin e le sue figliole. L'ottimo capitano Dobbin era stato
promosso in seguito alla morte in battaglia del secondo maggiore del
reggimento, e l'ardimentoso maggiore O'Dowd, che in quell'occasione aveva
dimostrato una volta di più di esser dotato di coraggio e sangue freddo, era
diventato colonnello nonché cavaliere dell'Ordine del Bagno.
Nel corso di quell'autunno, innumerevoli combattenti del prode ...°
Reggimento che nelle due battaglie avevano subito pesantissime perdite, si
trovavano ancora a Bruxelles, quivi costretti a soggiornare per curarvi le loro
ferite. Nel corso dei mesi successivi alla campagna di guerra, in pratica la città
era diventata un immenso ospedale militare. Poi, a mano a mano che soldati e
ufficiali guarivano, i giardini pubblici e i luoghi di divertimento andavano
popolandosi di guerrieri invalidi vecchi e giovani, i quali, ormai scampati alla
morte, cedevano alla tentazione del gioco e dei divertimenti, e riprendevano a
fare all'amore secondo le inveterate regole che vigono alla Fiera della Vanità.
Mr. Osborne non ebbe dunque difficoltà a imbattersi in qualcuno del ...°
Reggimento. Ne conosceva benissimo l'uniforme e ne aveva sempre seguito
promozioni e trasferimenti, così come in altri tempi si compiaceva di parlare
dei suoi ufficiali quasi fosse stato uno di loro. Fu così che, il giorno stesso del
suo arrivo a Bruxelles, uscendo dall'albergo che dava sul parco, vide un soldato
con le ben note mostrine seduto su una panchina di pietra del giardino, e andò
a sedere tremebondo accanto a quel ferito in via di guarigione.
«Per caso facevate parte della compagnia del capitano Osborne?»
domandò. E aggiunse dopo una pausa: «Era mio figlio.»
Il soldato non apparteneva alla compagnia del capitano Osborne, ma
sollevò il braccio incolume per portarvi la mano al chepì in segno di mesto e
rispettoso saluto al vecchio smarrito e sconsolato che gli aveva rivolto quella
domanda. «In tutto l'esercito,» disse il militare, «non c'era un ufficiale più
bravo, più coraggioso.» Però il sergente della compagnia del capitano Osborne,
che adesso era diventata la compagnia del capitano Raymond, si trovava in
città, essendosi da poco ripreso da una ferita alla spalla. Sua Signoria poteva
rivolgersi a lui: il sergente avrebbe potuto dirgli tutto quello che desiderava
su... sull'azione del ...° Reggimento. Ma senza dubbio Sua Signoria si era già
incontrata col maggiore Dobbin, che era grande amico del defunto capitano. E
poi anche Mrs. Osborne si trovava ancora a Bruxelles; a quanto gli avevano
riferito, era stata molto male. Per sei settimane, se non di più, avevano temuto
che smarrisse la ragione. «Ma sicuramente Vostra Signoria è informata di tutto
ciò. Chiedo scusa,» concluse l'uomo.
Mr. Osborne mise una ghinea nelle mani del soldato e gli promise di
dargliene un'altra se gli avesse condotto il sergente all'Hotel du Parc:
argomento che ebbe l'effetto di condurre senza indugio l'ambito ufficiale alla
presenza di Osborne. Poi il soldato se ne andò, e avendo raccontato a due o tre
commilitoni che era giunto il padre del capitano Osborne, e che era un
gentiluomo molto generoso, andarono insieme a consumare - mangiando e
bevendo a volontà - le due ghinee uscite dalla borsa orgogliosa del vecchio
padre in gramaglie.
In compagnia del sergente Mr. Osborne si recò a Quatre Bras e a
Waterloo: un pellegrinaggio che in quei giorni compivano, come lui, migliaia di
suoi concittadini. Accolse il sergente a bordo della sua carrozza, e con quella
guida percorse i due campi di battaglia. Vide in quale punto della strada il
reggimento era entrato in azione il giorno 16, e il pendio dell'altura donde
aveva respinto la cavalleria francese che incalzava le truppe belghe in rotta. In
quel punto il nobile capitano aveva ucciso l'ufficiale francese impegnato in un
corpo a corpo con l'alfiere per strappargli la bandiera, perché il sergente
portabandiera era stato ucciso. Lungo quella stessa strada il giorno seguente si
erano ritirati e quella era l'altura sulla quale la notte del 17 il reggimento aveva
bivaccato sotto la pioggia. Più in là c'era la posizione che avevano conquistato
e difeso per tutta la giornata, serrando di tanto in tanto le file per reggere
l'assalto della cavalleria nemica, e gettandosi a terra sul pendio opposto
dell'altura per proteggersi dal furioso cannoneggiamento francese. Ed era su
quel declivio, ove la sera lo schieramento inglese aveva avuto l'ordine di
avanzare sul nemico che si ritirava dopo l'ultima carica, che il capitano
Osborne, gridando urrah e correndo a precipizio giù per la scarpata della
collina a spada sguainata, era stato colpito da una fucilata stramazzando a
terra esanime. «Come saprete, è stato il maggiore Dobbin a far riportare il
corpo del capitano, a Bruxelles e a farvelo seppellire,» disse il sergente a bassa
voce. Frattanto, mentre il sergente raccontava i particolari di quell'episodio
attorno a loro si aggiravano contadini e venditori di reliquie belliche, i quali a
gran voce offrivano ogni sorta di ricordi: croci, spalline, aquile, corazze.
Dopo aver visitato i luoghi che avevano visto le gesta estreme di suo
figlio, Osborne prese congedo dal sergente e gli diede una lauta ricompensa.
Aveva già visitato la tomba di George: vi si era recato subito dopo il suo arrivo
a Bruxelles. Le spoglie di George riposavano nel grazioso camposanto di
Laeken, non lontano dalla città. Era il luogo nel quale, un giorno che vi si era
recato nel corso di un'allegra scampagnata fra amici, aveva espresso il
desiderio di essere seppellito. Quivi il corpo del giovane ufficiale era stato
deposto dall'amico Dobbin, in un angolo sconsacrato del recinto che una
piccola siepe separava dai tempietti, dalle cappelletto, dai monumenti di varia
foggia, dai cespugli e dalle piantagioni fiorite sotto i quali dormono i defunti di
fede cattolica romana Parve umiliante a! vecchio Osborne che suo figlio, un
gentiluomo inglese, capitano dl un esercito glorioso come quello britannico,
non fosse stato reputato degno di giacere nella stessa terra ove venivano
sepolti i corpi di stranieri qualsiasi. Chi di noi può dire quanta vanità si celi
dietro le premurose cure che abbiamo per gli altri e quanto egoistico sia, per
contro, il nostro amore? Ad ogni modo il vecchio Osborne non indugiò molto a
meditare sui suoi sentimenti così intricati, e sulla lotta in atto, nel suo intimo,
tra affetto istintivo ed egoismo. Era saldamente convinto di aver sempre
ragione, e che tutti dovessero agire in conformità a quanto lui diceva, e, al pari
del pungiglione della vespa o del morso del serpente, il suo odio si avventava,
velenoso, bellicoso, contro chiunque gli si opponesse. Era fiero del suo odio,
com'era fiero di tutto ciò che lo riguardava. Aver sempre ragione, procedere
calpestando tutto e tutti senza mai esser colti dal dubbio, non sono forse le
eccelse qualità che consentono alla stoltezza d'imperare sul mondo?
Mentre verso il tramonto, di ritorno da Waterloo la carrozza di Mr.
