Capitolo 6

Alle nove meno tre minuti del mattino seguente, mercoledì, mentre parcheggiavo la spider sulla Cinquantaduesima Strada, in un ampio spazio tenuto evidentemente libero per speciali ordini della polizia, mi sentii un po' spiacente per Nero Wolfe. Lui adorava mettere in scena un buon dramma e avere il suo pubblico sull'orlo delle sedie, in attesa. E adesso questa scena, una sua idea, si svolgeva a quasi due chilometri dalla sua serra e dalla sua poltrona sovradimensionata. Però, mentre salivo sul marciapiede davanti alla Boyden McNair Incorporated, mi limitai a stringermi nelle spalle e a pensare tra me: "Accidenti, ciccione: non puoi fare il casalingo e girare contemporaneamente il mondo".

Arrivai all'entrata, dove il portiere in uniforme della McNair era in piedi accanto a un tizio robusto con la faccia rossa e tonda e un cappello troppo piccolo spinto all'indietro. Mentre stavo per toccare la porta, l'uomo si mosse per bloccarmi.

Tese un braccio. ― Scusate, signore. Avete l'invito? Il vostro nome, prego. ― Mise in mostra una lista dattiloscritta.

Lo guardai dall'alto. ― State a sentire, amico: sono io che ho fatto gli inviti.

Mi guardò stringendo gli occhi. ― Ah sì? Ma certo! L'ispettore ha detto che qui non c'è niente per voi ragazzi. Fuori dai piedi!

Naturalmente mi sarei comunque arrabbiato per essere stato scambiato per un giornalista, ma ciò che peggiorava la situazione era il fatto che mi ero preso la briga di indossare il mio vestito marrone spento a righe più scure, la camicia beige, il gilè verde e il cappello verde scuro con la tesa morbida. Gli dissi: ― Sei cieco da un occhio e con l'altro non ci vedi bene. Te l'ha mai detto nessuno? Sono Archie Goodwin, dello studio di Nero Wolfe. ― Estrassi un biglietto da visita e glielo misi sotto il naso.

Vi gettò un'occhiata. ― Okay. Di sopra vi aspettano.

All'interno c'era un altro poliziotto, in piedi accanto all'ascensore. In giro non c'era nessun altro. Conoscevo quel poliziotto: era Slim Foltz. Ci scambiammo educati saluti, poi io entrai nell'ascensore e salii.

Cramer aveva fatto le cose per bene: erano state raccolte tutte le sedie disponibili e circa cinquanta persone, per lo più donne, sedevano nella grande sala. C'era un gran brusio. Quattro o cinque poliziotti, dei tipi da città, se ne stavano raggruppati in un angolo, dalla parte delle salette di prova. Dall'altro lato della sala, l'ispettore Cramer, in piedi, stava parlando con Boyden McNair. Mi avvicinai a loro.

Cramer mi salutò con un cenno. ― Solo un momento, Goodwin. ― Continuò a parlare con McNair e poco dopo si voltò verso di me. ― Abbiamo un bel po' di gente, eh? Hanno promesso di venire in sessantadue e quarantuno sono già qui. Non male.

― Ci sono anche tutti gli impiegati?

― Tutti tranne il portiere. Vogliamo anche lui?

― Certo. Devono esserci tutti. Qual è la saletta?

― La terza sulla sinistra. Conoscete il capitano Dixon? Ho scelto lui.

― Sì, lo conosco. ― Percorsi il corridoio, contai fino a tre, aprii la porta ed entrai. La stanza era un po' più grande di quella che avevamo utilizzato il giorno prima. Seduto dietro il tavolo c'era un ometto insignificante, calvo, con grandi orecchie e occhi come quelli di un'aquila. Davanti a lui, ordinatamente disposti, c'erano blocchi per appunti e penne; da una parte, una pila di cinque scatole di Misto Royal Bailey. Gli comunicai che lui era il capitano Dixon, che io ero Archie Goodwin e che era una bella giornata. Lui mi guardò muovendo gli occhi senza spostare la testa, operazione nota come risparmio energetico, e produsse un suono, qualcosa tra il grido del gufo e il gracidare di un rospo. Lo lasciai e tornai nella sala.

