Capitolo 2

 

Fu così che la mattina seguente riuscii a vedere Nero Wolfe che affrontava coraggiosamente la furia degli elementi, il più notevole dei quali, quel giorno, era uno splendente, caldo, sole di marzo. Dico che ci riuscii, perché ero stato io a tramare la mossa persuasiva che gli stava facendo bruciare ogni precedente record. Ciò che l'aveva trascinato fuori dalla porta di casa, arrabbiato e cupo, munito di soprabito, sciarpa, guanti, bastone, qualcosa che lui chiamava ghette e un feltro nero da pirata misura otto calcato fin sulle orecchie, era stato il nome di Winold Glueckner, il primo firmatario di quella lettera... Glueckner, che aveva recentemente ricevuto da un agente di Sarawak quattro bulbi di una pandurata coelogyne rosa, mai vista prima, e che aveva rifiutato con sdegno l'offerta di Wolfe di tremila dollari per due di quei bulbi. Sapendo che vecchio duro e testardo fosse Glueckner, avevo i miei dubbi sul fatto che avrebbe ceduto i bulbi per quanti omicidi Wolfe potesse risolvere dietro sua richiesta, ma comunque avevo acceso la miccia.

Mentre ci allontanavamo in auto dalla casa di arenaria sulla Trentacinquesima Strada, vicino al fiume Hudson - dove Wolfe viveva da oltre vent'anni e io da quasi la metà - in direzione della Cinquantaduesima, cercai di guidare la berlina nel modo più dolce possibile. Con un'unica eccezione alla quale non potei resistere: sulla Quinta Strada, vicino alla Quarantaduesima, c'era una buca perfetta, di circa sessanta centimetri di diametro, che penso qualcuno avesse scavato in cerca dei ventisei famosi dollari pagati agli indiani. Manovrai in modo da passarci esattamente dentro. Diedi un'occhiata nello specchietto retrovisore per sbirciare Wolfe, seduto sul sedile posteriore: aveva un'espressione torva e infuriata.

― Mi dispiace. Ma praticamente stanno sventrando tutte le strade.

Non mi rispose.

Da quello che Llewellyn Frost mi aveva raccontato il giorno prima a proposito della sede della Boyden McNair Incorporated - notizie che avevo registrato sul mio blocco e che avevo letto a Nero Wolfe il lunedì sera - non mi ero reso conto di quelle che erano le aspirazioni sociali della società. Incontrammo Llewellyn Frost al pianterreno, accanto all'entrata. Una delle prime persone che vidi e sentii, mentre Frost ci accompagnava all'ascensore per salire al secondo piano dove c'erano gli uffici e le salette private, fu una commessa che sembrava un incrocio tra una contessa e Texas Guinan. Stava spiegando a una cliente che, nonostante il semplice abito sportivo verde indossato dalla modella fosse di lana High Meadow Loom filata a mano e fosse stato disegnato dal signor McNair in persona, lo si poteva acquistare con soli miseri trecento dollari. Pensai al marito della cliente, rabbrividii, incrociai le dita ed entrai nell'ascensore, dicendo a me stesso: "Questo è un luogo veramente sinistro".

Il piano di sopra era elegante come quello sottostante, ma più tranquillo. Non c'erano abiti in esposizione, commesse, clienti. C'era un lungo, ampio corridoio con porte su entrambi i lati e acqueforti e stampe di caccia appese qua e là sul rivestimento di legno; nella grande sala in cui eravamo entrati uscendo dall'ascensore c'erano sedie rivestite di seta, portacenere a stelo dorati e spessi tappeti dai colori intensi. Colsi il tutto con un'occhiata e poi concentrai l'attenzione sul lato della sala di fronte al corridoio, dove due dee sedevano su un divano. Una, bionda con gli occhi blu, era di una tale, eccezionale bellezza che spalancai gli occhi; l'altra, snella e coi capelli castani scuri, anche se non così notevole, sembrava comunque una buona candidata alla vittoria per Miss Cinquantaduesima Strada.

La bionda ci salutò con un cenno del capo. La ragazza più snella disse: ― Salve, Lew.

Llewellyn Frost salutò a sua volta. ― Ciao, Helen. Ci vediamo dopo.

― Avete visto? ― domandai a Wolfe mentre percorrevamo il corridoio. ― Voglio dire, avete notato le ragazze? Dovreste uscire più spesso. Cosa sono le orchidee a paragone di due boccioli come quelli?

Wolfe si limitò a grugnire.

Frost bussò all'ultima porta sulla destra, l'aprì e si fece di lato per lasciarci passare. Era una stanza grande, abbastanza stretta ma lunga, dove le uniche eccezioni all'eleganza erano le strette necessità di un ufficio. I tappeti erano spessi come quelli nella sala, i mobili erano nello stile che definivo "delizia dell'arredatore". Le finestre erano coperte da pesanti tendaggi di seta gialla, le cui pieghe cadevano graziosamente sul pavimento; la luce proveniva da candelieri di vetro grandi come barili.

Frost fece le presentazioni. ― Il signor Nero Wolfe, il signor Goodwin. Il signor McNair.

L'uomo seduto alla scrivania dalle gambe intagliate si alzò in piedi e porse la zampa, senza troppo entusiasmo. ― Piacere, signori. Sedetevi. Lew, vuoi portare un'altra sedia?