Osborne rientrava in città, incrociò un'altra carrozza nella quale sedevano due
signore e un uomo in borghese, e di fianco alla quale cavalcava un ufficiale.
Osborne ebbe un sussulto, e il sergente, seduto accanto a lui, gli lanciò
un'occhiata sorpresa mentre si portava la mano al chepì per salutare l'ufficiale,
che meccanicamente rispose. Era Amelia, accanto alla quale sedeva il giovane
sottotenente zoppo, mentre di fronte a lei aveva preso posto la fedele amica
Mrs. O'Dowd. Sì, era proprio lei: Amelia. Ma quant'era mutata dalla fresca e
leggiadra fanciulla che Osborne aveva conosciuto! Il viso era pallido, emaciato.
I bei capelli bruni, spartiti sulla fronte, erano celati dalla cuffietta vedovile.
Poverina! Il suo sguardo vagava nel vuoto, indifferente a tutto. E quegli occhi
fissarono il viso del vecchio Osborne, mentre le carrozze s'incrociavano, ma
non lo riconobbero. Nemmeno lui, del resto, la riconobbe, fin quando alzò lo
sguardo e vide che l'ufficiale che cavalcava di fianco alla carrozza era Dobbin.
Solo allora comprese chi era. La odiava non sapeva di odiarla tanto sino a
quando non se la trovò davanti. Quando la carrozza fu passata, si volse a
guardare il sergente con un'espressione mista di sdegno e di sfida, con la quale
sembrava volesse dire al suo interlocutore, che non poteva esimersi
dall'osservarlo: «Come osate guardarmi? La odio, certo che la odio. È lei che
ha messo fine alle mie speranze e ha dilacerato il mio orgoglio.» «Dite a quel
mascalzone che corra di più!» con una bestemmia urlò allo staffiere che sedeva
a cassetta. Ma poco dopo dietro la carrozza risuonò uno scalpitio di zoccoli. Era
Dobbin che si stava avvicinando. Nel momento in cui le due carrozze si erano
incrociate il pensiero di Dobbin era rivolto altrove, e solo dopo gli era riuscito di
puntualizzare e rendersi conto che nella carrozza passata accanto alla loro
sedeva Mr. Osborne. Allora si era subito volto a guardare Amelia, per cercar di
capire se la vista del suocero avesse suscitato in lei qualche emozione, ma la
povera giovane non sapeva proprio chi fosse l'uomo che le era passato
accanto.
William, che era solito accompagnarla nel corso della sua quotidiana
passeggiata in carrozza, dopo questa constatazione levò prontamente di tasca
l'orologio, disse di essersi ricordato all'improvviso di un precedente impegno e,
scusatosi con le signore, si allontanò. Ma Amelia non si accorse nemmeno di
questo: i suoi occhi rimasero fissi a contemplare quel paesaggio ormai
familiare, quei boschi che s'intravedevano in lontananza, verso i quali George,
quel giorno, si era allontanato.
«Mr. Osborne! Mr. Osborne!» gridò Dobbin mentre il suo cavallo si
accostava alla carrozza del vecchio signore, e protendendo una mano. Osborne
non si sporse per stringerla, ma al contrario gridò una volta ancora al
conducente di accelerare l'andatura.
«Signore, debbo parlarvi,» disse Dobbin appoggiando una mano allo
sportello della carrozza. «Ho un messaggio per Voi.»
«Da parte di quella donna?» chiese Osborne con voce alterata dalla
collera.
«No,» rispose Dobbin, «da parte di vostro figlio.»
A queste parole Osborne ricadde sul sedile senza replicare, e Dobbin,
continuando a cavalcare di fianco alla carrozza, attraversò l'intera città fino a
quando giunsero all'albergo di Mr. Osborne senza scambiarsi una sola sillaba.
Qui Dobbin seguì Osborne nelle sue stanze. George le conosceva bene quelle
camere: erano le stesse che i Crawley avevano occupato durante il loro
soggiorno a Bruxelles.
«Desiderate forse qualcosa da me, capitano Dobbin? Oh scusatemi.
Dovrei dire maggiore Dobbin, dal momento che uomini migliori di voi sono
caduti in battaglia e voi avete avuto modo di soppiantarli tranquillamente!»
esclamò Mr. Osborne facendo appello a quel tono sarcastico che a volte si
compiaceva di assumere.
«È vero,» confermò Dobbin, «uomini migliori di me sono morti. Ed è
appunto di uno di loro che intendo parlarvi.»
«Allora siate breve, signore,» rispose l'altro, sbottando in
un'imprecazione e fissando il suo interlocutore con la fronti corrugata.
«Se mi trovo qui è perché ero il migliore amico di George sono il suo
esecutore testamentario,» riprese a dire il maggiore. «Vostro figlio ha fatto
testamento prima che iniziassero le operazioni belliche. Sapete quanto siano
scarsi i suoi mezzi e in quali strettezze viva la sua vedova?»
«Non conosco la sua vedova, signore,» rispose Osborne. «Del resto, non
ha che da tornare da suo padre.» Ma Dobbin era ben deciso a non perder le
staffe e continuò a parlare, incurante delle astiose parole del vecchio.
«Conoscete, signore, in quali condizioni fisiche e psichiche versi Mrs.
Osborne? Ella è stata così scossa dalla calamità che si è abbattuta su di lei che
difficilmente riuscirà a riprendersi. Le rimane una sola speranza, e di questo
appunto sono venuto a parlarvi. Presto sarà madre. Vorreste dunque far
ricadere la colpa del padre sul capo del bambino? O invece perdonerete al
bimbo per amore di George?»
Osborne esplose in un profluvio di imprecazioni e di lodi di se stesso. Le
seconde miravano a dilatare la portata del cattivo comportamento di George,
mentre con le prime cercava di mostrare la propria condotta di fronte alla sua
coscienza. Nessun padre in tutta l'Inghilterra avrebbe potuto comportarsi così
generosamente nei confronti di un figlio, il quale si era ignominiosamente
ribellato alla sua volontà. Era morto senza nemmeno riconoscere i propri
errori, quindi era giusto subisse le conseguenze della sua follia, della sua
irresponsabilità. Quanto a lui, era una persona coerente: aveva giurato di
ignorare quella donna e di non riconoscere mai in lei la moglie di suo figlio. «Vi
autorizzo, anzi, a riferirglielo: ditele che sarò fedele a questo proposito sino
alla fine dei miei giorni.»
Dunque, da quella parte non c'era speranza alcuna. La vedova avrebbe
dovuto vivere con la sua modesta pensione e con gli aiuti che eventualmente
avrebbe potuto ricevere da Jos. «Anche se lo dicessi ad Amelia, la cosa la
lascerebbe indifferente,» pensò Dobbin. Infatti dal giorno della disgrazia la
mente della povera infelice non sembrava rendersi conto della realtà delle
cose, ed ella, in muta e sconsolata contemplazione del proprio dolore, non
reagiva né al bene né al male. E purtroppo reagiva allo stesso modo anche alla
gentilezza e all'amicizia. Ne accoglieva le attestazioni senza accorgersene, per
poi ritornare - dopo averle accettate - al suo disperato dolore.