McNair si era spostato dietro la folla e aveva trovato una sedia. Cramer mi venne incontro e disse: ― Credo che non si possa più aspettare. Cominciano a diventare irrequieti.

― Bene, partiamo. ― Mi spostai e mi appoggiai alla parete, di fronte al pubblico. I presenti erano di tutte le età, misure e forme ed erano più o meno ciò che ci si poteva aspettare. Sono pochissime le donne che possono permettersi di pagare trecento bigliettoni per un abito primaverile e mi chiedevo come mai devono essere quasi sempre del tipo che, per quello che serve, potrebbero benissimo avvolgersi in un vecchio sacco. Tra le eccezioni presenti quella mattina c'era la signora Frost, seduta in prima fila con la schiena diritta; con lei c'erano le due dee, sedute una per ogni lato. Llewellyn Frost e suo padre erano dietro di loro. Notai anche una donna dai capelli rossi con la pelle vellutata e gli occhi come stelle, ma più tardi, durante la prova, venni a sapere che si trattava della contessa von Rantz Diechen di Praga e così lasciai perdere.

Cramer si era messo davanti al gruppo e stava spiegando la situazione: ― ...Innanzi tutto desidero ringraziare il signor McNair per aver chiuso il negozio questa mattina e aver permesso che venisse usato per questa riunione. Apprezziamo molto la sua collaborazione e ci rendiamo conto che lui è ansioso quanto noi di risolvere questa... questa triste vicenda. Desidero poi ringraziare tutti voi per essere intervenuti. È un vero piacere e ci è di incoraggiamento vedere che ci sono così tanti, bravi cittadini, pronti a compiere il loro dovere in una... una triste vicenda come questa. Naturalmente, nessuno di voi era obbligato a presentarsi. State semplicemente compiendo il vostro dovere e state aiutando la polizia. Vi ringrazio a nome del commissario, il signor Hombert, e del procuratore distrettuale, il signor Skinner.

Avrei voluto dirgli: "Non fermarti qui: cosa mi dici del sindaco, del presidente di quartiere, della commissione degli anziani e dell'assessorato alle piante e giardini?".

Cramer continuò: ― Spero che nessuno di voi si offenda o si irriti per il semplice esperimento che stiamo per effettuare. Non era possibile spiegarlo individualmente per telefono e non farò una spiegazione collettiva adesso. Credo che alcuni riterranno la prova assurda e, in effetti, per la maggior parte di voi, o forse per tutti, lo sarà davvero. Tuttavia spero che accetterete di collaborare. Poi potrete raccontare ai vostri amici come sono stupidi i poliziotti e saremo tutti contenti. Però vi assicuro che non lo facciamo per divertimento o per infastidire, ma seriamente, come parte del nostro sforzo per risolvere questa triste vicenda.

"Questo è tutto. Vi chiederò di andare uno alla volta alla terza porta a sinistra nel corridoio. Ho organizzato tutto in modo da sprecare il minor tempo possibile; è per questo che, quando siete arrivati, vi abbiamo chiesto di scrivere due volte il vostro nome, su due diversi pezzi di carta. Il capitano Dixon e il signor Goodwin saranno con me in quella stanza.

"Vi faremo una domanda. Tutto qui. Una volta terminato, vi preghiamo di uscire dal palazzo; oppure, se dovete aspettare qualcuno, restate qui, vicino al corridoio, senza parlare con quelli che non sono ancora entrati nella saletta. Alcuni di voi, quelli che entreranno per ultimi, dovranno pazientare un po'. Desidero ringraziarvi di nuovo per la collaborazione in questa... questa triste vicenda".

Cramer fece un sospiro di sollievo, si voltò e si rivolse al branco di piedipiatti: ― Bene, Rowcliff, tanto vale cominciare con la prima fila.