Wolfe aveva un'espressione tetra. Diedi un'occhiata alle sedie e capii che dovevo agire in fretta, perché sapevo che Wolfe era capace di scapparsene via di corsa per inconvenienti molto minori; dato che ero riuscito a portarlo fin lì, avrei cercato di trattenerlo, se possibile. Andai all'altro lato della scrivania e misi una mano sulla poltrona di Boyden McNair, che era ancora in piedi.

― Col vostro permesso, signore. Il signor Wolfe preferisce un sedile spazioso: è una delle sue fissazioni. Le altre sedie sono troppo strette. Vi dispiace?

A quel punto avevo già spostato la poltrona in una posizione dove Wolfe poteva prenderla. McNair ci fissò. Al posto della sua poltrona gli portai una delle "delizie dell'arredatore", gli sorrisi, rifeci il giro della scrivania e mi accomodai accanto a Llewellyn Frost.

McNair si rivolse al nostro cliente. ― Lew, tu sai come sono occupato. Hai informato questi signori che ho accettato di concedere loro quindici minuti?

Frost lanciò un'occhiata a Wolfe e poi di nuovo a McNair. Vedevo le sue mani, con le dita intrecciate, appoggiate sulla coscia; le dita erano strette. ― Ho detto loro che ti avevo convinto a riceverli. Non credo che quindici minuti basteranno...

― Dovranno bastare. Ho da fare. Siamo in piena stagione. ― McNair aveva una voce sottile, acuta. Continuava a cambiare posizione sulla sua sedia... cioè, su quella che era temporaneamente la sua sedia. ― Comunque, a cosa serve? ― proseguì. ― Cosa posso fare io? ― Tese le mani, guardò l'orologio che aveva al polso e si rivolse a Wolfe. ― Ho promesso a Lew quindici minuti. Sono a vostra disposizione fino alle undici e venti.

Wolfe scosse la testa. ― Giudicando dal racconto del signor Frost, avrò bisogno di più tempo. Direi due ore, forse di più.

― Impossibile ― scattò McNair. ― Sono occupatissimo. Vi restano quattordici minuti.

― Tutto questo è ridicolo. ― Wolfe puntò le mani sui braccioli della poltrona in prestito e si alzò in piedi. Bloccò le proteste di Frost con il palmo della mano, abbassò gli occhi su McNair e disse tranquillamente: ― Io non volevo venire qui a trovarvi, signore. L'ho fatto in considerazione di un gesto idiota, ma simpatico, ideato ed eseguito dal signor Frost. So che il signor Cramer della polizia ha avuto parecchi colloqui con voi, e so anche che è decisamente insoddisfatto per la mancanza di progressi nelle indagini relative all'assassinio di una vostra impiegata, avvenuto nei vostri uffici. Il signor Cramer ha un'alta opinione delle mie capacità. Gli telefonerò entro un'ora e gli suggerirò di portare voi ― e altre persone ― nel mio studio. ― Wolfe agitò un dito. ― E per molto più a lungo di quindici minuti.

Wolfe si mosse. Io mi alzai in piedi. Frost fece per seguirlo.

― Aspettate! ― disse McNair. ― Aspettate un momento, voi non capite! ― Wolfe si voltò e rimase immobile. McNair continuò: ― In primo luogo, perché cercate di intimorirmi? È ridicolo: Cramer non può trascinarmi nel vostro studio, o da qualsiasi altra parte, se io non voglio, e voi lo sapete. Naturalmente Molly... Certamente l'omicidio è stato terribile. Santo cielo, credete che non lo sappia? Naturalmente farò tutto ciò che posso per aiutare a chiarire il caso. Ma a cosa serve? Ho già detto a Cramer tutto quello che so; abbiamo riesaminato la storia decine di volte. Sedetevi. ― Estrasse un fazzoletto di tasca, con cui si asciugò la fronte e il naso, fece per rimetterlo in tasca, poi invece lo gettò sulla scrivania. ― Mi verrà un esaurimento. Mettetevi a sedere. Ho lavorato quattordici ore al giorno per preparare in tempo la collezione primavera, quanto basta per uccidere un uomo. E poi, a coronare il tutto, capita anche questa faccenda. È stato Lew Frost a trascinarvi in questa storia, ma lui cosa diavolo ne sa? ― Lanciò un'occhiata al nostro cliente. ― Ho raccontato tutto alla polizia, l'ho ripetuto fino alla nausea. Mettetevi a sedere, per favore. Dieci minuti vi basteranno abbondantemente per ascoltare quello che so. Come ho detto a Cramer, è proprio questo l'aspetto peggiore: nessuno sa niente. ― Guardò di nuovo il giovanotto. ― Tu sai perfettamente che stai cercando di servirti di quanto è successo per costringere Helen ad andarsene da qui. ― Spostò lo sguardo su Wolfe. ― Vi aspettavate da parte mia qualcosa di più di un minimo di educazione? E perché?

Wolfe era tornato alla sua poltrona e ci si era calato dentro, senza togliere gli occhi dal viso di McNair. Frost fece per parlare, ma lo zittii scuotendo la testa. McNair riprese il fazzoletto, se lo passò di nuovo sulla fronte e lo rimise via. Aprì il primo cassetto sulla destra della scrivania, ci guardò dentro e borbottò: ― Dove accidenti è finita l'aspirina? ― Provò con quello sulla sinistra, vi infilò una mano e ne estrasse un flacone. Si fece cadere due o tre compresse nel palmo, si versò mezzo bicchiere d'acqua da una caraffa termica, si gettò le compresse in bocca e le inghiottì con l'acqua.

