Capitolo 12

Per essere esatti, quello non era il mio lavoro. Io so benissimo qual è il mio campo: tralasciando la mia funzione primaria quale spina sulla poltrona di Wolfe, per impedirgli di andare a dormire e alzarsi solo per i pasti, io sono tagliato essenzialmente per due cose: correre ad afferrare qualcosa prima che l'avversario possa metterci le zampe sopra e raccogliere in giro i pezzi del puzzle perché Wolfe ci lavori su. La spedizione nella Sessantacinquesima Strada non rientrava in nessuno dei due schemi. Non pretendo di essere forte nelle sfumature. Fondamentalmente io sono un tipo diretto ed è per questo che non potrò mai essere un investigatore davvero in gamba. Nonostante tenda a nasconderlo il più possibile, in modo che non interferisca con il mio lavoro, in un caso di omicidio io ho sempre l'impulso di affrontare di petto tutti i possibili indiziati, uno dopo l'altro, di guardarli negli occhi e di chiedere: "Hai messo tu il veleno nel flacone d'aspirina?". E continuerei a farlo finché uno di loro non dicesse di sì. Come ho detto, cerco di trattenermi, ma devo farmi forza.

L'appartamento dei Frost sulla Sessantacinquesima non era così grandioso e pacchiano come mi ero aspettato in base alla mia intima conoscenza delle loro finanze. Era molto luccicante, con un'intera parete dell'ingresso rivestita di specchi; perfino la porta dell'armadio in cui appesi il cappello era a specchio. Nel soggiorno c'erano sedie e tavolini dal telaio cromato, un mucchio di rosso nella tappezzeria e nelle tende, una griglia di metallo davanti al caminetto, che a quanto pareva non veniva adoperato, e quadri a olio in moderne cornici d'argento.

L'appartamento era comunque più allegro della gente che c'era dentro. Dudley Frost era seduto su una grande poltrona da una parte; accanto al gomito aveva un tavolino fornito di bottiglia di whisky, caraffa d'acqua e un paio di bicchieri. Perren Gebert era in piedi vicino alla finestra all'altro lato della stanza, con la schiena rivolta alla sala e le mani in tasca; si voltò quando entrammo. La madre di Helen ci venne incontro e alzò leggermente un sopracciglio quando mi vide.

― Oh! ― mi disse. E a sua figlia: ― Hai portato qui...

Helen annuì decisa. ― Sì, mamma. ― Teneva il mento un po' più in alto di quanto fosse naturale, quasi per farsi coraggio. ― Voi... voi avete conosciuto tutti il signor Goodwin ieri mattina per... la storia dei canditi con la polizia. Ho assunto Nero Wolfe perché indaghi sulla morte dello zio Boyd; il signor Goodwin lavora per lui.

Dalla sua sedia, Dudley Frost abbaiò: ― Lew! Vieni qui! Maledizione, che razza di sciocchezza...

Llewellyn si mosse in fretta verso suo padre per calmarlo. Perren Gebert si era avvicinato a noi e mi sorrideva.

― Ah! L'amico cui non piacciono le scene. Ti ricordi che te ne ho parlato, Calida? ― Trasferì il sorriso alla signorina Frost. ― Mia cara Helen! Hai assunto il signor Wolfe? Sei forse una delle Erinni? Aletto? Megera? Tisifone? E dove hai messo la capigliatura di serpenti? Allora è vero che con i soldi si può comprare tutto? Perfino la vendetta?

― Smettila, Perren ― mormorò la signora Frost.

― Non sto comprandomi la vendetta. ― Helen era arrossita. ― Te l'ho già detto questa mattina, Perren: ti stai comportando in modo particolarmente odioso. Farai meglio a non farmi piangere di nuovo, o io... Be', smettila. Sì, ho assunto il signor Wolfe, e il signor Goodwin è venuto qui e vuole parlare con te.

― Con me? ― Perren si strinse nelle spalle. ― A proposito di Boyd? Se me lo chiedi tu, Goodwin può interrogarmi, ma l'avverto di non aspettarsi molto. La polizia è stata qui per quasi tutto il giorno, e mi sono reso conto di quanto poco in realtà io sappia di Boyd, anche se lo conoscevo da più di vent'anni.

― Ho smesso molto tempo fa di aspettarmi qualcosa ― intervenni. ― Qualunque cosa mi direte, mi andrà bene... Dovrei parlare anche con voi, signora Frost. E con vostro cognato. Devo prendere degli appunti e mi vengono i crampi se scrivo stando in piedi...

La donna annuì e si voltò. ― Potete mettervi là. ― Si mosse verso il punto dove sedeva Dudley Frost. La seguii. La schiena diritta era aggraziata; la signora era senza dubbio snella per la sua età. Llewellyn cominciò a trasportare sedie; Gebert si avvicinò portando la sua. Mentre ci mettevamo a sedere e io tiravo fuori blocco e matita, notai che Helen teneva ancora il mento in alto, ma sua madre no.

La signora Frost stava dicendo: ― Spero che lo capirete, signor Goodwin. Si tratta di una cosa terribile, orribile. Noi eravamo tutti vecchi amici del signor McNair e non ci fa certo piacere parlare di questa vicenda. Lo conoscevo da tutta una vita, fin dall'infanzia.

― Già. Voi siete scozzese? ― le domandai.

Annuì. ― Il mio nome da ragazza è Buchan.