Ammettiamo che dal momento in cui si era svolta questa conversazione
siano trascorsi dodici mesi di vita della nostra povera Amelia, una parte dei
quali consumati in uno stato di così tragico dolore, di così cieca prostrazione,
che persino noi, osservatori e commentatori di quel dolce, tenero cuore,
abbiamo dovuto ritrarci al cospetto di quello strazio indicibile che lo faceva
sanguinare. Ci siamo allontanati in silenzio dal letto su cui posava mestamente
quella creatura sfiancata dalla sua pena. Dolcemente abbiamo richiuso la porta
della stanza buia nella quale essa trascorreva il suo tempo soffrendo, come
fecero i buoni che si presero cura di lei durante i primi cinque mesi del suo
soffrire, e che non l'abbandonarono mai fino a quando il Cielo non le mandò
qualcuno capace di recarle conforto. Poiché venne un giorno - un giorno di
letizia straordinaria e quasi inverosimile - in cui la povera donna, così giovane
e già vedova, strinse al seno un bambino: un bambino con gli occhi di George
che non c'era più, un maschietto bello come un cherubino! Quale miracolo fu
per lei udire il suo primo vagito! Come pianse e rise di felicità, mentre in lei
rinascevano fede, speranza, amore! Amelia era salva. I medici che l'avevano
curata e avevano temuto per la sua vita e per la sua ragione, avevano atteso
ansiosamente quella crisi definitiva per potersi pronunciare e dichiarare che
l'una e l'altra fossero salve. Il suo sguardo, che ora tornava a volgersi su di
loro, luminoso e pervaso di tenerezza, ricompensava gli amici che senza requie
l'avevano assistita nei lunghi mesi di dubbio e di angoscia.
Fra questi amici figurava il nostro Dobbin. Era stato lui a ricondurla in
Inghilterra in casa della madre quando Mrs. O'Dowd, in conseguenza di un
perentorio appello giuntole dal colonnello suo consorte, era stata costretta ad
abbandonare la sua paziente. La vista di Dobbin che reggeva tra le braccia il
piccolo sotto lo sguardo trionfante di Amelia, che ora talvolta persino rideva,
avrebbe divertito chiunque fosse stato dotato di un minimo senso
dell'umorismo. Fu lui il padrino del bimbo, e con tutta la miglior volontà si
diede ad acquistare scodelle, tazze, cucchiai e succhiotti per il suo figlioccio.
Sarebbe ozioso, in questa sede, raccontare come la madre abbia allevato
e vestito il suo bimbo, come abbia vissuto in funzione totale della di lui
esistenza: come abbia rifiutato l'assistenza di bambinaie e solo in rarissime
occasioni abbia permesso a mani diverse dalle sue di toccare il bambino; e
come abbia sempre considerato un altissimo privilegio - il massimo che
potesse accordare al padrino - quello di consentirgli di cullare talvolta il piccino
tra le sue braccia. Quel bimbo era tutta la sua vita. La sua esistenza era una
carezza materna. Amelia avvolgeva quella tenera, ignara creatura nel suo
amore, nella sua adorazione. Era la sua vita che il bimbo succhiava dal suo
seno. Di notte, quando era sola, si abbandonava a segreti, intensi rapimenti
materni: quelli che la meravigliosa Provvidenza divina ha ritenuto di concedere
all'istinto femminile: gioie tanto più alte e tanto più basse di quelle offerte dalla
ragione; cieca, meravigliosa devozione che solo il cuore di una donna conosce.
A William Dobbin restava il compito di studiare queste manifestazioni di Amelia
e indagare nei moti del suo cuore. E se in virtù del suo grande amore gli
riusciva di interpretare tutti i sentimenti che lo agitavano, ahimè, la sua
perspicacia fatalmente lo portava a concludere che in quel cuore non c'era
posto per lui. Così Dobbin, rassegnato, accettava il proprio destino con una
sorta di serena letizia.
Ritengo che i genitori di Amelia interpretassero nel giusto senso i
sentimenti del maggiore nei confronti di Amelia, e si guardassero bene dallo
scoraggiarli. Infatti non c'era giorno in cui Dobbin non si recasse in visita da
loro, trattenendosi per ore a conversare con Amelia, o col bravo padrone di
casa, Mr. Clapp, e con i suoi familiari. Con vari pretesti portava sempre regali
per tutti, e la bambina del padrone di casa, alla quale Amelia era molto
affezionata, gli aveva appioppato il nomignolo di maggiore Zuccherofilato. Di
solito spettava appunto a questa bimba fungere da cerimoniere, recando il
maggiore alla presenza di Mrs. Osborne. E rise di gusto il giorno in cui vide il
maggiore Zuccherofilato arrivare a Fulham in carrozza e scenderne con le
braccia cariche di un tamburo, di una tromba, di un cavalluccio di legno e di
altri balocchi del genere destinati al piccolo Georgy che non aveva ancora sei
mesi e per il quale siffatti oggetti erano assolutamente prematuri!
Il piccolo dormiva. «Ssst!» fece Amelia, forse indispettita perché gli
stivali del maggiore scricchiolavano. Poi gli tese la mano, e sorrise perché,
prima di stringergliela, Dobbin dovette liberarsi le braccia del suo carico di
giocattoli. «Ora scendi al piano di sotto, Mary,» disse William dopo un poco,
rivolto alla bambina «Devo parlare a Mrs. Osborne.» Amelia lo guardò sorpresa
e posò il piccino sul letto.
«Sono venuto a salutarvi, Amelia,» disse il maggiore, prendendole
gentilmente la piccola mano affusolata.
«A salutarmi? Dove andate?» chiese lei con un sorriso.
«Se vorrete scrivermi indirizzate le lettere alla mia banca,» rispose
Dobbin. «Provvederanno loro a farmele recapitare. Mi scriverete, vero? Starò
via a lungo.»
«Vi manderò notizie di Georgy,» disse Amelia. «Caro William, come siete
stato buono con lui e con me. Guardatelo non sembra un angioletto?»
La manina rosea del bimbo si strinse con moto meccanico intorno al dito
del buon soldato, e gli occhi di Amelia brillarono di gioia materna. Lo sguardo
più crudele non avrebbe potuto ferire Dobbin più di quell'occhiata, carica di una
gentilezza che per lui escludeva ogni speranza. Si chinò sul bambino e sulla
madre. Per qualche istante non riuscì a parlare, e solo con uno sforzo estremo
riuscì a profferire un «Dio vi benedica». «Dio vi benedica!» rispose Amelia, e
sollevando il viso gli diede un bacio.
«Ssst! Non svegliate Georgy!» aggiunse, mentre William Dobbin si
avvicinava alla porta con passo pesante. Amelia non udì il rumore delle ruote
della carrozza che si allontanava: contemplava il bimbo che rideva nel sonno.
XXXVI • COME RIUSCIRE A CAVARSELA. SENZA UN SOLDO DI RENDITA
Suppongo che in questa nostra Fiera della Vanità non vi sia una sola
persona così povera di spirito di osservazione da non interessarsi di tanto in
tanto ai casi personali dei suoi conoscenti, o dotata di un così profondo spirito
di carità da non chiedersi come facciano i loro vicini Mr. Jones o Mr. Smith a
sbarcare il lunario. Per esempio (e tenuto conto che la famiglia in questione
m'invita a cena due o tre volte all'anno) con tutto il riguardo per gli Jenkins,
non posso fare a meno di confessare che il vederli comparire per i viali di Hyde
Park con una favolosa carrozza e tre granatieri in veste di staffieri, non cesserà
di stupirmi fino all'ultimo dei miei giorni. So perfettamente che la carrozza è in
affitto e gli staffieri sono a mezzo servizio; tuttavia so altrettanto bene che
quella carrozza e quei tre domestici significano una spesa di seicento sterline
all'anno, come minimo. Ci sono poi gli splendidi pranzi, gli studi a Eton per i
due ragazzi, l'istitutrice e gli insegnanti per le ragazze, un viaggio all'estero
ogni tanto e, in autunno, i soggiorni a Worthing o a Eastbourne, senza contare
l'annuale cena danzante da Gunter (che, tra parentesi, allestisce buona parte
dei pranzi di prim'ordine che gli J. sono soliti offrire: circostanza a me nota per
esser stato invitato a uno di essi onde colmare il posto lasciato vacante da un
commensale che non si era presentato. Ho avuto agio così di constatare che
detti pranzi sono di gran lunga superiori a quelli normali, ai quali vengono
invitati i conoscenti degli Jenkins di condizione sociale più modesta). Ebbene,
dico io: chi, anche se si tratta della persona più benevola di questa terra, può
esimersi dal domandarsi come gli Jenkins riescano a cavarsela? Chi è questo
Jenkins, alla resa dei conti: lo sappiamo tutti: è un funzionario dell'Ufficio del
Sigillo, con uno stipendio di 1.200 sterline annue. Forse sua moglie fruisce di
un cospicuo patrimonio personale? Nemmeno per sogno! Era una certa Miss
Flint, una degli undici figli di un nobile del Buckinghamshire, per nulla
danaroso! Al massimo, la famiglia le manderà il tacchino a Natale, e lei in
compenso dovrà provvedere al mantenimento di due o tre sorelle a Londra
(non però durante la stagione) e ospitare i fratelli quando calano in città.