Guardò Wolfe e si lamentò, risentito: ― Sono due settimane che ho mal di testa. Ho preso una tonnellata di aspirina e non è servito a niente. Sto per avere un esaurimento. Proprio così...

Qualcuno bussò; la porta si aprì. L'intrusa era una donna alta e attraente, in un abito nero decorato con file di bottoni bianchi. Entrò, diede un'educata occhiata generale e intonò con voce coltissima: ― Vogliate scusarmi. ― Si rivolse a McNair: ― Il modello 1241, quello in cashmere marezzato con la striscia di cotone... Possiamo farlo in due tonalità di shetland naturale?

McNair aggrottò la fronte. ― Come?

La ragazza prese fiato. ― Il modello 1241...

― Ho capito. No, non si può. Il modello resta com'è, signora Lamont. Lo sapete bene.

― Sì, lo so. Ma la signora Frost lo vuole così.

McNair si raddrizzò. ― La signora Frost? È qui?

La donna annuì. ― Sta ordinando. Le ho detto che eravate molto occupato. Ha comprato due completi Portsmouth.

― Oh, davvero... ― McNair aveva improvvisamente smesso di giocherellare e la sua voce, anche se ancora acuta, sembrava più sotto controllo. ― Voglio vederla. Chiedetele se può aspettare finché avrò finito qui.

― E il 1241 in due tonalità di shetland...

― Sì, naturalmente: aumentate il prezzo di cinquanta dollari.

La donna annuì, si scusò di nuovo e se ne andò.

McNair diede un'occhiata all'orologio, guardò tetro il giovane Frost e poi Wolfe. ― Avete ancora i vostri dieci minuti.

Wolfe scosse la testa. ― Non ne ho bisogno. Siete nervoso, signor McNair. Sconvolto.

― Come? Non ne avete bisogno?

― No. Voi probabilmente conducete una vita troppo frenetica, correndo come un matto per vestire delle donne. ― Wolfe rabbrividì. ― Orribile. Vorrei farvi due domande. La prima riguarda la morte di Molly Lauck: avete niente da aggiungere a quanto avete detto al signor Cramer e al signor Frost? Conosco abbastanza bene le vostre dichiarazioni. Niente di nuovo?

― No. ― McNair era accigliato. Prese il fazzoletto e si asciugò la fronte. ― Assolutamente niente.

― Bene. Allora sarebbe inutile sprecare altro vostro tempo. L'altra domanda: potreste mettermi a disposizione una stanza, dove alcuni dei vostri impiegati verranno a parlare con me? Cercherò di essere il più breve possibile. In particolare, vorrei parlare con le signorine Helen Frost e Thelma Mitchell e con la signora Lamont. Suppongo che il signor Perren Gebert non sia qui, vero?

― Gebert? ― scattò McNair. ― Perché mai dovrebbe essere qui?

― Non lo so. ― Wolfe sollevò le spalle di un centimetro e le abbassò. ― Ho chiesto. So che era qui una settimana fa, il giorno in cui morì la signorina Lauck e ci fu la vostra sfilata. Sfilata è il termine esatto, vero?

― Avevo una sfilata, sì. Gebert è venuto a vederla. C'era un mucchio di gente. Per quanto riguarda il colloquio con le ragazze e con la signora Lamont... Se non sarà una cosa lunga, potete farlo qui. Io devo scendere di sotto.

― Preferirei qualcosa di meno... di più modesto. Se non vi dispiace.

― Come preferite. ― McNair si alzò in piedi. ― Lew, accompagnali in una delle salette. Avvertirò la signora Lamont. Volete parlare con lei per prima?

― Preferirei cominciare con la signorina Frost e la signorina Mitchell, insieme.

― Se ci sarà bisogno di loro, dovranno interrompervi.

― Porterò pazienza.

― Va bene. Le avverti tu, Lew? ― McNair si guardò intorno, afferrò il fazzoletto dal ripiano della scrivania, se lo mise in tasca e uscì dall'ufficio.

Llewellyn Frost si alzò in piedi e cominciò a protestare: ― Non capisco perché non avete...

Wolfe lo interruppe. ― Signor Frost, la mia sopportazione ha un limite. È chiaro che il signor McNair sta male, ma non potete pretendere che questo comporti automaticamente la mia tolleranza. Non dimenticatevi che siete voi il responsabile di questa grottesca spedizione. Dov'è questa saletta?

― Però, dopotutto, sono quello che vi paga.

― Non adeguatamente. Non potreste. Andiamo!

Frost ci fece uscire, ci guidò lungo il corridoio e aprì l'ultima porta sulla sinistra. Accese le luci, disse che sarebbe tornato subito e sparì. Mi guardai intorno. Era una piccola stanza dalle pareti rivestite in legno, con un tavolo, un portacenere a stelo, specchi a figura intera e tre graziose seggioline di seta. In piedi, Wolfe osservò la scena con le labbra strette.

― Disgustoso ― dichiarò. ― Io non...

Gli sorrisi. ― So benissimo che voi non. E per una volta tanto, non posso biasimarvi. Ci penso io.

Uscii, ripercorsi il corridoio fino all'ufficio di McNair, entrai, mi caricai la poltrona in spalla e mi diressi di nuovo verso la saletta. Frost e le due dee stavano entrando proprio mentre arrivavo. Frost andò a prendere un'altra sedia e io depositai la mia preda dietro il tavolo. ― Se vi ci affezionate, possiamo portarcela a casa ― dissi a Wolfe. Frost tornò con il suo contributo di sedie.