― È quanto ci ha detto McNair. ― Alzai di scatto gli occhi dal blocco, la mia mossa a sorpresa contro l'handicap di non poter fissare la vittima. Ma la signora non stava barcollando sconvolta: stava solo annuendo di nuovo.

― Sì. Da quello che hanno detto i poliziotti, ho capito che Boyd deve aver raccontato al signor Wolfe molti particolari della sua vita da giovane. Naturalmente voi avete il vantaggio di sapere quello che ha detto al signor Wolfe. Sapevo, certo, che Boyden non stava bene... Che i suoi nervi...

― Era a pezzi ― interruppe Gebert. ― Era in pessime condizioni. È per questo che ho detto alla polizia che alla fine si scoprirà che si è trattato di un suicidio.

― Oh quell'uomo era pazzo! ― Era Dudley Frost. ― Vi ho raccontato quello che aveva fatto ieri! Aveva dato istruzioni al suo avvocato di chiedere un rendiconto sull'eredità di Edwin! Con quale autorità? Quella di padrino di Helen? È una cosa assolutamente fantastica e illegale! Ho sempre pensato che fosse pazzo...

L'intervento di Frost causò una confusione generale. La signora Frost protestò con vivacità, Llewellyn con rispettosa irritazione ed Helen con uno scoppio nervoso. Perren Gebert li osservò, mi fece un cenno col capo, come se lui e io dividessimo un divertente segreto, ed estrasse una sigaretta. Non cercai di calmare la situazione, ma mi limitai a osservare la scena e ad ascoltare.

Dudley Frost non cedeva di un millimetro: ― ... pazzo come un cavallo! Perché non avrebbe dovuto suicidarsi? Helen, mia cara, io ti adoro, sai benissimo che ti adoro, ma mi rifiuto di fingere rispetto per quel pazzo solo perché ti piaceva e perché non è più vivo! Io non gli andavo a genio e lui non andava a genio a me! A cosa serve fingere il contrario? E per quanto riguarda il fatto che hai trascinato qui quest'uomo...

― Papà! Basta, papà! Smettila...

Perren Gebert disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare: ― Metà bottiglia è andata... ― La signora Frost, seduta pazientemente con le labbra strette, lo guardò. Mi sporsi in avanti per avvicinarmi a Dudley Frost e gli urlai: ― Cos'è? Dov'è che vi fa male?

Frost sobbalzò e mi guardò. ― Cosa fa male? Dove?

Sorrisi. ― Niente. Volevo solo vedere se eravate in grado di sentire. Penso che ci riuscirete non appena me ne andrò. È il modo migliore per farmi andare via, per tutti voi, è permettermi di rivolgervi qualche domanda idiota e rispondere brevemente, e magari onestamente.

― Abbiamo già risposto. Qualunque domanda idiota possa esserci. Non abbiamo fatto altro per tutto il giorno. E tutto perché quel pazzo di McNair...

― D'accordo. Ho già preso nota che era pazzo. Avete detto qualcosa a proposito di suicidio: che ragione aveva McNair di uccidersi?

― E come accidenti faccio a saperlo?

― Allora non riuscite a pensare ad alcun motivo?

― Non c'è bisogno di un motivo: quell'uomo era pazzo. L'ho sempre detto. Lo dicevo vent'anni fa, a Parigi, quando dipingeva file di uova appese a dei cavi e affermava che quello era Il cosmo!

Helen stava per esplodere. ― Lo zio Boyd non ha mai...

Era seduta alla mia destra; tesi una mano, le toccai la manica con la punta delle dita e le dissi: ― Non fateci caso. Non ponetevi troppi problemi. ― Mi rivolsi a Perren Gebert. ― Siete stato voi per primo a parlare di suicidio. Che ragione aveva McNair per uccidersi?

Gebert si strinse nelle spalle. ― Una ragione specifica? Non saprei. Aveva i nervi a pezzi.

― Già. Aveva sempre mal di testa ― confermai. ― E voi cosa ne dite, signora Frost? Potete suggerire un motivo?

La donna mi guardò. Non si potevano prendere gli occhi di quella donna alla leggera; dovetti fare uno sforzo. ― Le vostre domande sono un po' provocatorie, vero? Se intendete chiedermi se sono al corrente di un motivo concreto per cui Boyden si sia suicidato, la risposta è no.

― Voi credete che si sia suicidato?

La signora aggrottò la fronte. ― Non so cosa pensare. Se penso al suicidio, è solo perché conoscevo molto bene Boyd e mi riesce ancor più difficile credere che ci sia qualcuno che... che qualcuno l'abbia assassinato.

Cominciai a sospirare, ma mi accorsi che stavo imitando Nero Wolfe e mi bloccai. Osservai i miei ospiti. ― Naturalmente sapete tutti che McNair è morto nello studio di Nero Wolfe. Sapete che Wolfe e io eravamo presenti e che ovviamente sappiamo cosa ci stava dicendo e come si sentiva. Non so quanto precisa potrà essere la polizia nelle sue conclusioni, ma il signor Wolfe è molto presuntuoso per quanto riguarda le sue. Ne ha già tratte una o due per questo caso, e la prima è che McNair non si è ucciso: il suicidio è escluso. Pertanto, se credete che questa teoria venga accettata, adesso o in seguito, scordatevene. Provate a fare delle altre ipotesi.

Perren Gebert stese il lungo braccio per spegnere la sigaretta nel portacenere. ― Per quanto mi riguarda ― dichiarò ― non mi sento obbligato a fare nessuna ipotesi. Ne avevo fatta una solo per essere d'aiuto. Perché non ci dite per quale motivo non si è trattato di suicidio?