Dunque, come fa Jenkins a barcamenarsi se le sue entrate sono quelle
menzionate poc'anzi? Io mi chiedo come mai non lo abbiano ancora messo al
Bando; e come mai l'anno scorso (tra la sorpresa generale) sia rientrato da
Boulogne.
Naturalmente il pronome «io» nel caso in questione vuole alludere alla
gente in generale, la Mrs. Grundy della cerchia personale di ogni cortese
lettore, il quale senza dubbio conosce almeno tre o quattro famiglie delle quali
proprio non si sa come riescano a campare. Dubito che a qualcuno di noi non
sia capitato di bere Dio sa quanti bicchieri di vino chiacchierando del più e del
meno col munifico anfitrione, e domandandosi nel frattempo come diavolo
riuscisse a pagare quella costosa bevanda.
Orbene; circa tre o quattro anni dopo la loro permanenza a Parigi,
Rawdon Crawley e signora abitavano in una confortevole casa di Curzon Street,
in Mayfair e non c'era uno dei numerosi amici ch'erano soliti invitare a cena,
che al loro riguardo non si ponesse il sopraddetto interrogativo.
Come già abbiamo detto, il romanziere sa tutto; e siccome io sono in
grado di rivelare al pubblico come facessero Rawdon e sua moglie a vivere
senza un quattrino di rendita, desidero invitare i giornali che usano pubblicare
romanzi a puntate di non ristampare questa storia, e men che meno i calcoli
che sto per esporre: da questi, infatti, spetta a me cavare i benefici del caso,
perché sono stato io a farli e non senza fatica. Figlio mio, gli direi, se Dio mi
avesse accordato la benedizione di esser padre, tu potrai sempre riuscire a
scoprire - frequentando una data persona e indagando sul suo conto - come
riesca a vivere senza un soldo di rendita. Ma è meglio non entrare in rapporti
d'intima amicizia con questa gente: questi calcoli è meglio farli fare agli altri e
poi essere messi al corrente, proprio come si fa coi logaritmi: fatti di persona,
vengono sempre a costare piuttosto cari.
Dunque, senza un soldo per annum, e per un periodo di due o tre anni
sui quali non avremo agio d'indugiare a lungo, Rawdon e Rebecca vissero a
Parigi felici e contenti. In questo periodo lui diede le dimissioni dalle Guardie e
dall'Esercito. Al momento in cui lo ritroviamo i baffi, e la qualifica di colonnello
sono tutto quanto gli rimane della sua carriera militare.
Abbiamo riferito come Rebecca, poco dopo il suo arrivo nella capitale
francese, fosse riuscita a raggiungere un ruolo di rilievo nell'alta società di
Parigi, ed era sempre accolta con la massima cordialità nelle case
dell'aristocrazia, che con la restaurazione monarchica aveva ritrovato il suo
antico ruolo. Gli inglesi della buona società che vivevano a Parigi le facevano la
corte, suscitando il risentimento delle legittime consorti, che provavano la più
viva antipatia per quella parvenue. Per qualche mese i salotti del Faubourg
Sait-Germain, ove ormai il suo posto era assicurato, e gli splendori della nuova
Corte, ov'era accolta con il massimo riguardo, colmarono d'intima
soddisfazione Mrs. Crawley, e forse le diedero alla testa: infatti, per tutto il
tempo in cui durò quella breve, esaltante stagione, ella manifestò la tendenza
a trattare con albagia tutti coloro (per lo più giovani e onesti ufficiali) che
costituivano l' entourage del marito.
Ma il colonnello - spettacolo miserando! - sbadigliava fra le duchesse e le
dame di Corte. Le vecchie signore che giocavano all' écarté facevano tali scene
per cinque franchi, che il colonnello pensò non valesse la pena sedersi al tavolo
da gioco. Ignorando il francese, non poteva nemmeno gustare lo spirito della
loro conversazione. Quali vantaggi, si chiedeva, avrebbe tratto sua moglie da
tutti gli inchini che ogni sera elargiva a una tribù di principesse? Pertanto lasciò
che Rebecca partecipasse da sola a quelle soirées per abbandonarsi ai semplici
divertimenti ai quali era assuefatto, tra i cordiali amici che si era scelto
spontaneamente.
La verità sta nel fatto che, quando noi diciamo che un uomo riesce a
condurre una vita brillante senza un soldo in tasca, con l'espressione «senza
un soldo» noi alludiamo a qualcosa su cui non siamo informati: e cioè sul
«come» si procura il denaro necessario per provvedere alle spese di casa. Ora,
l'amico Rawdon era abilissimo in tutti i giochi d'azzardo, e dedicandosi
continuamente alle carte e ai dadi, nonché allenandosi al biliardo, logicamente
aveva acquisito con questi oggetti una dimestichezza e un'abilità assai
superiore a quella di coloro che se ne servono solo sporadicamente. Usar bene
la stecca da biliardo equivale a saper usare bene la matita, oppure il flauto o la
spada. Non si può è logico - usare a dovere questi aggeggi appena li si prende
in mano: solo in seguito a incessante e tenace applicazione, unita a una
naturale disposizione, si riesce a primeggiare nell'uso di uno di essi. Crawley,
per esempio, dopo esser stato un ottimo dilettante nel gioco del biliardo,
adesso era diventato un vero e proprio «maestro». Come accade spesso dei
grandi generali, il suo genio sembrava manifestarsi particolarmente nell'ora del
periglio, e quando una partita sembrava volgere al peggio, con alcuni colpi
prodigiosi sapeva capovolgerne le sorti a suo vantaggio: dalle perdite
considerevoli che stava per subire, passava al trionfo della vittoria che mutava
anche l'andamento pecuniario della situazione, lasciando gli astanti allibiti;
intendendo per astanti quelli che ignoravano il suo modo di giocare, perché gli
altri stavano in guardia ed erano molto cauti nel mettere a repentaglio il
proprio denaro giocandolo contro un tizio dotato di tanta abilità e di così
inopinate, brillanti risorse.
Anche al gioco delle carte manifestava altrettanta destrezza: all'inizio
della serata cominciava a perdere, e commetteva errori così marchiani che i
nuovi venuti non credevano di doverlo temere. Ma ecco che dopo aver
ripetutamente perduto somme di modesta entità, Crawley si concentrava e il
suo modo di giocare cambiava, e tutti capivano che, prima della fine della
serata, avrebbe inflitto una clamorosa sconfitta al suo avversario. In effetti,
ben pochi potevano vantarsi di aver avuto la meglio su di lui.