― Signor ispettore! ― Cramer si voltò di nuovo. Una donna con la testa grossa e praticamente priva di spalle si era alzata in mezzo al pubblico e sporgeva il mento in fuori. ― Desidero sottolineare, signor ispettore, che non siamo obbligati a rispondere alle domande che riterrete opportuno rivolgerci. Io sono membro della Lega dei Cittadini, e sono venuta qui per assicurarmi che...

Cramer sollevò una mano. ― Okay, signora. Non c'è alcun obbligo...

― Molto bene. Dev'essere chiaro a tutti che i cittadini hanno dei diritti, oltre che doveri.

Due o tre soffocarono una risata. Cramer mi lanciò un'occhiata; lo raggiunsi, lo seguii lungo il corridoio e dentro la saletta. Questa volta il capitano Dixon non si prese neppure la briga di muovere gli occhi; probabilmente aveva già abbastanza nel suo campo visivo per indovinare la nostra identità. Cramer fece un grugnito e si sedette su uno di quegli affari di seta appoggiati alla parete divisoria.

― Adesso che siamo pronti a partire ― bofonchiò ― penso che sia una sciocchezza.

Il capitano Dixon emise un suono a metà tra un piccione e una scrofa col piccolo. Avevo deciso di restare in piedi, consumandomi le caviglie, per vedere meglio. Rimossi dalla pila le prime quattro scatole di Misto Royal, le nascosi sotto il tavolo, per terra, e presi l'ultima rimasta.

― Tutto a posto? ― chiesi a Cramer. ― Iniziamo?

Cramer annuì. La porta si aprì e uno dei poliziotti fece entrare una donna di mezza età; la signora aveva un cappellino affusolato in testa e labbra e unghie dello stesso colore della vernice antiruggine che passano su un ponte di ferro. La donna si fermò e si guardò intorno senza molta curiosità. Tesi una mano verso di lei.

― I foglietti, per favore.

Mi diede i foglietti; ne passai uno al capitano Dixon e tenni l'altro. ― Dunque, signora Ballin, vi prego di fare quello che vi chiederò. Con naturalezza, come fareste in circostanze normali, senza esitazioni o nervosismo...

La donna mi sorrise. ― Non sono nervosa.

― Bene. ― Tolsi il coperchio della scatola e gliela misi davanti. ― Prendete un candito.

La donna alzò leggermente le spalle. ― Non mangio quasi mai canditi.

― Non vogliamo che lo mangiate. Prendetelo soltanto. Per favore.

Allungò una mano senza guardare, prese un crema-cioccolato, lo tenne tra le dita e mi guardò.

― Va bene ― le dissi. ― Rimettetelo nella scatola, per favore. È tutto. Buongiorno, signora Ballin.

La donna ci guardò, disse "Povera me" in tono di blando e amichevole stupore, e se ne andò.

Mi piegai sul tavolo, scrissi una X in un angolo del suo foglietto e il numero 6 sotto il suo nome. Cramer grugnì: ― Wolfe aveva detto tre pezzi.

― Sì. Però ha anche detto di usare il nostro giudizio. Secondo me, se quella signora è coinvolta in qualcosa, neppure Nero Wolfe riuscirebbe mai a scoprirlo. Cosa pensate di lei, capitano?

Dixon produsse un suono a metà tra l'antilope africana e un bradipo a tre alluci. La porta si riaprì ed entrò una donna alta e snella, che indossava un lungo soprabito nero aderente con una volpe argentata che doveva aver sofferto di gigantismo. Aveva le labbra strette e ci fissò con occhi profondamente concentrati. Presi i suoi foglietti e ne diedi uno a Dixon.

― Bene, signorina Claymore. Vi prego di fare quello che vi chiedo con naturalezza, come fareste in circostanze normali, senza esitazioni o nervosismo.

La ragazza si ritrasse un po', ma annuì. Le porsi la scatola.

― Prendete un candito.