― Signor Goodwin ― cominciò la signora Frost ― vi ho invitato a sedervi in casa mia perché vi ha portato mia figlia. Tuttavia mi chiedo se vi rendete conto di quanto siate offensivo. Noi... Io non ho nessuna teoria da esporre...

Dudley Frost cominciò a gracchiare. ― Non badargli, Calida. Non farci caso. Io mi rifiuto di parlare con lui. ― Allungò la mano verso la bottiglia di whisky.

― Secondo me ― replicai ― potrei essere ancor più offensivo e sperare lo stesso di andare in paradiso. ― Incontrai di nuovo gli occhi della signora Frost. ― Per esempio, avrei qualcosa da ribattere sulla tiritera secondo cui mi avete invitato a sedermi in casa vostra. Non è casa vostra: è di vostra figlia, a meno che lei non ve l'abbia regalata... ― Alla mia destra qualcuno trattenne il fiato. Era la nostra cliente. La signora Frost spalancò la bocca, ma io proseguii: ― Era solo per farvi vedere come riesco a essere offensivo se mi ci metto davvero. Che razza di idioti pensate che siamo? Neppure i piedipiatti sono così ottusi come immaginate. È ora che voi vi diate un pizzicotto e vi svegliate. Boyden McNair viene fatto fuori: Helen Frost ha abbastanza rispetto per lui da voler sapere chi è stato, abbastanza buon senso da assumere la persona giusta per scoprirlo e abbastanza soldi per pagarlo. Helen Frost è rispettivamente vostra figlia, nipote, cugina e quasi fidanzata. Lei mi ha portato qui. Io so già abbastanza da rendermi conto che voi siete in possesso di informazioni vitali che non intendete sputare, e voi sapete che io lo so. E guardate le storielle da asilo che mi propinate! McNair aveva mal di testa, così è andato nello studio di Nero Wolfe per avvelenarsi! Potreste se non altro avere la gentilezza di dirmi francamente che vi rifiutate di discutere l'argomento, perché non intendete farvi coinvolgere, se potete farne a meno. Almeno così potremmo darci da fare per coinvolgervi. ― Puntai la matita in direzione del lungo naso sottile di Perren Gebert. ― Voi, per esempio! Sapevate che Dudley Frost potrebbe dirci dov'è la scatola rossa?

Mi concentrai su Gebert, ma poiché la signora Frost era alla sua sinistra, ero in grado di vedere anche lei. Gebert abboccò completamente. Voltò di scatto la testa per guardare Dudley Frost e poi la voltò di nuovo verso di me. Anche la signora Frost si voltò di colpo, prima verso Gebert e poi verso il vuoto.

Dudley Frost stava balbettando: ― Cosa? Quale scatola rossa? Quella cretinata nel testamento di McNair? Accidenti, siete pazzo anche voi? Osate dire...

Gli sorrisi. ― Calma! Ho detto solo che avreste potuto dircelo. Sì, si tratta della cosa che McNair ha lasciato a Wolfe in eredità. L'avete voi?

Frost si voltò verso il figlio e grugnì: ― Mi rifiuto di parlare con lui.

― D'accordo ― lo interruppi. ― Ma il fatto è che io sono vostro amico. Vi sto dando dei consigli. Sapevate che il procuratore distrettuale può costringervi a presentare un rendiconto del patrimonio di vostro fratello? E avete mai sentito parlare di mandati di perquisizione? Suppongo che quando i poliziotti, oggi pomeriggio, si sono presentati a casa vostra con un mandato in mano, li abbia fatti entrare la cameriera. Non vi ha telefonato? E naturalmente, cercando la scatola, i poliziotti avranno avuto modo di dare un'occhiata a tutto quello che poteva esserci in giro. O forse non ci sono ancora andati; forse in questo momento sono per strada. E non prendetevela con la cameriera: lei non può farci niente...

Dudley Frost si era alzato in piedi. ― Non faranno... Sarebbe un oltraggio...

― Certo che lo sarebbe. Non dico che l'abbiano fatto, dico solo che, in un caso d'omicidio, faranno qualunque cosa...

Dudley Frost stava attraversando la sala. ― Andiamo, Lew. Perdio, vedremo se...

― Ma papà! Io non...

― Andiamo, ho detto! Sei mio figlio o no? ― Arrivato in fondo alla sala si voltò. ― Grazie per il rinfresco, Calida. Fammi sapere se posso fare qualcosa. Lew, accidenti, andiamo! Helen, mia cara, sei una sciocca, l'ho sempre detto. Lew!

Llewellyn si fermò per mormorare qualcosa a Helen, salutò con un cenno la zia, ignorò Gebert e si affrettò dietro suo padre per aiutarlo nella difesa del loro castello. Ci furono rumori nell'ingresso, poi la porta si aprì e si richiuse.

La signora Frost si alzò e guardò sua figlia dall'alto. Le parlò con molta calma. ― Tutto questo è terribile, Helen. Che dovesse succedere una cosa del genere... E proprio adesso, quando stai per diventare una donna adulta e libera di vivere la tua vita come vuoi. So cosa rappresentava Boyd per te; significava molto anche per me. In questo momento mi accusi di cose che il tempo ti farà dimenticare... Tu stai pensando che io credessi opportuno ridimensionare l'affetto che provavi per lui. In effetti pensavo fosse la cosa migliore: tu sei una ragazza, e le ragazze dovrebbero pensare alla gioventù. Helen, bambina cara...