― Andate a prendere tre bottiglie di birra leggera, fredda, un bicchiere e un apribottiglie ― gli dissi. Dobbiamo mantenerlo in vita.

Frost inarcò le sopracciglia. ― Siete pazzo!

― Sono stato pazzo a suggerirvi la lettera dei tizi delle orchidee? Andate a prendere la birra.

Andò. Mi sistemai su una sedia, con la ragazza bionda da una parte e la silfide dall'altra. Wolfe stava annusando l'aria. Improvvisamente domandò: ― Tutte le salette sono profumate in questo modo?

― Sì. ― La bionda gli sorrise. ― Non siamo noi.

― No. L'odore c'era già prima che voi entraste. Pfui. Così voi ragazze lavorate qui. Siete modelle?

― Sì, siamo modelle. Io mi chiamo Thelma Mitchell. ― La bionda agitò una mano aggraziata. ― E lei è Helen Frost.

Wolfe annuì e si rivolse alla silfide: ― Perché lavorate qui, signorina Frost? Non mi pare ne abbiate bisogno, vero?

Helen Frost lo fissò apertamente, con la fronte corrugata. ― Mio cugino ci ha detto che volevate vederci a proposito... a proposito di Molly Lauck.

― Infatti. ― Wolfe si appoggiò allo schienale. Con cautela, per vedere se avrebbe retto. Non ci furono scricchiolii e lui si rilassò. ― Vi prego di tener presente una cosa, signorina Frost: io sono un investigatore. E pertanto, anche se posso essere accusato di incompetenza o di stupidità, non mi si può accusare di impertinenza. Per quanto le mie domande vi sembrino stupide o irrilevanti, possono in effetti essere cariche di significato e di sinistre implicazioni. Rientra nella tradizione della mia professione. In realtà, mi stavo semplicemente sforzando di conoscervi un po' meglio.

Gli occhi della ragazza rimasero imperturbabili. ― Sono qui per fare un favore a mio cugino Lew. E lui non mi ha chiesto di fare conoscenza con voi. ― Deglutì. ― Mi ha chiesto soltanto di rispondere alle vostre domande a proposito di lunedì scorso.

Wolfe si sporse in avanti e sbottò: ― Solo per fare un favore a vostro cugino? Molly Lauck non era una vostra amica? Non è stata assassinata? Non vi interessa collaborare per risolvere il caso?

Le domande non sembrarono sconvolgerla troppo. Inghiottì di nuovo, ma rimase tranquilla. ― Mi interessa... sì, certo. Ma ho già detto alla polizia... Non capisco cosa Lew... E perché voi... ― S'interruppe, alzò la testa e domandò: ― Non ho detto che risponderò alle vostre domande? È orribile... è una storia orribile...

― È vero. ― Wolfe si rivolse bruscamente alla bionda. ― Signorina Mitchell, so che una settimana fa, lunedì pomeriggio, alle quattro e venti, voi e la signorina Frost avete preso l'ascensore insieme al piano di sotto e siete salite a questo piano. È esatto?

La ragazza annuì.

― E qui non c'era nessuno. O meglio: voi non avete visto nessuno. Avete percorso il corridoio fino alla quinta porta sulla sinistra, di fronte all'ufficio del signor McNair, e siete entrate nella stanza, un locale che voi quattro modelle usate come saletta riposo. Nella stanza c'era Molly Lauck. Esatto?

La ragazza annuì di nuovo.

― Ditemi cosa è successo ― disse Wolfe.

La bionda prese fiato. ― Be', abbiamo cominciato a parlare della sfilata, dei clienti e così via. Niente di speciale. Abbiamo chiacchierato per circa tre minuti e poi, improvvisamente, Molly disse che si era scordata una cosa. Frugò sotto un cappotto e prese una scatola...

― Scusatemi: quali sono state le parole della signorina Lauck?

― Disse solo che si era scordata una cosa, che aveva un bottino di guerra...

― No, vi prego. Cosa disse? Le parole esatte.

La bionda lo guardò. ― Be', non so se mi ricordo. Disse... Vediamo: «Ah, stavo per scordarmene, ragazze: ho un bottino. L'ho fregato facile facile». E mentre lo diceva, prendeva la scatola da sotto il cappotto...

― Dov'era il cappotto?

― Era il suo cappotto e si trovava sul tavolo.

― Voi dov'eravate?

― Io? Ero proprio lì, in piedi. Molly era seduta sul tavolo.

― Dov'era la signorina Frost?

― Era... Era dalla parte opposta, davanti allo specchio. Si stava sistemando i capelli. Vero, Helen?

La silfide si limitò a sorridere.

― E poi? ― chiese Wolfe. ― Ripetete le parole esatte.

― Be', Molly mi porse la scatola. Io la presi, l'aprii e dissi...

― La scatola era già stata aperta prima?

― Non lo so. Comunque non era incartata e non aveva nastri o roba del genere. Io l'aprii e dissi: «Accidenti, è almeno un chilo di roba! Ed è nuova di zecca. Dove l'hai presa, Molly?». E lei mi rispose: «Te l'ho detto: l'ho fregata. Cosa te ne pare?». Poi disse a Helen di prenderne un po'...

― Le parole esatte.

La signorina Mitchell aggrottò la fronte. ― Non mi ricordo. Qualcosa come «Prendine, Helen» o «Fai festa anche tu». Una cosa così. Comunque Helen non prese niente.