― Oh! ― boccheggiò la donna. Sgranò gli occhi fissando la scatola. Questa è la scatola che... ― Rabbrividì, si fece indietro, si coprì la bocca con la mano chiusa a pugno ed emise un grido abbastanza notevole.

― Grazie ― le dissi freddamente. ― Buongiorno, signorina. Basta così, agente.

Il poliziotto le toccò un braccio e la spinse verso la porta. Mentre mi chinavo per scrivere sul foglietto della ragazza osservai: ― Il grido era solo commedia. Quella è Beth Claymore, e recita male sia in palcoscenico che fuori. L'avete vista ne Il prezzo della follia?

― È tutta una barzelletta ― commentò calmo Cramer. Dixon produsse un altro suono. La porta si riaprì ed entrò un'altra donna.

Portammo a conclusione l'esperimento in quasi due ore.

Gli impiegati furono lasciati per ultimi. Tirando le somme, alcuni dei clienti presero tre pezzi, altri due o uno, pochi nessuno. Quando la prima scatola cominciò a mostrare segni di usura, ne presi una nuova dalla riserva. Dixon emise qualche altro suono, ma essenzialmente si limitò a scrivere annotazioni sui suoi foglietti, mentre lo mi occupavo dei miei.

Ci fu qualche protesta, ma niente di serio. Helen Frost entrò pallida, restò pallida e non prese alcun candito. Thelma Mitchell mi guardò e poi prese tre pezzi di frutta candita, mordendosi il labbro inferiore. Dudley Frost disse che era una sciocchezza, cominciò a discutere con Cramer e dovette essere allontanato dal poliziotto. Llewellyn non disse niente e scelse tre pezzi diversi. La madre di Helen scelse un cioccolatino stretto e sottile, una mandorla giordana e una gelatina, poi, dopo averli rimessi nella scatola, si pulì delicatamente le dita con il fazzoletto.

Un soggetto che mi interessò molto, perché avevo sentito qualcosa sul suo conto, era un tizio in abito da mattina con le spalle imbottite. Dimostrava una quarantina d'anni, ma avrebbe potuto averne qualcuno di più; aveva il naso sottile, capelli lisci e occhi scuri sempre in movimento. Il suo foglietto diceva che si trattava di Perren Gebert. Esitò un secondo, poi sorrise per dimostrare che non gli pesava farci contenti e scelse a caso.

Gli impiegati entrarono per ultimi, e l'ultimo fu Boyden McNair in persona. Quando finii con lui, l'ispettore Cramer si alzò in piedi.

― Grazie, signor McNair. Ci avete fatto un grosso favore. Ce ne andremo tra un paio di minuti e potrete aprire il negozio.

― Avete... Avete scoperto qualcosa? ― McNair si stava asciugando il viso con il fazzoletto. ― Non riesco a immaginare come tutto questo influenzerà i miei affari. È terribile. ― Si infilò la mano in tasca ed estrasse di nuovo il fazzoletto. ― Ho mal di testa. Adesso vado in ufficio e prendo qualche aspirina. Dovrei andare a casa, o in ospedale. Voi... Cos'era tutta questa storia?

― La prova? ― Cramer tirò fuori un sigaro. ― Oh, era solo psicologia. Vi farò sapere se ne abbiamo ricavato qualcosa.

― Va bene. Adesso devo andare là fuori a parlare con quelle donne... Bene, tenetemi informato. ― Si voltò e uscì.

Me ne andai con Cramer. Il capitano Dixon stava alle nostre spalle. Mentre uscivamo dall'edificio, con i poliziotti che si radunavano e i clienti e gli impiegati che vagavano in giro, Cramer si mantenne calmo e dignitoso, ma appena ci trovammo sul marciapiede si lasciò andare ed esplose.

