Capitolo 16

La nostra cliente scosse la testa. ― Non voglio brandy. Non credo di poterlo mandare giù. ― Era tremante e querula. ― Ve l'ho detto... Ho paura!

― Sì. ― Wolfe si era raddrizzato e aveva aperto gli occhi. ― Vi ho sentito. Se non vi calmate, con il brandy o senza, avrete una crisi isterica e questo non servirà a nessuno. Volete dell'ammoniaca? Volete distendervi? Volete parlare? Siete in grado di parlare?

― Sì. ― Si portò le mani alle tempie, che si massaggiò delicatamente con la punta delle dita, poi la fronte, poi di nuovo le tempie. ― Posso parlare. Non avrò una crisi isterica.

― Bene. Avete detto che il signor Gebert è morto sul marciapiede della Settantatreesima. Cosa l'ha ucciso?

― Non lo so. ― Helen sedeva rigida, con le mani intrecciate in grembo. ― Stava salendo in macchina quando all'improvviso ha fatto un salto indietro. È venuto di corsa verso di noi sul marciapiede... Ed è caduto. E poi Lew mi ha detto che era morto...

― Un momento, per favore. Sarà meglio procedere con ordine. Presumo che sia successo dopo che siete usciti dalla cappella dove si sono tenute le esequie. Siete usciti tutti insieme? Vostra madre, vostro cugino, vostro zio e il signor Gebert?

Helen annuì. ― Sì. Perren si era offerto di accompagnare la mamma e me a casa, ma io avevo risposto che preferivo camminare e lo zio ha detto che doveva parlare con la mamma e così loro due avrebbero preso un taxi. Stavamo camminando adagio sul marciapiede, discutendo queste cose...

― Verso est? ― intervenni. ― Verso l'auto di Gebert?

― Sì. Al momento non lo sapevo... Non sapevo dov'era la sua macchina, ma Perren si è allontanato da noi e così lo zio, la mamma e io siamo rimasti lì un po', mentre Lew scendeva in strada per fermare un taxi. Per caso ho guardato nella direzione che aveva preso Perren, e lo stesso ha fatto lo zio: l'abbiamo visto fermarsi, aprire la portiera... Poi è saltato indietro ed è rimasto fermo un attimo, poi ha urlato e ha cominciato a correre verso di noi... Ma è arrivato solo a metà strada ed è caduto a terra. Ha cercato di rotolare... Ha cercato di...

Wolfe agitò un dito. ― Raccontate con meno partecipazione, signorina Frost. Avete già vissuto la scena una volta, non cercate di riviverla ancora. Limitatevi a raccontare: è storia. Il signor Gebert è caduto, ha cercato di rotolare, si è fermato. Qualcuno è corso a soccorrerlo. Voi? Vostra madre?

― No. Mia madre mi teneva per un braccio. Mio zio è corso da lui, e anche un uomo che si trovava lì. Io ho chiamato Lew e anche lui è corso da Perren. Poi la mamma mi ha detto di restare dov'ero ed è andata da loro, poi è cominciata ad arrivare altra gente. Io sono rimasta là, ferma in piedi. Dopo circa un minuto, Lew è venuto da me e mi ha detto che pensavano che Perren fosse morto. Mi ha consigliato di prendere un taxi e di andare a casa. Loro sarebbero rimasti. Il taxi che Lew aveva fermato aspettava e lui mi ci ha messo dentro. Però, dopo che il taxi è partito, ho pensato che non volevo andare a casa e ho detto all'autista di venire qui. Ho... Ho pensato che forse...

― Non ci si poteva aspettare che pensaste. Non ne eravate in grado. ― Wolfe si appoggiò allo schienale. ― Dunque non sapete di cosa sia morto il signor Gebert.

― No. Non c'è stato alcun suono... niente.

― Sapete se aveva mangiato o bevuto qualcosa alla cappella?

Helen alzò la testa. Deglutì. ― No. Sono sicura di no.

― Non importa. ― Wolfe sospirò. ― Lo sapremo. Dite che il signor Gebert ha urlato, dopo essere saltato indietro dall'auto. Ha urlato qualcosa in particolare?

― Sì... Il nome della mamma. Come se la chiamasse in aiuto.