Si piegò, sfiorò la spalla della figlia, le toccò i capelli e si rialzò. ― Tu sei molto impulsiva, come tuo padre, e a volte non riesci a controllarti del tutto. Non sono d'accordo con Perren, che ti prende in giro e dice che cerchi di comprarti la vendetta. A Perren piace fare dell'ironia: è la sua posa preferita. Lui lo definirebbe essere sardonico... ma tu lo conosci. Io penso che l'impulso che ti ha spinto ad assumere questo detective fosse generoso. Certo, io ho tutti i motivi per sapere che sei generosa. ― La voce era sempre bassa, ma aveva una nota strana, un timbro metallico. ― Io sono tua madre: non credo che tu voglia veramente portare qui persone che affermano che mi rifiuto di discutere questo... argomento... perché non voglio essere coinvolta. Mi dispiace se oggi, al telefono, sono stata brusca con te, ma avevo i nervi a pezzi. Avevamo i poliziotti in casa, e tu non c'eri, occupata a crearci altri guai senza nessun motivo. Davvero... Davvero, non lo capisci? Insulti a buon mercato e pressioni sulla tua stessa famiglia non serviranno a niente. Penso che tu abbia imparato, in ventun anni, che puoi fidarti di me, e a me piace pensare di potermi fidare di te...

Helen Frost si alzò in piedi. Osservando il suo viso, privo di colore e con la bocca contorta, la ragazza mi sembrò molto scossa; pensai di intervenire, ma decisi dl tenere la bocca chiusa. Helen era immobile, diritta, con le mani chiuse a pugno lungo i fianchi; gli occhi erano oscurati dalla tensione, ma fissavano la signora Frost. Fu per quello che non parlai. Gebert fece un paio di passi verso la ragazza e si fermò.

― Puoi fidarti di me, mamma ― disse Helen. Mi guardò e disse con una strana voce, come quella di una bambina. ― Non insultate mia madre, signor Goodwin. ― Poi si voltò di colpo e corse via, piantando baracca e burattini. Uscì da una porta sulla destra, che non dava nell'ingresso, e la richiuse dietro di sé.

Perren Gebert si strinse nelle spalle e si mise le mani in tasca, poi ne tirò fuori una per fregarsi il naso sottile con l'indice. La signora Frost, con i denti stretti sul labbro inferiore, guardò Gebert e poi la porta da cui era uscita sua figlia.

― Non credo mi abbia licenziato ― osservai allegro. ― Almeno io non l'ho capita così. Cosa ne pensate?

Gebert mi fece un sorriso tirato. ― Adesso ve ne andate, vero?

― Forse. ― Avevo ancora il blocco aperto in mano. ― Però fareste meglio a convincervi che noi facciamo sul serio. Non è che ci divertiamo soltanto: lo facciamo per vivere. Non credo che riuscirete a convincerla a smettere. Questa casa appartiene a lei. Sono disposto a mettere le cose in chiaro subito: andiamo in camera sua, o dovunque sia andata, e chiediamole se sono licenziato. ― Puntai gli occhi sulla signora Frost. ― Oppure possiamo fare due chiacchiere qui. Sapete, magari scopriranno che la scatola rossa è proprio a casa di Dudley Frost. Come reagireste?

― Un altro trucchetto idiota ― commentò la signora Frost.

Annuii. ― Già, credo di sì. Comunque, se mi sbattete fuori, l'ispettore Cramer mi rimanderebbe subito qui con uno dei suoi uomini, se Wolfe glielo chiedesse. E voi non siete in posizione tale da poter snobbare i piedipiatti, perché loro sono molto sensibili e riuscireste solo a farli diventare sospettosi. Al momento non hanno proprio dei sospetti: pensano solo che stiate nascondendo qualcosa, perché la gente come voi non vuole pubblicità, se non nelle pagine mondane e nella réclame delle sigarette. Per esempio, sono convinti che voi sappiate dove si trova la scatola rossa. Voi sapete, naturalmente, che è di proprietà di Nero Wolfe: McNair l'ha lasciata a lui. A noi piacerebbe davvero averla, solo per curiosità.

Gebert, dopo avermi educatamente ascoltato, piegò la testa verso la signora Frost e le sorrise. ― Vedi, Calida, questo tipo pensa sul serio che potremmo dirgli qualcosa. È assolutamente convinto e lo è anche la polizia. L'unico sistema per sbarazzarci di loro è farli contenti. Perché non dirgli qualcosa? ― Agitò vagamente la mano. ― Qualunque cosa.

La signora lo guardò con disapprovazione. ― Non c'è niente da scherzare. Certo non il tuo tipo di scherzi.

Gebert inarcò le sopracciglia. ― Non intendevo scherzare. Loro vogliono informazioni su Boyd, e senza dubbio noi ne abbiamo, a mucchi. ― Mi guardò. ― Voi stenografate? Bene. Scrivete: McNair era un inveterato mangiatore di lumache e preferiva il calvados al cognac. Sua moglie morì di parto perché lui insisteva nel fare l'artista ed era troppo povero e incompetente per farla assistere e curare come si doveva. Cosa dici, Calida? Ma il nostro amico vuole dei fatti!... Edwin Frost una volta diede a McNair duemila franchi, all'epoca quattrocento dollari, per un suo quadro, e il giorno dopo lo diede a una fioraia in cambio di una violetta... Non un mazzo di viole, solo una. McNair chiamò sua figlia Glenna perché significa valle e lei era uscita dalla valle della morte, dato che sua madre era morta facendola nascere... Un tocco d'allegria calvinista. Era proprio un tipo allegro Boyd! La signora Frost era la sua più vecchia amica e una volta lo salvò dalla disperazione e dal bisogno. E tuttavia, quando lui diventò il massimo stilista vivente di abiti femminili, le fece invariabilmente pagare il prezzo pieno dei vestiti che lei comprava. E non ha mai...