Fui sorpreso nel constatare quanto fosse arrabbiato. Poi, mentre si scaldava sempre di più, mi resi conto che stava semplicemente esprimendo l'alta opinione che aveva di Nero Wolfe. Non appena me ne diede l'occasione, glielo dissi: ― Sciocchezze, ispettore. Voi credevate che Wolfe fosse un mago e, solo perché ci ha detto di fare questa prova, pensavate che qualcuno cadesse in ginocchio, si aggrappasse ai vostri pantaloni e ammettesse piangendo: "Sono stato io!". Abbiate pazienza. Adesso vado a casa e racconto tutto a Wolfe. Intanto voi ne parlerete con il capitano Dixon... Sempre che sappia parlare.

Cramer grugnì. ― Avrei dovuto avere più buon senso. Se quel grasso rinoceronte mi sta prendendo in giro, gli farò ingoiare la sua licenza. E farò in modo che non ne abbia più un'altra.

Salii in auto. ― Non vi sta prendendo in giro. Aspettate e vedrete. Dategli una possibilità. ― Inserii la marcia e mi allontanai.

Non avevo il minimo sospetto di quello che mi aspettava nella Trentacinquesima Strada. Ci arrivai verso le undici e mezzo; pensavo che Wolfe dovesse essere già sceso dalla serra da mezz'ora e che pertanto l'avrei trovato di buon umore alle prese con la sua terza bottiglia di birra, il che mi sarebbe andato benissimo, visto che non ero proprio latore di liete novelle. Dopo aver parcheggiato davanti a casa e aver depositato il cappello nell'ingresso, andai nello studio e, con mia sorpresa, vidi che non c'era nessuno. Controllai il bagno, ma anche quello era vuoto. Mi diressi in cucina per chiedere notizie a Fritz, ma non appena varcai la soglia mi fermai di colpo, mentre il cuore mi scendeva ai piedi e continuava a scendere attraverso il pavimento.

Wolfe era seduto al tavolo di cucina con la matita in mano e fogli di carta sparsi intorno a lui. Fritz era in piedi, all'altro lato del tavolo, con una luce negli occhi che conoscevo fin troppo bene. Nessuno dei due prestò attenzione al rumore che avevo fatto entrando.

Wolfe stava dicendo: ― ...Però non riusciamo a trovare del buon pavone. Archie potrebbe provare in quel negozio a Long Island, ma probabilmente non c'è speranza. La carne di petto di pavone non è dolce, tenera e sviluppata come si deve, se l'animale non viene ben protetto da ogni disturbo, specialmente dall'aria, per prevenirne il nervosismo. A Long Island invece ci sono moltissimi aerei. L'oca per questa sera, con il ripieno che abbiamo deciso, andrà benissimo. Il capretto sarà perfetto per domani. Possiamo telefonare subito al signor Salzenback perché ce ne macelli uno e domattina Archie potrà andare in macchina fino a Garfield per ritirarlo. Voi intanto potete procedere con i preliminari della salsa. Venerdì è un problema: se tentiamo con il pavone, sarà praticamente un invito alla catastrofe. I piccioncini possono andare come contorno, ma la difficoltà principale rimane. Fritz, vi dico una cosa: tentiamo un approccio completamente diverso. Conoscete il shich-kebab? L'ho mangiato in Turchia. Mettete a marinare per parecchie ore delle strisce sottili di agnello tenero in vino rosso e spezie. Ecco, adesso ve le scrivo: timo, macis, pepe, aglio...

Mi alzai in piedi e accettai la sconfitta. La situazione sembrava senza speranza. Non c'erano dubbi che si trattasse dell'inizio di una seria ricaduta. Wolfe non ne aveva più avute da parecchio tempo, la cosa poteva durare una settimana o più e, mentre era in balia dell'incantesimo, tanto valeva parlare di lavoro con un lampione stradale. È proprio per questo motivo che, quando siamo impegnati in un caso, non mi piace uscire e lasciarlo da solo con Fritz. Se solo fossi arrivato a casa un'ora prima! Adesso sembrava che la situazione fosse andata troppo avanti per riuscire a fermarla. E questa volta era facile indovinare cosa aveva provocato la crisi: Wolfe in realtà non si era aspettato niente dal pasticcio che aveva preparato per Cramer e me, e adesso stava nascondendosi. Digrignai i denti e mi avvicinai al tavolo. Wolfe continuò a parlare; Fritz non mi guardò. ― Cosa state facendo? ― domandai. ― State per aprire un ristorante? ― Nessuna risposta. Proseguii: ― Devo presentarvi il mio rapporto. Quarantacinque persone hanno mangiato canditi presi da quelle scatole e tutte sono morte dopo una penosa agonia. Cramer è morto. H. R. Cragg è morto. Le dee sono morte. E io mi sento poco bene.