Tale era la costanza della sua fortuna che gli sconfitti e gli invidiosi
sparlavano di lui senza riserve, cosa del resto affatto naturale. I francesi, per
esempio, affermano che se il duca di Wellington non ebbe mai a patire delle
sconfitte, fu solo per una serie di fortunate congiunture tali da permettergli di
uscir sempre vincitore da una battaglia. Nondimeno sono costretti a
riconoscere che a Waterloo seppe giocare d'astuzia e a trarli in inganno.
Parimenti in Inghilterra correva voce che, se il colonnello Crawley vinceva
sempre o quasi, ciò dipendeva solo dal fatto che giocava in modo scorretto.
In quegli anni a Parigi le sale da gioco alla moda erano il «Frascati» e il
«Salon», ma la smania di giocare era così diffusa che i locali pubblici erano
numericamente inadeguati, onde si giocava anche nelle case private, come se
non vi fossero luoghi più idonei a un simile passatempo. Anche nelle squisite,
piccole réunions che si svolgevano la sera dai Crawley ci si abbandonava con
notevole frequenza a questo fatale divertimento, con gran dolore della buona,
piccola Mrs. Crawley, la quale parlava con accenti di autentica desolazione di
quel vizio del marito per i dadi, e se ne doleva con tutti coloro che
frequentavano la sua casa. Supplicava i giovani di stare in. guardia, di tenersi
lontani dal bossolo dei dadi; e quando il giovane Green della Compagnia
Fucilieri perse una somma rilevante di denaro, Rebecca trascorse in pianto
l'intera nottata, come poi l'indomani la servitù ebbe modo di riferire allo
sfortunato giocatore, e arrivò al punto di gettarsi ai piedi del marito
supplicandolo di condonare il debito al povero giovanotto. Ma come era
possibile che Rawdon cedesse al desiderio di Bechy? Aveva perso l'identico
ammontare con Blackstone degli Ussari e con il conte Punter della Cavalleria di
Hannover. D'accordo, avrebbe concesso a Green un poco di respiro; ma in
quanto a permettere di non pagare... Suvvia, parlare di bruciare l'obbligazione
era, da parte di Rebecca, una prova di candore quasi colpevole.
Altri ufficiali soprattutto quelli più giovani che facevano crocchio intorno
alla padrona di casa - tornavano dai suoi ricevimenti imbronciati, dopo aver
dovuto lasciare sul tavolo da gioco somme più o meno elevate. Su casa
Crawley cominciarono a correre voci per nulla lusinghiere. I vecchi
ammonivano i giovani sul pericolo al quale andavano incontro. Il colonnello
O'Dowd del ...° Reggimento avverti il tenente Spooney del suo stesso
reggimento. Tra il colonnello di fanteria e sua moglie che stavano cenando al
Café de Paris e il colonnello Crawley e consorte scoppiò una scenata
violentissima. Furono le signore a cominciare: facendo schioccare le dita sulla
faccia di Rebecca, Mrs. O'Dowd disse chiaro e tondo che suo marito «non era
altri che un baro». Risultato: il colonnello Crawley sfidò a duello il colonnello
O'Dowd dell'Ordine del Bagno. Ma la notizia della sfida giunse alle orecchie del
comandante in capo. Questi convocò il colonnello Crawley che stava tirando
fuori le pistole «con le quali aveva fatto fuori il capitano Marker», ed ebbe con
lui un colloquio in seguito al quale il duello non ebbe luogo. Se Rebecca non si
fosse buttata in ginocchio davanti a Tufto supplicandolo di intervenire, Rawdon
sarebbe stato rispedito in Inghilterra. Fatto sta che nelle settimane successive
Rawdon badò a giocare soltanto con dei borghesi.
Ma dopo questi fatti, e ad onta della innegabile abilità di suo marito e
della fortuna costante che lo assisteva, Rebecca capì che la loro posizione si
stava facendo critica e che, anche non pagando nessuno, la loro modesta
rendita era destinata ad assottigliarsi fino a ridursi a zero. «Caro mio, il gioco
può servire ad arrotondare le entrate, ma non può diventare l'unica entrata,»
gli disse sua moglie. Prima o poi la gente potrebbe anche stancarsi di giocare,
e allora cosa sarebbe di noi?» Rawdon si dichiarò d'accordo: del resto aveva
cominciato ad accorgersi che dopo i loro pranzetti gli uomini si mostravano
sempre meno inclini a giocare con lui, ed anche meno disposti a parteciparvi,
nonostante lo charme di Rebecca.
Per quanto facile e piacevole, la vita, a Parigi, altro non era che un'oziosa
perdita di tempo, un gradevole svago. Rebecca si convinceva vieppiù ch'ella
doveva tentare di fare la fortuna di suo marito in patria. Si trattava di
ottenergli un posto, un incarico purchessia in Gran Bretagna o nelle colonie.
Decise pertanto di dare inizio a una nuova battaglia in patria, non appena
avesse avuto libero accesso alla medesima. Per prima cosa aveva convinto
Crawley a congedarsi dalle Guardie e a chiedere la pensione. Già da tempo,
inoltre, non era più aiutante di campo del generale Tufto. Poi Rebecca aveva
preso a burlarsi di quest'ultimo con tutti i conoscenti: lo prendeva in giro per il
busto, perché aveva la dentiera, per le sue velleità di donnaiolo e soprattutto
per quella ridicola presunzione in forza della quale credeva di conquistare
all'istante tutte le donne che avvicinava. Ora le attenzioni del generale
andavano a Mrs. Brent dalle folte sopracciglia, moglie del commissario Brent: a
lei andavano i regaletti, i mazzi di fiori, i palchi all'opera. Quanto alla povera
Mrs. Tufto, questo cambio della guardia non giovò in minima misura a suo
favore, e continuò a trascorrere le serate in solitudine, con la sola compagnia
delle figlie, sapendo perfettamente che il generale, impettito e profumato,
sedeva a teatro nel palchetto in compagnia di Mrs. Brent. Quanto a Becky,
aveva intorno a sé una tribù di ammiratori che in un battibaleno avevano
sostituito il generale; e, data l'arguzia e l'intelligenza di cui era dotata, avrebbe
potuto (se solo lo avesse voluto) sgominare all'istante la rivale. Ma, come
abbiamo detto poc'anzi, era ormai sazia di quell'esistenza vacua: i pranzetti, i
palchi all'opera ormai le dicevano ben poco. I mazzi di fiori non potevano
essere messi da parte in previsione degli anni futuri, né si poteva vivere di
gingilli, di trine e guanti di capretto. Cominciò ad accorgersi dell'inconsistenza
di quei piaceri, e a puntare su altri più sostanziosi.
Nel frattempo giunse a Parigi una notizia che tosto dilagò fra i molti
creditori del colonnello, colmandoli di motivata e gaia speranza. Miss Crawley,
la facoltosa zia di cui Rawdon Crawley attendeva la colossale eredità, era
moribonda, e il colonnello doveva accorrere al suo capezzale. Quanto a Mrs.
Crawley e al bambino, sarebbero rimasti a Parigi fino a quando lui non avesse
fatto ritorno per venirli a prendere. Rawdon parti per Calais, ove logicamente
avrebbe dovuto imbarcarsi per Dover. Invece prese la diligenza per
Dunkerque, e di lì salì su una diligenza per raggiungere Bruxelles, città per la
quale non aveva cessato di nutrire un'indubbia predilezione. La verità era che
aveva più creditori a Londra che a Parigi, e che preferiva la piccola, quieta
capitale del Belgio a qualsiasi altra capitale più vasta e rumorosa.