― Perren! Smettila!

― Mia cara Calida! Smetterla adesso che ho appena cominciato? Diciamo all'amico quello che vuole e lui ci lascerà in pace. È un peccato che non possiamo dargli la sua scatola rossa; Boyd avrebbe davvero dovuto parlarcene. Ma capisco che l'interesse principale di questo signore è nella morte di Boyd, non nella sua vita. Posso essere d'aiuto anche su questo argomento. Sapendo così bene come Boyd viveva, di sicuro dovrei sapere anche come è morto. In effetti, quando ieri sera ho saputo della sua morte, mi è venuta in mente una citazione di Norboisin... La ragazza, Denise, mentre muore balbetta: "Au moins, je meurs ardemment!". Non potrebbero essere state le ultime parole di Boyd, Calida? Naturalmente, nel caso di Denise l'avverbio si riferiva a lei stessa, mentre con Boyd avrebbe indicato il mezzo...

― Perren! ― Questa volta non era più una protesta, era un ordine. Il tono e l'espressione della signora Frost gelarono Gebert. La donna lo fissò. ― Vaneggi come uno sciocco. Ti va di scherzare? Solo uno sciocco scherza sulla morte.

Gebert le fece un leggero inchino. ― Tranne forse che sulla propria. Per mantenere le apparenze.

― Tu forse. Io sono scozzese, come Boyd: per me non è uno scherzo. ― Voltò la testa e mi puntò di nuovo gli occhi addosso. ― Tanto vale che ve ne andiate. Come voi stesso avete detto, questa è casa di mia figlia; noi non vi mandiamo via. Ma mia figlia è ancora minorenne... E comunque noi non possiamo esservi d'aiuto. Non ho assolutamente niente da dire, oltre a quello che ho già detto alla polizia. Se la recita del signor Gebert vi diverte, posso lasciarvi da solo con lui.

Scossi la testa. ― No, non mi diverte molto. ― Infilai il blocco in tasca. ― E poi ho un appuntamento in centro, dove cercherò di cavare sangue da una rapa, cosa che sarà una passeggiata dopo questo colloquio. È possibile che il signor Wolfe vi telefoni per invitarvi a una chiacchierata nel suo studio. Avete impegni per questa sera?

La signora mi gelò. ― Il fatto che il signor Wolfe approfitti di un impulso emotivo di mia figlia è abominevole. Non voglio vederlo. Se dovesse venire qui...

― Di questo non preoccupatevi. ― Le sorrisi. ― Ha già esaurito tutti i suoi viaggi della stagione, e anche di parte della prossima. Ma credo che vi rivedrò. ― Feci per andarmene, ma dopo pochi passi mi voltai. ― A proposito, se fossi in voi non mi darei troppo da fare per persuadere vostra figlia a licenziarci: servirebbe solo a insospettire il signor Wolfe e questo lo trasforma sempre in un demonio. Quando è così non riesco a tenerlo.

Mi sembrò che neppure questo stesse per farla scoppiare in lacrime, così tagliai la corda. Nell'ingresso cercai di aprire lo specchio sbagliato, poi trovai quello giusto e presi il cappello. Le questioni di etichetta sembravano non importare molto, così uscii e mi diressi verso l'ascensore.

Dovetti prendere un taxi per tornare a casa, perché ero andato dai Frost con la nostra cliente e suo cugino dato che non avevo voluto lasciarli da soli, insieme, in quella fase delicata.

Quando arrivai a casa erano le sei passate. Andai prima in cucina, mi versai un bicchiere di latte, annusai due volte il goulash che fumava dolcemente sulla piastra e dissi a Fritz che per me non aveva molto l'odore di capretto appena macellato. Scivolai fuori quando Fritz brandì la schiumarola.

Wolfe era seduto alla scrivania con un libro, I sette pilastri della saggezza di Lawrence, che aveva già letto due volte. Capii di che umore era quando vidi sulla scrivania il vassoio e il bicchiere, ma nessuna bottiglia vuota. Si trattava di uno dei suoi trucchi più infantili; lo faceva ogni tanto, specie quando aveva superato più del solito la sua quota: gettava nel cestino la bottiglia non appena l'aveva vuotata. Se ero nello studio, lo faceva quando io non guardavo. Era quel tipo di cosa che mi rendeva scettico riguardo le condizioni fondamentali del suo cervello; e quel trucco in particolare era tanto più stupido in quanto Wolfe era invece indubbiamente preciso con i tappi, che riponeva tutti religiosamente nel cassetto; lo so perché glieli ho controllati spessissimo. Quando superava la quota, Wolfe faceva una qualche osservazione minimizzante sul valore delle statistiche a ogni tappo che metteva nel cassetto, ma non cercava mai di nasconderne uno.

Gettai il blocco sulla mia scrivania, mi misi a sedere e sorseggiai il latte; cercare di distoglierlo dal libro non sarebbe servito a niente. Ma dopo un po' Wolfe prese la sottile striscia d'ebano che usava come segnalibro, la inserì tra le pagine, chiuse il libro, lo posò sulla scrivania, tese una mano e suonò per la birra. Poi si appoggiò allo schienale e finalmente si accorse di me.