― Cosa rispose?

― Non lo so. Cosa hai detto, Helen?

La signorina Frost parlò senza deglutire. ― Non mi ricordo. Avevo appena bevuto un cocktail e non ne avevo voglia.

La bionda annuì. ― Si, qualcosa del genere. Poi Molly ne prese un pezzo e ne presi uno anch'io...

― Per favore ― l'interruppe Wolfe agitando un dito. ― Avevate voi la scatola in mano?

― Sì. Me l'aveva data Molly.

― La signorina Frost non l'ha mai avuta in mano?

― No. Ve l'ho detto: lei non ne voleva. Non ci diede neppure un'occhiata.

― E invece voi e la signorina Lauck ne prendeste un pezzo.

― Io ne presi due: un candito d'ananas e uno di prugna. La scatola era un misto di cioccolatini, caramelle, noccioline e frutta candita. Molly si mise in bocca il suo, tutto intero, e dopo averlo morso disse... disse che aveva un sapore forte...

― Le parole precise, per favore.

― Be', vediamo..., disse: «Dio mio, è fortissimo. Però non è cattivo». Fece una smorfia, ma lo masticò e lo inghiottì. Poi... Be'... Non avete idea di come sia successo in fretta.

― Ci proverò. Raccontate.

La ragazza si interruppe perché la porta si era aperta. Apparve Llewellyn Frost, con un sacchetto di carta in mano. Mi alzai in piedi e glielo presi; dal sacchetto estrassi l'apribottiglie, il bicchiere e le bottiglie, che sistemai davanti a Wolfe. Il capo afferrò l'apribottiglie e toccò la bottiglia.

― Umf. È birra Scheirer. Troppo fredda.

Mi rimisi a sedere. ― Andrà benissimo. Provatela. ― Wolfe versò la birra, mentre Helen Frost diceva a suo cugino: ― Ecco perché sei uscito. Il tuo investigatore vuole sapere esattamente cosa ho detto, le parole precise, e ha chiesto a Thelma se ho mai avuto tra le mani la scatola di canditi...

Frost le toccò una spalla. ― Dài, Helen! Non prendertela. Lui sa quello che sta facendo...

Una bottiglia era già vuota, e anche il bicchiere. Frost si mise a sedere. Wolfe si asciugò la bocca.

― Signorina Mitchell, mi stavate dicendo che la signorina Lauck disse qualcosa a proposito di togliersi quel sapore di bocca.

La bionda annuì. ― Sì. E poi... Be', si raddrizzò di colpo e fece uno strano suono. Non un urlo: era solo un suono, un suono orribile. Si alzò dal tavolo dove era seduta, poi ci si appoggiò contro. Aveva il viso tutto contorto. Era... sì, contorto. Mi guardò con gli occhi fissi; spalancò la bocca, ma non riuscì a dire niente. Poi, improvvisamente, ebbe un brivido in tutto il corpo, mi afferrò per i capelli e... e...

― Sì, signorina Mitchell?

La ragazza deglutì. ― Be', quando cadde a terra mi trascinò con sé, perché mi teneva per i capelli. A quel punto naturalmente ero spaventata. Scattai indietro. Poi, quando il dottore... Quando arrivò gente, videro che aveva una ciocca dei miei capelli tra le dita.

Wolfe fissò la ragazza. ― Avete nervi saldi, signorina Mitchell?

― Non sono una pappamolla. Quella sera, quando sono tornata a casa, mi sono fatta un buon pianto, ma sul momento non ho versato una lacrima. Helen era in piedi, appoggiata al muro; tremava, guardava e non riusciva a muoversi. Ve lo dirà lei stessa. Io sono corsa all'ascensore e ho gridato per chiedere aiuto, poi sono tornata subito indietro, ho rimesso il coperchio sulla scatola e l'ho tenuta in mano finché non è arrivato il signor McNair. Allora l'ho data a lui. Molly era morta, l'avevo capito. Era tutta rattrappita. È morta di colpo. ― Deglutì di nuovo. ― Forse voi potete chiarirmi una cosa: il dottore ha detto che si è trattato di una specie di acido; il giornale diceva che è stato cianuro di potassio.

― Acido cianidrico ― intervenne Lew Frost. ― La polizia dice... È la stessa cosa. Ve ne avevo parlato, vero?

Wolfe agitò un dito verso Frost. ― Vi prego. Sono io quello che deve guadagnarsi la parcella, voi siete quello che la paga. Dunque, signorina Mitchell: voi non avete avuto problemi con i due canditi che avete mangiato. E la signorina Lauck ne aveva mangiato solo uno.

― È così. ― La bionda rabbrividì. ― È terribile pensare che esiste qualcosa che ti può uccidere così in fretta. Molly non è riuscita neppure a parlare. Quando ha avuto quel brivido, abbiamo praticamente visto il veleno che l'uccideva. Io ho preso la scatola, ma me ne sono sbarazzata appena ho visto il signor McNair.

― Mi hanno detto che a quel punto siete corsa via.

La ragazza annuì. ― Sì, sono filata in bagno. ― Fece una smorfia. ― Dovevo vomitare: ne avevo mangiati due.

― Molto opportuno. ― Wolfe aveva aperto un'altra bottiglia e ne versava il contenuto nel bicchiere. ― Torniamo un attimo indietro: non avevate mai visto quella scatola di canditi, prima che la signorina Lauck la prendesse da sotto il cappotto?

― No, mai.