La zia era morta. Mrs. Crawley prescrisse il lutto più stretto per sé e per
il piccolo Rawdon. Ormai perché non passare al primo piano, invece di
continuare ad abitare nel piccolo appartamento nell' entresol? Mentre il
colonnello si stava occupando dell'eredità, Mrs. Crawley e il padrone di casa si
consultarono sulle nuove tappezzerie delle quali rivestire le pareti, discussero
amichevolmente sui tappeti e alla fine concordarono su ogni particolare tranne
uno: il conto. Rebecca partì a bordo di una delle carrozze del suddetto padrone
di casa insieme col piccino e con la bonne francese. Saputo della sua partenza,
il generale Tufto si arrabbiò moltissimo, e Mrs. Brent si arrabbiò con lui perché
si era arrabbiato. Quanto al tenente Spooney, ne fu ferito al cuore, mentre il
padrone di casa allestiva elegantemente il suo miglior appartamento in vista
del prossimo ritorno dell'elegante signora e del suo consorte. Ripose altresì con
la massima cura i bauli che Mrs. Crawley gli aveva affidato
raccomandandoglieli con particolare calore. Ciò non toglie che, quando di lì a
qualche tempo vennero aperti, si scoprì che contenevano suppellettili di valore
irrisorio.
Ad ogni modo, prima di raggiungere il marito a Bruxelles, Rebecca fece
una puntata in Inghilterra, lasciando il bimbo al di qua della Manica, affidato
alla bambinaia francese. Una separazione che non fu causa di particolare
sofferenza né per l'uno né per l'altra. In effetti, da quando il piccolo era venuto
alla luce, non si può dire che lei lo avesse visto molto spesso. Aveva adottato
senz'altro l'uso delle madri francesi mettendolo a balia in un villaggio non
lontano da Parigi, dove il bimbo aveva trascorso abbastanza lietamente i primi
mesi di vita, in compagnia di una turba di fratelli di latte in zoccoletti. Il padre,
invece, andava spesso a trovarlo, e il suo cuore gioiva di fierezza paterna
vedendolo roseo e sudicio strillare a squarciagola, felice di fare le formine di
terra sotto lo sguardo vigile della sua balia, moglie di un giardiniere.
Rebecca invece non provava lo stesso desiderio di andare a trovare il suo
primogenito, che una volta si era permesso di insudiciare il suo nuovo mantello
color tortora. Del resto, il bambino mostrava. di gradire le carezze della balia
assai più di quelle di sua madre, e quando giunse il momento di separarsi da
quella ridente, cordiale creatura che gli aveva fatto quasi da madre, pianse e
urlò per ore e ore. Per consolarlo, fu necessario che la madre gli promettesse
di riportarlo dalla balia il giorno dopo. In effetti ma anche alla balia, che
probabilmente avrebbe sofferto per quella separazione, fu detto che il bimbo le
sarebbe stato riportato senza indugio, sicché per qualche tempo attese con
ansia il momento di rivederlo.
I nostri amici possono infatti essere annoverati tra gli antesignani di
quella stirpe di sordidi avventurieri inglesi che più tardi sarebbero dilagati per
tutto il continente, commettendo truffe in tutte le capitali d'Europa. A quel
tempo - siamo negli anni 1817-1818 - l'onore dell'Inghilterra e il rispetto per la
medesima erano tenuti in altissima considerazione. Si direbbe che i nostri
compatrioti non avessero ancora imparato a discutere dei prezzi con quella
pervicacia che oggi li distingue. Le grandi città europee non erano ancora
diventate teatro delle malefatte dei grandi imbroglioni d'oltre Manica. Ora
invece si può tranquillamente affermare che in qualsiasi città di Francia o
d'Italia si aggira qualche nostro distintissimo compatriota il quale, con la sua
aria sufficiente e il suo tono altezzoso, non esita a truffare il padrone
dell'albergo, emette assegni a vuoto approfittando della buonafede di qualche
ingenuo banchiere, deruba i carrozzieri delle loro carrozze, i gioiellieri dei loro
gioielli, alleggerisce i viaggiatori dei loro quattrini giocando a carte e depreda
persino le pubbliche biblioteche dei libri che le corredano. Tant'anni fa bastava
essere un Milord anglais per incontrare persone pronte e felicissime di far
credito, ed in verità gli inglesi erano più facilmente i truffati che non i truffatori.
Orbene, solo parecchie settimane dopo la partenza dei Crawley, il loro padrone
di casa si rese conto di esser stato raggirato; Madame Marabou, la sarta, lo
comprese, dopo aver sollecitato ripetutamente e invano il pagamento del conto
per gli abiti forniti a Mrs. Crawley; e Monsieur Didelot, della Boule d'Or al Palais
Royal, dal quale Rebecca aveva acquistato bracciali e orologi, solo dopo aver
chiesto Dio sa quante volte se la charmante Milady fosse finalmente de retour.
Fatto sta che nemmeno la povera moglie del giardiniere, colei che aveva fatto
da balia per i primi sei mesi di vita al figlio di madame, venne mai pagata per il
latte e per il sincero affetto che aveva elargito al sano e garrulo piccolo
Rawdon. Proprio così: nemmeno la balia fu pagata. I Crawley avevano una
premura indiavolata. Come potevano permettersi di ricordare certe
sciocchezzuole? Quanto al padrone di casa, per tutto il resto della sua vita non
smise di imprecare contro quei maledetti inglesi e di ricoprirli delle più ignobili
contumelie. Chiedeva a tutti i viaggiatori se per caso conoscessero un certo
colonnello Lord Crawley avec sa femme, una petite dame très spirituelle. » Ah,
Monsieur, » aggiungeva poi, « ils m'ont affreusement volé! » E il melanconico
tono di voce che assumeva quando rievocava l'increscioso episodio suonava
oltremodo patetico.
Lo scopo che Rebecca si prefiggeva, con quel suo viaggio a Londra, era
quello di tacitare i creditori di Rawdon scendendo a un compromesso; offrendo
di pagare nove pennies o uno scellino in cambio di una sterlina, cercava di
spianare la strada al marito offrendogli la possibilità di ritornare in patria. Non
sta a noi seguire passo passo i maneggi posti in atto da Rebecca onde
pervenire al suo scopo, tutt'altro che agevole. Limitiamoci a dire che si sforzò
di dimostrare che quanto offriva era tutto il capitale di cui Rawdon disponeva;
che convinse i creditori come il colonnello Crawley fosse pronto a restare tutta
la vita in esilio piuttosto che rimetter piede sul suolo della patria senza aver
previamente saldato le sue pendenze; che provò l'impossibilità del suddetto
Rawdon a reperire denaro altrove, e che quindi essi non potevano
ragionevolmente nutrire alcuna speranza di ottenere più di quanto ella offriva.
Insomma, riuscì a persuadere i creditori del colonnello ad accettare in blocco le
sue profferte, e con millecinquecento sterline di denaro contante pagò un
complesso di debiti che assommava in totale ad un importo dieci volte
maggiore.
Mrs. Crawley non ricorse all'assistenza di alcun avvocato. Il problema era
così semplice! Ella stessa osservò che si trattava di prendere o lasciare, tutto
qui. Lasciò dunque che fossero gli avvocati dei creditori a definire la vertenza.