― Un piacevole pomeriggio, Archie?

Feci un grugnito. ― È stato un accidenti di tè. Dudley Frost è stato l'unico che ne ha bevuto un po', però non intendeva dividerlo con nessuno, così l'ho mandato a casa. Ho una sola notizia davvero scottante: nessuno scherza sulla morte, solo uno sciocco. Siete colpito?

Wolfe fece una smorfia. ― Raccontate.

Lessi dal blocco, riempiendo i buchi a memoria, nonostante non ne avessi molto bisogno perché ho condensato talmente i miei simboli che potrei scrivere la Costituzione degli Stati Uniti sul retro di una vecchia busta, che potrebbe essere forse il suo posto. La birra di Wolfe arrivò e andò incontro al suo destino. Tranne che per bere, Wolfe mi ascoltò, come sempre, comodamente appoggiato allo schienale e con gli occhi chiusi.

Gettai il blocco in fondo alla scrivania, ruotai sulla sedia, aprii l'ultimo cassetto e ci appoggiai i piedi sopra. ― Il raccolto è tutto qui. Nient'altro. Adesso cosa faccio?

Wolfe aprì gli occhi. ― Il vostro francese non è neppure ridicolo. Ne riparleremo. Perché avete spaventato e avete fatto andar via il signor Frost con quel discorso sul mandato di perquisizione? C'è una qualche sottigliezza troppo profonda che mi sfugge?

― No, solo l'impulso del momento. Gli avevo fatto quella domanda sulla scatola rossa per avere un appiglio con gli altri due e, mentre parlavo, mi è venuto in mente che sarebbe stato divertente scoprire se a casa aveva qualcosa che non voleva far vedere a nessuno. E poi, a cosa serviva Dudley Frost? Me ne sono sbarazzato.

― Ah! Stavo quasi per farvi credito di una superiore acutezza. Che sarebbe stata quella di farlo andare via sperando che ci potesse essere una frase, uno sguardo, un gesto che in sua presenza non ci sarebbe stato. E infatti è esattamente quello che è successo. Mi congratulo comunque con voi. Per quanto riguarda il signor Frost... E infatti hanno qualcosa a casa che non vogliono far vedere a nessuno. È proprio uno degli scopi di una casa: fornire un luogo dove conservare queste cose... Dunque, mi dite che non hanno la scatola rossa e non sanno dove sia.

― È la mia opinione. L'occhiata che Gebert ha lanciato a Frost, quando ho accennato al fatto che Dudley avesse la scatola, e lo sguardo che la signora Frost ha dato a Gebert... È chiaro che ritengono importante quello che credono contenga la scatola. Ed è probabile che non ce l'abbiano e non sappiano dove sia, altrimenti non sarebbero scattati così quando l'ho suggerito. Per quanto riguarda Frost... Chissà. È il vantaggio di chi esplode sempre e comunque, qualunque cosa tu dica: non ci sono sfumature sintomatiche per un osservatore come me.

― Come voi? Ah! Sono colpito. Confesso di essere sorpreso dal fatto che, appena siete entrato, la signora Frost non abbia trovato un pretesto per portare la figlia in qualche altra stanza. Quella donna è immune dall'ansia? Anche solo la normale curiosità...

Scossi la testa. ― Lei non ce l'ha, neppure normale. Quella signora ha una spina dorsale d'acciaio, un regolatore sull'arteria principale che previene l'accelerazione e un sistema di raffreddamento brevettato per il cervello. Se voleste delle prove di un suo omicidio, dovreste vederglielo fare di persona e assicurarvi di avere una macchina fotografica con voi.

― Povero me! ― Wolfe si sporse sulla poltrona per versarsi dell'altra birra. ― Allora dobbiamo trovare un altro colpevole, cosa che può rivelarsi noiosa. ― Osservò la schiuma calare. ― Prendete il vostro blocco e cercate le note sulla sceneggiata del signor Gebert. Il punto in cui ha citato Norboisin; leggetemi quella frase.

― Volete divertirvi un altro po' con il mio francese?

― No davvero. Non è divertente. Dato che la vostra stenografia è fonetica, fate del vostro meglio per leggere i simboli. Penso di conoscere quella citazione, ma voglio essere sicuro. Sono passati anni da quando ho letto Norboisin e non ho i suoi libri in biblioteca.

Lessi l'intero paragrafo, cominciando con "Mia cara Calida". Affrontai il francese di spinta e lo lessi tutto d'un fiato, ridicolo o no, dato che in tutto ho avuto tre lezioni: una da Fritz nel 1930 e due da una ragazza che incontrai quella volta che lavoravamo su un caso di falsificazione.

― Volete sentirla di nuovo?

― No, grazie. ― Le labbra di Wolfe sporgevano dentro e fuori. ― E la signora Frost lo definisce vaneggiare. Sarebbe stato interessante essere là, per osservare il tono di voce e gli occhi. Il signor Gebert è stato davvero sarcastico nel dirvi in così tante parole chi ha ucciso il signor McNair. Era una bugia, per essere provocatorio? Oppure era la verità, per esibire la sua intelligenza? O una congettura, per dimostrare acutezza anche da parte sua? Credo valga la seconda ipotesi. Ne sono convinto: concorda con le mie supposizioni, ma lui potrebbe non saperlo. Ma anche se conosciamo l'assassino, cosa diavolo possiamo farci? Probabilmente non basterebbe una gran pazienza. Se il signor Cramer mette le mani sulla scatola rossa e decide di agire senza di me, è probabile che spenga completamente la scintilla e ci lasci tutti e due con del carburante che non brucerà. ― Bevve la birra, mise giù il bicchiere e si asciugò le labbra. ― Archie, ci serve quella dannata scatola.