― Smettetela, Archie. L'auto è qui davanti? Fritz ha bisogno subito di un po' di ingredienti.

Sapevo che una volta iniziata la consegna di alimentari non ci sarebbe stato più scampo. Sapevo anche che blandirlo non sarebbe servito a niente, così come non sarebbe servito prenderlo di petto. Ero disperato. Esaminai l'elenco di debolezze di Wolfe e ne scelsi una.

Intervenni di nuovo. ― Sentite, questo stupido festino che vi siete messo in testa... So che non riuscirò a fermarlo, ci ho già provato in passato. Okay...

― Non il pimento, però ― disse Wolfe rivolto a Fritz. ― Se riuscite a trovare di quei peperoni gialli sulla Sullivan Street...

Non osai toccarlo, ma mi piegai vicinissimo a lui. ― E cosa devo dire alla signorina Frost, quando verrà qui alle due? ― abbaiai. ― Io ho il potere di fissare appuntamenti, vero? E lei è una signora, vero? Naturalmente, se anche la normale educazione è messa in subordine a...

Wolfe si interruppe, strinse le labbra e voltò la testa. Mi guardò negli occhi. Dopo un attimo mi domandò tranquillamente: ― Chi? Quale signorina Frost?

― La signorina Helen Frost. Figlia della signora Frost, cugina del nostro cliente, il signor Llewellyn Frost, nipote del signor Dudley Frost. Vi ricordate?

― Non posso crederci. Questo è un trucco, una frode.

― Certo. ― Mi raddrizzai. ― Siamo vicini al limite. Molto bene. Quando la ragazza arriva, le dirò che nell'avventurarmi a fissare un appuntamento ho ecceduto i miei poteri... Fritz, non ci sarò a pranzo. ― Feci dietrofront, uscii, andai nello studio, mi sedetti alla scrivania ed estrassi i foglietti di tasca, mentre mi chiedevo se la cosa avrebbe funzionato e cercavo di decidere cosa avrei fatto se avesse funzionato. Giocherellai con i foglietti facendo finta di sistemarli, senza respirare troppo in modo da poter ascoltare.

Passarono almeno due minuti prima che sentissi un rumore dalla cucina: era Wolfe che spostava indietro la sua sedia. Poi sentii i suoi passi che si avvicinavano. Continuai a darmi da fare con i foglietti, così non lo vidi entrare nello studio, attraversarlo fino alla scrivania e calarsi nella poltrona. Io continuavo il mio lavoro.

Finalmente Wolfe disse, con quel tono di voce dolce che mi faceva venir voglia di prenderlo a calci: ― E così devo cambiare tutti i miei programmi per le bizze di una ragazza che, tanto per cominciare, è una bugiarda. O quanto meno devo posticiparli. ― Improvvisamente esplose con ferocia: ― Signor Goodwin! Siete sveglio?

― No ― risposi, senza alzare la testa.

Silenzio. Dopo un po' lo sentii sospirare. ― Va bene, Archie. ― Aveva ripreso il controllo e parlava in tono normale. ― Raccontatemi.

Toccava a me. Era la prima volta che riuscivo a bloccare una sua crisi dopo che era arrivata fino alla fase menù, ma sembrava che l'operazione potesse risultare qualcosa del tipo curarsi un'emicrania tagliandosi la testa. Comunque dovevo andare fino in fondo; l'unica possibilità che mi venne in mente fu quella di afferrare un tenue filo che mi era penzolato davanti quella mattina da McNair e cercare di venderlo a Wolfe come un cavo d'acciaio.