― Cosa pensate volesse dire la vostra amica quando ha affermato di averla "fregata"?

― Be'... Voleva dire che... Che l'aveva vista da qualche parte e se l'era presa.

Wolfe si voltò. ― Signorina Frost, cosa pensate volesse dire la signorina Lauck con quella frase?

― Suppongo volesse dire esattamente quello che ha detto: che l'aveva fregata, cioè rubata.

― Era una sua abitudine? Era una ladra?

― No, naturalmente. Ha preso solo una scatola di canditi. L'ha fatto per scherzo, credo. Le piaceva fare scherzi... Cose del genere.

― Avevate mai visto la scatola, prima che la signorina Lauck ve la mostrasse in quella stanza?

― No.

Wolfe vuotò il bicchiere in cinque sorsi, la sua media, e si asciugò la bocca. Gli occhi semichiusi erano fissi sulla bionda. ― Quel giorno, voi siete andata a pranzo con la signorina Lauck. Parlatecene.

― Molly e io siamo uscite insieme verso l'una. Avevamo fame perché avevamo lavorato parecchio - la sfilata andava avanti dalle undici - ma siamo andate solo alla tavola calda dietro l'angolo: dovevamo tornare entro venti minuti, perché anche Helen e le altre modelle avventizie potessero andare a mangiare. La sfilata avrebbe dovuto durare dalle undici alle due del pomeriggio, ma sapevamo che sarebbe continuata ad arrivare gente. Così abbiamo mangiato dei panini, un dolce di crema e siamo tornate subito qui.

― Avete visto la signorina Lauck rubare la scatola di canditi alla tavola calda?

― Certo che no! Non lo avrebbe mai fatto.

― Avete preso voi la scatola al drugstore e l'avete portata con voi?

La signorina Mitchell lo fissò. ― Per amor del cielo, no! ― dichiarò disgustata.

― Siete certa che la signorina Lauck non abbia preso la scatola da qualche parte, mentre eravate fuori a pranzo?

― Sicurissima. Sono stata sempre con lei.

― E la vostra amica non è tornata fuori nel pomeriggio?

― No. Abbiamo lavorato insieme fino alle tre e mezzo, quando c'è stata una pausa e lei è salita al piano di sopra. Poco dopo siamo salite anche Helen e io e l'abbiamo trovata lì. Nella saletta riposo.

― E la signorina Lauck ha mangiato un candito ed è morta, mentre voi ne avete mangiati due e siete viva. ― Wolfe sospirò. ― Naturalmente c'è la possibilità che avesse portato la scatola con sé venendo a lavorare la mattina.

La bionda scosse la testa. ― Ci ho pensato. Ne abbiamo parlato molto tra di noi: Molly non aveva nessun pacco. E poi, dov'era stata la scatola per tutta la mattina? Non era nella saletta, non era da nessun'altra parte...

Wolfe annuì. ― È questo il problema: si tratta di una storia riportata. Voi in realtà non mi state raccontando i vostri ricordi, freschi e immediati, di quello che è successo lunedì scorso: voi state solo ripetendo le chiacchiere che ne sono derivate. Vi prego: non intendo offendervi. Non potete fare diversamente. Avrei dovuto essere qui lunedì pomeriggio... O meglio, non avrei dovuto esserci affatto. Non dovrei essere qui neppure adesso. ― Lanciò un'occhiata a Llewellyn Frost, poi si ricordò della birra, riempì il bicchiere e bevve.

Guardò prima una ragazza e poi l'altra. ― Voi sapete, naturalmente, qual'è il problema: lunedì scorso, per la sfilata, c'erano qui più di cento persone. Per la maggior parte donne, ma anche qualche uomo. Era una fredda giornata di marzo e di conseguenza tutti indossavano il cappotto. Chi ha portato quella scatola di canditi? La polizia ha interrogato tutte le persone che in qualche modo hanno a che fare con questa società. Non hanno trovato nessuno che abbia visto la scatola o ammetta di esserne stato a conoscenza. Nessuno che abbia visto la signorina Lauck con la scatola, o abbia la minima idea di dove l'abbia presa. Una situazione assurda!

Agitò un dito verso Frost. ― Ve l'avevo detto: questo caso non rientra nel mio territorio. Posso usare una freccia o una spada, ma non posso piazzare trappole in giro per tutto il territorio metropolitano. Chi ha portato qui il veleno? A chi era destinato? Solo Dio lo sa, e io non sono ancora disposto ad andarlo a trovare, quanti che siano i grandi coltivatori d'orchidee costretti da qualcuno a firmare lettere demenziali. Dubito valga la pena di tentare di guadagnare la seconda parte della vostra parcella, dato che vostra cugina rifiuta di fare conoscenza con me. Per quanto riguarda la prima metà, cioè la soluzione della morte della signorina Lauck, potrei cominciare le indagini solo intervistando tutti quelli che si trovavano qui lunedì scorso, e dubito che potreste convincere anche i più innocenti di loro a venire nel mio studio.

― È il vostro mestiere ― borbottò Lew Frost. ― Avete accettato l'incarico. Se non siete all'altezza...

― Sciocchezze. Un ingegnere che progetta ponti scava forse dei fossi? ― Wolfe aprì la terza bottiglia. ― Mi pare di non avervi ringraziato per la birra. Lo faccio adesso. Vi assicuro, signore, che questo problema rientra certamente nelle mie capacità, almeno per quanto mi è possibile applicarle. Ma fino a questo momento... Per esempio, prendiamo la signorina Mitchell: sta dicendo la verità? Ha ucciso lei Molly Lauck? Vediamo di scoprirlo. ― Si voltò e domandò a bruciapelo: ― Signorina Mitchell, mangiate spesso canditi?