― Bene. Vado a prenderla tra un minuto. Però prima fatemi contento: quand'è stato esattamente che Gebert ci ha detto chi ha ucciso McNair? Non è che per caso parliate solo per sentire la vostra voce?

― Naturalmente no. Non è ovvio? Ma dimenticavo... voi non conoscete il francese. Ardemment vuol dire ardentemente. La traduzione della frase è: "Almeno muoio ardentemente".

― Davvero? ― Inarcai le sopracciglia. ― Sconvolgente.

― Già. E di conseguenza... dimenticavo di nuovo: voi non conoscete il latino, vero?

― Non intimamente. E sono piuttosto timido anche con il cinese. ― Feci un'educata pernacchia in direzione generale. ― Forse dovremmo passare il caso alla Scuola di Lingue Heinemann. La citazione di Gebert ci fornisce anche le prove o dobbiamo trovarcele da soli?

Avevo esagerato. Wolfe strinse le labbra e mi guardò senza simpatia. Si appoggiò allo schienale. ― Un giorno, Archie, sarò costretto a... Ma no, non posso rifare l'universo e di conseguenza devo adattarmi. Ciò che è, è, compreso voi. ― Sospirò. ― Lasciamo perdere il latino. Un'informazione per il vostro archivio: oggi pomeriggio ho telefonato al signor Hitchcock a Londra; aspettatevi la chiamata sulla bolletta. Gli ho chiesto di mandare un uomo in Scozia per parlare con la sorella del signor McNair e di dare istruzioni al suo agente di Barcellona o di Madrid di controllare certi dati nella città di Cartagena. Questo comporterà una spesa di parecchie centinaia di dollari. Non ci sono state ulteriori notizie da Saul Panzer. Abbiamo bisogno di quella scatola rossa. Per me era già chiaro chi aveva ucciso il signor McNair e perché, ancor prima che il signor Gebert si divertisse a comunicarvelo. In realtà non ci è stato di nessun aiuto, né naturalmente intendeva esserlo. Ma quello che si sa non è sempre necessariamente dimostrabile. Pfui! Starmene seduto qui ad aspettare il risultato di una partita a nascondino, quando di fatto tutte le difficoltà sono state superate! Per favore, battetemi a macchina quella dichiarazione del signor Gebert finché è ancora fresca.

Wolfe riprese il libro, appoggiò i gomiti ai braccioli della poltrona, aprì il volume alla pagina giusta e si estraniò.

Lesse fino a ora di cena, ma perfino I sette pilastri della saggezza non rallentarono la sua prontezza nel rispondere al richiamo di Fritz a tavola. Durante la cena, mi spiegò cortesemente la ragione principale del sorprendente successo di Lawrence nel mantenere unite le tribù arabe per la grande rivolta: era perché l'atteggiamento personale di Lawrence verso le donne era lo stesso, classico e tradizionale, degli arabi. Il fatto centrale di ogni uomo, rispetto alle sue attività quale animale sociale, è l'atteggiamento verso le donne; gli arabi sentirono che, sostanzialmente, Lawrence era uno di loro e pertanto lo accettarono. La sua innata attitudine al comando e l'intelligenza fecero il resto. Gli arabi non avrebbero capito un romantico, avrebbero rudemente ignorato un puritano e deriso un sentimentale, ma adottarono come uno di loro lo sprezzante, realista Lawrence, con la sua falsa modestia e il suo fiero, segreto orgoglio. Il goulash era buono come tutti i goulash di Fritz. Quando chiudemmo la cena con il caffè, erano le nove passate. Tornammo nello studio. Wolfe riprese il suo libro. Io andai alla scrivania e mi misi al lavoro con le registrazioni delle piante. Dopo circa un'ora di digestione e di questa tranquilla scenetta familiare, pensai di tentare di carpire una breve lezione di latino da Wolfe e scoprire se Gebert aveva davvero detto qualcosa o se il capo stava soltanto esercitandosi a blaterare, ma arrivò un'interruzione ancor prima che potessi decidere un metodo d'attacco: alle nove e mezzo squillò il telefono.

Presi il ricevitore. ― Studio di Nero Wolfe.

― Archie? Sono Fred. Sto chiamando da Brewster. È meglio che tu mi passi il signor Wolfe.

Gli dissi di restare in linea e mi voltai verso il capo. ― È Fred che chiama da Brewster. Quindici cents al minuto.

A quella notizia, Wolfe smise di leggere, inserì il segnalibro e prese il ricevitore. Dissi a Fred di procedere e aprii il blocco degli appunti.