Mr. Lewis e Mr. Moss, rispettivamente in rappresentanza di Mr. Davids di Red
Lion Square, e di Mr. Manasseh di Cursitor Street (i creditori che avevano
diritto di esigere da Rawdon le somme più ingenti) espressero le loro
congratulazioni a Mrs. Crawley per il modo brillante con cui aveva condotto la
trattativa e dichiararono che nessun avvocato sarebbe riuscito a farle perdere
una causa.
Rebecca ricevette quegli elogi in atteggiamento di grande modestia;
ordinò una bottiglia di sherry e una torta nel misero alberghetto ove aveva
preso alloggio per il periodo necessario alla definizione dell'ingrata faccenda e
offrì un piccolo trattenimento ai legali di parte avversa. Al momento di
congedarsi, strinse loro la mano di ottimo umore e si affrettò a far ritorno nel
continente. Quivi raggiunse il figlioletto e il marito, e a quest'ultimo comunicò
all'istante la lieta novella: ormai era sgravato da ogni debito! Quanto al piccolo,
durante l'assenza della madre era stato molto trascurato da Geneviève, la
cameriera francese. Costei, infatti, avendo trovato il modo di amoreggiare con
un soldato della guarnigione di Calais, tutta presa dalla passioncella per questo
militaire della cui compagnia altamente gioiva, semplicemente dimenticò il
piccolo Rawdon, che rischiò di annegare sulla spiaggia di Calais ove la sventata
lo aveva lasciato e perduto.
Fu così che il colonnello e Mrs. Crawley tornarono a Londra, e nella casa
di Curzon Street, in Mayfair, essi diedero prova dell'astuta abilità di cui occorre
esser dotati per vivere con le risorse di cui abbiamo detto.
XXXVII • SI CONTINUA A PARLARE DELLO STESSO ARGOMENTO
Occorre innanzitutto spiegare, giacché si tratta di un problema della
massima importanza, come sia possibile avere una casa senza un soldo di
rendita. Una casa la si può affittare vuota: basta trovar credito presso la ditta
Gillows o la ditta Banting, e chiunque potrà farsela monter col massimo sfarzo
e arredare in conformità ai propri gusti. Oppure la si può affittare ammobiliata:
soluzione, quest'ultima, che molte famiglie reputano meno seccante e
complicata. Proprio per tali ragioni i coniugi Crawley optarono per una casa
ammobiliata.
Prima che Mr. Bowls venisse assunto da Miss Crawley in Park Lane per
dirigerne la casa e sovrintendere alla cantina, la signorina aveva avuto in
qualità di maggiordomo un certo Mr. Raggles, il quale era nato nei
possedimenti di Queen 's Crawley, ed era infatti il figlio minore del giardiniere.
Grazie alla sua condotta irreprensibile, alla sua prestanza fisica, ai suoi bei
polpacci e al suo aspetto dignitoso, Raggles era passato da sguattero a
staffiere, fino a raggiungere il posto di maggiordomo. Dopo aver sovrinteso per
vari anni all'andamento di casa di Miss Crawley, godendo sempre un ottimo
salario, di laute mance e della possibilità di risparmiare, annunciò il suo
proposito di sposarsi con una ragazza che a suo tempo era stata cuoca di Miss
Crawley, e che adesso aveva molto onorevolmente mutato attività per aprire
nelle immediate vicinanze una bottega di erbivendola, svolgendo al tempo
stesso il mestiere di stiratrice. Ma la verità era diversa: quel matrimonio era
stato celebrato già da alcuni anni, e la notizia delle avvenute nozze di Mr.
Raggles venne recata a Miss Crawley da un ragazzino di sette anni e da una
bimba di otto, la cui presenza continua in cucina aveva suscitato per anni lo
stupore di Miss Briggs.
Mr. Raggles si era dunque licenziato per occuparsi direttamente del
negozio di erbivendolo. Agli erbacei aveva aggiunto il commercio di latte,
panna e carne di maiale, accontentandosi a differenza di molti ex domestici che
vendono vini e liquori nelle bottiglierie - di smerciare i semplici e onesti
prodotti della campagna.
Inoltre, essendo in ottimi rapporti di amicizia con gli ex colleghi del
vicinato, che lui e la moglie accoglievano spesso in visita nel loro lindo e
grazioso retrobottega, molti esponenti della confraternita dei maggiordomi
cominciarono a comperare da lui il latte, la panna e le uova, onde i suoi
proventi aumentavano di continuo. Modestamente, senza dar nell'occhio, anno
dopo anno aveva accumulato una bella sommetta; e allorché al numero 201 di
Curzon Street, in Mayfair, l'accogliente appartamento da scapolo dell'onorevole
Frederic Deuceace (attualmente all'estero) venne messo all'asta completo del
suo sfarzoso arredamento, chi fu ad acquistare casa e mobilia? Proprio lui: il
nostro Raggles. È vero che dovette farsi prestare una quota del denaro
necessario - e ad un interesse piuttosto forte - da un suo collega
maggiordomo, ma riuscì nondimeno a pagare la somma più ingente; e fu con
comprensibile orgoglio che Mrs. Raggles una sera si coricò in un letto di
mogano scolpito, fra tendaggi di seta, con un enorme cassettone di fronte e un
armadio che avrebbe potuto contenere lei, Raggles e i restanti membri della
famiglia.
Inutile dire ch'essi non intendevano assolutamente abitare in un
appartamento così sfarzoso. Raggles aveva comperato la casa col proposito di
affittarla, e non appena ebbe trovato un inquilino, fece ritorno alla sua bottega.
Ma fu per lui un momento di vera felicità quello in cui uscì dall'appartamento e
abbandonò Curzon Street, godendosi peraltro la vista della casa - della sua
casa - coi gerani alla finestra e la porta adorna di un battacchio di bronzo
scolpito. Quando il domestico si trovava per caso affacciato alla cancellata che
delimitava l'area privata della dimora, lo salutava col dovuto rispetto; la cuoca
che comperava la verdura e ogni altra merce nel suo negozio lo interpellava
con l'epiteto di «signor padrone di casa», e non c'era cosa che l'inquilino
facesse, non c'era piatto che arrivasse sulla sua tavola, di cui Raggles - se ne
aveva voglia - non fosse regolarmente informato.
Era un buon uomo. Buono e felice. La casa gli rendeva un così alto
profitto annuo, ch'egli decise di far studiare i figli in scuole scelte. Così, senza
badare a spese, mandò Charles al collegio del dottor Swishtail, in Sugar Cane
Lodge, e la piccola Matilda da Miss Peckover alla Laurentinum House, a
Clapham.
Raggles, più che amare, adorava la famiglia Crawley, che reputava
iniziatrice delle sue fortune economiche. Nel retrobottega aveva appeso un
ritratto a profilo della sua ex padrona e un disegno a inchiostro di china che
raffigurava la foresteria di Queen's Crawley, opera di Miss Crawley in persona.
L'unico oggetto che aveva aggiunto all'arredo della casa di Curzon Street era
una stampa con la veduta del castello di Queen's Crawley, nello Hampshire,
come si presentava ai tempi del baronetto Walpole Crawley, il quale vi figurava
in una carrozza dorata trainata da tre pariglie di cavalli bianchi in riva a un lago
disseminato di cigni e di barche popolate di signore in guardinfante, nonché
musicanti in parrucca e abitò a coda.
Raggles era ciecamente convinto che in tutto il mondo non esistesse un
castello paragonabile a quello, né una famiglia di antico e nobile lignaggio
come i Crawley.