― Non fate lo spiritoso.

― Mi appello alla vostra indulgenza. Non vi farà male, con dei nervi come i vostri. Ne mangiate spesso?

La ragazza si strinse nelle spalle. ― Ogni tanto. Devo stare attenta: faccio la modella e sono costretta a trattenermi.

― Che tipo di canditi preferite?

― Quelli di frutta. Ma mi piacciono anche le noci.

― Lunedì scorso voi avete tolto il coperchio della scatola. Di che colore era?

― Marrone. Una specie di marrone dorato.

― Di che marca erano i canditi? Cosa c'era scritto sul coperchio?

― C'era scritto... C'era scritto "Misto". Qualcosa del genere.

Wolfe scattò: ― Qualcosa del genere? Volete dire che non ricordate il nome sul coperchio?

La ragazza aggrottò la fronte. ― No... Non me lo ricordo. Che strano... Avrei giurato...

― Ci avrei giurato anch'io. Voi avete guardato il coperchio, l'avete tolto, più tardi l'avete rimesso e avete tenuto la scatola in mano. Sapevate che dentro c'era un veleno mortale e non avete avuto la minima curiosità di...

― No, aspettate un momento! Non siete poi così furbo. Molly era morta, stesa sul pavimento. Tutti correvano in giro per la stanza e io cercavo il signor McNair per dargli la scatola. Non volevo tenere quella cosa in mano, e di sicuro non pensavo a qualche cosa che potesse incuriosirmi. ― Aggrottò di nuovo la fronte. ― Comunque devo dire che è strano che non abbia visto il nome.

Wolfe annuì. Si voltò di scatto verso Lew Frost. ― Vedete anche voi com'è la situazione. Cosa si può dedurre dall'esibizione della signorina Mitchell? Sta astutamente fingendo di non sapere cosa c'era scritto su quel coperchio, oppure c'è da credere che davvero non l'abbia notato? Sto semplicemente dandovi una dimostrazione. Volete un altro esempio? Prendete vostra cugina. ― Spostò lo sguardo sulla ragazza e domandò: ― E voi, signorina Frost, mangiate mai canditi?

La ragazza guardò il cugino. ― È davvero necessario, Lew?

Frost arrossì. Aprì la bocca, ma Wolfe lo batté sul tempo.

― La signorina Mitchell non si è sottratta alla domanda. Naturalmente lei ha i nervi saldi.

La silfide lo guardò impassibile. ― Non c'è niente che non funzioni nei miei nervi, queste sono chiacchiere da due soldi... Comunque... Be', sì: anch'io mangio canditi ogni tanto. Preferisco i dolci caramellati e, dato che anch'io faccio la modella e devo stare attenta, di solito mi limito a questi.

― Dolci caramellati al cioccolato? Alle noci?

― Di ogni tipo. Mi piace masticarli.

― Con quanta frequenza ne mangiate?

― Una volta la settimana, più o meno.

― Ve li comprate voi stessa?

― No. Non ne ho la possibilità: mio cugino conosce i miei gusti e mi manda sempre delle scatole della Calatti. Troppo spesso, direi. Devo regalarne la maggior parte.

― Vi piacciono molto?

La ragazza annuì: ― Moltissimo.

― Trovate difficile resistere quando ve ne offrono?

― A volte sì.

― Lunedì pomeriggio avevate lavorato sodo. Eravate stanca e avevate pranzato con uno spuntino veloce, vero?

La ragazza tollerava a malapena le domande. ― Sì.

― E allora, quando la signorina Lauck vi ha offerto i dolci al caramello, perché non ne avete preso uno?

― Non mi aveva offerto dolci al caramello. Non ce n'erano nella... Si fermò. Gettò un'occhiata di lato a suo cugino e poi spostò di nuovo lo sguardo su Wolfe. Cioè, non credevo che...

― Non credevate? ― La voce di Wolfe era diventata improvvisamente dolce. ― La signorina Mitchell non riesce a ricordare cosa c'era scritto sul coperchio della scatola. E voi, signorina Frost?

― No, non lo so.

― La signorina Mitchell ha detto che voi non avete neppure toccato la scatola. Eravate davanti allo specchio e vi stavate sistemando i capelli. Non avete neppure guardato la scatola. È esatto?

La ragazza lo stava fissando. ― Sì.

― La signorina Mitchell ha detto anche di aver rimesso il coperchio sulla scatola e di averla tenuta in mano fino a quando non la diede al signor McNair. È esatto?

― Non lo so. Io... Io non l'ho notato.

― No. Naturalmente, date le circostanze. Ma dopo che la scatola è stata data al signor McNair, e fino a quando lui a sua volta non l'ha consegnata alla polizia, l'avete vista? Avete avuto occasione di esaminarla?

― Non l'ho vista.

― Ancora una domanda, signorina Frost, tanto per finire la dimostrazione. Siete sicura di non sapere cosa c'era scritto su quel coperchio? Non era una marca che voi conoscete bene?

La ragazza scosse la testa. ― Non ne ho idea.

Wolfe si appoggiò allo schienale della sedia e sospirò. Prese la terza bottiglia, riempì il bicchiere e osservò la schiuma assestarsi. Nessuno parlava; ci limitammo tutti a osservarlo mentre beveva. Appoggiò il bicchiere, si asciugò la bocca e riaprì gli occhi sul nostro cliente.