Wolfe inarcò un sopracciglio. ― Sono certo che l'avrà urlato ardentemente. Scusatemi se mi permetto un commento scherzoso. Il signor Gebert lo capirebbe, se fosse qui. E così ha urlato "Calida". Più di una volta?

― Sì, parecchie volte. Se volete dire che... il nome di mia madre...

― Non voglio dire proprio niente. Stavo dicendo delle sciocchezze. A quanto pare, e per quanto ne sapete, il signor Gebert potrebbe essere morto per un infarto, per un grumo di sangue al cervello o per misantropia acuta. Ma mi pare che abbiate detto che la cosa vi ha spaventata. Perché?

Helen lo guardò, aprì la bocca e la richiuse. ― È perché... Perché... ― balbettò. Agitò le mani e le fece ricadere. Ci provò di nuovo: ― Ve l'ho detto... ho avuto paura.

― Va bene. ― Wolfe cercò di calmarla. ― Vi capisco. Volete dire che da qualche tempo siete preoccupata che possa accadere qualcosa di brutto alle persone che vi sono più vicine e care. Naturalmente la morte del signor McNair ha peggiorato le cose. È stato perché...? Scusatemi, sto indulgendo in uno dei miei vizi in un brutto momento... brutto per voi. Non esiterei a tormentarvi, se ci potesse essere utile, ma al momento non serve. Non ho bisogno d'altro. Intendevate sposare il signor Gebert?

― No. Non ci ho mai pensato.

― Gli eravate affezionata?

― No. Ve l'ho detto... Non mi è mai piaciuto.

― Bene. Allora, una volta superato lo choc, potrete parlarne obiettivamente. Il signor Gebert aveva molto poco che lo raccomandasse, né come essere sapiente, né come campione biologico. La verità è che la sua morte semplifica un po' il nostro compito. Non provo dolore e non lo fingerò. Tuttavia il suo omicidio sarà vendicato, perché non ne possiamo fare a meno. Ma dato che non sono ancora disposto a dirvi tutto, penso sia meglio non dirvi niente; pertanto, per questa sera, mi limiterò a un consiglio. Voi naturalmente avete degli amici... Per esempio, quella signorina Mitchell che vi ha provato la sua lealtà martedì mattina. Andate da lei, subito, senza dirlo a nessuno, e passate lì la notte. Il signor Goodwin vi accompagnerà in macchina. Domani...

― No. ― Helen scuoteva la testa. ― Non lo farò. Cosa avete detto... a proposito dell'omicidio di Perren... È stato assassinato, vero?

― Certamente. È morto ardentemente. Ripeto la frase perché mi piace. Se siete in grado di trarne delle ipotesi, potrebbe essere una buona preparazione per voi. Non vi sto consigliando di passare la notte da un'amica perché siete in pericolo: non correte nessun rischio. In realtà, adesso nessuno corre più alcun rischio, tranne quello rappresentato da me. Ma dovete sapere che, se andate a casa, non riuscirete a dormire. La polizia farà una gran confusione per delle inezie; in questo momento stanno probabilmente torchiando la vostra famiglia. Ed è solo buon senso cercare di risparmiarvi un cataclisma del genere. Domani mattina vi informerò degli sviluppi.

Helen scosse di nuovo il capo. ― No. ― Sembrava decisa. ― Andrò a casa. Non voglio scappare... sono venuta qui solo... E poi la mamma, Lew e lo zio... No, vado a casa. Ma se poteste soltanto dirmi... Per favore, signor Wolfe, per favore... Se mi diceste qualcosa in modo che io sapessi...

― Non posso. Non adesso. Parlerò presto, ve lo prometto. Nel frattempo...

Squillò il telefono. Ruotai sulla poltroncina e risposi. Mi ritrovai subito in mezzo a una lite. Un idiota con la voce che sembrava una sirena da nebbia mi urlò di passargli immediatamente Wolfe, senza perdere tempo; non si era preso il disturbo di dirmi chi era. Lo presi un po' in giro finché non mi gridò di restare in linea. Dopo un minuto sentii un'altra voce, che riconobbi subito.

― Goodwin? Sono l'ispettore Cramer. Forse non ho bisogno di Wolfe. Non vorrei assolutamente disturbarlo. Helen Frost è lì da voi?

