Capitolo 15
A quell'ora, le nove meno dieci, sulla Settantatreesima i parcheggi erano scarsi e distanziati tra loro. Finalmente ne trovai uno a circa mezzo isolato dalla Belford Memorial Chapel e ci sistemai la spider. Mi parve che ci fosse qualcosa di familiare nella targa dell'auto davanti alla mia e, infatti, dopo essere sceso e aver dato un'occhiata, vidi che si trattava della convertibile di Perren Gebert. L'auto era splendente e pulitissima; evidentemente era stata lavata dopo l'avventura nella natura selvaggia di Putnam County. Diedi atto a Gebert di una tempra forte e robusta: a quanto pareva, in tre ore si era ripreso abbastanza da apparire a una funzione sociale.
Arrivai a piedi al portale della cappella ed entrai in un'anticamera quadrata dalle pareti rivestite di marmo. Un uomo di mezz'età, vestito di nero, si avvicinò e si inchinò. Sembrava essere sotto l'influenza di una malinconia cronica, ma aristocratica. Mi indicò una porta alla sua destra, stendendo il braccio in quella direzione pur tenendo il gomito attaccato al fianco, e mi mormorò: ― Buonasera, signore. La cappella è da quella parte. Oppure...
― Oppure cosa?
Tossì delicatamente. ― Dato che il defunto non aveva famiglia, alcuni amici intimi si sono riuniti nella saletta privata...
― Uhm... Io rappresento l'esecutore testamentario. Non saprei... Voi cosa ne pensate?
― In questo caso, signore, io direi che forse la saletta...
― Va bene. Dov'è?
― Da questa parte. ― Si voltò a sinistra, aprì una porta e mi fece passare con un inchino.
Entrai e misi i piedi su uno spesso tappeto morbido. La stanza era elegante, con luci tenui, divani e poltrone imbottiti e un odore simile a quello di un barbiere d'alta classe. Seduta su una poltrona in un angolo c'era Helen Frost, pallida, assorta e bella in un abito grigio scuro e cappellino nero. Llewellyn era in piedi davanti a lei, in atteggiamento protettivo. Perren Gebert sedeva sul divano a destra. Due donne, una delle quali riconobbi come una partecipante alla prova dei canditi, erano sedute all'altro lato della sala. Salutai con un cenno i cugini, che mi risposero con un cenno, feci un altro cenno a Gebert, ne ebbi in cambio il suo e poi presi una sedia sulla sinistra. Sentii un mormorio: Llewellyn si era piegato per dire qualcosa a Helen. L'abito di Gebert sembrava più in ordine della faccia; il francese aveva gli occhi gonfi e, in generale, l'aspetto di chi è rimasto all'aperto durante una tempesta.
Mi sedetti e ripensai alla frase di Wolfe: un tetro, sommesso inchino reverente al macabro terrore della morte. La porta si aprì ed entrò Dudley Frost. Io ero il più vicino alla porta. Frost si guardò intorno, passò lo sguardo su di me senza dar segno di riconoscimento, vide le due donne, le salutò con un "come va?" così forte che le signore sobbalzarono sulla sedia, fece un secco cenno in direzione di Gebert e infine attraversò la stanza, dirigendosi verso l'angolo in cui si trovavano i due cugini.
― Sono in anticipo! Non mi succede quasi mai! Helen, mia cara, dove cavolo è tua madre? Le ho telefonato tre volte... Santo cielo! Mi sono dimenticato i fiori! Quando ci ho pensato era troppo tardi per mandarli, così avevo deciso di portarli di persona...
― Non importa, papà. Ci sono mucchi di fiori...
Forse la situazione era ancora tetra, ma non era più certamente sommessa. Mi chiesi come se la cavassero con Dudley Frost il Giorno dell'Armistizio durante il minuto di silenzio. Avevo già pensato a tre possibili metodi quando la porta si aprì di nuovo ed entrò la signora Frost. Il cognato le andò incontro con le sue giaculatorie. Anche la signora era pallida, ma certo non come Helen; a quanto pareva, indossava un vestito da sera nero sotto la cappa nera, con un fiocco di satin nero come cappello. Non mostrò cedimenti; non badò quasi a Dudley, fece un cenno a Gebert, salutò le due donne e si diresse verso la figlia e il nipote.
Io sedevo e osservavo.
Improvvisamente comparve un nuovo arrivato; era entrato così silenziosamente da qualche altra porta che non l'avevo sentito. Era un altro aristocratico, più grasso di quello all'ingresso, ma altrettanto malinconico. Avanzò di qualche passo e si inchinò.
― Se volete seguirmi...
Ci muovemmo tutti. Io rimasi indietro e feci passare gli altri. Lew sembrava pensare che Helen dovesse prendergli il braccio e lei sembrava pensare di no. Seguii la processione, facendo del mio meglio per assumere un'aria decorosa.
Anche la cappella era tenuamente illuminata. La nostra scorta sussurrò qualcosa alla signora Frost; lei scosse il capo e guidò gli altri verso i posti a sedere. C'erano quaranta o cinquanta persone sedute. Un'occhiata mi fece riconoscere parecchie facce che avevo già visto prima; tra le altre, l'avvocato Collinger e, in ultima fila, un paio di piedipiatti. Mi sistemai sul fondo perché avevo notato che la porta che dava sull'ingresso era là. La bara, completamente nera, con maniglie di alluminio, fiori sopra e tutt'intorno, poggiava su una piattaforma. Dopo un paio di minuti si aprì una porta. Entrò un uomo, che si fermò accanto alla bara e ci guardò. Indossava l'uniforme della sua professione, aveva la bocca larga e un'aria di tranquilla sicurezza, priva di arroganza. Dopo un decente intervallo di osservazione, cominciò a parlare.