― Signor Wolfe? Sono Fred Durkin. Saul mi ha mandato in paese per telefonarvi. Non abbiamo trovato nessuna scatola rossa, ma c'è stata una piccola sorpresa. Avevamo finito di perquisire la casa - abbiamo esaminato ogni centimetro - e avevamo cominciato a cercare all'esterno. Siamo nel peggior periodo dell'anno per un'operazione del genere, perché quando in primavera c'è il disgelo qui è tutto fango. Era buio e stavamo lavorando con le torce quando abbiamo visto i fari di un'auto che arrivava dalla strada. Saul ci ha detto di spegnere le torce. È una strada stretta e sterrata, che non permette di andare veloci. L'auto è entrata dal cancello e si è fermata nel vialetto. Noi avevamo messo la convertibile in garage. I fari dell'auto si sono spenti e il motore anche. È sceso un uomo. Era da solo, così siamo rimasti immobili, dietro i cespugli. L'uomo è andato a una finestra, ha acceso una torcia e ha cominciato a cercare di aprirla. Orrie e io siamo saltati fuori e ci siamo messi tra lui e l'auto, mentre Saul gli andava vicino e gli chiedeva perché non entrava dalla porta. L'uomo non si è scomposto, ha detto che aveva dimenticato le chiavi e poi che non sapeva di disturbare e ha fatto per andarsene. Saul l'ha fermato e gli ha detto che avrebbe fatto meglio a entrare, per bere qualcosa e fare due chiacchiere. Il tipo si è messo a ridere, ha detto che per lui andava bene e così è entrato con Saul. Orrie e io li abbiamo seguiti. Abbiamo acceso la luce e ci siamo messi a sedere. Quel tale si chiama Gebert. G-E-B-E-R-T. È alto, snello, con i capelli scuri e il naso sottile.

― Sì, lo conosco. Cosa ha detto?

― Mica tanto. Parla molto, ma non dice niente. Dice che questo McNair era un suo amico e che nella casa ci sono delle cose che gli appartengono. Aveva pensato che tanto valeva venirsele a prendere. Non ha paura e non è un tipo facile. Sorride sempre.

― Sì, lo so. Dov'è adesso?

― Be', è là. Saul e Orrie lo stanno tenendo d'occhio. Saul mi ha mandato a chiedervi cosa volete che ne facciamo.

― Lasciatelo andare. Cos'altro potete fare? A meno che non abbiate fame e vogliate mangiarvelo a cena. Saul non otterrà niente da quel tipo. Non potete trattenerlo...

― Col cavolo che non possiamo! Non ho ancora finito di raccontare, aspettate che vi dica tutto. Eravamo in casa con quel Gebert da dieci, quindici minuti quando abbiamo sentito un rumore all'esterno. Io sono andato fuori a dare un'occhiata. C'erano due auto, che si sono fermate al cancello. Sono scesi degli uomini che mi hanno rincorso nel cortile, e accidenti se non hanno tirato fuori le pistole! Sembrava quasi che io fossi Dillinger. Ho visto che avevano l'uniforme della polizia di Stato. Ho urlato a Saul di chiudere a chiave la porta e poi ho fronteggiato l'attacco. Ero circondato... indovinate da chi? Da Rowcliff, quel cretino di tenente della squadra Omicidi, da altri tre piedipiatti, da due statali e da un nanerottolo con gli occhiali che mi ha detto di essere un vice procuratore distrettuale della contea di Putman. Allora, cosa ne dite? Ero o non ero circondato?

― Sì. A dir poco. Vi hanno sparato?

― Certo. Ma io ho preso al volo le pallottole e gliele ho rilanciate. Be', sembra che siano venuti a cercare quella scatola rossa. Sono andati alla porta e volevano entrare. Saul ha lasciato Orrie accanto alla porta ed è andato alla finestra, per parlare con loro attraverso il vetro. Naturalmente ha chiesto di vedere il mandato di perquisizione e loro non ce l'avevano. C'è stato un po' di tira-e-molla; alla fine gli agenti di Stato hanno annunciato che sarebbero entrati per arrestare Saul per violazione di domicilio. Allora Saul ha appoggiato il foglio firmato da voi contro il vetro della finestra e loro l'hanno illuminato con la torcia. C'è stata un'altra discussione e poi Saul mi ha detto di venire in paese a telefonarvi. Rowcliff ha detto di non pensarci neppure se prima non mi perquisiva per vedere se avevo la scatola rossa. Io gli ho detto che, se mi toccava, l'avrei spellato vivo e l'avrei appeso ad asciugare. Però non ho potuto tirare fuori la convertibile dal garage perché nel vialetto c'era la macchina di Gebert e le altre auto bloccavano la strada al cancello. Così abbiamo dichiarato una tregua: Rowcliff ha preso la sua macchina e siamo venuti tutti e due a Brewster. Sono solo cinque chilometri. Abbiamo lasciato il resto della banda seduto sulla veranda. Vi parlo da un séparé in un ristorante; Rowcliff è in un drugstore e sta telefonando alla centrale. Mi è venuto in mente di prendergli la macchina e di tornare indietro senza di lui.

― Ottima idea. Lo sa che c'è anche Gebert là?

― No. Se Gebert ha dei problemi con i poliziotti, certo non vorrà andarsene. Cosa facciamo? Lo buttiamo fuori? Lasciamo entrare i piedipiatti? Non possiamo uscire a scavare: possiamo solo starcene seduti a guardare il sorriso di Gebert. E poi fa freddo e non abbiamo fuoco. Santo cielo, dovreste sentire quello che dicono gli statali: da quello che ho sentito, là nei boschi prendono orsi e leoni a mani nude e poi se li mangiano crudi.

― Un momento. ― Mi voltai verso Wolfe. ― Suppongo che dovrò farmi una gita in macchina, vero?

Si strinse nelle spalle. Penso che stesse calcolando che ci dovevano essere almeno mille buche tra la Trentacinquesima Strada e Brewster, e diecimila macchine da sorpassare. I pericoli in agguato nella notte... Annuì.

― Torna indietro ― dissi a Fred. ― Tenetevi Gebert. Non fateli entrare. Sarò lì al più presto possibile.