― Chi? Helen Frost?

― È quello che ho detto.

― Perché dovrebbe essere qui? Pensate che facciamo il turno di notte? Aspettate un momento. Non pensavo che foste voi al telefono; credo che il signor Wolfe desideri chiedervi qualcosa. ― Coprii la cornetta e mi voltai: ― L'ispettore Cramer vuole sapere se la signorina Frost è qui da noi.

Wolfe sollevò le spalle di mezzo centimetro e le lasciò ricadere. La nostra cliente disse: ― Naturalmente. Rispondetegli di sì.

― No ― dissi nel ricevitore. ― Wolfe non riesce a pensare a niente che voi possiate sapere. Ma se vi riferite alla signorina Helen Frost, l'ho appena vista seduta su una poltrona.

― Ah! È lì! Un giorno vi spezzerò il collo. La voglio subito qui, a casa sua... No, aspettate: tenetela lì. Mando qualcuno...

― Non preoccupatevi. L'accompagno io.

― Quando?

― Subito. Immediatamente. Senza indugio.

Riattaccai e mi voltai verso la cliente. ― È a casa vostra. Penso siano tutti a casa vostra. Andiamo? Posso ancora dirgli che sono miope e che non eravate voi su quella poltrona.

Helen si alzò in piedi. Si voltò verso Wolfe; era un po' piegata, ma poi raddrizzò la spina dorsale. ― Grazie. Se davvero non volete dirmi niente...

― Mi dispiace, signorina Frost. Adesso no. Forse domani. Mi metterò in contatto con voi. Non prendetevela troppo con il signor Cramer: senza dubbio ha le migliori intenzioni. Buonanotte.

Mi alzai anch'io, feci passare Helen dalla porta con un inchino e, passando nell'ingresso, afferrai al volo il cappello.

Avevo portato la spider in garage, così ci andammo a piedi. Helen mi aspettò all'entrata, poi salì a bordo. Dopo aver voltato sulla Decima Avenue, le dissi: ― Vi hanno colpita sia col destro che col sinistro e adesso siete completamente groggy. Rilassatevi, chiudete gli occhi e respirate profondamente.

Mi ringraziò, ma rimase seduta rigidamente, tenne gli occhi aperti e non disse una parola per tutta la strada fino alla Sessantacinquesima. Io stavo pensando che, presumibilmente, sarei rimasto in piedi per tutta la notte. Dal momento in cui Helen era piombata da noi con la notizia, avevo continuato a prendermi a calci per aver avuto così fretta di lasciare la Settantatreesima Strada: l'omicidio era avvenuto proprio nell'auto di Gebert, parcheggiata davanti alla mia, neanche cinque minuti dopo che me ne ero andato. Che sfortuna. Avrei potuto essere proprio là, più vicino di chiunque altro...

Comunque non passai la notte in piedi. La mia visita a casa Frost quale scorta di Helen fu breve e sgradevole. La ragazza mi porse la chiave della porta d'ingresso; appena aprii, mi ritrovai di fronte un piedipiatti. Un altro sedeva su una poltrona accanto agli specchi. Helen e io ci muovemmo, ma i poliziotti ci bloccarono.

― Vi dispiace aspettare un attimo? ― ci disse il piedipiatti. ― Tutti e due.

Sparì in soggiorno. Poco dopo la porta si riaprì ed entrò Cramer. Sembrava preoccupato e ostile.

― Buonasera, signorina Frost. Per favore, venite con me.

― La mamma è qui? Mio cugino...

― Sono tutti qui. Okay, Goodwin, vi ringrazio. Fate dei bei sogni.

Gli sorrisi. ― Non ho sonno. Posso restare qui in giro, senza interferire...

― Potete anche tagliare la corda senza interferire.

Dal tono capii che non c'era niente da fare: Cramer era decisissimo. Lo ignorai e feci un inchino alla nostra cliente.

― Buonanotte, signorina Frost.

Mi rivolsi al poliziotto: ― Cerca di sembrare sveglio, amico, e aprimi la porta.

Non si mosse. Tesi la mano verso la maniglia, spalancai la porta e uscii senza richiudere. Scommetto che la chiuse lui.