Per essere un professionista, penso che se la cavasse bene. Io ne avevo già avuto abbastanza molto prima che finisse, perché, per quanto mi riguarda, un po' di vaselina è più che sufficiente. Se devono farmi scivolare verso il paradiso su una saponetta, preferisco che lascino perdere e trovare da solo la mia destinazione finale. Ma parlo solo per me: se a voi piace questo genere di cose, spero che l'avrete.
Il mio posto in fondo mi permise di tagliare la corda appena sentii l'amen. Fui il primo a uscire. Per avermi ammesso alla saletta privata, diedi all'aristocratico nell'ingresso due dollari, che suppongo accettasse solo perché noblesse oblige, e uscii sul marciapiede. Qualche furbo aveva infilato la macchina dietro la mia e l'aveva parcheggiata a tre centimetri dal parafango posteriore. Dovetti fare un mucchio di manovre per uscire senza ammaccare il parafango della convertibile di Gebert. Poi schizzai verso Central Park West e puntai verso il centro.
Erano quasi le dieci e mezzo quando arrivai a casa. Un'occhiata dalla porta dello studio mi informò che Wolfe sedeva nella sua poltrona con gli occhi chiusi e un'orribile smorfia in faccia, mentre ascoltava alla radio L'ora delle perle di saggezza. In cucina, Fritz sedeva al tavolo dove io faccio colazione, assorto in un solitario; si era tolto le pantofole e aveva agganciato gli alluci al piolo di un'altra sedia. Mentre mi versavo un bicchiere di latte dalla bottiglia che avevo preso dal frigorifero, mi chiese: ― Com'è stato? Un bel funerale?
Lo rimproverai. ― Dovresti vergognarti. Mi sembra che tutti voi francesi siate sardonici.
― Io non sono francese! Sono svizzero!
― È quello che dici, però leggi sempre un giornale francese.
Bevvi un sorso di latte, portai il bicchiere nello studio, mi misi a sedere e guardai Wolfe. La smorfia sembrava ancor più distorta di quando gli avevo dato un'occhiata entrando. Lo lasciai soffrire per un altro po', poi mi impietosii, andai alla radio, la spensi e tornai al mio posto. Sorseggiai il latte e lo osservai. Il viso cominciò gradualmente a rilassarsi; finalmente vidi fremere le palpebre, che poi si aprirono leggermente. Wolfe fece un gran sospiro.
― Ve lo meritate ― gli dissi. ― Cosa significa? Bastavano solo pochi passi. Appena è cominciata quella schifezza, potevate alzarvi dalla poltrona, fare quindici passi fino alla radio e tornare indietro. In tutto trenta passi per porre fine al vostro tormento. Oppure, se pensate davvero che sarebbe stato uno sforzo eccessivo, potreste procurarvi uno di quei comandi a distanza...
― Non lo farei, Archie. ― Era del suo umore paziente. ― Non lo farei davvero. Voi sapete perfettamente che ho abbastanza iniziativa da poter spegnere una radio: mi avete già visto farlo e l'esercizio mi fa bene. Ho cercato intenzionalmente la stazione che avrebbe trasmesso le Perle di saggezza e ho deliberatamente sopportato la trasmissione. È disciplina. Mi fortifica e mi mette in grado di sopportare per giorni le normali insensatezze quotidiane. Confesso apertamente che, dopo aver ascoltato le Perle di saggezza, la vostra conversazione è una delizia intellettuale ed estetica. È il massimo. ― Fece una smorfia. ― È quello che una Perla di saggezza ha appena detto a proposito degli interessi culturali: ha detto che sono il massimo. ― Un'altra smorfia. ― Bontà divina. Ho sete. ― Si sollevò e si sporse in avanti per premere il pulsante della birra.
Ma passò un po' di tempo prima che l'avesse. Un istante dopo aver premuto il pulsante, suonò il campanello della porta: significava che Fritz avrebbe dovuto prima eseguire quella mansione. Dato che erano quasi le undici e non aspettavamo nessuno, il cuore cominciò a battermi, come fa sempre quando lavoriamo a un caso senza novità e salta fuori una piccola sorpresa. In effetti, capii che ero cascato di nuovo nella recita di Wolfe, perché ebbi l'improvvisa convinzione che Saul Panzer stesse per entrare con la scatola rossa sotto il braccio.
Poi sentii una voce nell'ingresso che non apparteneva a Saul. La porta si aprì e Fritz si fece indietro per far passare l'ospite. Era Helen Frost. Appena la vidi in faccia, saltai in piedi, le andai accanto e le misi una mano sul braccio, pensando che stesse per svenire.
Scosse la testa e io lasciai cadere la mano. La ragazza si mosse verso la scrivania di Wolfe e si fermò.
― Come state, signorina Frost? ― la salutò Wolfe. ― Mettetevi a sedere. ― E, seccamente: ― Archie, fatela accomodare.
Le presi di nuovo il braccio, la feci spostare e le misi una poltrona dietro. La ragazza vi si lasciò cadere dentro. Mi guardò e disse: ― Grazie. ― Poi si volse verso Wolfe: ― È successo qualcosa di terribile. Non voglio andare a casa e allora... sono venuta qui. Ho paura. Ho sempre avuto paura, ma... Adesso sono davvero spaventata. Perren è morto. Proprio adesso, nella Settantatreesima Strada. È morto sul marciapiede.
― Ma guarda. Il signor Gebert. ― Wolfe agitò un dito verso la ragazza. ― Respirate, signorina Frost. Dovete comunque respirare. Archie, prendete un po' di brandy.