― Ecco qua, signor Frost ― dichiarò tranquillo. ― Perfino nel corso di una breve dimostrazione, dalla quale non ci si aspettava alcun risultato, qualcosa non ha funzionato. Per sua stessa testimonianza, vostra cugina non ha mai visto il contenuto di quella scatola, dopo che la signorina Lauck se ne era impossessata. Non sa neppure di che marca fosse e, di conseguenza, non può conoscerne il contenuto. Tuttavia lei sapeva con certezza che nella scatola non c'erano dolci al caramello. Di conseguenza: la signorina ha visto il contenuto della scatola da qualche parte, a un certo momento, prima che la signorina Lauck la prendesse. Questa è una deduzione: esattamente quello che intendevo quando parlavo di interrogare tutte le persone che si trovavano qui lunedì scorso.

Lew Frost, con gli occhi fissi su Wolfe, scattò: ― E voi la chiamate... Come accidenti la chiamate? Mia cugina...

― Ve l'ho detto: deduzione.

La silfide, pallidissima, era ancora seduta e lo fissava. Aprì la bocca un paio di volte, ma la richiuse senza parlare.

― Non ha detto che sapeva con certezza che non c'erano dolci al caramello ― intervenne Thelma Mitchell. ― Ha detto solo che...

Wolfe alzò una mano. ― State cercando di essere un'amica leale, signorina Mitchell? Non è il caso. La vostra prima lealtà deve essere nei confronti della morta. Il signor Frost mi ha trascinato qui perché Molly Lauck è morta. Mi ha assunto per scoprire come e perché. Cosa c'è, signore? Non è forse vero?

Frost esplose. ― Non vi ho assunto per divertirvi con dei trucchetti alle spalle di due ragazze dai nervi scossi. Statemi bene a sentire, grassone imbecille: di questa faccenda, io so già più di quanto voi possiate mai scoprire in cento anni! Se pensate che io vi paghi per... E adesso cosa fate? Dove andate? Che scherzo è questo? Tornate subito a sedere...

Wolfe si era alzato, senza fretta, e stava aggirando il tavolo, mettendosi di traverso per passare davanti a Thelma Mitchell. Frost era balzato in piedi e stava per allungare un braccio verso Wolfe.

Mi alzai e mi misi tra Frost e Wolfe. ― Non spingete, amico. ― Avrei preferito dargli un pugno, ma l'avrei fatto finire addosso a una signora. ― Adesso basta! Smettetela!

Frost mi lanciò un'occhiataccia, ma lasciò perdere. Wolfe stava scivolando verso la porta. In quel momento qualcuno bussò; la porta si aprì e comparve la bella ragazza con l'abito nero e i bottoni bianchi. La donna entrò.

― Vi prego di scusarmi. ― Si guardò intorno, composta, e fermò lo sguardo su di me. ― Potreste fare a meno della signorina Frost? C'è bisogno di lei al piano di sotto. E il signor McNair ha detto che volete parlare anche con me. Adesso potrei restare per qualche minuto.

Guardai Wolfe. Si inchinò leggermente verso la ragazza, inclinando la testa di un paio di centimetri. ― Grazie, signora Lamont, ma non è più necessario. Abbiamo fatto eccellenti progressi, più di quanto ci si potesse ragionevolmente aspettare. Archie, avete pagato la birra? Date un dollaro al signor Frost. Dovrebbe bastare.

Presi il portafoglio, estrassi un dollaro e lo misi sul tavolo. Un'occhiata circolare mi informò che Helen Frost era pallida, che Thelma Mitchell pareva interessata e che Llewellyn Frost sembrava pronto a uccidere. Wolfe era già uscito. Lo imitai e lo raggiunsi fuori dalla stanza. Stava premendo il pulsante dell'ascensore.

― Quella era birra da due soldi. Al massimo settantacinque cents per tre bottiglie.

Wolfe annuì. ― Addebitategli la differenza in conto.

Arrivati al pianterreno, procedemmo senza fermarci attraverso l'attività frenetica. McNair era da una parte e parlava con una donna bruna, di media altezza, con la schiena diritta e la bocca orgogliosa. Voltai la testa per dare una seconda occhiata e pensai si dovesse trattare della madre di Helen Frost. Una dea, che non avevo visto prima, stava sfilando con una giacca marrone davanti a una befana con cane; nella sala c'erano altre tre o quattro persone. Immediatamente prima che uscissimo, la porta d'ingresso sulla strada si aprì ed entrò un uomo. Era grande e grosso, con una cicatrice sulla guancia. Sapevo tutto di quella cicatrice. Lo salutai con un cenno.

― Salve, Purley.

L'uomo si bloccò e spalancò gli occhi. Non su di me, ma su Wolfe. Dio santissimo! L'hai sparato sin qui con un cannone?

Sorrisi e continuai a camminare.

In auto, tornando a casa, feci qualche tentativo di conversazione amichevole, ma senza successo.

Tentai: ― Quelle modelle sono proprio delle creature graziose, vero?

Nessuna reazione. Riprovai: ― Avete riconosciuto il signore che abbiamo incontrato mentre uscivamo? Era il nostro vecchio amico Purley Stebbins, della squadra Omicidi. Uno dei tirapiedi di Cramer.

Nessuna risposta. Cominciai a guardare la strada davanti a me in cerca di una buona buca.