Ebbene: per un caso fortunato, quando Rawdon e sua moglie rientrarono
a Londra la casa di Raggles era libera. Il colonnello conosceva sia la casa che il
proprietario, il quale aveva continuato a mantenere rapporti con la famiglia
Crawley e andava a dare una mano a Bowls quando la vecchia signorina aveva
ospiti. Fu così che il povero vecchio non solo affittò la casa al colonnello, ma
andò a fargli da maggiordomo ogni qualvolta Rawdon e Rebecca ricevevano,
mentre Mrs. Raggles si dava da fare nella cucina, al piano di sotto, e mandava
in tavola piatti squisiti che avrebbero incontrato il benestare persino di Miss
Crawley. Con questo sistema, dunque, Crawley ebbe la casa per nulla; poiché
è vero che Mr. Raggles doveva pagare le tasse, le rate, gli interessi al collega
maggiordomo, l'assicurazione sulla vita, la retta per le scuole dei figli e la cifra
corrispondente al cibo e alle bevande che la sua famiglia - e per qualche tempo
la famiglia del colonnello - consumavano; è parimenti vero che quel poveraccio
venne ridotto alla miseria da quell'improvviso contratto, che i suoi figli finirono
sul lastrico, che lui stesso fu cacciato in prigione per debiti; ma è parimenti
indiscutibile che qualcuno deve pagare di tasca sua per i «signori» che vivono
«da signori» senza un soldo di rendita, e lo sventurato Raggles ebbe la mala
ventura di scontare in proprio le conseguenze dell'insolvibilità del colonnello
Crawley.
C'è da chiedersi quante famiglie vengano trascinate negli imbrogli e
condannate all'indigenza da astuti intrallazzatori della specie di Crawley.
Quanti «nobiluomini» depredano della dovuta mercede i loro fornitori, si
prostituiscono a imbrogliare i loro poveri servitori estorcendogli miserevoli
somme o barano per qualche scellino? Quando ci accade di apprendere dai
giornali che un nobile è «partito» per il continente, o che questo e quest'altro
nobile hanno messo la loro casa all'incanto, o che hanno debiti per milioni di
sterline, la loro rovina ci sembra quasi patetica e gloriosa: la vittima ci appare
degna di rispetto e di commiserazione perché deve soggiacere a una così
spaventevole catastrofe. Ma chi, invece, prova un palpito di pietà per il
parrucchiere che non riesce a riscuotere il denaro dovutogli per aver incipriato
il parrucchino dei suoi domestici, o per lo sventurato falegname che si è
rovinato intagliando fregi e decorazioni, o costruendo un elegante padiglione
per il déjeuner delle insigni nobildonne? E chi si cura della sorte di quel
poveraccio di un sarto che, raccomandato dal domestico, si è prodigato a
confezionare le livree ordinategli da Milord? Quando una fastosa magione si
sgretola, codesti infelici finiscono sotto le macerie senza che nessuno se ne
accorga o li compianga. È proprio vero il proverbio che dice: «Un uomo non va
in malora senza mandarci prima molti altri.»
Rawdon e Rebecca furono così generosi da accordare di buon grado la
loro preferenza a tutti i negozianti e fornitori di Miss Crawley che vollero
servirli. E ce n'erano che lo facevano ben volentieri, specie tra i più poveri. È
incredibile con quale costanza una lavandaia si prestasse a venire ogni sabato
da Tooting e perseverasse, speranzosa, nel lasciare ogni settimana il conto di
quanto dovutole. Mr. Raggles doveva provvedere anche alla verdura. Il conto
della birra scura destinata alla servitù, alla bottiglieria «The Fortune of War»
può essere considerata una curiosità nelle cronache inerenti a questa bevanda.
Da parte loro, tutti i domestici erano creditori dei rispettivi salari, e dovevano
quindi sposare la causa dei Crawley. In poche parole, nessuno veniva mai
pagato: né il fabbro che riparava una serratura, né il vetraio che sostituiva il
vetro rotto di una finestra, né il carrozziere che dava a nolo la propria carrozza,
né il cocchiere che ne guidava i cavalli, né il macellaio che procurava la carne
di montone, né il rivenditore di legna e carbone che forniva il combustibile per
cucinarla arrosto, né la cuoca che la cucinava, né i domestici che la
mangiavano. Eh, sì, molte volte ho avuto modo di constatarlo: è in base a
questi stratagemmi che molta gente se la spassa beatamente senza un soldo di
rendita.
In un piccolo centro queste cose sono impossibili poiché immediatamente
si risanno. Si sa quanto latte compera il vicino e tutti spiano il pezzo di carne o
la selvaggina che il fornitore recapita per la cena. Di conseguenza è oltremodo
probabile che nelle case contrassegnate coi numeri 200 e 202 di Curzon Street
si sapesse per filo e per segno quel che accadeva al numero 201, perché i
servitori delle suddette magioni conversavano attraverso le ringhiere che
separavano i rispettivi cortili. Ma Crawley e sua moglie non conoscevano gli
inquilini delle case in questione. E quando ci si presentava al 201, si riceveva
dai padroni di casa una cordiale stretta di mano, un sorriso, un'ottima cena,
proprio come se essi avessero avuto una rendita di tre o quattromila sterline
all'anno. E in effetti l'avevano, questa rendita; ma non in denaro, bensì in
natura e lavoro prodigato dagli altri. Il montone non lo pagavano, d'accordo;
però lo avevano. E in quanto al vino, chi avrebbe potuto sospettare che non lo
pagavano? Non c'era chiaretto migliore di quello presente sulla tavola del caro
Rawdon, non c'erano pranzi più allegri, né serviti con tanta cura. I suoi
minuscoli salotti erano arredati con un gusto squisito; i mobili erano splendidi,
al pari dei tanti ninnoli che Rebecca aveva portato da Parigi. E quando lei
sedeva al piano intonando gaia e spensierata le sue canzoni preferite,
qualunque persona male informata avrebbe giurato che quello fosse un piccolo
paradiso di pace domestica; e avrebbe aggiunto che, se il marito non era molto
intelligente, in compenso la moglie era una donna incantevole e le cene le più
piacevoli del mondo.
Lo spirito, la disinvoltura, la vivace intelligenza di Rebecca ne fecero ben
presto un personaggio ricercato in un certo ambiente londinese. Alla sua porta
sostavano spesso eleganti carrozze dalle quali scendevano individui
appartenenti alla più eletta ed esclusiva società. In Hyde Park la sua carrozza
era scortata da tutti i più noti giovanotti del bel mondo. Il suo palchetto di
terza fila all'Opera era sempre affollato di teste che cambiavano di continuo.
Occorre però aggiungere che le signore la tenevano in disparte e si guardavano
bene dal concedere la loro amicizia a quella piccola avventuriera.
Per quanto concerne le signore dell'alta società, chi scrive può solo
parlare per sentito dire. A nessun uomo è dato di penetrare nei loro misteri,
come non gli è concesso di conoscere il tema delle loro conversazioni quando si
ritirano da sole a sole in salotto, dopo cena. Solo con molto acume e continua
perseveranza si può talvolta sondare qualche loro segreto: esattamente come,
con lo stesso paziente metodo, chiunque passeggi avanti e indietro per Pall
Mall o frequenti i raffinati circoli della capitale riesce a sapere, direttamente o
tramite un conoscente col quale cena e gioca al biliardo, qualche indiscrezione
sulla privatissima confraternita degli aristocratici. Come vi sono uomini (ed è il
caso già commentato di Rawdon Crawley) che fanno sensazione agli occhi dei
semplici o dei commessi di negozio solo perché questi li vedono conversare coi
più famosi bellimbusti di Londra, così vi sono donne che potremmo definire
«per uomini soli», in quanto vengono accettate solo dagli esponenti del sesso