― Be'... ― cominciai, girando sulla sedia. ― Siamo andati là e l'abbiamo fatto.

― Continuate.

Mi fissava con gli occhi semichiusi. Sapevo che sospettava di me e non mi sorprenderebbe sapere che mi aveva già capito fin da quel momento. Ma non stava comunque ripartendo verso la cucina.

― È stato quasi un fiasco. ― Raccolsi i foglietti. ― Cramer è acido come un foruncolo sul naso. Naturalmente non sapeva che io prendevo nota dei vari tipi di canditi che la gente sceglieva; pensava che stessimo solo cercando un indizio nel loro comportamento e chiaramente, da questo punto di vista, è stato un fiasco. Un terzo dei partecipanti era spaventato, metà nervoso, alcuni arrabbiati e solo pochi indifferenti. Nient'altro. Come da istruzioni, mentre Cramer e Dixon li guardavano in viso, io osservavo le dita e ho usato dei simboli per annotare le scelte. ― Giocai con i foglietti. ― Sette hanno scelto le mandorle giordane. Uno ne ha prese due.

Wolfe si sporse in avanti e suonò per la birra. ― E allora?

― E allora ho preso nota di tutto. Vi dirò una cosa: non sono abbastanza subdolo e astuto per questo tipo di cose. Voi lo sapete e io lo so. E chi lo è? È una perdita di tempo dire che voi lo siete, a causa dell'inerzia. Ciononostante, io sono più appiccicoso e insistente della colla. Sei di quelli che hanno scelto le mandorle, per l'espressione che avevano, per chi sono e per come si sono comportati... Credo che non significhi niente. Ma il settimo... Non so. È vero che sta per avere un esaurimento nervoso, ve lo ha detto lui stesso. La richiesta di scegliere un candito lo ha colto di sorpresa, proprio come gli altri. Cramer ha gestito l'operazione come si doveva: aveva degli uomini per controllare che nessuno sapesse cosa stava succedendo prima di entrare nella saletta. E il signor Boyden McNair si è comportato in maniera strana. Quando gli ho piazzato davanti la scatola e gli ho chiesto di prendere un pezzo, lui si è tirato indietro, ma così ha fatto un mucchio di altra gente. Poi si è ricomposto, si è avvicinato e ha guardato nella scatola; le dita sono andate dritte verso una mandorla giordana e poi si sono allontanate. Alla fine ha preso un cioccolatino. Gli ho chiesto subito di prendere un altro pezzo, senza dargli la possibilità di riflettere; questa volta, prima ha toccato altri due pezzi e poi ha preso una mandorla, una bianca. Al terzo passaggio, ha puntato dritto a una gelatina e l'ha presa.

Fritz era entrato con la birra per Wolfe e uno sguardo di rimprovero per me. Wolfe aveva aperto la bottiglia e stava versando. ― Siete stato voi che avete visto tutto, Archie ― borbottò. ― Le vostre conclusioni?

Gettai i foglietti sulla mia scrivania. ― Le mie conclusioni sono che McNair era troppo cosciente delle mandorle. Sapete, allo stesso modo in cui un proletario come me è conscio della sua classe sociale o un crapulone come voi pensa sempre alla birra. Ammetto che la cosa è vaga, ma voi mi avete mandato là per vedere se qualcuno del branco si sarebbe tradito, suggerendo l'idea che le mandorle giordane fossero diverse dagli altri canditi. O Boyden McNair ha fatto proprio questo, o io ho l'anima di un dattilografo maschio. E non uso neppure tutte le dita.

― Il signor McNair. Ma guarda. ― Wolfe aveva vuotato il bicchiere e si era appoggiato allo schienale. ― La signorina Helen Frost, secondo quanto dice suo cugino, il nostro cliente, lo chiama zio Boyd. Sapete che sono zio anch'io, Archie?

Sapeva perfettamente che lo sapevo, visto che ero io a battere a macchina le lettere che ogni mese spediva a Belgrado, ma naturalmente non si aspettava una risposta. Aveva chiuso gli occhi ed era immobile. Forse il suo cervello stava lavorando, ma anche il mio faceva lo stesso: dovevo trovare una scusa plausibile per uscire, saltare in macchina, correre alla Cinquantaduesima Strada e rapire Helen Frost. Non mi stavo preoccupando per il caso McNair. Era l'unica esca che avessi in città e pensavo davvero che ci fosse una buona possibilità di catturare un pesce; d'altro canto, avevo raccontato tutto a Wolfe e adesso toccava a lui agire. Ma l'appuntamento delle due di cui avevo parlato... Solo il cielo poteva aiutarmi.

Mi venne un'idea. Sapevo che, quando Wolfe teneva gli occhi chiusi e faceva lavorare il suo genio, era spesso al di là di ogni stimolo esterno. Parecchie volte avevo perfino rovesciato il cestino della carta senza che lui facesse il minimo gesto. Rimasi seduto per un po' a osservarlo: lo vidi respirare e basta. Finalmente decisi di correre il rischio. Tirai i piedi sotto di me e mi sollevai dalla sedia senza farla scricchiolare. Tenevo gli occhi puntati su Wolfe. Tre brevi passi sulle piastrelle di gomma mi portarono al primo tappeto, dove camminare in silenzio era un gioco. Mi mossi in punta di piedi, trattenendo il fiato e accelerando gradualmente mentre mi avvicinavo alla porta. Arrivai all'uscio... un passo nell'ingresso... un altro...

Dietro di me, dallo studio esplose un tuono: ― Signor Goodwin!

Per un momento pensai di scappare via, afferrando al volo il cappello dall'attaccapanni, ma un attimo di riflessione mi convinse che una mossa del genere avrebbe avuto un esito disastroso. Durante la mia assenza Wolfe, per pura cattiveria, avrebbe avuto un'altra ricaduta.

Mi voltai e rientrai nello studio.

― Dove stavate andando? ― ruggì.

Cercai di sorridergli. ― Da nessuna parte. Solo di sopra, per un attimo.

― E come mai quei passi furtivi?

― Io... be'... Perbacco, signore. Non volevo disturbarvi.

― Ma guarda! ― si raddrizzò sulla poltrona. ― Non volevate disturbarmi? Pfui! E cos'altro avete fatto durante gli ultimi otto anni? Chi rovina senza alcun riguardo qualunque programma privato mi azzardi a fare in rare occasioni? ― Agitò una mano aperta. ― Voi non stavate andando di sopra: voi stavate strisciando fuori di casa per precipitarvi per le strade della città, in un disperato tentativo di nascondere l'inganno che avete tramato. Voi volevate cercare Helen Frost e trascinarla qui. Pensavate che non mi fossi accorto delle vostre menzogne in cucina? Non vi ho già detto che le vostre capacità di simulazione sono inesistenti? Bene, ho tre cose da dirvi. La prima è un promemoria: a pranzo avremo frittelle di riso con marmellata di more e scarola con dragoncello. La seconda è un'informazione: voi non avrete il tempo di pranzare qui. La terza è un ordine: dovete andare alla sede della McNair, trovare la signorina Frost e farla venire qui, in questo studio, alle due precise. Senza dubbio avrete la possibilità di comprarvi un panino untuoso da qualche parte. Quando arriverete qui con la signorina Frost, io avrò finito le frittelle e l'insalata.

― Va bene. Ho preso nota di ogni parola. La giovane Frost ha uno sguardo testardo. Ho mano libera? Posso strangolarla? Legarla?

― Ma come, signor Goodwin! ― Era un tono che Wolfe usava di rado; lo definirei una cantilena sarcastica. ― La signorina ha un appuntamento qui alle due. Sicuramente non ci saranno problemi. Non foss'altro che per semplice educazione...

Sgusciai nell'ingresso per prendere il cappello.